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La riforma del linguaggio amministrativo

5. Il percorso giuridico della semplificazione del linguaggio amministrativo

5.1. Il “codice” dell’amministrazione digitale

Molte speranze sono state riposte nei cambiamenti che sarebbero discesi sul piano comuni- cativo dall’avvento del cosiddetto “governo elettronico” (e-government) e dall’uso delle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione nella produzione, nella ge- stione, nella circolazione e nella reperibilità e fruibilità dei documenti giuridico-amministra- tivi78. Sono indiscutibili i benefici recentemente apportati dall’amministrazione digitale in

amministrazioni interpellate inoltre risultano impegnate nella pianificazione di attività informative e di comunicazione.

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Associazione italiana di comunicazione pubblica e istituzionale – Istituto di ricerca C. Cattaneo, Isti-

tuzioni, Politica, Informazione. Cosa pensano gli italiani, ottobre 2005. Il Rapporto è disponibile in: http:// www.compubblica.it/bf/library/ricerca_compa_05.7_07721_75431.pdf. Il sondaggio è stato condotto som- ministrando un questionario strutturato a un campione rappresentativo della popolazione italiana tra i 18 e i 64 anni stratificato per genere, età, residenza e ampiezza demografica del comune di residenza. Gli ambiti te- matici sono stati fondamentalmente tre: la valutazione dei servizi pubblici, la valutazione dell’informazio- ne politica e il giudizio complessivo sulla politica e la classe politica italiana.

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L’interoperabilità dei sistemi informatici e dei flussi informativi per la circolazione e lo scambio dei dati tra amministrazioni (art. 14 del Codice dell’amministrazione digitale), accanto a strumenti tecnico- informatici che possano rendere fisicamente possibile lo scambio dei documenti, necessita innanzitutto di standard linguistici e testuali atti a uniformare e omogeneizzare il tessuto informativo pubblico. In questa sede ci limitiamo a indicare le principali tappe normative del percorso di informatizzazione e digitalizza- zione della pubblica amministrazione:

- il D.lgs. n.39 del 1993 (“Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche”) che istituisce l’Autorità per l’Informatica della pubblica amministrazione (Aipa);

- la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 settembre 1995 che introduce la Rete unitaria della pubblica amministrazione (Rupa);

- il Dpr. n. 513 del 1997 “Regolamento contenente i criteri e le modalità per la formazione, l’archivia- zione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici”;

- il Dpr. n. 428 del 1998 “Regolamento recante norme per la gestione del protocollo informatico da par- te delle amministrazioni pubbliche”;

- il Dpr. n. 445 del 2000 “Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa” (Testo u- nico sulla documentazione amministrativa);

- il D.lgs. n. 82 del 2005 “Codice dell’amministrazione digitale”, modificato e integrato prima dal D.lgs. n. 159 del 2006 di disciplina del Sistema pubblico di connettività (Spc) e della Rete internazionale delle pubbliche amministrazioni (Ripa), poi dal D.L. n. 185 del 2008 che riconosce la validità legale della co- pia firmata digitalmente senza l’obbligo di autentica da parte del notaio o di un pubblico ufficiale e in-

termini di sburocratizzazione e semplificazione delle procedure interne, di maggiore effi- cienza dei procedimenti, di erogazione di servizi più rapidi, efficienti ed economici, nonché di modernizzazione dei sistemi di gestione del rapporto con cittadini e imprese. Tecnologie come il documento informatico, la gestione informatica dei documenti, il protocollo infor- matico, la firma digitale e la posta elettronica certificata hanno certamente reso più rapida e meno costosa la redazione, l’interscambiabilità e l’accessibilità – perlomeno fisica – dell’u- tente ai documenti e hanno favorito nuove forme di inclusione – perlomeno formalmente – dei cittadini e di e-democracy (soprattutto in virtù del passaggio dai semplici siti web agli sportelli pubblici virtuali e interattivi consentiti dallo sviluppo del web 2.0).

