• Non ci sono risultati.

II. Sviluppo storico nello sfruttamento vegetale come elemento di progetto

II.4. Il Novecento e l’epoca contemporanea

Se come visto la tradizione dell’inverdimento parietale è non collocabile in un punto ben definito del decorso storico, ma comunque molto indietro nel tempo, è altrettanto vero che essa, nei secoli che vanno dal XVIII al XIX non ha fatto registrare grosse evoluzioni tecnologiche. Seppur tale strategia estetica e bioclimatica abbia continuato ad essere perpetuata per tutto il XIX secolo (Fig.II.19), essa non ha subito sconvolgimenti particolarmente degni di nota.

Dal XX secolo, invece, contemporaneamente a quelle che sono le grandi innovazioni dell’epoca in campo architettonico, tecnologico e delle arti figurative, l’evoluzione della tipologia tecnologica della facciata verde ricomincerà a muoversi, prima solo lentamente e poi con maggiore velocità, facendo registrare quello che è probabilmente la maggior progressione mai registrata prima in tale specifico campo.

Dal punto di vista teorico hanno un ruolo fondamentale gli insegnamenti del Movimento Moderno15, quando all’interno dei Cinque punti della nuova architettura di Le Corbusier o negli atti dei congressi del CIAM si giunse ad evidenziare l’importanza dell’integrazione vegetale nel progetto urbano o di architettura, ricordando che «occorre […] creare un equilibrio tra l’uomo e il suo ambiente»16, giungendo addirittura a teorizzare l’intera città come un grande parco; o nel momento in cui, sempre all’interno dei Cinque punti trovavano spazio teorizzazione ed applicazione pratica del tetto giardino come elemento tecnologico e funzionale che avesse la possibilità, oltre che di mediare temperature e precipitazioni meteoriche, anche di offrire uno spazio di vita e svago alle persone. Infatti, se si considera il tetto a verde come la matrice che abbia permesso lo sviluppo anche della verticalizzazione naturale sia dal punto di vista storico che sotto l’aspetto delle innovazioni tecnologiche contemporanee, le sperimentazioni che hanno riportato in auge la possibilità d’integrazione tra architettura e manufatto derivano tutte dalle teorie del grande maestro francese e dalle esperienze del Movimento Moderno. Lo stesso Le Corbusier, inoltre, ebbe modo di sperimentare all’interno delle proprie opere più mature la possibilità di collocare la vegetazione non solo in copertura

14

LAMBERTINI, ANNA, ibidem.

15

Le teorie urbanistiche e architettoniche del Movimento Moderno sono direttamente derivanti, comunque, dagli studi urbanistici del 1800 che, alla luce dei problemi urbani derivanti dalla Rivoluzione Industriale iniziarono a mettere l’accento sull’importanza della vegetazione nei confronti della salute e della qualità di vita delle persone.

16

ma anche in facciata, seppur con le limitate possibilità tecnologiche della metà dello scorso secolo (Fig.II.20).

Fig.II.19 – A sinistra: edificio storico ricoperto di edera, situato in via Quadronno a Milano. Il rivestimento vegetale aggrappa direttamente sulla superficie muraria mediante le radici avventizie proprie di questa particolare specie vegetale. (Fonte: http://farm4.static.flickr.com) Fig.II.20 – A destra. Le Corbusier, Palazzo dell’Associazione dei Cotonieri, Ahmedabad (India), 1954. Le piante sono collocate in apposite fioriere all’interno del sistema schermante a carabottino. Il portamento a carattere decombente delle specie conferisce verticalità al sistema vegetale. (Fonte: MUSACCHIO, ANTONIO, TATANO, VALERIA, “Superfici naturalizzate”, in bibl., p.106)

Nella seconda metà del XX secolo sono molto importanti anche altre esperienze di grandi maestri dell’architettura mondiale che, grazie al loro operato, hanno un ruolo chiave nel riportare all’attenzione la tipologia della parete verde. Ciò avviene alcune volte semplicemente riproponendo in chiave contemporanea le prassi del passato, alcune altre tentando invece inedite strade compositive e d’integrazione tecnologica nella ricerca della maggiore commistione possibile tra vegetazione ed edificio.

