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Competenze linguistiche, sociolinguistiche, comunicative

La riforma del linguaggio amministrativo

Grafico 2. Distribuzione percentuale dei livelli di competenza in Italia

7. L’autore dalla parte del destinatario

7.2. Competenze linguistiche, sociolinguistiche, comunicative

L’adozione di una prospettiva culturale, etica e professionale realmente citizen oriented tra i soggetti amministrativi richiede dunque lo sviluppo di precise competenze e attitudini so- cio-comunicative: capacità e abilità pratiche acquisibili mediante un continuo esercizio di

role taking e l’adozione di strategie discorsive e interazionali inclusive; applicabili durante

l’interazione comunicativa al fine di veicolare significati che possano essere effettivamente condivisi e dunque per assolvere adeguatamente e con successo ai compiti richiesti. Si dif- fondono così, anche nel settore pubblico – ma ovviamente con differenti deontologie e fina- lità – le tecniche del marketing personalizzato rivolte alla fidelizzazione del cliente (Citizen-

Relationship Management). La scrittura professionale si fa pertanto sempre più reader fo- cused writing: decentrando il focus del messaggio dal mittente verso il destinatario, l’autore

sollecita e rinforza la fiducia nel lettore147.

Ad accrescere i livelli di accettabilità del messaggio da parte del destinatario contribui- scono senz’altro formule di cortesia (saluti, ringraziamenti, scuse per eventuali disguidi e i- nefficienze dell’ente); un sistema allocutivo simmetrico e diretto in cui l’autore si presenta e si relaziona orizzontalmente al destinatario (si pensi a quanto sia distante dal conseguire tale obiettivo l’autore che impiega ancora il burocratico e arcaico “S.V.”); la formulazione più esplicita possibile delle informazioni e in particolar modo delle motivazioni che hanno in- dotto a decisioni ed azioni; la dichiarazione della massima disponibilità nel fornire ulteriori chiarimenti e maggiori informazioni. Si tratta, come è stato notato, di tratti che «non sono in alcun modo “ornamenti” marginali» ma «essenziali per non screditare l’identità sociale e personale del cittadino, che ha il diritto di partecipare a una comunicazione paritaria»148.

Da quanto riportato si comprende bene come per competenza comunicativa non si debba intendere esclusivamente la capacità di produrre frasi grammaticalmente corrette (standard più propriamente linguistico di efficacia comunicativa), ma anche l’abilità nell’ideazione di messaggi appropriati al contesto socio-situazionale di ricezione (standard sociolinguistico).

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Alessandro Lucchini propone un metodo di comunicazione efficace fondato su tre passaggi fondamen- tali: la calibrazione, che consiste nello studio del destinatario e delle modalità in cui si esprime; il ricalco (mirroring), ossia il rispecchiamento e l’imitazione dei suoi atteggiamenti; la guida, essenziale a condurre il lettore verso un sentimento o atteggiamento positivo. Cfr. A. Lucchini, Business writing. Scrivere nell’era di

internet, Sperling & Kupfer, Milano, 2001.

148

D. Zorzi, Atteggiamento verso la semplificazione: alcuni punti di vista, in «ITER LEGIS», gennaio- aprile 1998, pp. 275-284.

La scrittura deve essere intesa più esattamente come un processo dinamico e complessivo che coinvolge diverse competenze: linguistiche (per ciò che concerne il livello morfosintat- tico, lessicale e semantico del testo), testuali (di organizzazione delle informazioni sulla ba- se dei requisiti richiesti dalle varie tipologie testuali), pragmatiche (di appropriatezza del messaggio rispetto al contesto comunicativo), cognitive (di elaborazione, selezione e inter- rogazione sui dati) e meta-cognitive (di problematizzazione della produzione, di autocon- trollo e di attitudine alla revisione). Nella scrittura intervengono, come abbiamo detto, fatto- ri ambientali, sociali e istituzionali che solo un approccio olistico consente di analizzare op- portunamente e dunque di controllare.

