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Analisi sociologica intorno alla conservatività del codice

3. Tra “concetti sensibilizzanti” e primi “indizi” empiric

3.2. La lingua del potere, il potere della lingua

In letteratura non mancano accenni allo stretto legame che intercorre tra il potere burocrati- co e la lingua della burocrazia: espressione quest’ultima delle istituzioni e del potere delle istituzioni nella regolazione dei comportamenti sociali e delle azioni colelttive. Mediante il linguaggio, inteso come «tessuto connettivo tra leggi e comportamenti»57, trait d’union tra la norma astratta e la concretezza delle azioni individuali e sociali, le burocrazie esercitano il potere di regolare rapporti e processi; esse sarebbero più esattamente detentrici di «meta- linguaggi di controllo e di innovazione»58 con cui decidere di mantenere invariate e perpe- tuare oppure di produrre cambiamenti nelle relazioni sociali.

Accade però, secondo alcuni studiosi, che la lingua alta del potere sia spesso utilizzata da chi occupa posizioni di vantaggio per «non farsi mai capire sino in fondo, perché altrimenti il suo potere potrebbe essere messo in discussione»: dunque per mantenere una posizione di indiscussa superiorità all’interno della dinamica sociale; superiorità discendente dal “poten- ziale” di capitale culturale e di potere “gelosamente” custodito e, d’altra parte, dall’asservi- mento passivo dei subordinati. E così l’ipertecnicismo e il gergo da iniziati sarebbero espe- dienti atti a «imprimere soggezione all’interlocutore, per impressionarlo e ridurne al con- tempo la possibilità critica»59; per obbligarlo, già mediante uno stile ufficiale, impersonale e perentorio, ad adempiere ai compiti richiesti dal potere autoritativo.

Già nel V secolo a.C i filosofi greci meditavano sul potere suggestivo e persuasivo del di- scorso nella vita politica: «La parola è un gran dominatore che con un corpo piccolissimo e invisibilissimo divinissime opere sa compiere» (Gorgia, Frammento 11).

La parola, il più potente tra i codici semiotici,realizza il massimo grado della sua forza persuasiva e performativa nel sistema politico complessivo60: personaggi, gruppi politici

56

Beck, op. cit., pp. 138-141. 57

Rolando (a cura di), La comunicazione di pubblica utilità. Identità, politica, istituzioni, pubblica am-

ministrazione, FrancoAngeli, Milano, 2004, p. 318.

58

B. Bernstein, Social Class, Language and Socialisation, in Class, Codes and Control, vol. I, Theoretical

Studies towards a Sociology of Language, Routledge, London, 1971. Trad. it. di F. Orletti: Classe sociale, lin- guaggio e socializzazione, in Giglioli, Fele, op. cit., pp. 233-253 (cit. p. 239).

59

Ainis, La legge oscura. Come e perché non funziona, Laterza, Roma-Bari, 2010 (1a ed. 1997), p. 173. 60

In questa sede non entreremo nel merito delle analisi sociologiche e linguistiche condotte più specifica- tamente sul linguaggio della politica e delle tecniche di propaganda e di indottrinamento proprie della “fab-

e istituzioni di tutti i tempi, nella polis greca e nella civitas romana, nei regimi dispotici e nelle moderne democrazie, seppure con procedimenti e intenti naturalmente differenti, si sono avvalsi del potere simbolico e rituale della parola, del suo potenziale semantico e pra- gmatico, al fine di ottenere il consenso delle masse ed esercitare così il proprio potere deci- sionale61.

