INTERESSE GENERALE
7. LE ESIGENZE DI RIDUZIONE DELLE PARTECIPAZIONI LOCALI: LE RAZIONALIZZAZIONIN E LE DISMISSIONI DELLE PARTECIPATE LOCALI.
7.8. Profili processuali: il riparto di giurisdizione tra G.A e G.O in materia di dismissioni: l’altalenante giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi Regionali ed
i recenti orientamenti del Consiglio di Stato.
Altro dubbio interpretativo sul tema delle dismissioni delle partecipate locali si è realizzato sul riparto di giurisdizione (215). Ciò deriva dall’incertezza applicativa e dall’infelice formulazione delle norme in commento. Secondo una parte della giurisprudenza, in argomento sussisterebbe la giurisdizione del giudice ordinario (216),
(215) Va, anzitutto, richiamato il criterio generale di riparto di giurisdizione in materia di società a partecipazione pubbliche, delineato nella pronuncia della Cassazione civile, a Sezioni Unite, 20 settembre 2013, n. 21588, secondo cui: «In tema di riparto di giurisdizione, spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi
ad oggetto l'attività unilaterale prodromica alla vicenda societaria, considerata dal legislatore di natura pubblicistica, con la quale un ente pubblico delibera di costituire una società o di parteciparvi o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società medesima o di interferire, nei casi previsti dalla legge, nella vita della stessa. Sono, invece, attribuite alla giurisdizione ordinaria le controversie aventi ad oggetto gli atti societari a valle della scelta di fondo di utilizzo del modello societario, i quali restano interamente soggetti alle regole del diritto commerciale proprie del modello recepito. Ne consegue che appartengono alla giurisdizione ordinaria le domande relative alla validità ed efficacia della costituzione della società mista pubblico-privata, nonché all'acquisizione, da parte del socio privato minoritario, del quarantanove per cento delle azioni della società stessa, mentre appartengono al giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto la procedura di selezione del socio privato, la conseguente aggiudicazione, nonché quella relativa all'affidamento della gestione del servizio».
(216) Il TAR Liguria ha affermato che «la disposizione di cui all'art. 1 comma 569 della legge n. 147/2013) ha previsto, con
riferimento alle partecipazioni azionarie vietate, un'ipotesi eccezionale di cessazione ope legis della qualità di socio, con conseguente diritto dell'amministrazione alla liquidazione del valore della partecipazione azionaria e corrispondente obbligo, per la società partecipata, di corrisponderne il valore secondo le modalità di cui all'art. 2437-ter comma 2 cod. civ. La disposizione è chiarissima nel collegare la cessazione delle partecipazioni azionarie vietate al solo spirare del termine di dodici mesi dal 1° gennaio 2014, senza richiedere alcun preventivo apprezzamento discrezionale (circa l'an, il quid od il quomodo) ad opera dell'amministrazione pubblica socia, in capo alla quale sorge immediatamente un diritto soggettivo alla liquidazione del valore delle azioni, analogamente a quanto avviene - ex art. 2437 cod. civ. - per tutti i casi di recesso del socio. Si tratta dunque di una tipica norma di relazione, intesa a disciplinare non tanto i poteri degli organi pubblici - che, anzi, il legislatore ha inteso per l'appunto surrogare, mediante la predisposizione di un'ipotesi eccezionale di recesso al solo verificarsi dei presupposti di legge - quanto i rapporti tra la pubblica amministrazione e le società partecipate, fonte immediata di diritti soggettivi (di recesso e di liquidazione della quota) e di corrispondenti obblighi. La dismissione della partecipazione concreta del resto un atto jure privatorum, compiuto dal comune "uti socius" - e non "jure imperii" - a valle della scelta di fondo per l'impiego del modello societario. Non venendo in questione l'esercizio di un potere amministrativo propriamente detto, ma soltanto l'accertamento - vincolato - del ricorrere dei presupposti di legge per la cessazione della partecipazione azionaria, deve ritenersi che la controversia esuli - ex art. 7 comma 1 c.p.a. - dalla giurisdizione del giudice amministrativo, per rientrare appieno in quella dell'autorità giudiziaria ordinaria, cui del resto spetta la cognizione sulle domande concernenti il diritto di recesso del socio e, per il caso di contestazioni, sulla liquidazione del valore delle azioni. Né rileva in contrario il disposto di cui all'art. 119 comma 1 lett. c) c.p.a. (a mente del quale "le disposizioni di cui al presente articolo si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le
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mentre per il Consiglio di Stato sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo (217).
La querelle in ordine al riparto di giurisdizione, si è riaccesa in dottrina a seguito di una recente sentenza del Consiglio di Stato, 24 aprile 2017, n. 1894 (218). A parere di chi scrive, le due decisioni
controversie relative a [...] i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici, nonché quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende e istituzioni da parte degli enti locali"), vuoi perché non si tratta di norma sulla giurisdizione, ma sul rito, vuoi perché essa presuppone comunque un provvedimento discrezionale adottato all'esito di una procedura amministrativa nell'ambito della quale vi sia la spendita di un potere autoritativo, ipotesi del tutto mancante nel caso di specie, in cui la cessazione della partecipazione consegue soltanto alla natura vietata della partecipazione stessa (secondo parametri direttamente forniti dalla legge), ed allo spirare di un termine». (TAR Liguria, sez. II, 4 aprile 2016, n. 333, ma anche TAR Toscana e
TAR Veneto).