Lina Bo Bardi fin dagli anni ’50 e per buona parte della carriera17 ricercò delle forme d’integrazione tecnologica tra verde ed involucro architettonico. Sperimentazioni che, seppur svolte in un contesto povero come quello del Brasile di quegli anni, oggi si rivelano assai contemporanee. La Casa do Chame-Chame (Fig.II.21) è un perfetto esempio di lungimiranza nei confronti di quello che oggigiorno sembra essere una delle tendenza architettoniche che godono di maggiore spinta sia culturale che operativa: in tale progetto la commistione tra superfici verdi orizzontali e verticali del giardino e del tetto piano, la loro sistemazione a verde, unitamente ad un trattamento delle chiusure dell’edificio in un calcestruzzo armato corrugato che permettesse l’attecchimento delle specie vegetali sulle chiusure edilizie in modo totalmente naturale come avveniva in passato, rendono l’immagine di un edificio che sembra essere completamente invaso dalla vegetazione.

17

Anche la Casa di Valeria P.Cirell a San Paolo del Brasile presenta una forte integrazione tra architettura e paesaggio naturale, tanto da portare le chiusure edilizie a diventare supporto per l’impianto dei vegetali (Fig.II.22).

Fig.II.21 – Lina Bo Bardi, Casa do Chame Chame, 1958: oggi demolita. L’edificio è progettato per una completa integrazione tra architettura ed elementi vegetali, sia sul piano orizzontale che su quelli verticali. (Fonte: http://www.iuav.it/Ateneo-cal/2004/2004-09/Lina-Bo-Ba/Lina-Bo- Ba2/11.gif)

Fig.II.22 – Lina Bo Bardi, Casa di Valeria P. Cirell, San Paolo (Brasile), 1958. A sinistra uno schizzo di studio: il disegno dimostra la volontà di Lina Bo Bardi di ricercare una totale integrazione tra l’elemento massivo e quello vegetale. Nella foto di destra un dettaglio delle chiusure esterne: nel getto di calcestruzzo armato realizzato con pietre e cocci di ceramica vengono ricavate delle nicchie destinate ad ospitare l’impianto dei vegetali. (Fonte: INSTITUTO LINA BO & P.M. BARDI, Lina Bo Bardi, in bibl., pp.116-117)

Sia la Casa do Chame-Chame che quella di Valeria Cirell presentano sostanzialmente il medesimo espediente per l’alloggio delle piante in facciata: tutte quelle chiusure verticali sono realizzate mediante un getto di calcestruzzo armato a vista, che oltre a presentare una finitura superficiale fortemente corrugata aveva anche delle nicchie destinate all’alloggio delle specie vegetali. Tale tentativo è un esempio particolarmente originale per l’architettura di quegli anni, e può essere considerato una matrice sia tecnologica che culturale del forte interesse odierno per gli edifici che integrano la vegetazione alle pareti edilizie.

Matrice “culturale” in quanto Lina Bo Bardi può senza dubbio essere accreditata come una delle progenitrici del Verde Verticale attuale; “tecnologica” perché le opere dell’architetto italiano sembrano essere alla base di sperimentazioni recentissime, come ad esempio quelle inerenti la finitura verticale dell’edificio Harmonia 57 dello studio franco-brasiliano Triptyque (Fig.II.23), o relativamente a prototipi di pareti verdi industrializzate e di più recente prototipazione (Fig.II.24) o immissione sul mercato (Fig.II.25).