Ai fini della nostra trattazione è particolarmente utile l’analisi del potere condotta da Pier- re Bourdieu. Secondo il sociologo francese, lo Stato moderno, nell’esercizio del potere poli- tico, in quanto detentore degli strumenti tecnici del diritto e della conoscenza scientifica, più in generale del «capitale simbolico» dato dalla concentrazione dei diversi tipi di capitale, e- sercita un «potere simbolico» all’interno dello spazio sociale, del “campo politico” e del “campo burocratico”62

: un meta-potere, sottile e invisibile, essenzialmente di natura peda- gogica e ideologica, che consiste nel produrre e riprodurre, innanzitutto “linguisticamen- te”63

, schemi cognitivi, categorie di pensiero, visioni del mondo, definizioni della realtà,

brica del consenso”. Si rimanda sul punto ai lavori antesignani di H. Lasswell, L. Nathan (a cura di), Langua-

ge of Politics: Studies in Quantitative Semantics, George W. Stewart Publisher Inc, New York, 1949. Trad.

it.: Il linguaggio della politica. Studi di semantica quantitativa, Eri, Torino, 1979; G. Klaus, Sprache der

Politik, Verlag, Berlin,1972. Trad. it.: Il linguaggio dei politici. Tecnica della propaganda e della manipola- zione, Milano, Feltrinelli, 1974; N. Chomsky e E.S. Herman, Manufacturing Consent, Pantheon Books, New

York, 1988. Trad. it. La fabbrica del consenso, Marco Tropea Editore, Milano 1998; M.J. Edelman, The

Simbolic Uses of Politics, University of Illinois Press, Chicago-Londra, 1976. Trad. it.: Gli usi simbolici del- la politica, Palermo, Guida, 1987.

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Sul potere simbolico della lingua del potere e sullo scambio linguistico diseguale per effetto dei rappor- ti di forza, si rinvia a P. Bourdieu, Ce que parler veut dire. L’économie des échanges linguistiques, Fayard, Pa- ris, 1982. Trad. it.: La parola e il potere. L’economia degli scambi linguistici, Guida, Napoli, 1988. Piuttosto che insita alla lingua, secondo Bourdieu la forza della lingua discenderebbe dal «potere delegato del portavo- ce», «mandatari autorizzati dalla collettività». Sul punto, si rinvia anche all’analisi della dimensione pragma- tica del segno e del potere della lingua nel plasmare le relazioni sociali condotta dal filosofo tedesco Georg Klaus in Die Macht des Wortes. Ein erkenntnistheorisch-pragmatisches Traktat, Verlag, Berlin, 1964. Trad. it.: Il potere della parola. Raffigurazione e teoria pragmatica del discorso, Graphis, Bari, 2006. In Italia la riflessione sul reciproco rapporto di codeterminazione tra linguaggio e prassi sociale è stata portata avanti negli anni Settanta, all’interno del filone critico degli studi sociolinguistici, in particolare da Augusto Pon- zio. Dell’autore si vedano in particolare: Linguaggio e relazioni sociali, Graphis, Bari, 2006 (1a

ed. 1970); e

Produzione linguistica e ideologia sociale, Graphis, Bari, 2006 (1a ed. 1973). 62

Stante alla definizione di “campo” data da Bourdieu, la burocrazia può dunque essere intesa come «mi- crocosmo, ossia un piccolo mondo sociale relativamente autonomo all’interno del mondo sociale più grande […] che ha una sua propria legge, un suo proprio nomos, che detiene al suo interno il principio e la regola del suo funzionamento». Pertanto coloro che entrano a far parte di questo spazio sociale devono necessaria- mente «operare una trasformazione, una conversione, e anche se quest’ultima non gli appare come tale, an- che se egli non ne ha coscienza, gli è tacitamente imposta, in quanto un’eventuale trasgressione comporte- rebbe scandalo o esclusione». Come in un campo magnetico, all’interno del “campo burocratico” vi agisco- no forze che si impongono agli agenti; e, come in un campo di lotta, i diversi agenti, a partire dalle loro dif- ferenti posizioni, si affrontano per la conservazione o la modificazione dell’esistente. P. Bourdieu, Propos

sur le champ politique, Lyon, 2000, p. 52. Trad. it. di M. Cerulo in: Sul concetto di campo in sociologia, Ar-