Non entreremo in questa sede nel merito dell’effettiva attuazione delle disposizioni con- tenute nel Codice dell’amministrazione digitale(D.lgs. n. 82 del 2005 e successive modifi- che e integrazioni) e della discrepanza che è possibile ravvisare tra principi e pratiche opera- tive. Ci limitiamo a segnalare che sul punto esistono pareri controversi che sembrano ripro- porre in un certo senso le annose discussioni tra “integrati” e “apocalittici”: da una parte vi sono infatti coloro che evidenziano – e forse enfatizzano – i risultati positivi derivanti dalla modernizzazione tecnologica in termini di trasparenza, di pubblicità diffusa e di e-demo-

cracy (dunque di partecipazione in modalità digitale dei cittadini ai processi decisionali

pubblici e di maggior controllo dell’azione di governo); dall’altra coloro che criticamente si soffermano sui fattori socio-culturali che di fatto limitano i diritti sanciti dal Codice del- l’amministrazione digitale «all’uso delle tecnologie» (art. 3), «alla partecipazione, all’acces- so e all’invio di documenti mediante le tecnologie informatiche» (art. 4), «ad effettuare qualsiasi pagamento con modalità digitale» (art. 5), «a ricevere qualsiasi comunicazione tra- mite e-mail certificata» (art. 6), «alla qualità del servizio e alla misura della soddisfazione» (art. 7), «a trovare on line tutti i moduli e i formulari validi e aggiornati» (art. 57); in sintesi «il diritto alla partecipazione democratica» (art. 9)79.

fine dal D.lgs. n. 235 del 2010. In materia di informatizzazione dei documenti hanno operato in seguito all’Aipa, il Cnipa (Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione) e oggi il Digit- Pa (Ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione).

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Recenti studi, nel sottolineare le potenzialità democratiche insite nella rete, ne mettono nel contempo criticamente in risalto i rischi in termini di accesso e partecipazione democratica. Alcuni fattori rendono assai problematico il rapporto tra nuove tecnologie e democrazia: si pensi alle diverse forme di digital divide che ne limitano l’accesso e l’uso critico e consapevole, alla gestione eterodiretta e dal controllo dall’alto dei flussi comunicativi e all’esercizio di forme di violenza simbolica che riducono l’utente ancora una volta a sem- plice cliente e consumatore. Tra tutti si veda: P. Lévy, Pour une anthropologie du cyberspace, La Découverte, Paris, 1994. Trad. it.: L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 1996; il volume dedicato a Pierre Levy da L. Corchia, La democrazia nell’era di Internet. Per una politica del-

l’intelligenza collettiva, le Lettere, Firenze, 2011; Tursi A., de Kerckhove D., Dopo la democrazia? Il potere e la sfera pubblica nell’epoca delle reti, Apogeo, Milano, 2006; E. Gremigni, I limiti del web tra forme di parte-

In effetti, le potenzialità insite in linea di principio nei processi di digitalizzazione (si pensi per esempio alla possibilità di ricevere risposte da uffici quasi in tempo reale o di reperire con rapidità la modulistica necessaria) si scontrano nella realtà con vecchi e nuovi problemi: dall’indisponibilità di risorse finanziarie e umane necessarie a una reale imple- mentazione delle tecnologie informatiche, specialmente nelle amministrazioni periferiche e di piccole dimensioni, alle condizioni di marginalità ed esclusione riconducibili al digital

divide e al cultural divide che colpiscono particolarmente alcune aree del Paese e le fasce

sociali più deboli80.

Per quanto attiene direttamente al nostro oggetto di studio, accanto ai vantaggi consen- titi dalla informatizzazione della pubblica amministrazione, è opportuno porre attenzione ai limiti che hanno accompagnato il passaggio “epocale”81 delle informazioni e dei docu- menti dal canale cartaceo a quello informatico.

