• Non ci sono risultati.

Analisi sociologica intorno alla conservatività del codice

1. Framework teorico e obiettivo della ricerca

In seguito ad un’attenta ricognizione della letteratura sull’argomento, è stato possibile nota- re come ad oggi non risulti che in ambito nazionale sia stata dedicata specifica e sistematica attenzione sociologica1 all’analisi delle motivazioni sottostanti all’adozione di comporta- menti linguistici burocratici.

Da più parti è stato notato come sia rinvenibile un’asimmetria comunicativa e relazionale nell’utilizzo da parte delle istituzioni pubbliche di un codice simbolico che appare tuttora vincolato alle logiche autoritative del passato e a quella cultura della riservatezza e della se- gretezza dell’attività amministrativa contro cui sono state dirette le riforme degli anni No- vanta; e come il medium linguistico istituzionale, anziché favorire la relazione tra istituzioni e cittadini, emerga anzi come serio e tenace ostacolo allo sviluppo di una “cultura del servi- zio” nelle amministrazioni pubbliche e, di conseguenza, alla realizzazione dei moderni dirit- ti di cittadinanza nella società civile (in primis al diritto a un’informazione trasparente e

1

Riferimenti teorici si rintracciano in studi più generali sui processi comunicativi pubblici: a partire da quelli a cura di Franca Faccioli confluiti in Diritto all’informazione e comunicazione pubblica. Come parla-

no le istituzioni (in «Sociologia e ricerca sociale», 44, 1994) e a cura di A. Mazzacane raccolti negli Atti del

IVo Convegno annuale della Società per gli studi di storia delle istituzioni tenutosi a Napoli nel 1998, I lin-

guaggi delle istituzioni (Cuen, Napoli, 2001). Se si escludono le indagini sociolinguistiche, di carattere per lo

più quantitativo e socio-statistico, condotte a partire dal 1987 dal Gruppo universitario linguistico e pedagogi- co (Gulp) dell’Università La Sapienza di Roma, che si avvale del prestigioso coordinamento scientifico di Tullio De Mauro e di Maria Emanuela Piemontese, risultano altrettanto carenti le ricerche empiriche di ca- rattere sociologico sul linguaggio della pubblica amministrazione.

Alcuni importanti studi sui comportamenti linguistici istituzionali sono stati compiuti a livello internazio- nale; molti dei quali confluiti in importanti riviste quali «Language in Society» e «International Journal of the Sociology of Language», e ricordati in manuali, tra cui quello di J.A. Fishman, The Sociology of Language, Rowley, Mass, 1971. Trad. it.: La sociologia del linguaggio, Officina, Roma, 1975; e di R.W. Fasold, The So-

ciolinguistic of Society, Blackwell, Oxford, 1984. Particolarmente utili all’impostazione della presente ricerca

sono risultate: l’analisi del linguaggio delle istituzioni e del linguaggio come istituzione condotta da Peter Ber- ger (P.L Berger, B. Berger, Sociology. A biographical Approach, Basic Books, New York, 1975. Trad. it.: So-

ciologia. La dimensione sociale della vita quotidiana, il Mulino, Bologna, 1977) e lo studio di J. Gumperz sui

“linguaggi speciali”, intesi come riflesso della «variazione linguistica sovrapposta» esistente nel repertorio ver- bale di una comunità linguistica per effetto dei differenti tipi di attività informali e formali (J. Gumperz, The

Speech Community, in «International Enciclopedia of Social Sciences», IX, Crowell Collier & Macmillan,

New York, 1968, pp. 381-386. Trad. it. La comunità linguistica, in Giglioli P.P., Fele G., Linguaggio e conte-

sto sociale, il Mulino, Bologna, 2000, pp. 171-183). Si ritornerà più avanti su questi argomenti (il linguaggio

come istituzione e i linguaggi speciali e le loro funzioni).

Come abbiamo già avuto modo di precisare nell’Introduzione, le sole indagini che sono state portate avanti a livello nazionale nell’ottica dei nostri medesimi obiettivi di ricerca sono quelle di M. Viale, Studi e ricerche sul

linguaggio amministrativo, Cleup, Padova, 2008; e D. Zorzi, Atteggiamento verso la semplificazione: alcuni punti di vista, in «ITER LEGIS», gennaio-aprile 1998, pp. 275-284.

corretta, al diritto di accesso alla documentazione e al diritto di partecipazione al procedi- mento amministrativo).

Cittadini e studiosi giudicano i moduli espressivi prevalenti nelle organizzazioni centrali e periferiche dello Stato, nonché nelle organizzazioni cosiddette “semi-pubbliche” e “semi- private”, inadeguati ai nuovi modelli di comunicazione pubblica e istituzionale: a causa del- la loro oscurità oggettiva2 e contemporaneamente a causa della distanza relazionale che di volta in volta essi sembrano riproporre tra istituzioni anonime e impersonali e cittadini per- cepiti ancora come destinatari passivi di informazioni e servizi.

