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INTERESSE GENERALE

4.2. La necessità del momento regolatorio nel governo dei s.p.l.

E’ noto come la piena liberalizzazione, in un mercato teorico tendenzialmente perfetto non necessita di alcuna regolazione e determina un assetto di concorrenza perfetta e integrale con contesa “nel” mercato. I players hanno tutti parità di armi, pari informazioni e sono lasciati liberi di contendersi il mercato e così pure gli utenti detengono ogni tipo di informazione e sono liberi di scegliere tra i vari operatori. In questo assetto immaginario le risorse sono tendenzialmente infinite e non esistono monopoli. Nel mercato reale, specie in quello dei servizi pubblici, le risorse sono, invece, limitate, sussistono monopoli naturali o di fatto e gli operatori e gli utenti detengono conoscenze e informazioni asimmetriche. In un mercato siffatto se gli operatori sono lasciati completamente liberi di sfidarsi, si generano posizioni monopolistiche, inefficienze, aumento dei prezzi a fronte di investimenti minimi o negativi, diseguaglianze ed espulsione dal mercato di operatori che in un mercato opportunamente regolato potrebbero essere competitivi. Gli obiettivi della liberalizzazione devono essere perseguiti attraverso la “regolazione”, ossia con un sistema di disposizioni giuspubblicistiche tendenti alla tutela dei new comers ed alla consumer protection. Nel mercato reale la componente regolatoria è necessaria ed ineliminabile al fine di tutelare la concorrenza e quindi il mercato stesso, sia in senso soggettivo (tutela dei concorrenti) che oggettivo (tutela del mercato e quindi dell’utenza).

Relativamente alla tutela della concorrenza in senso soggettivo, le misure di regolazione pro- concorrenziale si pongono in contrasto con il regime di uguaglianza formale di tutti gli operatori economici che sarebbe instaurato perseguendo la piena liberalizzazione. La regolazione, in tal senso, deve essere asimmetrica ossia deve disciplinare in maniera differente i soggetti dotati di un

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significativo potere di mercato rispetto ai nuovi entranti, limitando gradualmente il potere di mercato degli operatori dominanti (143).

Si comprende come la regolazione sia attività estremamente difficoltosa da svolgere poiché il soggetto regolatore deve esercitare il proprio imperio con azioni connotate da proporzionalità, ragionevolezza ed equilibrio, evitando al contempo di eccedere o desistere dal porre freni e limitazioni agli operatori dominanti (144).

Per quanto attiene alla tutela in senso oggettivo, la liberalizzazione dei SIEG deve sempre essere accompagnata da misure di tutela dell’interesse generale, in ossequio al perseguimento dei principi di universalità, economicità, efficienza, efficacia, l’accesso di ciascuno, indipendentemente dalla situazione economica, sociale o geografica, ad un servizio di qualità specificata ad un prezzo abbordabile (145). La regolazione detta quindi anche una disciplina per assicurare il servizio universale, quale contrappeso della liberalizzazione (146), e non è un’attività transeunte atteso che il mercato, come può ben desumersi dagli enormi fallimenti che ciclicamente si verificano nell’economia e nella finanza, non è un’entità razionale che tende ad un assetto virtuoso, ma permanente e necessaria sia per la regolazione in senso pro-concorrenziale che per quella volta a perseguire il benessere sociale in un contesto concorrenziale. La liberalizzazione instaura un regime di libertà economica e di uguaglianza formale ma i benefici sono ipotetici e differiti nel tempo, mai scontati. In tal senso, non potendosi aspettare che i presunti benefici si realizzino è l’utilità sociale a definire i confini della libertà economica (147).

Le coordinate sopra tracciate, se calate nel settore dei s.p.l. di rilevanza economica, divengono ancora più problematiche, come emerso anche dalla disamina in senso diacronico delle norme e delle riforme che si sono susseguite nel settore (cfr. in tal senso par 1 supra).All’inizio degli anni novanta, anche

(143) M.LUCIANI, Unità nazionale e struttura economica. La prospettiva della Costituzione repubblicana, relazione al Convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, Torino, 27-29 ottobre 2011, in associazionedeicostituzionalisti.it, 52. La concorrenza ha una complessa relazione con la libertà economica perché per un verso ne costituisce un profilo, nel senso che ogni singolo operatore ha interesse a entrare in un mercato, per l’altro ne costituisce un limite, nel senso che si contrappone all’interesse a escludere gli altri competitori vantato da chi su quel mercato è un incumbent.

(144) Cfr. in tal senso Cons. Stato, Sez. VI, 14 giugno 2006, n. 3501, secondo cui sono ritenute illegittime le misure che creano una asimmetria ai danni di taluni operatori incisi nella loro libertà di azione, non giustificata sul piano della ragionevolezza e della proporzionalità, dal presupposto di comportamenti abusivi, scorretti o anche solo sintomatici di una distorsione speculativa del funzionamento del mercato.

(145) Comm. Eu. Libro verde sui servizi di interesse generale, 21 mggio 2003, COM(2003), 270 definitivo, par. 5. (146) M.RAMAJOLI, Potere di regolazione e sindacato giurisdizionale, in Dir. proc. amm., 2006, 80 ss.

