Secondo autorevole dottrina, per limitare la gestione domestica attraverso società in mano pubblica si susseguono, tra il 2008 e il 2012, disposizioni introdotte in via d’urgenza che riprendono la giurisprudenza europea e introducono misure anti elusive, tanto che l’ente locale che intende gestire il servizio in house ha oneri motivazionali aggravati poiché la regola è la gestione del servizio ad opera di un privato imparzialmente selezionato (49). La riforma supera il vaglio di legittimità costituzionale atteso che la sentenza della Corte costituzionale n. 325/2010, dichiara illegittimo l’art. 23-bis, nella sola parte in cui rimette alla potestà regolamentare dello Stato l’assoggettamento dei soggetti affidatari dei s.p.l. al patto di stabilità interno, poiché attinente alla materia di competenza legislativa concorrente (50). Il regolamento attuativo del d.l. cit., adottato con d.P.R. n. 168/2010,
(48) Si pensi che Corte cost. n. 401/2007 aveva da poco ribadito che è precluso alle Regioni disciplinare con proprie leggi le procedure di gara poiché la materia della concorrenza resta riservata al legislatore statale. Con l’art. 23-bis gli enti locali avrebbero, invece, potuto disegnare le procedure di scelta di volta in volta.
(49) M.MIDIRI, La promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali, in Tutela della concorrenza e giurisdizione, Napoli, 2013, 116 e ss. Secondo l’autorevole autore, attraverso la promozione della concorrenza si mira a valorizzare la capacità dei soggetti economici, rimediare ai casi di mala gestio e contrastare la spinta alla rent extraction dall’attività delle imprese pubbliche. Tuttavia, considerato l’assetto delle attribuzioni delineato dal Titolo V Cost., il successo di questo disegno richiede però una conforme azione amministrativa degli enti locali e soprattutto dei Comuni, cui spetta di espletare le gare: l’organizzazione dei servizi di ambito comunale - ferme le funzioni di programmazione e coordinamento delle Regioni - è una loro funzione fondamentale. Per assicurare effettività alle norme del 2008-2009 che pongono la gara per il mercato come regola, la riforma affida all’AGCM una funzione consultiva obbligatoria. Non a torto si intravede una valenza regolatoria in questa funzione demandata all’Autorità. Soffrono di questa stretta amministrativa i Comuni che rivendicano la mission dei servizi pubblici locali riconosciuta dall’Unione europea come strumento di coesione sociale e territoriale. Avvertono come una morsa il vaglio di AGCM poiché la stessa non si accontenta di meri preventivi e richiede un vero e proprio invito al mercato.
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all’art. 2, indicava la via della liberalizzazione, fatte salve le attività di spettanza necessaria, come suggerito dal Consiglio di Stato, Sez. atti normativi 24 maggio 2010, n. 2692, nel parere su “affare 02415/2010” ove si ribadisce che l’impulso proveniente dall’Unione europea è quello di favorire in prima istanza l’iniziativa privata nell’erogazione dei s.p.l. valorizzando, in caso di inefficacia, gli enti locali, che peraltro procedono ordinariamente allo svolgimento dei servizi loro spettanti tramite affidamento a terzi.
La riforma dell’art. 23-bis, come noto, è stata però successivamente travolta dal referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011. La campagna referendaria riesce a veicolare nel dissenso a tutto l’impianto della riforma le preoccupazioni dei cittadini sull’acqua “bene comune”, riesce a raggiungendo il quorum e determinando così l’abrogazione dell’intero impianto della riforma del 2008-2009 (51). Pochi mesi dopo il referendum, il nostro Paese riceve una lettera dalla Banca centrale europea (52) con la quale la BCE esprime il proprio sostegno al Governo italiano con riserva (53). Il nuovo Governo tecnico guidato da Mario Monti ottempera a quanto richiesto dalle autorità europee con un decreto legge “di salvezza finanziaria”, il d.l. n. 138 dell’agosto 2011, conv. in l. n. 148/2011. Tale decreto cerca di bilanciare i vincoli europei con l’esito referendario e l’art. 4 del d.l. cit., pone due norme essenziali: ripropone la normativa pro-concorrenziale dell’art. 23-bis con l’importante eccezione del servizio idrico, assieme alla distribuzione del gas, energia elettrica, trasporto ferroviario regionale e gestione delle farmacie comunali; limita i diritti di esclusiva e demanda agli enti locali di verificare, con il parere dell’AGCM, se sia realizzabile la concorrenza nel mercato (54).
