La riforma del linguaggio amministrativo
2. Sociolinguistica dell’italiano burocratico
Gli studi linguistici e sociolinguistici14 condotti negli ultimi anni hanno ampiamente eviden- ziato disfunzioni e distorsioni comunicative presenti nei testi amministrativi15. In generale,
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Nel citare dalle testimonianze che abbiamo raccolto nell’indagine empirica si indicano i resoconti for- mativi, le interviste e il focus group rispettivamente con le abbreviazioni res., int., fg precedute dalla sigla CP (Comune di Pisa) e seguiti dalla numerazione progressiva con cui esse sono state raccolte e archiviate (CP, res.1; CP, int. 1; CP, fg 1…).
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Non sempre è possibile riferirsi alla linguistica e alla sociolinguistica come a due discipline differenti (la lingua è per sua natura un fatto sociale: svolge una funzione sociale come mezzo di comunicazione e di i- dentificazione di una comunità di parlanti). Sul punto le scuole linguistiche non hanno ad oggi trovato un ac- cordo. Per un verso la sociolinguistica nasce come branca di specializzazione della linguistica che, a differenza di quest’ultima, non si interessa alla lingua come sistema astratto ma alle sue realizzazioni concrete nei di- versi contesti sociali, ossia all’utilizzo che della lingua fanno gli individui e i gruppi sociali. Per un altro ver- so si deve riconoscere che all’interno della linguistica solo una particolare scuola, quella strutturale, in parti- colare di indirizzo generativo-trasformazionale, pretende di studiare la lingua come insieme di regole indi- pendentemente dal contesto sociale, culturale, comportamentale. Come ha messo in evidenza il sociolingui- sta Richard Hudson, poiché la lingua è anch’essa un comportamento, non è possibile studiare la lingua senza riferirsi alla società. Innanzitutto «non si può dare per scontata la nozione di una “lingua X”, perché questa è in se stessa una nozione sociale, dal momento che tale lingua X è definita in termini di un gruppo di in- dividui che la parlano»; in secondo luogo «il linguaggio ha una funzione sociale, sia come mezzo di comuni- cazione sia come modo di identificazione dei gruppi sociali». Cfr. R.A. Hudson, Sociolinguistics, Cambridge University Press, Cambridge, 1996 (1a ed. 1980). Trad. it.: Sociolinguistica, il Mulino, Bologna, 1998, p. 11.
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A partire dagli anni Novanta vengono condotti numerosi studi e analisi linguistiche sui testi prodotti dalle amministrazioni nazionali. Si rinvia in particolare, in ordine cronologico, a: M.E. Piemontese, T. Tira- boschi, Leggibilità e comprensibilità dei testi della pubblica amministrazione. Strumenti e metodologie di
ricerca al servizio del diritto a capire testi di rilievo pubblico, in Zuanelli, op. cit., 1990, pp. 225-246; M.
Cortelazzo, Lingue speciali. La dimensione verticale, Unipress, Padova, 1990; G. Berruto, Le varietà del
repertorio e Varietà diamesiche, diastratiche, diafasiche, in A. Sobrero (a cura di), Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, Laterza, Roma-Bari, 1993, pp. 3-36, pp. 37-91; M. Cortelazzo, Il 740 dalla terra alla luna?, in «Italiano & Oltre», IX, 1994, pp. 91-97 (ora con il titolo La semplificazione del linguaggio amministrativo: il modello 740, in M. Cortelazzo, Italiano d’oggi, Esedra, Padova, 2000, pp.
137-154); M.E. Piemontese, La comunicazione pubblica e istituzionale. Il punto di vista linguistico, in S. Gensini (a cura di), Manuale della comunicazione, Carocci, Roma, 1999, pp. 315-342; T. De Mauro, M. Ve- dovelli (a cura di), Dante, il gendarme e la bolletta, cit.; M. Cortelazzo, F. Pellegrino, Guida alla scrittura isti-
tuzionale, Laterza, Roma-Bari, 2003; F. Franceschini, S. Gigli (a cura di), Manuale di scrittura amministrativa,
Agenzia delle Entrate, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 2003; L. Serianni, Il linguaggio burocratico, in Id., I-
taliani scritti, il Mulino, Bologna, 2003, pp. 123-139; D. Fortis, Il linguaggio amministrativo italiano, in «Re-
vista de Llengua i Dret», 43, 2005; T. Raso, La scrittura burocratica. La lingua e l’organizzazione del testo, Carocci, Roma, 2005; M. Cortelazzo (a cura di), Il Comune scrive chiaro. Come semplificare la comuni-
in tali studi il linguaggio delle pubbliche amministrazioni è descritto come una varietà lin- guistica “settoriale” lontana dalla lingua comunemente parlata – sebbene la sua principale funzione sia quella di comunicare con la generalità della popolazione e dunque con destina- tari in possesso di differenti livelli di alfabetizzazione –; e, più precisamente, come un “sot- tocodice” del codice giuridico attento al rispetto dei formalismi espressivi tecnici e poco ef- ficace invece nel raggiungimento degli obiettivi comunicativi.
