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Le insidie dell’antilingua: “effettuare” versus “fare”

La questione della lingua si riapre con vecchi e nuovi nuclei tematici e problematici negli anni Sessanta: quando a processo di italianizzazione ormai avanzato58, ci si interroga sul mutato rapporto tra lingua e società: sono questi gli anni in cui l’italiano incontra e accoglie l’inglese del linguaggio tecnico-scientifico, in cui i dialetti, espressione del mondo rurale e locale, sembrano avviarsi al declino59 e in cui i mezzi di comunicazione di massa dettano una nuova forma – quando non anche nuovi contenuti – ai messaggi. Il progresso tecnolo- gico, l’industrializzazione, lo spopolamento della campagna, il trasferimento massiccio dal Sud verso il triangolo industriale, la scolarizzazione di massa e lo sviluppo dei media han- no inciso notevolmente nel mutamento della situazione linguistica nazionale: nel consolida- mento dell’italiano come lingua d’uso e contemporaneamente nella maturazione delle di- verse varietà linguistiche – si pensi agli italiani regionali sul piano “diatopico”, all’italiano popolare sul piano “diastratico”, ai vari registri sul piano “diafasico” (italiano colloquiale,

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Secondo le già ricordate stime compiute da De Mauro sulla base dei dati Istat, dal 1861 al 1955 la percentuale d’uso dell’italiano sulla popolazione dell’epoca era salita dall’1,5% al 10,0%, quella dell’italiano accanto al dialetto dall’1,0% al 24,0%, mentre quella del dialetto era scesa dal 97,5% al 66,0%. Si tratta, come ha specificato De Mauro, di un processo di italianizzazione strutturale: «avvenuto nei grandi centri sotto il diretto influsso dell’italiano e nei centri minori sia sotto l’influsso dei dialetti urbani, maggiormente italianiz- zati, sia, fra le due guerre e poi, sotto l’influsso diretto della lingua comune». Cfr. T. De Mauro, Storia lingui-

stica dell’Italia unita, cit., p. 140.

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La situazione odierna smentisce in realtà la tendenza del progressivo declino dei dialetti. Un’indagi- ne Istat dimostra come al 2006, nonostante l’indiscusso consolidamento della lingua italiana e la diminu- zione dell’uso esclusivo del dialetto, si stia registrando un aumento dell’uso del dialetto alternato o fram- misto all’italiano soprattutto nelle situazioni informali, a casa, tra amici e in modo particolare sul web (in fami- glia il 32,5%, con amici il 32,8%, con estranei il 19%). Cfr. Istat, La lingua italiana, i dialetti, le lingue stranie-

italiano standard, italiano neo-standard o dell’uso medio, italiano formale aulico) e alle lingue specialistiche e settoriali60.

A inaugurare la nuova stagione di dibattiti letterari e sociali è Pier Paolo Pasolini con la pubblicazione di un saggio dal titolo Nuove questioni linguistiche che appare su Rinascita il 26 dicembre del 196461. L’autore intende comunicare le sue preoccupazioni per la situazio- ne linguistica italiana del secondo dopoguerra. Piuttosto che la lingua di base toscana pro- mossa dalle politiche linguistiche post-unitarie, ma giammai effettivamente realizzatasi co- me lingua d’uso al di sopra dei vari dialetti e italiani regionali, in virtù del boom economico di quegli anni si stava imponendo, a suo dire, un nuovo italiano nazionale: «la lingua tecni- ca», «la lingua della produzione e del consumo», forgiata nelle grandi industrie capitalisti- che del Nord dalla nuova borghesia italiana; la arida ma potente «lingua della comunicazio- ne» dell’élite tecnocratica e dell’asse Milano-Torino che andava a contrapporsi alla lingua dell’élite letteraria dell’asse Roma-Firenze e alla costellazione dei dialetti al contrario mas- simamente espressivi e vitali. Pasolini si dichiara allarmato non solo per la perdita dell’iden- tità letteraria nazionale e della cultura umanistica ad essa sottostante, bensì, sulla scia del- l’insegnamento gramsciano, anche per il processo di omologazione linguistica e culturale con cui la nuova borghesia avrebbe tentato ancora una volta di imporre la propria egemo- nia ai danni della cultura popolare.