(51) M.MIDIRI, op. cit., 120, secondo cui la Corte cost., sentenza n. 24/2011, aveva ben chiarito che essendo la richiesta referendaria atto privo di motivazione, l’intento referendario si desume dalla finalità incorporata nel quesito, ricavabile in base alla sua formulazione e all’incidenza del quadro normativo di riferimento. Pertanto, l’accoglimento del quesito referendario determina l’abrogazione dell’intero art. 23-bis, d.l. n. 112/08, non rilevando l’intento soggettivo del comitato referendario.
(52) La lettera della BCE, pubblicata dal Corriere della Sera del 29 settembre 2011, è datata 5 agosto 2011; è indirizzata al Governo italiano e reca la sottoscrizione del Presidente uscente Trichet e dell’attuale Presidente Draghi. Le misure richieste attengono anche alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali come misura per accrescere la concorrenza e condizionavano il rinnovo degli interventi di sostegno al mercato dei bond: si legge, infatti, che l’Italia deve perseguire la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali attraverso privatizzazioni su larga scala.
(53) Cfr. BCE, comunicato 6 settembre 2012: conditionality of outright monetary transactions, in ecb.int.
(54) M.MIDIRI, op. cit., 123, ripercorre i contenuti dell’art. 4 cit., il quale a detta dell’autore limita i diritti di esclusiva all’ipotesi in cui l’iniziativa economica privata non garantisca un servizio rispondente ai bisogni della comunità locale; l’ente locale individua, previa analisi di mercato, i settori sottratti alla liberalizzazione; evidenzia in una delibera quadro – sottoposta al parere dell’AGCM – i benefici che la comunità locale trarrà mantenendo il regime di esclusiva del servizio; il valore economico del servizio in house non può comunque superare una rigida soglia di valore, non derogabile (900.000 euro annui, poi abbassati a 200.000). Vengono così aggravati i c.d. requisiti Teckal.
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La Corte costituzionale, tuttavia, seppure la norma escluda il servizio idrico, ritiene la riforma immediatamente ripropositiva della normativa appena abrogata e con sentenza n. 199/2012, dichiara illegittimo, per violazione dell’art. 75 Cost., l’art. 4 del d.l. cit., comprese le modifiche successive adottate con legge di stabilità n. 183/2011, con il d.l. “salva Italia” n. 201/2011 e con il d.l. “per la concorrenza” n. 1/2012.
La declaratoria di incostituzionalità colpisce anche quella parte dell’art. 4 che promuove la concorrenza nel mercato (comma 1), norma che riprendeva il testo suggerito dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema di regolamento attuativo dell’art. 23-bis, ossia l’obbligo per l’ente locale di fondare il diritto di esclusiva con la motivata sussistenza di fattori ostativi alla liberalizzazione, da esplicitare nella delibera quadro che illustra l’istruttoria compiuta ed evidenzia, per i settori sottratti alla liberalizzazione, i fallimenti del sistema concorrenziale, suffragato dal principio di sussidiarietà orizzontale (55). Nel giudizio della Consulta ha inciso la complessiva valutazione di elusione del vincolo referendario, non solo per la riproposizione di buona parte delle norme del 23-bis, quanto per il sostanziale aggravamento dei vincoli posti agli enti locali per i quali diveniva ancor più remota l’ipotesi di affidamento diretto dei servizi (56). La Corte ha trascurato che in sede di preliminare analisi
di mercato l’ente locale avrebbe potuto concludere la verifica nel senso di mantenere il regime di esclusiva del servizio senza escludere necessariamente l’in house, sussistendone le condizioni. In tal senso, nell’impianto della riforma, il processo di liberalizzazione è comunque subordinato alla