I documenti informatizzati sono facili da aggiornare, riprodurre, diffondere e ricercare all’interno degli archivi elettronici e presentano potenzialità strutturali, grafiche e tipografi- che di gran lunga superiori rispetto alla carta in termini di leggibilità e comprensibilità. La possibilità di usare diversi colori, stili e corpi dei caratteri, di gestire creativamente layout – alternando nella pagina per esempio spazi pieni e vuoti (i cosiddetti “bianchi”) –, di ricor- rere con frequenza a titoli e sottotitoli e a evidenziazioni, di strutturare per livelli logici il te- sto, di porre in rilievo grafico le informazioni principali, di rimandare per approfondimenti attraverso collegamenti ipertestuali (link) ad altri testi (o parti dello stesso testo) sono solo

cipazione e “feticismo della soggettività”, in M.A. Toscano, A. Cirillo (a cura di), Sulla razionalità occi- dentale. Processi, problemi, dialettiche, FrancoAngeli, Milano (in corso di stampa), pp. 297 ss.

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Sono stati di recente presentati dal Censis i risultati del X Rapporto sulla comunicazione. I media siamo

noi. L’inizio dell’era biomediatica, FrancoAngeli, Milano, 2012. Il cultural divide (la condizione di margi-

nalità vissuta da chi si nutre prevalentemente con una dieta mediatica audiovisiva) riguarda un quarto del- la popolazione italiana, mentre il digital divide (il divario inerente l’accesso alle nuove tecnologie infor- matiche) il 44,5% (nel 2011 il 52%). Il cultural divide si attesta al 34,4% nei centri al di sotto dei 10.000 abitanti, dove vi è una maggiore presenza di persone anziane e di persone poco istruite, e cala progressiva- mente fino al 9,6% nelle città con oltre mezzo milione di abitanti, in cui, com’è ovvio, si registra una mi- gliore offerta di servizi telematici e più alti indici di istruzione e formazione; analogamente, il digital divi-

de passa dal 50,8% dei centri minori fino al 32,5% dei centri più grandi. Uno sguardo alla distribuzione geo-

grafica del fenomeno conferma ancora una volta un Centro Italia poco toccato dal cultural divide (il 16,7% del- la popolazione) ma con problemi di digital divide (35,8% dei cittadini) e d’altra parte un Sud Italia con quote percentuali rispettivamente del 32,2% e del 47,2% e un Nordest con il 25,3% e il 53,8% dei cittadini in condi- zioni di marginalità socio-culturale. Per una approfondita trattazione delle nuove forme di diseguaglianza digi- tale si rimanda almeno a: G. Sartori, Il divario digitale. Internet e le nuove disuguaglianze sociali, il Mulino, Bologna, 2006; S. Bentivegna, Disuguaglianze digitali. Le nuove forme di esclusione nella società dell’in-

formazione, Laterza, Roma-Bari, 2009.

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Dopo la rivoluzione chirografica e gutenberghiana, a metà Ottocento si assiste a una rivoluzione elettri- ca ed elettronica che grazie ai recenti processi tecnologici raggiunge il suo apice nell’ultimo decennio. Per approfondimenti: M. Baldini, D. Marucci (a cura di), La parola nella galassia elettronica, Armando, Roma; P. Giugliano, A. Marino, Il linguaggio della burocrazia. Dal messo comunale alla firma digitale, Aracne, Roma, 2006.

alcuni degli strumenti che agevolano la lettura, la ricerca delle informazioni e dunque la lo- ro comprensibilità sul web. Il lettore dell’ipertesto è un lettore attivo rispetto al lettore del testo cartaceo: egli non è obbligato a seguire una lettura lineare e sequenziale, può scegliere il percorso di lettura che meglio risponde alle sue esigenze, ai suoi interessi, ai suoi tempi82; da qui l’utilità delle evidenziazioni in neretto, della formulazione delle informazioni a mo’ di domanda e risposta, dei banner di guida nella lettura e di sintesi dei contenuti, dei “bian- chi” per l’alleggerimento grafico, ecc.