Il dibattito su Rinascita e sul suo supplemento politico mensile Il contemporaneo si in- tensificò e vi parteciparono numerosi intellettuali italiani, tra cui Elio Vittorini, Franco Fortini e in particolare Italo Calvino; il quale era stato chiamato direttamente in causa da Pasolini in relazione ad alcune controversie stilistiche e il quale aveva già maturato idee ben precise sulla questione. L’italiano tecnologico – a parere di Calvino – si stava certamente imponendo ma come un codice specialistico tra gli altri della lingua italiana, un codice alta- mente comunicativo che non avrebbe sostituito gli altri; al contrario, se rigoroso e univoco nella terminologia – nonché agile e snello nella costruzione sintattica –, esso avrebbe finan- che arricchito il repertorio linguistico della nazione e incrementato «il capitale tesaurizzabi-

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Si riprenderanno nel prossimo capitolo i concetti sociolinguistici di “diastratia”, “diamesia” e “diafasia” elaborati da Gaetano Berruto per descrivere il rapporto di covariazione tra fatti linguistici e sociali. Intanto ci li- mitiamo ad anticipare che in Italia gli studi sulla variazione diatopica (in particolare sulla situazione di di- glossia tra italiano e dialetto) sono stati predominanti fino alla metà del XX secolo. Successivamente, in ri- sposta ai profondi cambiamenti sociali (in primis spopolamento delle campagne e urbanizzazione) e cul- turali (aumento della scolarizzazione e diffusione dei mezzi di comunicazione di massa) registratisi nel do- poguerra, si sono sviluppati quelli sulla variazione diastratica. Mentre l’attenzione alla dimensione diafa- sica e alla dimensione diamesica si è affermata per effetto della fortuna degli studi rispettivamente di lin- guistica testuale (su cui ci soffermeremo nel prossimo capitolo) e di teorie e tecniche della comunicazione.

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P.P. Pasolini, Nuove questioni linguistiche (1964), in Empirismo eretico, Garzanti, Milano, 1972, pp. 9-28.

le dalla lingua». Se invece l’italiano, in generale, non si fosse dimostrato una «lingua stru-

mentalmente moderna», piuttosto che assistere alla nascita dell’italiano, come sembrava

credere Pasolini, secondo Calvino sarebbe giunta l’ora della sua morte.

Naturalmente l’italiano tecnologico del tempo non corrispondeva, per l’astrattezza e la «sintassi ramificata e sinuosa», all’ideale linguistico calviniano: «l’italiano il più possibile preciso e concreto»62. Tuttavia – precisa Calvino in un suo ulteriore intervento nel dibattito dell’epoca63

– il linguaggio tecnologico può aspirare a diventare un efficace strumento di rappresentazione della realtà e di comunicazione respingendo gli influssi negativi su di essi esercitato dall’“antilingua”, ossia dalla tendenza, prevalente soprattutto in certi linguaggi specialistici, all’astrazione esasperata. Nella generale “burocratizzazione” della lingua è da ricercarsi dunque il vero ostacolo all’espressione più sublime dello spirito letterario, alla più agile e schietta comunicazione quotidiana e, in particolare, alla utile e onesta comunicazio- ne istituzionale e politica.

L’autore offre una testimonianza assai efficace di quel meccanismo della scrittura e del pensiero con cui automaticamente e quotidianamente la lingua italiana viene tradotta, da «avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d’amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali» in «un’antilingua inesistente»; una testimonianza emblematica assurta oggi a manifesto della lotta al burocratese:

Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L’interrogato, seduto davanti a lui, risponde alle domande un po’ balbettando, ma attento a dire tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo: «Stamattina presto andavo in can- tina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del car- bone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata». Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fede- le trascrizione: «Il sottoscritto essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei lo- cali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’esse- re casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di aver effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo du- rante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione del- l’esercizio soprastante»64

.

Calvino indica con l’espressione «terrore semantico» l’automatismo psico-cognitivo che induce, in parte inconsapevolmente, a rifuggire da «ogni vocabolo che abbia di per se stes-

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I. Calvino, L’italiano, una lingua tra le altre lingue, in «Rinascita», 30 Gennaio 1965; ora in Una pie-

tra sopra, Mondadori, Milano, 2002 (1a ed. 1995), pp. 141-148. 63

Id., L’antilingua, in «Il Giorno», 3 Febbraio 1965; ora in Una pietra sopra, Mondadori, Milano, 2002 (1a ed. 1995), pp. 149-154.

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so un significato» e a utilizzarne altri meno precisi, anzi allusivi e sfuggenti che hanno al contrario il potere di offuscare il significato e di incutere pertanto nel destinatario uno stato di soggezione e di subordinazione all’interno del processo interpretativo. E così all’univoci- tà e densità semantica custodita in un termine come “stufa” si preferisce la vaghezza e fles- sibilità concettuale e interpretativa di un’espressione quale “impianto termico”, a “stamatti- na presto” “nelle prime ore antimeridiane”, a “fiaschi” “prodotti vinicoli”, a “carbone” “combustile”, a “cantina” “locali dello scantinato”, ad “accendere” “eseguire l’avviamen- to”, a “trovare” “rincorrere nel rinvenimento”, a “dietro” “situati in posizione retrostante”, a “cassa” “recipiente adibito al contenimento”, a “prendere” “effettuare l’asportazione”, a “scassinato” “avvenuta effrazione”, a “la bottiglieria di sopra” “esercizio soprastante”, ecc.