Occorre innanzitutto precisare che in sociolinguistica si definisce varietà sociolinguistica «il co-occorrere», ossia la compresenza in un «fascio di item linguistici»16 «di certi elemen- ti, forme e tratti di un sistema linguistico e di certe proprietà del contesto d’uso: dal punto di vista del parlante comune una varietà di lingua è infatti designabile come il modo in cui par- la un gruppo di persone o il modo in cui si parla in date situazioni. Le varietà di lingua sono insomma la realizzazione del sistema linguistico […] presso classi di utenti e di usi: più tec- nicamente “forme convenzionalizzate di realizzazione del sistema”, che rappresentano un modello ricorrente di concretizzazione, attivato dal contesto socio-situazionale, di alcune delle possibilità insite nel sistema». In sintesi, essa è una distribuzione sociale di item lin- guistici a seconda delle circostanze d’uso17: «un insieme di tratti congruenti di un sistema linguistico che co-occorrono con un certo insieme di tratti sociali, caratterizzanti i parlanti o le situazioni d’uso»18.
In ottica funzionalista, dunque, una determinata varietà linguistica condivide con il siste- ma linguistico un nucleo invariabile, comune a tutte le varietà linguistiche (langue), ma d’altra parte presenta suoi tratti specifici rispondenti alla precipua funzione svolta da un de- terminato codice all’interno di un sistema sociale e in un determinato contesto situazionale (parole).
Seguendo la prospettiva di studio sociolinguistica – ossia a partire dal rapporto profondo e costante di correlazione tra variabili linguistiche e variabili extralinguistiche – la varietà burocratica risulta “marcata” e contrassegnata, dal punto di vista “diafasico” (situazionale), dall’utilizzo di un registro formale e aulico utilizzato in contesti ufficiali e altamente forma- cazione al cittadino, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2005; M.E. Piemontese et alii, Aspetti linguistici della comunicazione pubblica e istituzionale, Atti del 7° Congresso dell’Associazione di linguistica applica-
ta, Milano, 22-23 febbraio 2007, Guerra Edizioni, Perugia, 2008; M. Viale, Studi e ricerche sul linguaggio
amministrativo, Cleup, Padova, 2008.
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Hudson, Sociolinguistica, cit., p. 30. 17
Ivi, passim. 18
G. Berruto, Fondamenti di sociolinguistica, Laterza, Roma-Bari, 1995, pp. 62-63. Berruto si rifà alla definizione di variabile sociolinguistica risalente a William Labov: «una variabile linguistica correlata con una variabile non linguistica del conteso sociale (il parlante, l’ascoltatore, il pubblico, la situazione, ecc.)». Le variabili sociolinguistiche sono pertanto indicatori, contrassegni (markers) di una stratificazione lingui- stica abbinata a una stratificazione sociale.
lizzati; dal punto di vista “diastratico” (socio-culturale), dall’appartenenza dei parlanti alle classi sociali più alte e colte; e, dal punto di vista “diamesico” (per quanto concerne il mez- zo), da un uso prevalentemente scritto.
Come si può comprendere dallo schema dell’architettura dell’italiano contemporaneo ela- borato da Gaetano Berruto e di seguito riportato, considerando i tre assi di variazione extra- linguistica appena richiamati, il linguaggio burocratico si colloca tra le varietà linguistiche con più alta diastratia, diafasia e diamesia (la variazione diatopica è ai fini del nostro discor- so trascurata in quanto primaria rispetto alle altre). L’asse diastratico, dal basso verso l’alto, indica la stratificazione socio-culturale della comunità dei parlanti, l’asse diamesico, orto- gonale al primo, il passaggio dalla polarità scritta a sinistra a quella parlata a destra, e l’asse diafasico che attraversa diagonalmente il grafico, la distribuzione delle varietà linguistiche da quelle più formali in alto a sinistra (italiano formale aulico, italiano tecnico-scientifico, italiano burocratico) a quelle meno formali (italiano gergale, italiano informale trascurato, italiano regionale, italiano colloquiale) in basso a destra.
Tendenzialmente più vicino al centro geometrico dello spazio linguistico raffigurato da Berruto non troviamo l’italiano standard della tradizione letteraria – descritto dagli studiosi in declino all’interno dell’italiano contemporaneo – ma il cosiddetto “italiano neo-stan- dard”: il quale attualmente pare imporsi quale nuovo orientamento normativo. Si tratta in pratica dell’italiano che tende ad acquisire i tratti tipici del cosiddetto “italiano regionale colto medio”, ossia a “scendere” sull’asse diafasico verso una minore formalità e sull’asse diamesico verso il parlato e ad avvicinarsi su quello diastratico al linguaggio comune.
