II. Sviluppo storico nello sfruttamento vegetale come elemento di progetto
II.2. La commistione tra natura e architettura nell’edilizia spontanea e vernacolare verso la verticalizzazione vegetale
Se inizialmente l’uomo impiegava per necessità ed a fini costruttivi gli elementi reperibili in natura, egli comprende ben presto che tali materie possono comunque offrire una serie di molteplici vantaggi che vanno dall’estetica, alla bioclimatica, alle possibilità funzionali. Ad un certo punto dello sviluppo storico dell’arte del costruire l’essere umano inizia, in base all’esperienza accumulata nei secoli, ad utilizzare
strategicamente la materia con cognizione di causa e perizia, in modo da metterne in opera opportuni impieghi in base alle esigenze di progetto. Esigenze progettuali che possono essere classificate in tre differenti categorie, ossia estetiche, funzionali e bioclimatiche.
Lo sfruttamento strategico della vegetazione all’interno del progetto architettonico può essere suddiviso tra due sistemi tecnologici differenti, tetto e parete, ma che continuamente si intersecano per tutto il loro sviluppo storico fino ai giorni nostri. Sistemi tecnologici direttamente consequenziali, sia sotto l’aspetto formale che tecnologico, come si vedrà nel prosieguo del capitolo.
Una realizzazione architettonica celeberrima ed universalmente riconosciuta è quella della città di Babilonia (VI sec. a.C.), famosa soprattutto grazie ai suoi terrazzamenti e giardini pensili che ne procuravano l’immagine di una montagna verde4. Essa è la prima opera che si ricordi ospitare questa particolare tecnologia – diretta derivazione delle precedentemente citate architetture ipogee – e che dimostra una forte innovazione nell’impiego tecnologico all’interno del campo architettonico, richiedendo essa uno sviluppo di tecniche atte ad ospitare grandi volumi di terreno e specie vegetali, ovvero ad assicurare irrigazione e drenaggio ad un sistema vegetale molto complesso e di grandi dimensioni. I giardini pensili babilonesi sono un esempio dell’utilizzo delle tecnologie verdi a fini estetici e formali, seppur si possano a loro ricondurre anche tutta una serie di funzioni bioclimatiche e funzionali (attenuazione delle temperature, possibilità di usufruire di nuovi spazi vegetati, ecc). Si sono poi succedute nella storia svariate altre architetture, altrettanto famose, che abbiano ospitato dei sistemi a giardini pensili, come ad es. alcuni monumenti Etruschi (IV sec. a.C.), la villa di Adriano a Tivoli (RM) o, successivamente, villa Medici a Fiesole in provincia di Firenze.
Fig.II.5 – A sinistra. Casa svedese tradizionale: la copertura a verde è realizzata mediante una stratigrafia composita; la parte sottostante all’inverdimento è formata da tavole di legno e strati di corteccia di betulla: le proprietà di tale particolare corteccia rendono impermeabile il sistema. (Fonte: http://farm3.static.flickr.com/2426/3889648857_1e22d69ba2_o.jpg).
Fig.II.6 – A destra. Schema tecnologico della stratigrafia di copertura nelle case scandinave tradizionali. Si noti la corteccia di betulla interposta tra tavolato e substrato. (Fonte: DUNNETT, NIGEL, KINGSBURY, NOEL, Planting Green Roofs and Living Walls, in bibl., p.14)
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Come citato all’interno delle Antichità Giudaiche, X, pp.226-230. Cfr. ABRAM, PAOLO, Giardini pensili –
Anche la componente funzionale del verde pensile è largamente impiegata nella storia delle costruzioni, ad iniziare dal medioevo e soprattutto per quanto concerne l’attività di protezione bellica. I giardini pensili, infatti, grazie ai loro consistenti substrati che potevano anche vantare qualche metro di spessore, venivano impiegati nelle cinte murarie urbane e nelle mura difensive di città grazie alla loro capacità di attutire i colpi di cannone: una cannonata che colpisce una muratura di pietre o mattoni provoca dei danni ben più gravi di una che colpisca gli strati morbidi del substrato organico di un giardino pensile.
Ulteriore impiego, sicuramente quello che più si avvicina alle richieste esigenziali della contemporaneità, è quello dell’utilizzo di tecnologie a verde pensile in funzione della riposta bioclimatica che esse possono garantire. L’impiego mirato di una copertura – o di un involucro – a verde, per sfruttarne le caratteristiche di mitigazione microclimatica5 è anch’essa riscontrabile da lungo tempo, soprattutto nei paesi del nord Europa (Fig.II.5).
