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II. Sviluppo storico nello sfruttamento vegetale come elemento di progetto

II.7. Le sperimentazioni della Land Art

Tutte le forme d’arte tendono solitamente ad influenzarsi a vicenda e a fondere tra loro teorie e pratiche applicative. Tra di esse, però, una forma artistica che più di altre si avvicina per certi versi alle metodologie operative tipiche della pianificazione urbanistica e dell’architettura vera e propria è sicuramente la Land Art52: essa consiste nella pratica della macro-modificazione paesaggistica mediante la dotazione ambientale di segni di grande dimensione e leggibili alla scala territoriale, solitamente grazie all’impiego di materiali naturali, creando interventi temporanei o comunque soggetti alle modificazioni legate al trascorrere del tempo ed all’avvicendamento stagionale.

Fig.II.78 – Peter Noever, The Pit, Breitenbrunn (Austria), 1971. In uno degli estremi dell’installazione di Land Art è presente uno spazio di riposo le cui pareti inverdite tendono alla verticalità. (Fonte: WINES, JAMES, Green architecture, in bibl., p.75)

La Land Art ha avuto un ruolo basilare nell’approdo ad uno sviluppo figurativo legato all’accoglimento del Verde Verticale, in quanto molte delle ibridazioni edificio-ambiente e degli stadi evolutivi precedenti all’approdo alle tecnologie verdi di ultimissima generazione – come ad esempio edifici ipogei, manufatti a gradoni inverditi, coperture a verde dalle grandi pendenze o rasenti la verticalità, sperimentazioni tecnologiche legate all’impiego della materia vegetale – hanno precedentemente trovato nella Earth Art un campo di sperimentazione assai fervido. Se il Verde

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La Land Art viene può anche essere indicata col suo sinonimo di Earth Art. Non esiste traduzione italiana di tali locuzioni anglosassoni.

Verticale è da considerarsi per ovvie motivazioni legato agli elementi ambientali, il territorio di indagine artistica della Land Art è stato sicuramente uno dei primi contesti dove la verticalizzazione vegetale è nata e si è sviluppata. Le forme di sperimentazione artistico-paesaggistica che si sono rivelate un tramite nel passaggio vegetale dall’ambiente naturale alle facciate degli edifici sono svariate, ma comunque spesso riconducibili a movimentazioni di terreno finalizzate a configurare l’ambiente naturale come uno spazio volontariamente artificioso o tendente alla verticalità; ovvero mediante altre attività progettuali che abbiano impiegato piante ed alberi come elementi architettonici, modificandone la conformazione e la crescita per ottenerne delle vere e proprie architetture viventi.

È palese, ad esempio, come alcune opere di Earth Art degli anni ’70 e ’80 non possano non aver influenzato l’operato di uno dei padri della green architecture, Emilio Ambasz, ed averlo guidato nell’ideazione di edifici come l’ACROS Building di Fukuoka. Quello che in precedenza la Land Art aveva concepito come uno spazio aperto e gradonato, fruibile solo in un verso (Fig.II.78), – cioè dall’esterno – è stato rielaborato da Ambasz per pervenire ad un’opera di Earth Art divenuta architettura vera e propria, agibile sia dall’esterno che all’interno.

Fig.II.79 – Plan 01, Museo storico della Vendée, Lucs Sur Boulogne (Francia), 2005. La collocazione ipogea dell’edificio e la conformazione delle falde inverdite di copertura rendono il museo quasi un’ibridazione tra un progetto di architettura ed un’opera di Land Art, a dimostrazione di come i confini tra le discipline non siano così netti e come le due si influenzino a vicenda. (Fonte: ZAMBELLI, MATTEO, “Suolo prismatico”, in bibl., p.65)

Altrettanto interessanti sono quegli esempi di edifici ottenuti con l’ausilio di piante vive. Mediante una sapiente prassi agronomica e con l’aiuto del trascorrere del tempo, fusti e rami di piante possono essere modificati a piacimento, facendoli diventare veri e propri elementi strutturali assimilabili a travi e pilastri. Sono esempi di tale pratica le architetture viventi del paesaggista belga Marcel Kalberer, in cui egli riesce ad ottenere edifici veri e propri normalmente utilizzati, come spazi di ritrovo, arene esterne, cappelle ecclesiastiche all’aperto (Fig.II.80). Altro esempio assimilabile all’operato di Kalberer è il lavoro di Giuliano Mauri in cui, mediante la pratica dell’ammaestramento e la modifica strutturale della natura vivente, vengono realizzati edifici come ponti, anfiteatri, cattedrali vegetali, tutti completamente fruibili (Fig.II.81 e Fig.II.82).