Se «la democrazia di un paese si misura anche dalla possibilità di partecipazione dei citta- dini alla vita culturale, sociale e politica», è chiaro che una società democratica può realiz- zarsi soltanto «nella misura in cui questi sono messi nella condizione di conoscere e di com- prendere i contenuti dell’azione dello Stato, le ragioni che la muovono e le modalità con le quali viene attuata»3. Soluzioni al senso di estraneità, frattura e fastidio dilaganti nella socie- tà civile possono dunque discendere soltanto da una maggiore trasparenza linguistica nella fase di produzione dei messaggi e dall’instaurazione di un rapporto comunicativo simmetri- co e paritario.

Sulla teorizzazione di un paradigma relazionale e comunicativo bidirezionale, espressio- ne e insieme “organo” di una progressiva democratizzazione dell’agire amministrativo, ri- sultano attualmente impegnati studiosi che, dedicandosi più specificatamente all’interno della sociologia dei processi culturali e comunicativi a un’analisi dei comportamenti comu- nicativi pubblici, hanno di recente dato vita a una disciplina con uno specifico statuto teori- co e concettuale e apparato critico e metodologico: appunto la sociologia della comunica- zione pubblica (e istituzionale)4.

Ritenuto già nel senso comune un vero e proprio codice di “casta”, utilizzato a garanzia di privilegi di un determinato ceto professionale e gruppo sociale, il linguaggio burocratico viene annoverato nella letteratura sociologica tra le principali barriere burocratiche che im-

2

È ciò che abbiamo inteso dimostrare sulla base dei risultati di studi preesistenti e di analisi linguisti- che direttamente condotte sui testi amministrativi e richiamate nel capitolo precedente.

3

F. Faccioli, Comunicazione pubblica e cultura del servizio. Modelli, attori, percorsi, Carocci, Roma, 2000, p. 11.

4

Tra i tanti: P. Mancini, Manuale della comunicazione pubblica, Laterza, Roma-Bari, 2011 (1a ed. 1996); F. Faccioli, Comunicazione pubblica e cultura del servizio, cit.; G. Arena, La funzione di comunicazione

nelle pubbliche amministrazioni, Maggioli, Rimini, 2002; S. Rolando, Teorie e tecniche della comunicazio- ne pubblica. Dallo stato sovraordinato alla sussidiarietà, Etas, Milano, 2002; L. Solito, Cittadini e istituzio- ni. Come comunicare, Carocci, Roma, 2004; M. Cavallo, La comunicazione pubblica tra globalizzazione e nuovi media, FrancoAngeli, Milano, 2005; G. Ducci, Pubblica amministrazione e cittadini: una relazionali- tà consapevole. Gli sviluppi di una comunicazione pubblica integrata, Angeli, Milano, 2006; P. Malizia, Comunic-a-zioni. Strutture e contesti sociali dell’agire comunicativo, FrancoAngeli, Milano, 2006.

pediscono di fatto l’instaurazione di un rapporto dialogico tra amministrazioni e cittadini e che alimentano il senso di sfiducia nei confronti dell’agire amministrativo.

È nel contesto dei percorsi di democratizzazione dell’agire amministrativo (che prevede innanzitutto trasparenza, inclusione e partecipazione) che la riforma linguistica del sistema amministrativo acquisisce rilevanza sociale: in quanto auspicabile riflesso di una struttura e di relazioni sociali democratiche; ma, ancor prima, quale strumento atto a produrre cam- biamenti in senso democratico in quella stessa struttura e in quelle relazioni sociali5.

Assumendo una comunità linguistica quale «campo d’azione in cui la distribuzione delle varianti linguistiche è un riflesso di fatti sociali»6, diventa chiaro come variazioni nell’uso del repertorio linguistico sono richiesti dagli stessi cambiamenti sociali in atto. Nel momen- to in cui variazioni sono in corso all’interno di un determinato ambiente professionale e nel- le logiche di interazione tra questo e l’esterno, si impone contemporaneamente la revisione di certe “scelte” linguistiche e la messa in discussione della «fedeltà linguistica» del gruppo a un dato sistema di norme e ad aspettative socialmente riconosciute; in funzione di una maggiore appropriatezza delle scelte linguistiche ai nuovi modelli di interazione sociale7.

Abbiamo visto come ciò che agli operatori nel mondo pubblico si chiede in una società “plurilingue” è il superamento di quella soglia che Gumperz definisce «compartimentaliz- zazione», ossia separazione netta tra varietà linguistiche «sovrapposte», a favore di un re- pertorio linguistico maggiormente fluido, dinamico e flessibile da cui estrarre la varietà più appropriata alle diverse situazioni.

Gli indicatori linguistici su cui ci siamo già soffermati – lessicali, sintattici, strutturali – sono senz’altro direttamente collegati a esigenze tecniche proprie dell’ambiente professio- nale in oggetto (lo sono sicuramente, per esempio, i tecnicismi giuridici, ma lo sono anche, in generale, certi livelli stilistici formali appropriati ai prodotti comunicativi pubblici). Tut- tavia, contemporaneamente essi forniscono indicazioni sul tipo di relazione sociale che si

5

È questa, per esempio, la tesi sostenuta da Basil Bernstein in Class, Codes and Control. Theoretical Stu-

dies Towards a Sociology of Language, vol. I, Routledge & Keagan Paul, London-Boston, 1971.