Fig.II.23 – Tryptyque, Harmonia 57, San Paolo (Brasile), 2008. Dettaglio delle chiusure esterne. Le pareti in calcestruzzo armato a vista ospitano delle nicchie circolari per il contenimento di terriccio destinato all’alloggio delle piante: è più che evidente il riferimento alle opere di Lina Bo Bardi. Si vedano anche le immagini del paragrafo VII.2.3, all’interno del settimo capitolo. (Fonte: http://www.archdaily.com)

Fig.II.24 – A sinistra: prototipo della ditta Pircher per la realizzazione di pareti verdi, allestito presso il Made Expo 2009. Il sistema è realizzato da moduli prefabbricati in C.A. contenenti delle nicchie circolari per l’inserimento delle piante. (Fonte: Elena Giacomello)

Fig.II.25 – A destra: Facciata Verde prodotto dalla ditta Optigrün. Il sistema è composto da un’anima di montanti e traversi in acciaio, contenente a sua volta della ghiaia: la caduta o fuoriuscita dell’inerte è impedita tramite una rete metallica. In alcune nicchie ricavate ad intervalli regolari sulla superficie della struttura metallica trovano alloggio delle piante in vaso.

Lina Bo Bardi continuò inoltre per tutto il resto della propria carriera a sperimentare nuove forme d’inverdimento parietale, purtroppo non riuscendo più a pervenire anche all’edificazione vera e propria. Comunque, una costante delle opere progettate dopo la realizzazione delle case Chame- Chame e Cirell fu il tentativo di una sempre più consistente vegetalizzazione delle pareti esterne, come dimostrato dagli schizzi prodotti per il progetto del nuovo municipio di San Paolo, nel periodo 1990-’92. In quel progetto che prevedeva un volume in ampliamento all’edificio esistente Lina Bo Bardi disegnò un volume a forma di “L” in cui due delle quattro facciate maggiori erano completamente inverdite da una flora molto rigogliosa e composta da una molteplicità di specie (Fig.II.26). Tale progetto è fondamentale anche dal punto di vista linguistico-letterario in quanto, come dimostrato dagli elaborati di progetto, Lina Bo Bardi fu la prima a coniare la locuzione giardino verticale: dicitura fondamentale per tutto quello che accadde dopo, in quanto il medesimo nome venne adottato da Patrick Blanc18 per definire il proprio sistema brevettato di parete verde e cioè quella che, per inciso, è sicuramente oggi la più conosciuta al mondo. Tale episodio non è assolutamente da considerarsi un fatto casuale, visto che confrontando il progetto per l’ampliamento del municipio di San Paolo con l’operato di Blanc e con i disegni che egli costantemente redige nella progettazione delle proprie installazioni, appare palese come tra i due progettisti non possa esserci che un’affinità figurativa e d’intenti.

18

Fig.II.26 – Lina Bo Bardi, progetto per il nuovo municipio di San Paolo del Brasile, 1990-’92: dettaglio del prospetto. La grande facciata inverdita è composta da una molteplicità di specie vegetali differenti. (Fonte: INSTITUTO LINA BO & P.M. BARDI, Lina Bo Bardi, in bibl., pp.324-325)

Una figura che va considerata di diritto tra i padri del Verde Verticale contemporaneo è quella dell’architetto-paesaggista brasiliano Roberto Burle Marx. Egli infatti, proprio in forza della sua specializzazione paesaggistica è probabilmente quello che prima di tutti ha potuto operare con specifica cognizione di causa in un settore difficoltoso e d’ibridazione tra quello dell’architetto e dell’agronomo, quale appunto l’architettura del paesaggio. Fin dagli anni ‘30 Burle Marx inizierà ad operare in un campo di sperimentazione che con forza lo porterà a verticalizzare sempre di più le sue opere ed installazioni. Probabilmente, inoltre, il suo essere un professionista costantemente in contatto con il mondo dell’architettura di eccellenza – Burle Marx collaboro più volte con Oscar Niemeyer ed ebbe contatti anche con Le Corbusier – gli permise di riuscire a concepire prima di altri le possibilità offerte dall’integrazione tra nature e superfici edilizie verticali.