Infatti, in quei contesti le abitazioni vengono storicamente ricoperte con zolle di terra e vegetazione, «per favorire la maggiore coibentazione dell’edificio e per permettere che la neve non si accumulasse sul tetto causandone la rottura»6. Similare strategia che però ne amplifica le caratteristiche globali di efficienza energetica è quella delle case tradizionali islandesi risalenti soprattutto all’epoca vichinga: in quel caso si tendeva ad inverdire la maggior percentuale possibile delle chiusure edilizie, con l’obiettivo di massimizzare gli effetti bioclimatici apportati da substrati e vegetazione in un contesto climatico avverso come quello dell’Islanda (Fig.II.7).
Fig.II.7 – A sinistra: esempio di edificio tradizionale islandese, ricostruito presso il Museo Arbaer di Reykjavik col sistema del turf house. La copertura a verde è realizzata con una tecnologia assimilabile a quella di Fig.II.6. Le chiusure verticali sono eseguite con blocchi di pietra e strutture lignee, ricoperte a loro volta da substrati inerbiti. Vengono qui sfruttate le proprietà dei diversi materiali per garantire la maggiore efficienza bioclimatica possibile, in un contesto climatico avverso come quello islandese.
(Fonte: http://www.jeffandterry.com/iceland.htm)
Fig.II.8 – Schizzo del sistema costruttivo turf house. È ben visibile il notevole spessore del pacchetto di chiusura verticale. (Fonte: http://www.hurstwic.org)
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Si rimanda al cap.VII per una trattazione esaustiva di quelle che sono le caratteristiche di mitigazione microclimatica offerte dall’impiego della vegetazione in architettura, e dall’utilizzo mirato di tetti e pareti verdi con l’obiettivo dell’efficienza microclimatica.
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Tali edifici, che in lingua inglese vengono definiti come turf houses o turf buildings, presentano delle peculiarità costruttive complesse. Essi venivano realizzati mediante una tecnologia che comprende sistemi costruttivi sia pesanti che leggeri. Le fondazioni e il basamento erano realizzati in pietra fino ad un altezza di 50-100 cm dal livello di campagna, in modo da fornire all’abitazione una base fondativa resistente e pesante; tale basamento aveva la funzione di dare alloggio alle strutture in elevazione realizzate in legno. Distaccare le strutture lignee verticali dal terreno era un espediente obbligato per garantirne una maggiore resistenza al marcimento, quindi una vita più lunga all’edificio. Le chiusure verticali e superiori venivano realizzate completamente in legno e tutte, tranne quella che ospitavano porte o finestre, venivano successivamente tamponante con dei blocchi di terra ospitanti vegetazione. Tali blocchi, formalmente simili ai mattoni in argilla convenzionale, venivano accostati alle chiusure edilizie per uno spessore variabile tra i 50 ed i 150 cm per quanto concerne le pareti verticali, mentre sul tetto gli spessori erano più ridotti (Fig.II.8). Il tamponamento verticale vegetato veniva eseguito in due corsi paralleli, così da lasciare un’intercapedine tra i substrati più esterni e quelli a contatto con le strutture lignee in elevazione. Questa intercapedine veniva poi riempita con materiali ghiaiosi o simili, in modo da garantire il drenaggio e limitare le risalite umide per capillarità. Anche nel caso delle turf houses veniva impiegata della corteccia di betulla negli strati sottostanti al substrato organico, in modo da impermeabilizzare tetto e pareti.
Fig.II.9 – Esempio di long house vichinga. La long house è un’evoluzione storica della turf house. Tali edifici, seppur variando l’assetto spaziale delle turf houses hanno in alcuni casi continuato a riproporne le tecnologie di chiusura. Si noti inoltre la grande somiglianza metaprogettuale tra questo manufatto e sperimentazioni più contemporanee di involucro a verde, come ad esempio le opere di Emilio Ambasz, Patrick Blanc o Venhoeven CS che verranno descritte nel prosieguo della ricerca. (Fonte: http://upload.wikimedia.org)
Dall’immagine dell’edificio tradizionale islandese è palese come questa particolare tipologia costruttiva possa essere considerata come un’evoluzione formale e tecnologica dei manufatti ipogei visti in precedenza, nonché progenitrice delle contemporanee tipologie di chiusure verticali vegetate. Inoltre, confrontando le immagini di Fig.II.5 e Fig.II.7 è evidente come la differenza tecnologica tra i due edifici non sia trascurabile, mentre la risultante funzionale e la resa formale sono assimilabili.
