INTERESSE GENERALE
7. LE ESIGENZE DI RIDUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI LOCALI: LE RAZIONALIZZAZIONIN E LE DISMISSIONI DELLE PARTECIPATE LOCALI.
7.3. La nuova procedura di dismissione delle partecipazioni detenute dalle autonomie locali: uno strappo al sistema
Come anticipato, con l’art. 1 comma 569 cit., si pone un termine di dodici mesi per effettuare la cessione delle partecipazioni non assentite, prevedendo un vero e proprio automatismo caducante;
a) con il comma 561 dell’art. 1 della l. 147/2013 č stato abrogato il comma 32 dell’art. 14 del d.l. 78/2010 conv. da l. 122/2010. A seguito di tale abrogazione sono venute meno le disposizioni che vietavano ai comuni fino a 30 mila abitanti la costituzione di nuove societą e il mantenimento, salvo alcune espresse deroghe, delle partecipazioni in societą gią costituite, nonché la possibilitą per i comuni con popolazione tra i 30 mila e i 50 mila abitanti di mantenere pił di una partecipazione; // b) con il comma 562 dell’art. 1, l. cit. sono stati abrogati i commi 1,2,3,3-sexies dell’art. 4 del d.l. 95/2012 conv. dalla l. 135/2012. A seguito di tale abrogazione sono venute meno le disposizioni che imponevano lo scioglimento o la privatizzazione delle societą strumentali (che avevano realizzato nel 2011 un fatturato superiore al 90% per i servizi forniti agli enti controllanti) e che escludevano dallo scioglimento o dalla privatizzazione le predette societą solamente se ricorrevano le “particolari caratteristiche” indicate nel comma 3-bis o se venivano predisposti appositi piani di ristrutturazione e razionalizzazione ai sensi del comma 3-sexies, in entrambi i casi previo parere vincolante, rispettivamente, dell’Autoritą garante della concorrenza e del mercato e del Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per l’acquisto di beni e servizi; // c) con il medesimo comma 562 sono stati, inoltre, abrogati i commi da 1 a 7 dell’art. 9 del citato d.l. 95/2012 conv. dalla l. 135/2012. A seguito di tale abrogazione sono venute meno le disposizioni, peraltro, già in parte superate in virtù della sentenza della Corte costituzionale n. 296/2013, che imponevano (anche) agli enti locali la soppressione, l’accorpamento o la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20% di enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica e che stabilivano il divieto (anche) per gli enti locali di costituirne di nuovi. Nell’abrogare le disposizioni che vietavano o limitavano la possibilità per le amministrazioni pubbliche locali di avvalersi di società a partecipazione di maggioranza, diretta o indiretta (o di aziende speciali e istituzioni) per gestire servizi pubblici e strumentali, la l. 147/2013 ha, però, imposto alle stesse società, a decorrere dal 2014, di concorrere “alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità ed efficienza” (comma 553, art. 1). La legge di stabilità del 2014 ha introdotto una nuova ipotesi di soppressione delle società partecipate (e delle aziende speciali e delle istituzioni) fondata, però, non più, com’era nelle ipotesi contemplate dalle disposizioni abrogate, su criteri meramente soggettivi, ma su un criterio oggettivo. Ai sensi del comma 555 dell’art. 1 della l. 147/2014 devono, infatti, essere poste in liquidazione, a decorrere dall’esercizio 2017, le società partecipate di cui al comma 554 (e le aziende speciali e le istituzioni), diverse da quelle che esercitano servizi pubblici locali, che abbiano conseguito un risultato negativo per quattro dei cinque anni precedenti. La norma aveva l’evidente scopo di eliminare le società partecipate da pubbliche amministrazioni locali strutturalmente deficitarie e che costituiscono un peso per la finanza pubblica. Le società in questione – tra le quali, giova ribadirlo, non sono comprese le società che esercitano servizi pubblici locali -, che si trovano nella condizione suddetta, devono essere poste in liquidazione entro sei mesi dalla data di approvazione del bilancio o rendiconto relativo all’ultimo esercizio. In caso di mancato avvio, entro il predetto termine, della procedura di liquidazione, i successivi atti di gestione sono nulli e la loro adozione comporta responsabilità erariale dei soci
210 La norma così recita: «il termine di trentasei mesi fissato dal comma 29 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 2007,
n. 244, e' prorogato di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, decorsi i quali la partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto; entro dodici mesi successivi alla cessazione la societa' liquida in denaro il valore della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo comma, del codice civile».