(217) Con sentenza che statuisce nel merito, infatti, il Consiglio di Stato ha affermato che «la legislazione (art. 1, comma 569, legge n. 147-2013) in proposito è chiara: mentre ammette la costituzione e la partecipazione di società che esercitano servizi pubblici locali nel rispetto dei principi nazionali ed europei di salvaguardia del mercato, osta alla costituzione e alla partecipazione in società da parte degli enti locali per lo svolgimento di funzioni amministrative di loro competenza, a prescindere dall'eventuale scelta di soci privati con procedure ad evidenza pubblica. Anzi, come si dirà meglio nel punto sub 4 della presente sentenza, gli enti locali devono invece vendere le partecipazioni in società miste e devono liquidare le società in proprietà in relazione ad esigenze di riorganizzazione delle funzioni e dei servizi esternalizzati, nonché di razionalizzazione delle spese e di risanamento economico-finanziario secondo appositi piani industriali. Infatti, la legge di Stabilità contenuta nella predetta L. n. 147-2013 ha profondamente rinnovato la disciplina delle società partecipate dagli enti locali, tanto dal punto di vista delle regole per il loro mantenimento (superando il previgente obbligo di dismissione introdotto dalla L. 122-2010 per gli enti di minore dimensione) quanto dal punto di vista dei vincoli gestionali. (…) In tale quadro di riferimento si inserisce la scelta operata dalla Legge di Stabilità 2014, che offre alle Amministrazioni in questione una transitoria e straordinaria opportunità per "uscire" dalle società non strettamente necessarie per il conseguimento delle finalità istituzionali, peraltro non scevra da criticità tanto per gli stessi enti pubblici quanto per le società partecipate. Si stabilisce, infatti, al comma 569 dell'art. 1, che il termine di trentasei mesi originariamente previsto per la dismissione delle partecipate (in scadenza, come detto, al 31.12.2010) è prorogato di 4 mesi dalla data di entrata in vigore della L. n. 147-2013, decorsi i quali la partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica cessa ad ogni effetto. Nei successivi 12 mesi alla cessazione, poi, la società è chiamata a liquidare in denaro il valore della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all'art. 2437-ter, secondo comma, del codice civile, relativi al recesso dalle spa, che prendono in considerazione la "consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni" (mentre nessun richiamo è operato all'art. 2473 del codice civile, relativo al recesso nelle società a responsabilità limitata). Di conseguenza, si prevede una decadenza ope legis della partecipazione con il conseguente obbligo, per la società, di procedere alla liquidazione all'ente del valore delle quote o delle azioni detenute in funzione della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali nonché dell'eventuale valore di mercato» (Consiglio di Stato, sez. V, 7 luglio 2015, n. 3344).
(218) Il Consiglio di Stato afferma che «la scelta dell’ente pubblico di dismettere l’intero pacchetto pubblico costituisce,
invero, “scelta a valle” del modello societario, anche considerato che, per effetto di essa, il soggetto pubblico si ritrae completamente dalla vicenda, lasciandovi solo soggetti privati, per cui non si pongono problemi di selezione pubblicistica di un socio destinato a usufruire della collaborazione privilegiata con il soggetto pubblico, come accade, invece, nella fase iniziale di scelta del partner privato (in questi termini, di recente, cfr. anche T.a.r. Sardegna, 7 aprile 2017, n. 244). Ne risulta confermato, quindi, che la dismissione della partecipazione costituisce atto che i soci pubblici compiono iure privatorum e senza obbligo di puntuale rispetto delle norme a evidenza pubblica, bensì, come si è visto, soltanto dei principi di non discriminazione e trasparenza, per cui gli atti di cui si chiede ora l’annullamento -in quanto aventi a oggetto il destino delle partecipazioni azionarie e, quindi, la “posizione di soci” che gli enti pubblici occupano all’interno della società vedono le parti private su un piano sostanzialmente paritetico, il che esclude anche la possibilità di configurare la generale giurisdizione del giudice amministrativo, perché a essere azionate sono posizioni aventi natura
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non sono sovrapponibili e per le dismissioni ex comma 569, resta confermata la giuridsdizione del giudice amministrativo per le seguenti ragioni: il comma 569, in rafforzamento cogente dei principi stabiliti dalle norme della stabilità 2007, configura una procedura estremamente speciale (e controversa) proprio perché valevole solo per le dismissioni delle partecipate locali. Tali norme speciali oltre a garantire una corsia preferenziale per le amministrazioni che ne hanno usufruito permette di procedere alla richiesta di liquidazione della quota in deroga alla disciplina civilistica (da qui il richiamo di una certa giurisprudenza alla definizione di recesso extra ordinem). La specialità (estrema) del procedimento de quibus non può essere raffrontata con la disciplina generale delle dismissioni di cui all'art. 1, comma 2, prima parte, del d.l. 31 maggio 1994, n. 332, convertito dalla l. 30 luglio 1994, n. 474 (219).
La giurisprudenza del Consiglio di Stato sembra seguire questa impostazione e così distingue tra le due fattispecie di dismissioni (quella svolta secondo la disciplina generale e quella svolta attraverso la disciplina speciale del comma 569), mentre i vari TAR per il momento hanno reso soluzioni contrastanti.