6

Qualsivoglia comportamento linguistico fornisce numerose informazioni extralinguistiche: «La scelta ef- fettuata da un individuo fra le alternative che possono essere permesse in un particolare evento linguistico può rivelare la sua origine familiare e il suo intento sociale, può caratterizzarlo come meridionale, settentrionale, come uomo di città, come contadino, come membro delle di classi colte o incolte, e può anche indicare se egli voglia apparire amichevole o distaccato, familiare o rispettoso, superiore o inferiore». Cfr. Gumperz, La co-

munità linguistica, cit., p. 177.

7

Gumperz nel 1968 dimostrava per esempio come «la fedeltà linguistica [a una lingua standard] può diven- tare un problema politico in una società in via di modernizzazione quando minoranze sociali si mobilitano. Le loro richieste di una più stretta partecipazione politica sono spesso accompagnate da richieste per una riforma della lingua o per una riforma della scrittura del vecchio codice ufficiale». Siffatte richieste, riflettendo con- temporaneamente un atteggiamento sociale, possono rappresentare in taluni casi finanche una minaccia di de- stituzione dell’élite consolidata (Gumperz riporta i casi di conflitti linguistici tradottisi in zone dell’Africa e dell’Asia in veri e propri tumulti popolari). Ivi, p. 172.

instaura tra i partecipanti. Sappiamo infatti che a determinate situazioni sociali corrispondo- no certe scelte linguistiche: solo a titolo esemplificativo, a seconda dei contesti comunicati- vi e dello status sociale e professionale dell’interlocutore, si utilizzeranno un sistema allocu- tivo più o meno fondato sulla simmetria o la riverenza (lei, Lei, S.V., SS.LL., ), formule di saluto più o meno “distinte”, “cordiali” o “calorose”; modi di rivolgersi all’interlocutore più o meno formali o intime (spettabile, egregio, gentile, caro) e così via8.

I testi amministrativi non veicolano quindi soltanto contenuti di difficile interpretazione ma anche chiari “indizi” del tipo di relazione sociale che si intende proporre o che ricorsiva- mente si auto-ripropone in una data situazione comunicativa – la definizione “linguistica” della relazione sociale non sempre infatti è data intenzionalmente ed espressamente; essa è spesso già insita, come si vedrà più avanti, in pratiche amministrative riprodotte ritualmente e in modo inconsapevole.

Inoltre, in virtù del rapporto di circolarità tra dimensione linguistica e dinamica sociale, il linguaggio interviene direttamente non soltanto nella “definizione”, appunto linguistica, del- la relazione sociale ma anche, più in generale, nei processi di costruzione della realtà socia- le. È così che un linguaggio maggiormente accessibile e trasparente diventa prerequisito imprescindibile per la realizzazione di una società effettivamente democratica.

Tutta la sociologia del linguaggio, come è stato chiaramente specificato da uno dei suoi esponenti più rappresentativi a livello nazionale, si interroga su tale rapporto di circolarità.

La sociologia del linguaggio, rispetto ad altre discipline, che pur nella loro diversità so- no ad essa intimamente collegate, come la linguistica e la sociolinguistica, ha, a mio avviso, come suo obiettivo specifico quello di porre in evidenza le fondamentali fun- zioni del linguaggio nei processi di costruzione della realtà sociale, nella formazione delle rappresentazioni sociali e delle identità individuali e collettive, nonché nelle rela- zioni e interazioni che gli attori stabiliscono tra loro. D’altro canto, la sociologia del linguaggio deve anche mostrare l’influenza che sul linguaggio hanno le strutture sociali e i condizionamenti materiali […], in un rapporto di circolarità tra dimensione lingui- stica e dinamica sociale9.

Inquadrata all’interno di questo preciso contesto teorico e disciplinare, e traendo le mosse proprio dal profondo rapporto di circolarità tra linguaggio e agire sociale, la ricerca che an- diamo qui a presentare, intende più specificatamente approfondire – e per certi versi “sma-

scherare” – i limiti che il percorso di democratizzazione linguistica incontra all’interno del

8

Ivi, p. 172. 9

“campo amministrativo”10

complessivamente considerato: nei suoi aspetti strutturali, pro- cedurali e simbolici.

L’analisi storica, linguistica e sociologica fin qui condotta sul linguaggio della burocrazia italiana ci ha consentito di acquisire gli strumenti concettuali essenziali per un’opportuna collocazione dell’oggetto d’indagine all’interno dell’ampio dibattito sviluppatosi intorno ai cambiamenti organizzativi e culturali in atto nelle istituzioni post-moderne e nel loro rap- porto con la società civile. È in stretta connessione con tali mutamenti che devono essere infatti necessariamente indagati i fenomeni di democratizzazione dell’“agire linguistico” delle pubbliche amministrazioni per riuscirne a rilevare opportunità e limiti.