(55) M.MIDIRI, op. cit., 125, secondo cui l’idea sottostante alla riforma è la ridefinizione dei confini della presenza pubblica secondo il nesso di rigorosa strumentalità al fine pubblico perseguito secondo il tracciato segnato da Cons. Stato, Ad. Plen. n. 17/2011, nella parte in cui afferma che è espressione di principio generale, avente fondamento nell’ordinamento UE, la norma di legge che impone specifico divieto alle amministrazioni pubbliche di costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, o di assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società (art. 3, comma 27 l. n. 244/2007), e ciò, al fine di tutelare la concorrenza e il mercato. L’importanza di sistema di questa conclusione è sottolineata da M. Libertini, liberacontrada.it. Si obietta che il diritto UE serba un atteggiamento di neutralità tra proprietà pubblica o privata delle imprese e impone soltanto che l’impresa pubblica non goda di ingiustificati privilegi; ma è pure vero che la missione d’interesse generale non può diventare strumento per eludere i principi generali
(56) Secondo la Sentenza n. 199/12 cit., l’art. 4 del d.l. n. 138/2011 non solo limita in via generale l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità, ma la àncora anche al rispetto di una soglia commisurata al valore degli stessi, il superamento della quale determina automaticamente l’esclusione della possibilità di affidamenti diretti. Tale effetto si verifica a prescindere da qualsiasi valutazione dell’ente locale, oltre che della Regione, ed anche in difformità rispetto a quanto previsto dalla normativa comunitaria, che consente, anche se non impone, la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale, allorquando l’applicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la speciale missione dell’ente pubblico (art. 106 TFUE), alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico della società affidataria, del c.d. controllo analogo.
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garanzia dell’universalità ed accessibilità del servizio; nella delibera quadro, l’ente locale avrebbe potuto evidenziare per i settori sottratti alla liberalizzazione i benefici per la comunità locale derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio ed il parere dell’AGCM, in parte qua, era sì obbligatorio, ma non vincolante. Subito dopo l’intervento di censura da parte della Consulta sull’impianto delineato dall’art. 4 cit., la dottrina si era interrogata su quale fosse il sistema redivivo della disciplina dei servizi pubblici. Si era parlato di sopravvivenza della disciplina de minimis posta dai principi e dalle norme UE, meno restrittive rispetto a quelle nazionali che pongono le regole concorrenziali minime per l’affidamento della gestione del servizio (57). Autorevole dottrina (58)
afferma che subito dopo l’esito referendario e l’intervento della Consulta persiste un quadro estremamente frammentato che si identifica con i principi comunitari ed alcune norme rimaste in vigore nell’art. 113 del TUEL, oltre all’art. 3-bis del d.l. n. 138/2011 sulla riorganizzazione dei s.p.l. a rete in ambiti o bacini territoriali ottimali volta a conseguire economie di scala e di differenziazione, non colpito dalla sentenza della Consulta (59), oltre all’art. 25, commi 5 e 6 del d.l. n. 1/2012, conv. in l. n. 27/2012, il comma 5-bis dell’art. 114 del TUEL 60, nonché le normtive di settore concernenti il servizio idrico integrato, il servizio di gestione dei rifiuti urbani e assimilati ed il trasporto pubblico locale. Era poi caduta la norma collegata alla ridefinizione dei bacini territoriali, che ammetteva in via transitoria l’affidamento in house a società sorta dall’integrazione di precedenti gestioni (61).
L’art 3-bis del d.l. n. 138/2011 stabilisce che i s.p.l. a rete di rilevanza economica devono essere organizzati e assegnati per ambiti territoriali ottimali che comprendono una pluralità di comuni. Il legislatore attribuisce alla Regione un ruolo rilevante nella identificazione di tali ambiti territoriali ottimali e nella disciplina dei relativi enti di governo che devono avere il carattere di reali forme
(57) M.MIDIRI, op. cit., 129, ove si richiamano le due sentenze della Consulta nn. 24/11 e 320/11. (58) G.CAIA, Le nuove discipline dei servizi pubblici, in Libro dell’anno Treccani, 2013, 240.