Gli storici della comunicazione concordano nel rintracciare nella scrittura elettronica e ipertestuale alcuni dei vantaggi persi con il passaggio dall’oralità primaria alla scrittura al- fabetica, in particolare il ritorno del colore, del suono e dell’audiovisivo accanto allo scrit- to; tanto da parlare – sulla scia di Walter Ong che con l’espressione “seconda oralità” si riferiva al passaggio dai media alfabetici ai media non alfabetici – di una «oralità terziaria dei sistemi multimediali, della realtà virtuale e della rete»: «una oralità elettronica come la “seconda”, ma [che]si basa sulla simulazione della sensorialità, non più sulla trasmissione della sensorialità»83. Se la società degli anni Sessanta veniva celebrata come “civiltà del- l’immagine” per effetto del dominio dell’audiovisivo, la nostra è designata, soprattutto grazie agli sviluppi della telematica, come “società della comunicazione”. In essa «il con- cetto di audiovisivo [viene] riassorbito in quello più ampio di multimedialità: l’evoluzione tecnologica ci ha abituati a una fruizione integrata della comunicazione, in cui la parola scritta ha riconquistato uno spazio importante»84.

Per effetto di tali mutamenti, l’interesse dei linguisti si sposta pertanto dallo studio de- gli “italiani trasmessi”, della televisione, della radio e del telefono (i cosiddetti “media non alfabetici”), a quello dell’“italiano digitale” o “digitato”: fatto di parole, suoni e immagini e fatto di parole che sempre più devono somigliare, nella loro brevità e rapidità, a suoni e immagini; da sentire e guardare simultaneamente piuttosto che da leggere in modo sequen- ziale.

82

Cfr. G.P. Landow, Dal testo all’ipertesto, intervista realizzata il 16 febbraio 1998 a cura di Mediamen- te Rai Educational e pubblicata in Baldini, Marucci, op. cit., p. 39 e ss.

83

D. De Kerckhove, La simulazione della sensorialità: l’oralità terziaria. Conversazione con A. Buffardi, in http://www.politicaonline.it/index.php?p=44. Si vedano anche le riflessioni, per certi versi antesignane, di J.D. Bolter, Turing’s Man. Western Culture in the Computer Age, University of North Carolina Press, Chapel Hill, 1984. Trad. it.: L’uomo di Turing. La cultura occidentale nell’età del computer, Pratiche, Parma, 1985;

Id., Writing Space. The Computer, Hypertext, and the Remediation of Print, Lawrence Erlbaum Associates,

Hillsdale (N.J.), 2001 (1a ed. 1993). Trad. it.: Lo spazio dello scrivere. Computer, ipertesto e la ri-meditazione

della stampa, Vita e Pensiero, Milano, 2001.

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A. Antonelli, Dall’audiovisivo al multimediale: scripta volant, in Id., L’italiano nella società della

La scrittura digitale, divenuta attività quotidiana nelle diverse situazioni formali ed in- formali e per una larga fetta della popolazione, si avvicina sempre più alla lingua parlata e contribuisce alla “risalita” di forme del parlato, in passato considerate “trascurate” e meno “sorvegliate”, dalle varietà substandard alle varietà standard. L’italiano digitale trasforma così l’italiano contemporaneo dell’uso comune: che accoglie forme italianizzate, e dunque meno marcate diatopicamente, di dialetto, tratti diastratici dell’italiano cosiddetto “popola- re”, tratti diafasici dei registri bassi e colloquiali e tratti diamesici del parlato, nonché termi- ni stranieri, in particolare anglosassoni e ormai cosmopolitici, collegati all’internazionaliz- zazione dei mercati, allo sviluppo della telematica e al prestigio dei linguaggi tecnico-scien- tifici; e nel contempo respinge forme considerate arcaiche, in disuso o rare – così segnalate nei dizionari – che scompaiono progressivamente dal lessico di frequenza della lingua ita- liana85.