Lo spostamento dell’italiano burocratico dalla periferia al centro del grafico, promosso dalle moderne politiche linguistiche, deve dunque essere opportunamente analizzato in con- nessione con i processi di ristandardizzazione in atto nell’italiano contemporaneo.
Situato lungo un “continuum” linguistico che indica il graduale passaggio da un “punto focale” di addensamento di alcuni tratti linguistici all’altro, si può notare come l’italiano bu- rocratico sia invece rappresentato nel grafico distante dal centro; in particolare più prossimo all’italiano tecnico-scientifico e all’italiano formale e aulico.
Figura 1. Architettura dell’italiano contemporaneo
Fonte: Berruto, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, 1987, p. 21.
Tale distanza è esemplificativa del senso di estraneità che coglie il “lettore medio”19 – e in taluni casi anche le persone colte; potremmo dire, in generale, i cosiddetti “non addetti ai
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Si rimanda al § 6 per una precisazione dell’espressione “lettore medio” in riferimento al rapporto tra testi prodotti dalla pubblica amministrazione e popolazione italiana. Intanto si chiarisce che per “italiano neo- standard” (Berruto), oppure “italiano dell’uso-medio” (Sabatini), oppure ancora “italiano medio-tendenziale” (Mioni), in letteratura si intende la varietà dell’italiano tendenzialmente più vicina alla lingua parlata dalla fa- scia media dei parlanti. Contrariamente alla varietà linguistica tradizionalmente riconosciuta come “norma lin-
lavori” – di fronte a testi prodotti in burocratese; come se essi fossero deputati a svolgere funzioni specialistiche, al pari di un testo tecnico-scientifico, piuttosto che atti a veicolare comunicazioni di rilievo pubblico e inerenti la vita quotidiana della generalità dei cittadini.
Nella definizione di registro linguistico intervengono più dimensioni. Volendo sintetiz- zarle seguendo la proposta di Michael Halliday, il campo, ossia lo scopo e l’argomento del- la comunicazione, il modo, inteso come mezzo con cui essa avviene, e il tenore della rela- zione tra i partecipanti. In relazione al registro burocratico dovremmo attenderci pertanto una varietà linguistica compatibile rispettivamente con: a) la comunicazione di messaggi di pubblica utilità e socialmente rilevanti atti a intervenire nella regolazione della vita sociale, b) la trasmissione scritta dei messaggi, c) la dimensione di “solidarietà” a cui deve essere improntata la relazione tra istituzioni e cittadini.
Ogni qualvolta vengono confezionati in “burocratese”, i testi amministrativi, anziché tentare di ridurre la distanza socio-culturale presente tra istituzioni e cittadini, sembrano invece ripristinarla, intanto mediante la riproposizione di una distanza di carattere lingui- stico-comunicativo.
Tuttavia, proprio in funzione dell’intimo rapporto tra variabili linguistiche e variabili so- ciali, il cambiamento linguistico appare, ancorché lento, inevitabile: ogni varietà linguistica si definisce ed evolve infatti sulla base di fattori extralinguistici che necessariamente vi in- tervengono; così come del resto ogni organizzazione, lontana dall’essere un “silos orga- nizzativo”20
isolato, è sempre già incorporata e radicata (embedded) all’interno di un “cam- po organizzativo” più vasto21
, ossia di un contesto istituzionale in cui sono presenti unità or- ganizzative tra loro interagenti e in rapporto di reciproco condizionamento.
guistica”, la “lingua standard” che è spostata verso l’alto, la varietà neo-standard, accoglie tratti informali del parlato (delle varietà sub-standard) un tempo considerati “triviali” e soggetti a sanzioni (si pensi alla tendenza a utilizzare lui, lei, loro al posto dei pronomi soggetto egli, ella, esso, essa, essi considerati aulici, il te al posto del tu come pronome soggetto, il dativo pronominale gli indistintamente per femminile, maschile e plurale, il
che polivalente con funzione relativa, causale, temporale, consecutiva, la perdita di codesto tra i pronomi dimo-
strativi, l’uso di troppo al posto di molto, la sostituzione del congiuntivo con l’indicativo, del presente al posto del futuro, della forma passiva con la forma attiva, dell’ipotassi con la paratassi, l’uso estensivo dell’imperfetto tra i tempi del passato, il ma ad inizio frase e via di seguito). Piuttosto che trattarsi dell’italiano proprio di quei parlanti semicolti muniti di competenze di basso livello che tendono a padroneggiare la varietà di maggior pre- stigio – come ha inteso Mioni –, l’italiano neo-standard coincide con la lingua parlata propria delle classi me- dio-alte. Cfr., oltre al testo sopra citato di Berruto, A. Mioni, Italiano tendenziale. Osservazione su alcuni a-
spetti della standardizzazione, in Scritti linguistici in onore di G.B. Pellegrini, Pacini, Pisa, 1983, pp. 495-517;
F. Sabatini, L’italiano dell’uso medio: una realtà tra le varietà linguistiche italiane, in G. Holtus, E. Radtke (a cura di), Gesprochenes Italienish in Geschichte und Gegenwart, Narr, Tübingen, 1985, pp. 154-184. Beninte- so, per “norma linguistica” non si deve intendere il modello a cui le diverse varietà devono protendere; esse devono anzi essere funzionalmente distinte e padroneggiate a seconda dei vari contesti.