Riprendendo il “principio di cooperazione” elaborato da Paul Grice negli anni Settan- ta149, l’autore dei testi amministrativi deve prestare innanzitutto attenzione affinché il suo contributo «alla conversazione sia tale quale è richiesto, allo stadio in cui avviene, dallo scopo o orientamento accettato dello scambio linguistico in cui [è] impegnato». Una con- versazione, o comunque qualsivoglia atto comunicativo, deve essere sempre adeguata e ri- sultare appropriata a una determinata situazione comunicativa, a precise coordinate spazio- temporali e alle finalità da perseguire. Essa deve inoltre rispettare “regole del gioco” e a- spettative condivise essenziali alla buona riuscita dell’interazione comunicativa. Stante ai principi regolativi individuati da Grice, queste si potrebbero sintetizzare nelle quattro massi- me conversazionali della quantità dell’informazione («Non essere reticente o ridondante»), della qualità («Sii sincero, fornisci informazione veritiera, secondo quanto sai»), della rile- vanza o pertinenza («Sii pertinente»), del modo e dell’appropriatezza («Evita l’ambigui- tà»). La violazione di una delle massime comporta l’infrazione del principio di cooperazio- ne alla base dello scambio conversazionale e dunque il fallimento dell’intero processo co- municativo.

La riuscita dell’atto comunicativo pubblico è dunque fortemente correlata allo sviluppo della competenza sociolinguistica dell’attore istituzionale: «Sapere una lingua, dal punto di vista sociolinguistico, significa in sommi capi non solo avere la capacità di produrre frasi

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H.P Grice, Logic and Conversation, in P. Cole, J. Morgan (a cura di), Syntax and semantics, vol. 3,

Speech acts, Academic Press, New York, 1975, pp. 41-58. Trad. it. di Giorgio Moro: in Logica e Conversa- zione, il Mulino, Bologna, 1993, pp. 55-77. L’analisi della conversazione (Conversation Analysis), come

modalità di interazione sociale e attività socialmente organizzata, ha ottenuto molta fortuna in sociolinguisti- ca; essa, infatti, rispetto alla linguistica propriamente detta che è interessata agli aspetti interni al codice, si occupa di studiare il linguaggio come fenomeno sociale: vale a dire gli usi linguistici concreti, i comporta- menti linguistici effettivi di una comunità di parlanti e il loro mutamento nel tempo. Sulla base dei lavori di Erving Goffman e Harold Garfinkel ne è nato un approccio sociologico assai fecondo per lo studio dell’interazione sociale. Si rimanda a: G. Fele, L’analisi della conversazione, il Mulino, Bologna, 2007; F. Orletti, Linguaggio e contesti: verso una teoria della competenza comunicativa, in «La Critica sociologica», 26, 1973, pp. 77-95.

grammaticalmente ben formate, ma anche essere in grado di usare le frasi in maniera appro- priata alle situazioni»150; saper scegliere il repertorio e la varietà linguistica più appropriata al contesto socio-situazionale e alla tipologia socio-culturale di parlante con cui si intrattie- ne la relazione comunicativa. Una siffatta competenza non consiste in una mera conoscenza delle strutture astratte interne alla lingua ma nelle “abilità d’uso” fondate sulla conoscenza dei comportamenti comunicativi concreti ed eterogenei realizzati dalla comunità dei parlanti nella vita quotidiana151.

Il concetto di competenza socio-linguistica, come è stato notato152, rientrerebbe in quello più vasto di “competenza comunicativa” elaborato dall’antropologo e linguista Dell Hymes nel 1971153 a superamento della distinzione saussuriana tra langue e parole; la quale era sta- ta ripresa qualche anno prima da Noam Chomsky in Aspects of the theory of syntax (1965), per distinguere la “competenza” (competence) dall’“esecuzione” (performance) linguistica: vale a dire la conoscenza che un parlante ha della propria lingua dalla realizzazione di tale capacità in un dato contesto – in breve, il sistema linguistico interno che rimane invariato dalla lingua esterna che al contrario muta sulla base del controllo sociale esercitato in un da- to contesto154.

Un’adeguata educazione linguistica non dovrebbe pertanto prevedere unicamente l’ac- quisizione di un sistema di conoscenze grammaticali – l’apprendimento delle regole atte a produrre e comprendere enunciati linguistici (sentences) considerati corretti sintatticamente

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G. Berruto, Fondamenti di sociolinguistica, Laterza, Roma-Bari, 2003. 151

Pier Paolo Giglioli e Giolo Fele hanno notato come «la sociologia nella sua storia, nonostante Durkheim abbia dedicato una delle sue opere maggiori allo studio del simbolismo [1912] e ai fondamenti sociali delle ca- tegorie […], si disinteressa sostanzialmente del linguaggio e del significato, mentre per parte sua la linguistica nel suo sviluppo accentua il divorzio dalle condizioni contestuali. Questo divorzio […] trova la sua più com- piuta formulazione con la linguistica generativa di Chomsky. Chomsky ritiene che per studiare il linguaggio non siano pertinenti i fattori comunicativi e sociali, e che il funzionamento dl linguaggio vada distinto dalle sue funzioni. L’approccio di Chomsky è basato sullo studio formale e astratto dei meccanismi del linguaggio, la sua grammatica, e il linguaggio è inteso essenzialmente nella sua facoltà di rappresentare il pensiero, non come strumento usato dalle persone per comunicare». Cfr. Giglioli, Fele, op. cit., p. 8.