(59) L’art. 3-bis del d.l. n. 138/2011, inserito dall’art. 25 del d.l. n. 1/12, conv. dalla l. n. 27/12, consente alle Regioni di individuare bacini territoriali ottimali di dimensione diversa da quella provinciale, motivando la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio economica e in base a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio. Gli enti che costituiscono ambiti o bacini acquisiscono un elemento di virtuosità ai fini del patto di stabilità, ai sensi dell’art. 20, comma 2, del d.l. n. 98/2011, conv. dalla l. n. 111/11.
(60) L’art. 114, comma 5-bis, del TUEL, rende possibile, anche se con limiti, l’impiego delle aziende speciali per la gestione di s.p.l.
(61) Art. 25, d.l. n. 1/12, conv. il l. n. 27/12, ed in particolare il comma 32, che intendeva favorire il passaggio a nuovi aggregati industriali in grado di assicurare nel periodo transitorio maggiore efficienza gestionale in un mercato allargato e di affrontare le future gare d’ambito una volta realizzata la liberalizzazione.
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associative tra enti locali (62). Altre norme a carattere pro-concorrenziale posteriori sono l’art. 25 del d.l. n. 1/12 (63) e l’art. 34 del d.l. n. 179/2012. Con la norma in ultimo cit., si è previsto che, per i servizi pubblici di rilevanza economica, per assicurare il rispetto della disciplina europea, l’economicità della gestione, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione, l’affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e universale, indicando le compensazioni economiche previste. Per gli affidamenti per i quali non è prevista una scadenza, gli enti competenti provvedono a inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell’affidamento, pena la cessazione dello stesso
(64).
L’affidamento dei s.p.l. a rete di rilevanza economica è disposto unicamente per ambiti, con atti dei relativi enti di governo, mentre restano interamente disciplinati dalle relative leggi di settore il servizio pubblico di distribuzione di gas naturale, di energia elettrica (che è però un servizio nazionale poiché si svolge in base a concessioni ministeriali) e la gestione delle farmacie comunali.
Il legislatore, quindi, successivamente al referendum del 2011, non può imporre (almeno nel breve periodo) soluzioni organizzative e forme di gestione dei s.p.l. a prescindere da qualsiasi valutazione dell’ente locale oltreché della Regione. Le nuove norme lasciano all’ente locale la scelta tra i tre modelli possibili e consentiti dal diritto europeo: l’affidamento (o concessione) con procedura ad evidenza pubblica; la mista con socio privato industriale scelto con procedura corrispondente (gara a doppio oggetto); la società o azienda in house. La scelta della forma di gestione deve essere motivata in maniera “non meramente enunciativa” e la scelta deve derivare da un’adeguata ponderazione (65).
La specifica previsione sulla necessità di definire gli obblighi di servizio pubblico e servizio
(62) G.CAIA, op. cit., 241. L’autore ricorda che il modello organizzativo per ATO è stato applicato anche al servizio pubblico di distribuzione del gas naturale, ai sensi dell’art. 46-bis del d.l. n. 59/2007, conv. in l. n. 222/2007, e conseguenti d.m. 19 gennaio 2011, 4 maggio 2011 e 12 novembre 2011.
(63) Tale norma prevede che i concessionari e gli affidatari di s.p.l., a seguito di specifica richiesta, sono tenuti a fornire agli enti locali che decidono di bandire la gara per l’affidamento del relativo servizio i dati concernenti le caratteristiche tecniche degli impianti e delle infrastrutture, il loro valore contabile di inizio esercizio, secondo parametri di mercato, le rivalutazioni e gli ammortamenti e ogni altra informazione necessaria per definire i bandi.
(64) Gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1 ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data, e a quelle da esse controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c., cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto; gli affidamenti che non prevedono una data di scadenza, cessano improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante il 31 dicembre 2020.
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universale con indicazione delle compensazioni economiche, se previste, è finalizzata a garantire che non vi siano oneri impropri e che non si dia luogo ad aiuti di Stato non consentiti (66). In base ad essa gli enti interessati approvano le tariffe dei servizi pubblici in misura tale da assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della connessa gestione.