20
F. Maimone, Dalla rete al silos. Modelli e strumenti per comunicare e gestire la conoscenza nelle orga-
nizzazioni flessibili, FrancoAngeli, Milano, 2007.
21
W.W. Powell, P. Di Maggio, The New Institutionalism in Organizational Analysis, Chicago University Press, Chicago, 1991.
Ritornando ad assumere un punto di vista diacronico22, dall’Unità d’Italia ad oggi l’evo- luzione del moderno apparato burocratico è sempre stata accompagnata da processi di ri- standardizzazione e ristrutturazione in atto nel sistema linguistico. Le analisi linguistiche consentono, per esempio, di rilevare come a partire dagli anni Ottanta all’italiano burocra- tico stia progressivamente subentrando l’italiano aziendale: per effetto del maggior presti- gio di cui gode il codice dell’economia e della finanza; un prestigio che poggia natural- mente sui “miti razionalizzati” e “razionalizzanti” dell’efficienza e del dinamismo del mon- do aziendale su cui ci siamo già soffermati. Si tratta di una tendenza in atto di cui si intra- vedono già, accanto a vantaggi minimi in termini di semplificazione, ulteriori rischi in ter- mini di introduzione di pseudotecnicismi tesi alla persuasione e alla cattura del consenso.
Sia che si definisca la lingua della burocrazia come “linguaggio specialistico” (dunque con riferimento diretto alla differenziazione e specializzazione delle attività lavorative e professionali), sia che la si indichi come “lingua settoriale” o “gergo professionale” (accen- tuando accanto alla dimensione diafasica e contestuale la dimensione più propriamente dia- stratica e sociale), siamo certamente di fronte a un «uso speciale della lingua» (De Mauro); come ha chiarito Michele Cortelazzo, siamo in presenza di:
[…] una varietà funzionale di una lingua naturale, dipendente da un settore di cono- scenze o da una sfera di attività specialistici, utilizzata, nella sua interezza, da un grup- po di parlanti più ristretto della totalità dei parlanti la lingua di cui quella speciale è una varietà, per soddisfare i bisogni comunicativi (in primo luogo quelli referenziali) di quel settore specialistico; la lingua speciale è costituita a livello lessicale da una serie di corrispondenze aggiuntive rispetto a quelle generali e comuni della lingua e a quello morfosintattico da un insieme di selezioni, ricorrenti con regolarità, all’interno dell’inventario di forme disponibili nella lingua23
.
Tuttavia, rispetto alle altre lingue settoriali, la lingua della burocrazia, come la lingua della medicina, coinvolge più da vicino e in prima persona il pubblico dei “profani”: il diritto al- l’informazione di cittadini e pazienti impone, più che in altri ambiti, di tentare di superare «il recinto specialistico» di natura linguistica24: soprattutto laddove certe barriere piuttosto che essere soltanto il prodotto inevitabile della specializzazioni delle funzioni vengono quotidia- namente, più o meno intenzionalmente, innalzate a difesa del prestigio “corporativo”.
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Lo schema di G. Berruto fa riferimento infatti alla variazione sincronica. Sulla scia della linguistica storica ottocentesca, la sociolinguistica si occupa anche dell’evoluzione del sistema linguistico nel tempo (variazione diacronica). Anzi, potremmo dire che lo studio in sincronia, ossia di uno stadio particolare della lingua, sia finalizzato nella disciplina all’analisi del cambiamento linguistico.
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M. Cortelazzo, Lingue speciali. La dimensione verticale. Padova, Unipress, 1990, pp. 5-6. 24
Sul rapporto tra lingua della burocrazia e lingua della medicina si veda: L. Serianni, Italiani scritti, il Mulino, Bologna, 2003; Id., Un treno di sintomi. I medici e le parole, Garzanti, Milano, 2006; A. Lucchini (a cura di), Il linguaggio della salute, Sperling&Kupfer, Milano, 2008.