Altra cosa che sicuramente influì sulla lungimiranza del paesaggista brasiliano fu la nazionalità. Vivendo in un paese che si trova sulla fascia tropicale ha potuto contare su una vegetazione autoctona abbondante di piante epifite che sono molto adatte all’impiego in verticale (Fig.II.27). Infatti le epifite vivono come dei parassiti, traendo dalle altre specie vegetali a cui solitamente si appoggiano tutte le sostanze nutritive di cui hanno bisogno, riuscendo a sopravvivere molto bene anche in collocazioni verticali e poco luminose19.

La sperimentazione di Roberto Burle Marx tese molte volte durante la lunga carriera dell’architetto brasiliano alla ricerca di conferire verticalità a giardini o composizioni vegetali, approdando anche alla collocazione di installazioni verticali vegetali in ambito urbano. Quindi, riassumendo, possiamo dire essere due gli elementi operativi che fanno del paesaggista brasiliano una delle figure più importanti nel campo del Verde Verticale contemporaneo, e più specificatamente nella categoria dei muri vegetali, ossia quello di aver compreso l’importanza della selezione delle specie vegetali nella risultante compositiva e formale di una parete a verde, e la loro possibilità di collocazione anche in ambiti fortemente antropizzati tipici delle metropoli di oggi (Fig.II.28). Inoltre, proprio per questi due motivi, si vedrà in seguito come le opere di Patrick Blanc paghino un grosso “debito” di forma nei confronti della produzione artistica di Burle Marx.

19

Fig.II.27 – A sinistra: Roberto Burle Marx, Colonnes Végétales, San Paolo, Brasile, 1982 (Fonte: LAMBERTINI, ANNA, Giardini in verticale, in bibl, p.20)

Fig.II.28 – A destra: Roberto Burle Marx, Tronc avec épiphytes, Campus dell’Università di Florianopoli, Brasile, 1982 (Fonte: LAMBERTINI, ANNA, Giardini in verticale, in bibl, p.21)

La figura di Friedensreich Hundertwasser è fondamentale per lo sviluppo delle tecnologie oggetto d’indagine. Seppur l’eccentrico architetto austriaco non arrivò mai a realizzare una parete verde, grazie al grande apparato di studi che hanno accompagnato tutta la sua carriera e che l’hanno reso celebre nel mondo (apparato composto da trattati teorici, un grandissima mole di disegni e pitture e svariate realizzazioni architettoniche in netta controtendenza rispetto allo stile imperante all’epoca), egli ha avuto un ruolo chiave nello sviluppo e nella diffusione delle tecnologie della vegetazione integrata all’architettura. Infatti egli, tramite numerose sperimentazioni impieganti in modo massiccio coperture a verde o edificazioni semi-ipogee, fu sicuramente una delle personalità che contribuirono alla crescita nell’impiego delle coperture vegetate per la mitigazione bioclimatica, favorendo una pratica architettonica maggiormente simbiotica nei confronti dell’ambiente naturale; architettura costruita che prevedesse una spiccata integrazione tra alberi, piante e manufatti, anche nel caso di edificazioni metropolitane.

I famosi alberi inquilini20 di Hundertwasser (Fig.II.29) – consistenti sostanzialmente nella riproposizione in chiave contemporanea e maggiormente tecnologica di pratiche edificatorie proprie del passato –, l’architettura gradonata a terrazzamenti inverditi, oppure quella ipogea, sono tutte azioni quanto mai moderne, che hanno largamente favorito le sperimentazioni successive in materia d’inverdimento edilizio, e che hanno quindi permesso di approdare agli odierni fenomeni del Verde Verticale21. Non è difficoltoso scorgere, nel grande numero di sperimentazioni contemporanee

20

Hundetrwasser coniò la definizione di «albero inquilino» per indicare le specie vegetali arboree piantate in apposite fioriere all’interno di appartamenti o edifici urbani. Questi alberi, spuntando da quelle che, se viste dal livello stradale, sembravano normali finestre, parevano quasi “affacciarsi” dagli appartamenti. Hundertwasser definisce tali alberi “inquilini” in quanto essi, secondo l’idea dell’architetto austriaco, pagano un “affitto” consistente nella produzione di ossigeno.