Fig.II.80 – Marcel Kalberer, Cupola vegetale a Weidenbau (Austria). L’installazione è realizzata con alberi di salice viventi e presenta delle dimensioni di 22x8 m. (Fonte: http://www.cusoon.at/weidenbau)

Fig.II.81 – A sinistra: Giuliano Mauri, Cattedrale vegetale, Borgo Valsugana (TN). Vista d’insieme. L’installazione venne realizzata in occasione di Arte Sella 2001, una biennale internazionale di arte nella natura. L’edificio presenta una superficie di circa 1.200 mq distribuiti su tre navate e contiene 80 colonne alte 12 m ciascuna. (Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Arte_Sella)

Fig.II.82 – A destra: Giuliano Mauri, Cattedrale vegetale, Borgo Valsugana (TN). Dettaglio dell’interno della navata. Momentaneamente l’edificio è costruito da un intreccio di rami segati, e ogni colonna contiene al proprio interno un esemplare arboreo di carpino. Col trascorrere del tempo il legno che attualmente compone la cattedrale si decomporrà, lasciando il posto ad una struttura vivente formata dai rami cresciuti della pianta di carpino. (Fonte: http://commondatastorage.googleapis.com/static.panoramio.com/photos/original/10883723.jpg)

La succitata tecnica è stata ultimamente implementata mediante l’operato di tre ricercatori del Massachusetts Institute of Technology di Boston (USA), capeggiati dall’arch. Mitchell Joachim. Tali studiosi del MIT, all’interno di alcune visions attualmente in via di ulteriore sviluppo, prefigurano inedite modalità di vita e di pianificazione urbanistica o architettonica, utilizzando delle specie vegetali vive come base per realizzazioni edilizie con l’obiettivo della mitigazione delle contemporanee criticità residenziali, o di sviluppo insediativo ed infrastrutturale caratterizzante le conurbazioni odierne che dimostrano «una crescita urbana a livello esponenziale, “baraccopoli” dalle dimensioni sempre crescenti, un carattere non sostenibile delle mega-città, la continua e incontrollata espansione di queste, nonché il diffondersi di “non-luoghi” anche a livello interurbano (che, NdA) richiede la costruzione di città nuove, ripensate e create a partire da zero»53. Il gruppo del MIT prendendo sicuramente spunto dalle esperienze ricollegabili a Kalberer ed ai suoi seguaci, unitamente a quella che pare essere una riscoperta di alcune modalità storicizzate come quelle della vita sugli alberi o metodologie tese a modalità maggiormente simbiotiche nei confronti del mondo naturale, propone addirittura l’utilizzo delle specie arboree come base costruttiva e tecnologica per la realizzazione di veri e propri edifici che possano sostituire in modo maggiormente eco-compatibile quelli odierni (Fig.II.83).

Fig.II.83 – Mitchell Joachim, Lara Greden, Javier Arbona, Fab Tree Hab, 2008. Modello tridimensionale di un edificio che impiega come parti strutturali tronco e rami di specie arboree appositamente selezionate. (Fonte: http://www.archinode.com/bienal.html)

La tecnica usata in questo caso è quella del pleaching, consistente nell’intreccio di giovani alberi con l’obiettivo di formare archi e strutture architettoniche per la realizzazione di edifici e case che per la maggior parte delle proprie strutture portanti e sottostrutture siano realizzati mediante alberi. Il trio

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americano suggerisce l’impiego di specie arboree grandi e resistenti (ad es. olmi e querce) per le parti strutturali, mentre viti o altre piante flessuose per la realizzazione degli intrecci e reticoli che andrebbero a comporre le chiusure superiori e verticali dell’edificio (Fig.II.84). Le altre parti strutturali di chiusura, sempre nelle intenzioni di tale gruppo di progettazione, verrebbero realizzate mediante paglia o argilla, quindi non distaccandosi molto dai dettami classici della bioarchitettura.

Fig.II.84 – Mitchell Joachim, Lara Greden, Javier Arbona, Fab Tree Hab, 2008. Esempio della modalità di realizzazione: col tempo e conseguentemente all’accrescimento vegetale, tronco e rami delle piante raggiungeranno la forma impostagli, trasformandosi in un vero e proprio sistema costruttivo. (Fonte: http://www.archinode.com/bienal.html)