152

Secondo Canale e Swain la competenza comunicativa è costituita da quattro parti fondamentali: la com- petenza grammaticale (la conoscenza delle parole e della loro pronuncia e delle regole sintattiche), la compe- tenza socio-linguistica (l’appropriatezza del discorso in riferimento agli scopi e al contesto sociale dei parlanti), la competenza discorsiva (fondata sulla coesione grammaticale e la coerenza logica delle argomentazioni) e, infine, la competenza strategica (l’insieme delle abilità messe in atto per risolvere un problema comunicativo). M. Canale, M. Swain, Theoretical Basis of Communicative Approaches to Second Language Teaching and

Testing, in «Applied Linguistics», 1, 1980, pp. 1-47.

153

D. Hymes, On Communicative Competence, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1971; E. Zuanelli Sonnino, La competenza comunicativa. Precognizioni, conoscenze e regole per la comunicazione, Bo- ringhieri, Torino, 1981; A. Marcarino, Sociologia dell’azione comunicativa, Guida, Napoli, 1995 (1a ed. 1988).

154

N. Chomsky, Aspects of the Theory of Syntax, Mit Press, Cambridge, 1965. Trad. it.: Aspetti della teoria

della sintassi, in Saggi linguistici, vol. II, La grammatica generativa trasformazionale, Boringhieri, Torino,

e validi in astratto. Questa dovrebbe porre maggiore attenzione allo sviluppo della capacità di produrre enunciazioni (utterances) appropriate ai vari contesti comunicativi.

Secondo Hymes il parlante ben formato dovrà, in sintesi, sapere «quando parlare, quando tacere, e riguardo a che cosa parlare, a chi, quando, dove, in che modo» perché vi siano tutti i presupposti fondamentali per la riuscita dell’interazione comunicativa. I messaggi conten- gono sempre, oltre che un significato cognitivo, anche significati contestuali, sociali e cultu- rali; gli scambi linguistici non possono essere considerati in astratto e indipendentemente dalla realtà sociale in cui sono situati e dalla comunità dei parlanti. Perché il parlante possa ritenersi a pieno titolo membro di un gruppo sociale, accanto all’“accettabilità” in termini di correttezza grammaticale, deve essere attentamente curata l’abilità linguistica, intesa come “appropriatezza” tra azione, messaggio e contesto. Come scrive il padre dell’etnografia del- la comunicazione: «competence is understood to be dependent on two things: (tacit) know- ledge and (ability for) use»155.

Rivedendo le sue posizioni originarie, anche Chomsky concorderà qualche anno dopo sull’importanza della competenza pragmatica nell’ambito della stessa competenza gramma- ticale; che non può dunque essere intesa in senso meramente mentalistico. Piuttosto che es- sere relegata alla perfomance, la competenza pragmatica viene infine inclusa dal linguista nel sistema delle regole linguistiche necessarie a una comunicazione efficace156.

Lo sviluppo delle competenze comunicative non è stata inoltre una delle priorità educati- ve, didattiche e formative del nostro sistema universitario. Solo di recente sono stati attivati corsi e laboratori di scrittura all’interno di facoltà universitarie.

L’approccio dell’etnografia della comunicazione rispetto a quello strettamente linguistico ci consente di assumere il linguaggio come evento comunicativo complessivo e “fenomeno sociale totale” e di studiarne gli aspetti comunicativi nella loro complessità: contesti, parte- cipanti, contenuti, codici e sottocodici, canali, strutture linguistiche, valori e stili. Piuttosto che limitarci allo studio di un particolare codice linguistico e della correlazione sociolingui- stica tra tratti linguistici (nel nostro caso lo stile burocratico) e un determinato ceto profes- sionale, gruppo sociale o ambiente sociale (la burocrazia italiana), è nostro obiettivo infatti riuscire a comprendere la complessità dei meccanismi linguistici, sociali, politici, culturali che stanno alla base di un dato comportamento linguistico. A tal fine assumeremo la pubbli-