21

presentanti una spiccata ibridazione fra edificio e paesaggio naturale22, le opere dell’architetto austriaco come matrice fondativa e concettuale.

Fig.II.29 – A sinistra: Friedensreich Hundertwasser, esempio di albero inquilino. La loggia dalla quale l’albero spunta è sostanzialmente assimilabile ad un grande vaso integrato all’architettura. L’albero di Hundertwasser viene definito “inquilino” in quanto esso, secondo l’idea dell’architetto austriaco, paga un “affitto” consistente nella produzione di ossigeno. (Fonte: AA.VV., Hundertwasser Architecture, in bibl., p.122)

Fig.II.30 – A destra: Friedensreich Hundertwasser, riqualificazione di un opificio industriale a Selt (Germania), 1980. Copertura a verde realizzata nel padiglione della portineria: l’impiego di specie vegetali decombenti procura una parvenza di verticalità alla vegetazione, che tende a rivestire le chiusure edilizie verticali. (Fonte: AA.VV., Hundertwasser Architecture, in bibl., p.123)

Sempre basandosi sull’impiego di tecnologie convenzionali e storicizzate, ma importante dal punto di vista sia della continuità nella ricerca progettuale, che della coerenza e perseveranza dimostrate in materia di progettazione integrata fra architettura e natura, la figura di Emilio Ambasz. Questo architetto di origine argentina è globalmente considerato il padre della green architecture contemporanea, intendendo con tale locuzione quella pratica progettuale che mira alla commistione tra elementi edilizi e paesaggio naturale; il motto che da sempre accompagna le sperimentazioni dell’architetto sudamericano è «Green over the gray»23.

Ambasz fin dagli anni Settanta ha basato il proprio operato sulla ricerca di una progettazione architettonica inusuale per l’epoca, trattando la materia vegetale come un elemento fondante del progetto. Mediante l’applicazione delle tipologie convenzionali d’integrazione fra natura e architettura (cioè il rivestimento vegetale e l’edificio gradonato o ipogeo), spesso integrando nello stesso progetto

22

Cfr. VII.1

23

Tale frase ormai celeberrima, traducibile come “verde oltre il grigio” ma stante ad indicare le vegetazione naturale oltre il grigiume della città odierna, accompagna da lungo tempo l’attività di Emilio Ambasz, dimostrando anche chiaramente quali siano le priorità che accompagnano la sua metodologia di lavoro, tese alla ricerca di pervenire ad un ambiente urbano ed architettonico maggiormente integrato e rispettoso di quello naturale.

tutte e tre quelle strategie architettoniche, ha dimostrato delle specificità progettuali assolutamente non convenzionali che, con ogni probabilità, lo proiettano oggi come il maggiore riferimento culturale delle attuali sperimentazioni architettoniche basate sulla commistione natura/architettura.

Fig.II.31 – A sinistra: Emilio Ambasz, ACROS Building, Fukuoka (Giappone), 2000. Foto aerea. L’edificio si presenta come una collina verde nel centro urbano della città di Fukuoka. (Fonte: http://www.architectmagazine.com/Images/tmp17B.tmp_tcm20-186385.jpg)

Fig.II.32 – A destra: Emilio Ambasz, Acros Building, Fukuoka (Giappone). Vista alla base dell’edificio: è palese come la verticalità vegetale sia una delle strategie figurative adottate dall’architetto.(Fonte:http://scophy.files.wordpress.com/2007/10/01_787892628_1f09338318_b .jpg)