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per via dell’istituzione di AGCM e nell’ottica di perseguimento della liberalizzazione secondo il modello europeo dei grandi servizi a rete, si era impressa una spinta liberalizzatrice che si è poi successivamente attenuata anche alla luce di errori, incertezze e ripensamenti del legislatore. Tale spinta liberalizzatrice, complici anche le difficoltà strutturali del comparto, ha finito per focalizzarsi più sulla “privatizzazione” che sulla “liberalizzazione”. La struttura, come noto, è connotata da monopoli naturali e infrastrutture non immediatamente duplicabili che limitano le possibilità di scelta di apertura dei servizi “nel mercato”. La scelta dunque si ripiega su di un simulacro di concorrenza caratterizzato dalla gara “per il mercato”, peraltro in alternativa all’affidamento diretto a una società mista con socio privato operativo scelto con gara a doppio oggetto e quindi alla scelta di un operatore che eserciterà il servizio in regime di monopolio legale. Le misure ascrivibili alla tutela della concorrenza sarebbero, oltre a quelle che aprono l’accesso ai mercati precedentemente chiusi (c.d. concorrenza nel mercato, ossia l’eliminazione di diritti speciali o esclusivi concessi alle imprese), anche le misure che prescrivono la gara per l’aggiudicazione dei contratti pubblici e per l’affidamento dei servizi pubblici e, in collegamento con queste, le disposizioni riguardanti le modalità di gestione dei servizi (concorrenza per il mercato). La concorrenza per il mercato ossia per il monopolio è stata definita però anche una concorrenza parassitaria o fasulla, poiché non è altro se non un simulacro volto a ovviare all’assenza di concorrenza all’interno del mercato (148).

La concorrenza per il mercato non è l’unica opzione possibile nel settore dei s.p.l., ed in tal senso, l’AGCM, in una segnalazione del 1999, aveva precisato che il legislatore, ogni qual volta ciò fosse stato possibile per caratteristiche territoriali, economiche e geomorfologiche, avrebbe dovuto seguire la concorrenza nel mercato, consentendo l’ingresso di una pluralità di operatori disposti a offrire il servizio in condizioni competitive, previa una semplice autorizzazione amministrativa (149). La

direzione indicata da AGCM era assunta dal legislatore ben dodici anni dopo, con l’art. 4 comma 1 del d.l. n. 138/2011, che poneva la liberalizzazione come primo tentativo da effettuarsi nella parte in cui affermava che gli enti locali, nel rispetto dei principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, verificano la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica liberalizzando tutte le attività economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio e limitando, negli altri casi,

(148) F.MERUSI, La regolazione dei servizi di interesse economico generale nei mercati (parzialmente) liberalizzati: una introduzione, in E. Bruti Liberati e F. Donati (a cura di), La regolazione dei servizi di interesse economico generale, Torino, 2010, 1 ss.

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l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità (150). Secondo la norma cit., se l’ente locale decideva di sottrarre alla liberalizzazione un

dato settore, l’individuazione del gestore unico doveva avvenire con una gara per il mercato, limitando a ipotesi eccezionali gli affidamenti in house e comunque cercando di favorire l’effettuazione delle aste competitive, sia con la premialità finanziaria, sia come elemento di valutazione all’interno del nuovo patto di stabilità interno. Per il legislatore la scelta per la privatizzazione (concorrenza per il mercato), ha continuato a rimanere dominante rispetto all’avvio di un serio processo di liberalizzazione (151). La complessiva impostazione data dal legislatore al tema dei servizi pubblici locali di rilievo economico, elude la dimensione di utilità sociale caratteristica di quei servizi e così facendo espone la politica di liberalizzazione a svariate forme di resistenza, come avvenuto sino ad oggi con le riforme (o meglio con i tentativi di riforma che si sono susseguiti prima e dopo il referendum del 2011). La liberalizzazione, oltre ad assicurare la libertà formale degli operatori economici, deve comportare anche il soddisfacimento dell’interesse generale della collettività e non è affatto scontato che ciò accada. Il vero problema è l’individuazione dei motivi imperativi di interesse generale e del modo e del grado del loro bilanciamento con la libertà economica. In tal senso, in generale è noto come liberalizzare una attività significa affrancarla dai poteri amministrativi di conformazione e controllo cui non si accompagna alcun tipo di regolazione, dominando l’idea di equilibrio dell’ordine spontaneo del mercato, tanto che in questo tipo di liberalizzazione si pone la dialettica tra libertà economica e utilità sociale sotto forma di dilemma. Nella materia dei servizi pubblici locali, tale forma di liberalizzazione priva di regolazione è del tutto improponibile e deve essere rigettata. Il rinvio fatto dalla disciplina europea ai motivi imperativi d’interesse generale comporta per il legislatore interno che intenda liberalizzare, un’attenta riflessione sulla sacrificabilità o meno delle esigenze di utilità sociale che presiedono alle limitazioni esistenti. In tal senso, i principi sottesi all’esercizio dei servizi pubblici, sia europei che nazionali, unitamente

(150) Per un commento a tale norma, cfr. G.PIPERATA, La disciplina dei servizi pubblici locali negli ultimi interventi legislativi

di stabilità economica, in Giorn. dir. amm. 2012, 28 ss.

(151) M.RAMAJOLI, op. cit., 12., secondo cui il legislatore ha addirittura dimostrato di volersi disinteressare del tutto di tale processo di selezione, arrivando a demandare alle Regioni il problema della razionalizzazione delle gestioni esistenti con l’art. 25 del d.l. n. 1/2012, ai sensi del quale le Regioni organizzano lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica “in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio. In tal senso, il fallimento del processo di razionalizzazione dimensionale dei servizi locali è già stato dimostrato dall’esperienza della l. 5 gennaio 1994, n. 36 in materia di servizio idrico integrato.

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al soddisfacimento dell’interesse generale della collettività, fa emergere che il legislatore non detiene in parte qua uno spazio di discrezionalità assoluta poiché la valutazione deve essere conforme agli stessi ed agli interessi perseguiti.

4.3. Il deficit delle liberalizzazioni: le norme programmatiche e le liberalizzazioni

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