Per quanto concerne più direttamente il nostro oggetto di studio, l’italiano burocratico, abbiamo già detto di quanto esso resista a tali tendenze di ristandardizzazione. All’au- mento dei sistemi e delle tecnologie informative e informatiche non sempre corrisponde – al contrario di quanto indurrebbero a far pensare le teorie del determinismo tecnologico86, nonché gli apologeti della democraticità intrinseca della rete – un reale miglioramento della trasparenza e della qualità dell’informazione.

L’informatizzazione dei documenti della pubblica amministrazione, non supportata da in- terventi concreti sul testo – nell’ottica della precisione dei contenuti, della semplicità espo- sitiva e dell’organizzazione concettuale – si traduce spesso in una mera trasposizione del

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Per un approfondimento sui fenomeni di risalita di forme substandard verso lo standard si rinvia a A. Sobrero, La variazione e gli usi, vol. II, in Id., Introduzione all’italiano contemporaneo, 2 voll., Laterza, Roma-Bari, 1993.

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Secondo la teoria del determinismo tecnologico, risalente al sociologo statunitense Thorstein Ve- blen, i mutamenti sociali sarebbero determinati dalle trasformazioni tecnologiche. Nella seconda metà del Novecento nello studio dei rapporti tra media e società si distinse la scuola di Toronto, di cui massimo e- sponente fu Marshall McLuhan. L’espressione “the medium is the message” divenne da allora esemplificativa del cambiamento dettato nei modi di pensare e di vivere e nell’ambiente sociale dalle tecnologie della scrittura. Cfr. M. McLuhan, The Medium is the Message, Bantam, New York, 1967 (1a ed. 1964). Trad. it.: Il medium è

il messaggio, Feltrinelli, Milano, 1968. Studi comunicativi ispirati alle teorie deterministiche tecnologiche

hanno messo in risalto come il canale non sia un semplice mezzo fisico e meccanico che consente la trasmis- sione neutrale del messaggio. La “canalizzazione” di un messaggio implica inevitabilmente modificazioni so- stanziali nella struttura, nella concezione e nella ricezione del messaggio: da un punto di vista semiotico, essa comporta sempre una riduzione della polisemia dei significati e una semplificazione della complessità fi- nalizzata a rendere possibile l’accordo tra il senso intenzionato dall’emittente e quello acquisito dal ricevente. Certamente Internet richiede e sollecita modalità specifiche di scambio delle informazioni – dirette, sim- metriche, interattive, ecc. Tuttavia non sempre queste si traducono in maggiori opportunità partecipative. Numerosi sono infatti gli ostacoli che si frappongono all’auspicata trasparenza: tra questi, appunto, il codice con cui i testi amministrativi, nonostante la loro collocazione in rete, continuano a essere scritti. In tal senso, potremmo dire, il mezzo non è il messaggio; o comunque non incide in maniera decisiva su quel codice bu- rocratico che pare resistere a qualsivoglia “riduzione” di complessità e di incertezza.

documento amministrativo dal supporto cartaceo alla vetrina elettronica; come è stato detto, in una operazione di cosmesi linguistica e di “puro maquillage” (Piemontese). Ancora una volta all’aumento dell’accessibilità, in questo caso consentita dalla digitalizzazione, non corrisponde un altrettanto aumento della comprensibilità.

Il nuovo mezzo di comunicazione impone innanzitutto un riadattamento della forma dei documenti. Ognuno può sperimentare come la lettura di un testo al computer sia assai più difficoltosa di quella di un testo cartaceo. Interventi sulla lunghezza dei testi e sull’ordine logico dell’esposizione sono pertanto fondamentali in termini di accessibilità.