In conclusione, e volendo tirare le fila del discorso, la l. 142/1990 rappresenta la prima disciplina generale dedicata ai servizi pubblici locali che guarda al mercato. La disposizione, infatti, conteneva una timida apertura alla concorrenza, prevedendo che il servizio in questione potesse essere gestito da società a capitale misto pubblico-privato. Nel panorama degli strumenti disegnato dal legislatore, l’apertura alla concorrenza sia pure nelle forme della società mista rappresentava, nella formulazione risultante dalle modifiche della l. 127/1997, un’ipotesi tra quelle riconosciute all’ente locale, percorribile qualora “opportuna in relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati”. Passi in avanti furono registrati con l’art. 35, della l. n. 448/2002, di modifica degli artt. 113 e 114, del d.lgs. 267/2000, per i servizi avente contenuto industriale, quali la possibilità di gestione separata della rete ed alcuni limiti di operatività in capo alle società affidatarie di un precedente servizio. Un passo indietro si è verificato, invece, con le modifiche di cui al d.l. n. 269/2003, e dalla l. 350/2004, all’art. 113 d.lgs. 267/2000, in particolare al comma 5. La norma, infatti, veniva strutturata nel senso di lasciare libertà all’ente locale di affidare il servizio a privati mediante gara, ovvero affidarlo in via diretta ad una società mista o, infine, affidarlo in via diretta ad un organismo in house. Quest’impostazione dava spazio a critiche, non solo per la scelta non concorrenziale operata dal legislatore, ma anche per la compromissione del punto di equilibrio tra azione amministrativa e libera concorrenza, giacché all’ente locale in questo modo si dava la possibilità di mantenere la gestione diretta del servizio nelle forme dell’affidamento in house attraverso enti societari spogliandosi in tal modo della responsabilità politica dei risultati del servizio
(67). Gli effetti di questa impostazione sono stati in parte mitigati dall’esegesi della Corte di Giustizia,
a partire dalla sentenza Teckal, che ha ristretto in modo sensibile l’ipotesi di affidamenti in house. Un’ulteriore “lesione” del principio di concorrenza veniva rinvenuto nella regola dell’affidamento diretto a società mista nella quale la scelta del socio sia pure con gara poteva essere sganciata dalla particolare natura del servizio ed, inoltre, l’affidamento del servizio poteva avere durata
(66) G.CAIA, op. cit., L’autorevole autore in parte qua richiama anche l’art. 117 del TUEL quale norma di portata generale che mira ad assicurare economicità, efficienza, efficacia nella gestione dei s.p.l.
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particolarmente lunga. Le suddette criticità sono state superate come visto supra con l’introduzione della gara a “doppio oggetto”, che ha consentito di scegliere il socio anche in ragione del servizio erogato, istituendo un rapporto sociale di pari durata rispetto a quello dell’affidamento del servizio. Un limite alla possibile rendita di posizione in capo agli affidatari diretti del servizio è stato introdotto con l’art. 13, del d.l. n. 223/2006, che nella sua versione definitiva, però, non si applica ai servizi pubblici locali. La norma, espressione del timore che i vantaggi maturati al di fuori del mercato concorrenziale possano finire per distorcere il mercato stesso, esclude che le società, a capitale interamente pubblico o misto possano svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, in affidamento diretto o con gara, o che possano partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. Una vera e propria svolta si era registrata con l’introduzione dell’art. 23-bis, d.l. 112/2008, modificato dall’art. 15, d.l. 135/2009, che affermava in modo perentorio che i servizi pubblici locali di rilevanza economica dovevano essere affidati in via ordinaria attraverso il ricorso al mercato. Ossia attraverso una procedura di evidenza pubblica tesa ad individuare il gestore del servizio ovvero attraverso gara pubblica a doppio oggetto tesa ad individuare il socio privato di società mista. Rispetto a queste due ipotesi ordinarie, il cd. affidamento in house era utilizzabile per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato. A garanzia del suddetto precetto l'ente affidante era onerato di dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorità garante della concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione. La nuova disciplina agiva anche sul piano della limitazione degli ulteriori e potenziali effetti distorsivi del mercato discendenti dall’affidamento diretto. Infatti, il comma 9, del citato art. 23-bis, prevedeva che le società gestori del servizio in virtù di affidamento diretto non potessero acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o