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infatti, si afferma che le partecipazioni “vietate” non alienate entro tale termine cessano ad ogni effetto e la società, entro i dodici mesi successivi alla cessazione della partecipazione deve liquidare in denaro il valore della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti dall’art. 2437-ter, comma secondo, cod. civ.
Posto che la norma impone la dismissione automatica delle partecipazioni “vietate”, si è posto il problema di circoscriverne la portata proprio con riferimento a tale aspetto. Occorre a tal proposito evidenziare che l’art. 3, comma 27, della legge n. 244/2007, individua due tipologie di partecipazioni societarie: quelle vietate dalla legge che, di conseguenza, devono essere dismesse ai sensi del successivo comma 29 e quelle che, viceversa, possono essere mantenute perché non vietate, tra le quali si annoverano le partecipazioni in società che erogano servizi di interesse economico generale. La dismissione delle partecipazioni non vietate, non è dunque disciplinata dall’art. 3, commi 27 - 29 della legge cit., e di conseguenza neppure dall’art. 1, comma 569, della legge n. 147/2013. Ciò emerge con evidenza dalla lettura dell’incipit della norma (per la quale «il termine di trentasei mesi fissato dal comma 29 dell’art. 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 è prorogato…»).
Il comma 569 della legge cit., è applicativo delle sole previsioni dell’art. 3, commi 27 e ss. della legge n. 244/2007, e può riguardare quindi unicamente l’alienazione delle partecipazioni vietate per legge. Il comma 569 cit., proroga («di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge») il termine per le alienazioni delle partecipazioni di cui all’art. 3, comma 29 della legge n. 244/2007, e stabilisce che, decorso tale nuovo termine, la partecipazione non alienata mediante procedura ad evidenza pubblica cessa ad ogni effetto ed entro dodici mesi (…) la società liquida in denaro il valore della quota ex art. 2437-ter, secondo comma, del codice civile.
Pertanto, sembra che solo con riguardo all’alienazione delle partecipazioni vietate ai sensi del comma 27, sia possibile per gli enti pubblici invocare l’applicazione del comma 569 della legge n. 147/2013, atteso che tale comma è testualmente qualificato come attuativo della disciplina relativa alla dismissione delle partecipazioni che il legislatore qualifica come vietate ex art. 3, comma 27, della legge n. 244/2007.
Tale interpretazione è peraltro suffragata dalla parallela vigenza di altre norme che disciplinano l’alienazione delle partecipazioni assentite, come l’art. 1 comma 568-bis, lett. b) della legge n. 147/2013, oppure l’art. 1, commi 611 e 612 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, che dimostrano come la disciplina di cui all’art. 3, commi da 27 a 29 della legge n. 244/2007, e quindi di cui al comma 569 della legge n. 147/2013, non abbia portata generale e non sia pertanto applicabile tout court alle
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dismissioni delle partecipate locali, bensì unicamente alle ipotesi di stretta interpretazione e cioè per l’alienazione delle partecipazioni non strettamente necessarie per il perseguimento delle finalita' istituzionali degli enti locali.