Gli elementi archetipici di quello che potrebbe essere definito come Verde Verticale moderno7 sono sostanzialmente di due tipi, ed entrambi di lunga derivazione. Essi sono il rivestimento a verde classico8 e la tecnologia del terrazzamento; si può affermare che la loro evoluzione abbia dato forma a quelle che sono oggi le due maggiori tipologie di parete verde contemporanea, quelle cioè che oggigiorno animano sperimentazione architettonica e mercato edilizio9.
Il primo deriva dal naturale prolificare di specie vegetali sviluppatesi su pareti edilizie: qualsiasi pianta se trova su una superficie edilizia o muraria le condizioni per attecchire e svilupparsi può vivere senza grossi problemi anche su superfici verticali (Fig.II.10). Tale sistema molto semplice nasce probabilmente per puro caso, quando qualche specie vegetale rampicante ha iniziato a crescere e svilupparsi sulle superfici murarie di qualche edificio (Fig.II.11). Una volta compiuto il passo cognitivo che ha permesso all’essere umano di comprendere la possibilità di sfruttamento di tale sistema, i rivestimenti a verde hanno iniziato ad essere introdotti all’interno delle prassi edificatorie.
Il sistema del terrazzamento che, come visto nel precedente paragrafo, gode di storia millenaria in campo edilizio (come anche in quello dell’ingegneria naturalistica) ha permesso l’affermazione dei sistemi vegetali anche in quota e in verticale.
Fig.II.10 – Esempio di come le specie vegetali possano attecchire e prolificare su superfici verticali in modo totalmente naturale e senza la necessità dell’intervento umano. Foto scattata presso il castello di Duino in provincia di Trieste.
Fig.II.11 – Pianta rampicante che sta naturalmente invadendo le chiusure esterne di un manufatto abbandonato.
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Si rimanda ai capitoli centrali della ricerca per l’approfondimento di quali siano le tipologie e le dinamiche di funzionamento dei sistemi di Verde Verticale moderno o contemporaneo.
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Per “rivestimento a verde classico” si intende una parete edilizia rivestita con una qualsiasi specie vegetale (sia rampicante che decombente) senza che tra la superficie muraria e le propaggini vegetali non vi sia la presenza di alcuna sottostruttura.
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Il rivestimento a verde classico è quello che ha fatto da padrone in tutta la storia delle costruzioni, per quel che concerne la possibilità di inverdire verticalmente. Esso presenta inoltre una variante anch’essa abbastanza affermata, e cioè quella che impiega specie vegetali decombenti; specie vegetali che in tal caso verticalizzano verso il basso, avendo esse la tendenza ad essere ricadenti.
Il sistema del rivestimento a verde si è inoltre espresso, sempre all’interno del decorso storico, tramite una serie di declinazioni differenti rappresentate dalle differenti modalità e fini d’impiego, riassumibili in base ad obiettivi formali, funzionali, o bioclimatici. Declinazioni differenti che comunque, come spesso accade in campo architettonico, possono anche tendere a commistionarsi o ricoprire più funzioni nello stesso tempo10.
L’impiego più semplice è sicuramente rappresentato dallo sfruttamento del rivestimento vegetale a fini estetici o formali. La parete a verde è utilizzata cioè, in questo caso, per garantire una resa estetica al manufatto architettonico. Esempi di tale metodologia d’impiego del rivestimento verde sono le chiusure edilizie verticali ricoperte da edera o glicine (Fig.II.12 e Fig.II.13), in base alle prassi applicative di derivazione anglosassone o mitteleuropea.
Fig.II.12 – A sinistra: il Balmoral Castle nel Regno Unito è un esempio d’impiego del rivestimento con vite vergine (Parthenocissus tricuspidata) a fini ornamentali. In base ai canoni estetici del tempo, gli espedienti volti a fornire un aspetto il più possibile naturale e “selvaggio” alle architetture erano ampiamente diffusi. (Fonte: Marco Devecchi)
Fig.II.13 – A destra: Castel Trauttmansdorff presso Merano (BZ). La pianta di Wisteria sinensis (glicine) viene qui impiegata per le proprie caratteristiche estetiche ed odorose.