Sebbene la comunicazione attraverso Internet privilegi linguaggi semplificati e vicini alla lingua parlata dei cittadini – in sintonia e contemporaneamente sollecitando le tendenze alla semplificazione in atto nell’italiano contemporaneo87

–, i testi giuridico-amministrativi inse- riti nel web sembrano opporre resistenza a possibili “contaminazioni” da parte della scrittu- ra sul web; contraddistinta, come si può facilmente osservare, da una serie di standard lin- guistici, testuali e grafici che rendono altamente “usabili”88 le informazioni: l’impiego di termini comuni, l’assenza di subordinate e connettivi, la giustapposizione delle frasi, la pre- valenza dell’indicativo, e del presente, passato semplice e futuro semplice, la costruzione del testo per brevi paragrafi contenenti una sola idea, la frequenza di titoli e sottotitoli, l’organizzazione delle informazioni secondo il criterio delle rilevanza, l’utilizzo di elenchi puntati e numerati e di indici, riassunti, sezioni, l’accurata organizzazione del percorso di lettura, la grande quantità di strumenti di navigazione utili a orientare il visitatore, ecc.

Si tratta di accorgimenti che, se opportunamente riproposti nei testi amministrativi, non intaccherebbero in alcun modo la loro legittimità giuridica; avrebbero al contrario l’effetto di renderli più accessibili al vasto pubblico – nel senso dell’“usabilità” riferita ai siti web.

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Sull’italiano contemporaneo si vedano: A. Sobrero, Introduzione all’italiano contemporaneo, cit.; M. Dardano, Profilo dell’italiano contemporaneo, in P. Trifone, L. Serianni, Storia della lingua italiana. Scritto

e parlato, vol. II, 1994, Einaudi, Torino, pp. 343-430; M. Cortelazzo, Italiano d’oggi, Esedra, Padova, 2002;

P. D’Achille, L’italiano contemporaneo, il Mulino, Bologna, 2003; G.L. Beccaria, Per difesa e per amore. La

lingua italiana oggi, Garzanti, Milano, 2006. La distanza tra italiano burocratico e italiano digitale avverte,

di riflesso, anche della distanza linguistica delle nuove generazioni di utenti dal linguaggio delle leggi, delle regole e delle comunicazioni pubbliche in generale.

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La norma ISO 9241 del 1993 definisce l’usabilità come il «grado in cui un prodotto può essere usato da particolari utenti per raggiungere certi obiettivi con efficacia, efficienza e soddisfazione in uno specifico conte- sto d’uso». Secondo il guru della web usability Jakob Nielsen la lettura sullo schermo è di 25% più lenta di quella su carta e dunque obbliga a uno stile essenziale, breve e coinciso. Considerato che l’attenzione del lettore sul web è molto limitata rispetto a quando si legge su carta, è essenziale – suggerisce Nielsen – ricorrere a una serie di strategie comunicative. Innanzitutto, occorre, sulla base del principio della piramide capovolta, iniziare il testo con le conclusioni in modo da permettere all’utente di capire “a colpo d’occhio” quali sono i contenuti della pagina e come orientare la sua lettura. Per approfondimenti si veda: J. Nielsen, Designing Web Usability, Macmillan Computer Publishing, 2000. Trad. it.: Web Usability, Apogeo, Milano, 2000; Id., H. Loranger,

Prioritizing Web Usability, Pearson Education Inc. Trad. it.: Web Usability 2000. L’usabilità che conta,

Ma affinché questo possa avvenire in modo estremamente attento e controllato, come la materia giuridico-amministrativa richiede, sarà necessario dapprima puntare sulla riqualifi- cazione in senso “umanistica” e sulla formazione delle risorse umane: fattore imprescindibi- le per un utilizzo efficace e responsabile delle nuove tecnologie. Il rischio altrimenti è quel- lo, come è stato già sottolineato, che «il grande ventre della burocrazia riesca a inglobare anche la tecnologia, e il suo gergo, aggiungendo così complicazione anziché produrre snel- limento»89.