mando, Roma, 2010, p. 20. 63

Scrive Bourdieu a proposito della genesi “linguistica” del campo giuridico: «La concentrazione del capi- tale giuridico è un aspetto basilare di un processo più ampio di concentrazione del capitale simbolico sotto diverse forme, che fonda l’autorità specifica di chi detiene il capitale statuale, in particolare il misterioso po- tere di nominare». Cfr. Bourdieu, La force du droit, cit., p. 3 (trad. it. di G. Brindisi). Il potere dello Stato è dun- que, come è stato messo in evidenza da studiosi di sociologia del diritto commentando i passi bourdiesiani,

giudizi di valore che, mediante i processi istituzionali di socializzazione, diventano disposi- zioni e percezioni costitutive che strutturano e plasmano le menti e le azioni degli individui; i quali saranno portati a considerare taken for granted, più o meno incoscientemente legit- timi e razionali, schemi e pratiche che invece quotidianamente e in maniera pervasiva, sono inculcate e imposte dal pensiero e dall’amministrazione dello Stato e che in quanto tali ven- gono incorporate ed interiorizzate64. Gli individui applicano infatti nel riconoscimento co- gnitivo del potere quelle stesse strutture cognitive derivate dalla strutturazione del campo. Dunque le loro “pratiche” sono prodotte non tanto dall’adesione a regole esplicite o dal calcolo razionale dei loro interessi ma da schemi a priori e trascendentali, mappe cognitive costitutive della stessa struttura di un campo; dall’esperienza così come è stata strutturata in un particolare microcosmo sociale.

Tuttavia, l’esercizio di tale potere si basa proprio sulla relazione che viene a intessersi tra coloro che esercitano il potere e coloro che, subendolo passivamente, se ne rendono incon- sapevolemente insieme “vittime e complici”: «il reale è sempre – per lo “strutturalista co- struttivista” – relazionale», è sempre una relazione tra strutture oggettive del reale e costru- zioni soggettive.

Senza rischiare di cadere nelle accuse di determinismo sociale rivolte a Durkheim, Bour- dieu ritiene che gli individui, inevitabilmente sottoposti a vincoli e costrizioni sociali, a nor- me sociali istituzionalizzate, faticano ad elaborare visioni del mondo e pratiche d’azione au- tonome e alternative all’habitus strutturatosi in un particolare campo sociale. L’habitus è infatti un «sistema socialmente costituito di disposizioni strutturate e strutturanti, acquisito con la pratica e costantemente orientato verso funzioni pratiche»65; una «struttura struttura-

un «potere quasi divino di mobilitare un capitale di credenze accumulato nell’universo sociale ponendosi come fondamento e garanzia dell’efficacia simbolica di tutti i riti di istituzione e degli atti di autorità (atti di nascita e di morte, certificati e ordinanze, titoli e onorificenze, carte d’identità, leggi, ecc.). […] il pensiero giuridico ha svolto un ruolo creativo nella nascita delle istituzioni statali, le quali non sono altro che una fin- zione dei giuristi, che producono lo Stato attraverso la creazione di una teoria dello Stato». La forma simboli- ca e linguistica è in questo senso istitutiva dell’ordinamento: dicendo ciò che lo Stato dovrebbe essere lo si fa essere realmente tale. Come aveva già dimostrato Weber, Bourdieu descrive come tale potere si basi es- senzialmente sulla «competenza di interpretare un corpus di testi che consacrano la visione legittima del mondo sociale». Cfr. G. Brindisi, La sociologia del campo giuridico di Pierre Bourdieu, con traduzione della relazione di Bourdieu su Les juristes, gardiens de l’hypocrisie collective, pubblicata in F. Chazel, J. Comaille,

Normes juridiques et régulation sociale, Collection Droit et société, Paris 1991, pp. 95-99; reperibile sul sito:

http://www.kainos.it/numero9/disvelamenti/giuristicustodi- intro.html (c.vo nostro). 64

P. Bourdieu, Genèse et structure du champ bureaucratique, in Id., Raisons pratiques. Sur la théorie de

l’action, Seuil, Paris, 1994, p. 101-133. Trad. it.: Spiriti di Stato. Genesi e struttura del campo burocratico, in Id., Ragioni pratiche, il Mulino, Bologna, 1995, pp. 89-131. Il tema dell’interazione tra potere simbolico eser-

citato dallo Stato e processi di legittimazione in atto nella coscienza collettiva è stato trattato ampiamente da A. Borghini, in Potere simbolico e immaginario sociale. Lo Stato nella vita quotidiana, Asterios, Trieste, 2009.