Nel passaggio dal parlato allo scritto, dallo stile colloquiale a quello ufficiale, il lessico si allontana da quello corrente e “denotativo” della vita quotidiana e il collegamento sintattico diventa più complicato e artificioso: all’interrogato sono bastate 42 parole per raccontare dettagliatamente dell’accaduto, mentre al brigadiere ne occorrono 64 per verbalizzare i me- desimi contenuti; ai tre periodi coincisi e ordinati divisi dalla punteggiatura se ne sostituisce uno unico contenente ben sette frasi subordinate a catena; alla concretezza dei verbi comuni e concreti si preferisce l’astrattezza delle forme verbali perifrastiche costruite con il verbo generico seguito dalla nominalizzazione (“effettuare l’asportazione”)65.

Dal parlato allo scritto, dalla lingua dell’interrogato a quella del brigadiere, il messaggio subisce una riformulazione linguistica essenziale non ai fini della comprensione – abbonda- no termini non comuni, astratti e generici, subordinate e modi impliciti che anzi rallentano decisamente il processo di decodifica da parte del lettore – ma ai fini dell’adattamento al registro ritenuto più pertinente, formale e “prestigioso”.

Calvino approfondisce le ragioni psicologiche sottese al ricorso all’antilingua e individua nell’attaccamento imperterrito del burocrate alla sua nobile funzione e nel corrispettivo an- nullamento della propria personalità, la radice dell’antilingua: «Chi parla l’antilingua ha

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Per un’analisi linguistica più approfondita si rinvia a F. Franceschini, La semplificazione del linguaggio

amministrativo, in Il processo di innovazione della pubblica amministrazione. Cultura del servizio e comu- nicazione pubblica, Atti del ciclo di seminari ottobre-dicembre 2003, Scuola Normale superiore, Pisa, 2004,

pp. 55-82. Conclude Franceschini: «Insomma il primo testo è molto più chiaro, chiama le cose con il loro nome e lo fa precisamente. Chiamare le cose con il loro nome non è assolutamente peccato; tuttavia la tradizione discorsiva della burocrazia, ma anche una tradizione culturale più ampia, passata attraverso l’educazione scolastica, ci ha inculcato l’idea che tutto quello che è chiaro e semplice, concreto e legato alla vita di tutti i giorni, è fuori posto in un discorso ufficiale: un discorso pubblico, istituzionale, sembra perdere di ‘aura’ se si parla di fiaschi di vino invece che di quantitativo di prodotti vinicoli. In realtà scelte linguistiche che nel- l’intenzione degli scriventi dovrebbero dare maggiore precisione e decoro stilistico ai testi amministrativi fi- niscono per generare effetti opposti, creando delle cortine fumogene dietro alle quali si perde di vista la real- tà concreta». Ivi, p. 57.

sempre paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla, crede di dover sot- tintendere: “io parlo di queste cose per caso, ma la mia funzione è ben più in alto delle cose che dico e che faccio, la mia funzione è più in alto di tutto, anche di me stesso”. La motiva- zione psicologica dell’antilingua è la mancanza d’un vero rapporto con la vita, ossia in fon- do l’odio per se stessi. La lingua invece vive solo d’un rapporto con la vita che diventa co- municazione, d’una pienezza esistenziale che diventa espressione»66.

A Pasolini che individua nell’italiano tecnologico la nascita della prima vera lingua na- zionale, Calvino risponde che, laddove prevale «l’italiano di chi non sa dire “ho fatto” ma deve dire “ho effettuato”», la lingua al contrario viene uccisa. L’italiano tecnologico potrà assurgere a lingua della comunicazione solo se non si lascerà contagiare dall’antilingua e re- cupererà il suo legame originario con la vita. Dunque ben venga l’inter-lingua scientifico-te- cnico-industriale se questa condurrà all’acquisizione di un linguaggio più rigoroso, preciso e funzionale alla società moderna. Anzi sia esso da esempio per quelle amministrazioni pubbliche che “scrivono, parlano e pensano” nell’antilingua, nonostante il richiamo costitu- zionale a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» alla «partecipazione del cittadino all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (c. 2, art. 3 Cost.).