Secondo la giurisprudenza della Corte dei Conti (Deliberazione FVG/ _158_ /2015/PAR Sezione di controllo della regione Friuli Venezia Giulia), il rinvio all’art.2437-ter cod. civ., consente una forma di liquidazione del socio pubblico che intende dismettere la sua partecipazione, ulteriore rispetto ai presupposti del recesso tipizzati dall’art.2437 cod. civ. (quali: la modifica della clausola dell’oggetto sociale, quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società; la trasformazione della società; il trasferimento della sede sociale all’estero; la revoca dello stato di liquidazione; l’eliminazione di una o più cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto; la modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso; le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione). Sebbene tale forma di liquidazione delle quote di partecipazione dell’ente pubblico non possa essere completamente assimilato al recesso codicistico, ragioni di ordine sistematico inducono a propendere per una lettura più ampia della norma, individuando in essa un’ipotesi di recesso extra ordinem e sui generis conseguente alla mancata dismissione delle partecipazioni in esame entro il termine legale. Ciò appare del resto confermato anche dalla lettura fornita da altre Sezioni di controllo della Corte dei conti. Il riferimento, va in particolare alla deliberazione della Sezione regionale di controllo per le Marche n.SRCMAR/25/2014/PAR, la quale afferma che “la questione relativa alla qualificazione di siffatta fattispecie che, invero, attesa la peculiarità della disciplina non appare prima facie riconducibile a istituti tipici del diritto societario in coerenza, del resto, con la tendenza del legislatore a ritagliare in favore delle società a partecipazione pubblica regimi differenziati e speciali che vanno ad affiancare il corpus delle norme di diritto comune ordinariamente applicabili alle stesse. Valorizzando tale carattere di specialità, che indubbiamente connota anche la disposizione di cui all’art. 1 comma 569, Legge di stabilità 2014, ritiene, in particolare, il Collegio che non si appalesi pertinente il richiamo tout court all’istituto del recesso cui pure il legislatore fa rinvio evocando – in maniera indifferenziata senza scriminare tra società per azioni e società a responsabilità limitata – il disposto di cui all’art. 2437 ter comma 2 c.c. Meritevoli di apprezzamento e condivisibili risultano, sotto tale profilo, le riflessioni di alcuni commentatori che, muovendo dal portato letterale della disposizione in parola, hanno evidenziato come non possa annettersi valore dirimente al citato richiamo normativo poiché lo stesso attiene unicamente alla individuazione dei criteri per la liquidazione della partecipazione del
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socio cessato e non assurge, dunque, a più generale criterio qualificatorio. D’altro canto, a sostegno di siffatta ricostruzione, giova evidenziare come l’iter procedimentale tratteggiato dalla legge 147/2013 – nel prevedere meccanismi preclusivi che ex lege inibiscono la prosecuzione del rapporto societario – costituisca uno strumento assolutamente peculiare e non risulti sovrapponibile alla distinta, e ben più articolata, sequenza prevista dal codice civile in materia di recesso (cfr. artt. 2437, 2437-bis, 2437-ter, 2437-quater, 2437-quinquies)”.
Con tale previsione, quindi, si è introdotta una forma di liquidazione peculiare rispetto ai presupposti stabiliti nel codice civile per il recesso, introducendo ex lege una ipotesi speciale valida solo per le società partecipate da enti pubblici. Pur condividendo, di massima, la non sovrapponibilità acritica all’intera sequenza procedimentale indicata negli articoli 2437-2437quinquies cod. civ., per una più analitica disamina non appare incoerente la riconducibilità sistematica della norma di cui al co.569dell’art.1 della L.147/2013 (che rinvia all’art.2437 ter cod. civ.) agli istituti consolidati del diritto societario. In tal senso, non può non rilevare il Collegio che, pur escludendo il rinvio integrale all’intera sequenza codicistica, appare comunque applicabile parte della normativa civilistica in tema di recesso, incluso il procedimento di liquidazione e cancellazione delle quote sociali, come fissato dall’art. 2437-quater cod. civ. a mente del quale vi sarebbe la possibilità di riacquisto delle partecipazioni oggetto di recesso da parte in primis degli altri soci, rimanendo secondaria ed eventuale l’ipotesi di collocamento presso terzi. Sempre secondo tale norma, in caso di mancato collocamento, entro centottanta giorni dalla comunicazione del recesso, le azioni del recedente vengono rimborsate mediante acquisto da parte della società utilizzando riserve disponibili anche in deroga a quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 2357 cod. civ.. Solo qualora non vi siano utili e riserve disponibili, deve essere convocata l’assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale, ovvero lo scioglimento della società. L’intento del Legislatore, con le disposizioni cit., è stato quello di superare le difficoltà di cessione a terzi, prevedendo una ipotesi di recesso extra ordinem e sui generis, ulteriore rispetto a quelle ordinarie contemplate dall’art.2437 cod. civ.. e conclusioni non dissimili devono farsi anche per le fattispecie di cui all’art.1 commi 611 e 612 della legge 190/2014