155

Hymes, op. cit., p. 16. 156

ca amministrazione come una particolare comunità linguistica (speech community)157 go- vernata da regole precipue rispetto ai vincoli presenti nella struttura sociale più ampia in cui è inserita e che manifesta un determinato atteggiamento nei confronti della lingua: potrem- mo dire, un’“ideologia linguistica” esplicitamente e implicitamente condivisa158. Una co- munità linguistica non si distingue infatti da altre comunità linguistiche soltanto per l’ado- zione di un determinato codice linguistico ma anche per la condivisione di particolari atteg- giamenti circa l’utilizzo di quello specifico codice.

La formazione scolastica ricevuta dai dipendenti pubblici italiani, soprattutto negli anni anteriori all’introduzione dei nuovi programmi della scuola media inferiore (1979) e all’af- fermazione di una pedagogia linguistica democratica (abbiamo già richiamato la posizione in tal senso di De Mauro et alii), rappresenta uno dei maggiori ostacoli culturali allo svilup- po delle abilità linguistiche e comunicative richieste nella scrittura professionale. La funzio- nalità comunicativa – come ha messo in risalto Matteo Viale sulla base dei risultati di una ricerca mediante questionario somministrato a dipendenti pubblici –, è spesso trascurata in- fatti in nome dell’aderenza alle regole dell’”italiano scolastico”. «Non è un caso – scrive l’autore – se diversi tratti dell’“italiano scolastico” sono gli stessi che si ritrovano nel cosid- detto “burocratese”»: si pensi alla faticosa ricerca di sinonimi atti ad evitare l’utilizzo delle parole della lingua comune (variatio lessicale), al ricorso esasperato a formule perifrastiche ed eufemistiche più elaborate di quelle dirette e, in generale, alle auliche, nobili e nostalgi- che parole e formule dei vecchi tempi159.

157

Si riprende qui la definizione di John Gumperz di “comunità linguistica” come: «aggregato umano ca- ratterizzato da un’interazione regolare e frequente per mezzo di un insieme condiviso di segni verbali e di- stinto da altri aggregati simili a causa di differenze significativi nell’uso del linguaggio». Hymes ha succes- sivamente proposto di integrare tale definizione ponendo l’accento sull’identità e sul senso di appartenenza che lega all’interno ciascuna comunità di parlanti. Cfr. J.J. Gumperz, The Speech Community, in «International Encyclopedia of Social Sciences», IX, Crowell Collier & Macmillan, 1968, pp. 381-386. Trad. it. di F. Orletti:

La comunità linguistica, in Giglioli, Fele, op. cit., pp. 171-183. Occorre rilevare che il concetto di “comunità

linguistica” non si presta ad una definizione univoca. Lo dimostrano le diverse interpretazioni che ne sono state date in letteratura: da quelle che – forse troppo semplicisticamente – all’uso di una lingua o di un dialetto asso- ciano una determinata comunità, a quelle che accentuano la distinzione su base sociale e culturale tra comunità (la sua collocazione in uno spazio sociale pluridimensionale) che dal punto di vista linguistico possono essere monolingue o plurilingue, a quelle che – in modo più esaustivo – considerano a fondamento dell’idea di “co- munità linguistica” l’interazione comunicativa all’interno di determinati gruppi (anche associazioni professio- nali), la condivisione di “una grammatica comunitaria” (particolarità linguistiche), di certe varietà e regole lin- guistiche e di atteggiamenti e usi condivisi nei confronti di queste. Per una sintesi del dibattito sociolinguistico si rinvia a Hudson, “Comunità linguistiche”, in Sociolinguistica, cit., pp. 31-37.

158

Si riprende qui la definizione di ideologia linguistica elaborata da Kathryn A. Woolard: «Representa- tions, whether explicit or implicit, that construe the intersection of language and human beings in a social world». Nell’ideologia linguistica rientrerebbero dunque le idee, le credenze, esplicite e implicite, e i giudizi sociali, politici e culturali socialmente condivisi da una comunità, da un gruppo sociale oppure dalla società intera su determinate caratteristiche linguistiche. Cfr. B.B. Schieffelin, P.V. Kroskrity, K.A. Woolard, Lan-

guage Ideologies – Practice and Theories, Oxford University Press, Oxford, 1998.

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Capitolo III