65

Bourdieu P., Wacquant L.J.D., Réponses. Pour une anthropologie réflexive, Seuil, Paris, 1992. Trad. it. a cura di D. Orati: Risposte. Per un’antropologia riflessiva, Bollati Boringhieri, Torino, 1992, p. 89.

ta» prodotta dall’interiorizzazione delle strutture sociali ma anche una «struttura struttu- rante» capace di organizzare pratiche e comportamenti.

Tuttavia, solo mediante l’appropriazione del «capitale simbolico» afferente ad un preciso campo sociale, gli individui acquisiscono gli strumenti di azione sociale e il potere di im- porsi in quel campo per modificarne i rapporti di forza oggettivi.

La lingua stessa è in tal senso uno strumento di “emancipazione sociale” rispetto ai prin- cipi di classificazione dominanti con cui si ripropongono le divisioni inscritte in una data struttura sociale – considerate naturali ma in realtà storicamente acquisite e politicamente costruite. Il codice specifico di un determinato campo sociale, soprattutto nel caso del “cam- po giuridico”, non è soltanto uno strumento di espressione: «le relazioni linguistiche sono sempre rapporti di forza simbolici attraverso i quali i rapporti di forza tra i locutori e i loro gruppi rispettivi si attualizzano in forma trasfigurata»66; nel caso del diritto, è la forza della sua forma linguistica e la legittimazione sociale su cui poggia ad assicurarne l’efficacia – anche quando il diritto formale entra in contraddizione con il diritto sociale. In tal senso, il “nominare” deve essere inteso nella doppia accezione di espressione linguistica e di ordina- mento del mondo (nomos)67.

A seconda che si assuma una prospettiva di studio prevalentemente struttural-funzio- nalista o marxista e conflittualistica, il linguaggio del potere può essere interpretato come funzionale alla stabilità oppure all’innovazione del sistema sociale: i partecipanti all’inte- razione verbale che detengono il potere della pianificazione linguistica e, quindi, della pragmatica dei rapporti di superiorità o di dipendenza possono orientare le situazioni co- municative verso la legittimazione o, al contrario, la destrutturazione dei rapporti di potere vigenti.

Privilegiando lo studio pragmatico del linguaggio, esso deve essere ricondotto pertanto al contesto sociale della sua produzione, trasmissione e ricezione: in riferimento ad un partico- lare contesto sociale esso si svela infatti contemporaneamente quale prodotto e contempo-

66

Ivi, p. 108. 67

Scrive ancora Bourdieu: «Il campo giuridico è il luogo di una concorrenza per il monopolio del diritto di dire il diritto, di dire cioè la buona distribuzione (nomos) o il buon ordine, nella quale si affrontano degli agenti investiti di una competenza inestricabilmente sociale e tecnica che consiste in sostanza nella capacità social- mente riconosciuta di interpretare (in modo più o meno libero o autorizzato) un corpus di testi che consacra la visione legittima, retta, del mondo sociale. È a questa condizione che si può rendere ragione sia dell’autonomia relativa del diritto, sia dell’effetto propriamente simbolico di misconoscimento che risulta dall’illusione della sua autonomia assoluta in rapporto alle domande esterne». Cfr. Bourdieu, La force du droit, cit., p. 4 (trad. it. di G. Brindisi).

raneamente «elemento dell’attività pratica dell’uomo nel suo sforzo di trasformazione del mondo», «lavoro» «geneticamente e funzionalmente» collegato con la prassi sociale68.