Pretendere di rappresentare la cospicua produzione progettuale dell’architetto argentino in poche immagini sarebbe pretenzioso ed assolutamente ingiusto nei confronti di una gloriosa carriera peraltro ancora in atto, ma alcune sue opere dimostrano chiaramente come, magari involontariamente, ad egli sia sicuramente imputabile il fatto di essere uno dei riferimenti che hanno portato all’odierna forte spinta verso il Verde Verticale. Celeberrimo l’ACROS Building di Fukuoka (Giappone) in cui, mediante la strategia del terrazzamento inverdito l’architetto è riuscito a portare all’interno di un tessuto urbano tipicamente metropolitano l’idea di un parco urbano percorribile sia orizzontalmente che in verticale. L’edificio si staglia come una collina verde nel centro di Fukuoka, e dall’immagine aerea (Fig.II.31) è palese come la pratica di Ambasz sia totalmente in controtendenza rispetto alle odierne prassi architettoniche; sempre dalla medesima fotografia appare evidente anche come l’ACROS Building sia assimilabile ad un’oasi vegetale all’interno di un tessuto cittadino iper-urbanizzato.

La tecnologia utilizzata da Ambasz per la realizzazione della verticalizzazione vegetale nell’ACROS Building si basa su due strategie differenti. Da una parte quella del terrazzamento gradonato, dove mediante l’espediente dello sfalsamento di livello sui piani verticale e orizzontale si possono creare dei contenitori di terreno simili a fioriere giganti dove vengono messe a coltura svariate specie arboree, arbustive ed erbacee. Inoltre, in altri punti sulle chiusure dell’edificio, Ambasz utilizza dei rivestimenti a verde ottenuti mediante piante rampicanti direttamente aggrappate alle

superfici murarie. Le varietà vegetali all’interno dell’ACROS Building sono in numero grandissimo, tanto da fornire alla fabbrica un’immagine di collina verde rigogliosa.

Come già enunciato Ambasz ha regolarmente utilizzato tutti gli elementi classici dell’inverdimento edilizio, da quelli dell’architettura del paesaggio fino alle strategie del rivestimento a verde per la mitigazione bioclimatica. L’impiego di specie vegetali rampicanti o decombenti per la schermatura solare di chiusure trasparenti (Fig.II.33), o nella riduzione del carico termico agente su quelle opache sono uno dei marchi di fabbrica che il grande progettista imprime da sempre alle proprie realizzazioni: ciò è riscontrabile dalle primissime opere risalenti a quasi quarant’anni fa, fino a quelle più recenti, come il nuovo ospedale di Mestre (VE) da poco inaugurato (Fig.II.34).

Fig.II.33 – A sinistra: Emilio Ambasz, Nishiyachiyo station masterplan, Giappone, 1991. Il sistema di schermatura del curtain wall è realizzato mediante specie vegetali rampicanti piantate in apposite fioriere alloggiate ai vari piani dell’edificio. (Fonte: Redazionale di The Architectural Review, “Vertical garden city”, in bibl., p.41)

Fig.II.34 – A destra: Emilio Ambasz, nuovo ospedale di Mestre (VE), 2009: plastico di progetto. Nella facciata posteriore viene impiegato un sistema vegetale di schermatura solare, realizzato mediante specie a portamento decombente collocate in vaso. (Fonte:http://www.archiportale.com)

Nel dibattito culturale instauratosi fin dagli anni Settanta in merito ad una pratica edificatoria ed urbanistica sempre più distante da quello che il suo elemento fondante primordiale, ossia l’ambiente naturale, hanno notevole rilevanza tutte le osservazioni critiche e teoriche ruotanti attorno al gruppo SITE. Tale progetto operativo e culturale nasce innanzitutto come una rivista avente l’obiettivo di «instaurare un dialogo con le arti plastiche, di sviluppare un’architettura che prendesse in considerazione anche la dimensione ambientale o quella che viene comunemente chiamata “il sito”»24, da cui il nome scelto, appunto di SITE, traduzione inglese della stessa parola. La rivista inizialmente instaura rapporti con personaggi di spicco sia in campo artistico che architettonico, quali Vito Acconci, Robert Venturi, Peter Cook, Emilio Ambasz: tutte personalità che più avanti negli anni

24

avranno un ruolo importante nell’approdo alla contemporanea cultura e declinazione tecnologica dei sistemi di Verde Verticale

Fig.II.35 – SITE, High Rise of Homes, 1981. Uno scheletro strutturale contiene una serie di