Durante il medioevo si diffuse molto anche un impiego prettamente funzionale del rivestimento vegetale, causato da motivi bellici. Edera ed altre piante rampicanti venivano utilizzate per mimetizzare manufatti architettonici aventi destinazioni militari, come polveriere, rifugi, ecc. Funzione peraltro impiegata ancora oggi, per la mimesi di manufatti anche non prettamente bellici ma che potrebbero arrecare disturbo alla vista, ad esempio in luoghi di elevato pregio ambientale. Un esempio di tale applicazione potrebbe essere la prassi abbastanza diffusa di mimetizzare o mascherare cromaticamente mediante l’utilizzo delle piante dei manufatti tecnici come cabine elettriche, impianti tecnologici nelle centrali elettriche montane, ecc.
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Una ricerca condotta nell’astigiano in Piemonte, ha evidenziato come in quella zona più di un terzo delle dimore storiche con parchi e giardini presenti edifici variamente ricoperti con piante rampicanti. (Fonte: dott. Marco Devecchi – Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio, Università di Torino)
Esistono anche ulteriori impieghi, probabilmente quelli più importanti per gli obiettivi di questa ricerca, che potrebbero essere definiti come una sottocategoria dell’impiego funzionale dei sistemi di rivestimento a verde. Essi sono quelli che sfruttano la vegetazione a fini bioclimatici, in parte già introdotti quando si è parlato di turf roof e turf houses. Grazie alla proprietà fisiche e fisiologiche della vegetazione naturale5 e conseguentemente ad un mirato e strategico impiego delle specie vegetali all’interno del progetto d’architettura, le piante possono essere utilizzate ai fini della mitigazione climatica e microclimatica con l’obiettivo dell’efficienza energetica o del comfort per gli utenti. Nella storia, ulteriori esempi di impieghi a fini bioclimatici dei rivestimenti vegetali sono il loro utilizzo in pergole semi-addossate o in distacco dagli edifici (Fig.II.14), o direttamente agenti sulle strutture edilizie (Fig.II.15) in modo da garantire protezione al soleggiamento diretto incidente agente sulle chiusure, e di conseguenza minori temperature superficiali e radianti, più basse temperature dell’aria, maggior tasso di umidità, un più alto sfasamento dell’onda termica garantita dall’inerzia termica aggiuntiva offerta dagli apparati vegetali delle piante, ecc. Annotazione aggiuntiva riguarda il fatto che se le specie rampicanti erano storicamente maggiormente utilizzate a fini estetici per l’abbellimento di architetture e residenze di pregio, impieghi maggiormente funzionali e bioclimatici la facevano da padrone nell’edilizia spontanea per ovvie questioni di comfort.
Fig.II.14 – A sinistra: pergola avente la funzione di ombreggiare un percorso pedonale presso i Giardini di Castel Trauttmansdorff a Merano (BZ). La tecnologia costruttiva è quella tradizionale: tronchi di legno per la realizzazione di strutture orizzontali o verticali, destinati ad ospitare la crescita della vegetazione.
Fig.II.15 – A destra: edificio storico a Siviglia (Spagna). Seppur la resa formale del rivestimento a verde sia apprezzabile, la folta vegetazione viene in questo caso impiegata per limitare l’apporto solare agente sulle superfici edilizie esposte a Sud, in un contesto climatico penalizzante in fase estiva come quello dell’Andalusia.
Doveroso menzionare, a questo punto della trattazione, che le tipologie e funzioni presentate in questo paragrafo sono esattamente quelle oggigiorno rilevabili all’interno della corrente pratica edificatoria o di mercato. Seppur raffinatesi di molto nel corso degli anni, le prestazioni richieste alle chiusure verticali vegetate odierne sono esattamente le medesime rilevabili nella storia ed introdotte all’interno del presente paragrafo. Allo stesso modo è da evidenziare come, seppur si siano evolute di molto le tecnologie di processo e di prodotto, le matrici tecnologico-funzionali che le generano sono perfettamente ascrivibili a quanto finora descritto, come anche i prodotti e gli edifici che investono
l’odierna metodologia progettuale siano perfettamente riscontrabili nelle forme archetipiche qui illustrate.