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La riforma del linguaggio amministrativo

5. Il percorso giuridico della semplificazione del linguaggio amministrativo

5.2. La formazione “interrotta”

I documenti istituzionali che disciplinano le attività di informazione e comunicazione in- dividuano nella formazione – anzi, nell’adeguatezza, nella qualità e nella costanza dei pro- cessi formativi (lifelong learning)90 – il motore di un’effettiva modernizzazione della pub- blica amministrazione. Dalla valorizzazione e professionalizzazione del capitale umano, dal trasferimento delle conoscenze e delle competenze necessarie al percorso di riforma e dallo sviluppo della motivazione del personale al cambiamento sembrano dipendere sempre più le prossime tappe del percorso di ammodernamento istituzionale, di riqualificazione dei servizi pubblici e di crescita dell’intero sistema economico nazionale91.

Dunque, piuttosto che nell’aumento della produttività nel senso materiale del termine, se- gni dell’avanzamento del percorso di innovazione organizzativa sono da rintracciarsi, se- condo la gran parte degli studiosi92, nella valorizzazione della dimensione immateriale della produzione e nella cura per gli aspetti cognitivi e tecnologici dell’amministrare. Solo una formazione continua e un aggiornamento puntuale delle competenze lungo tutto l’arco pro- fessionale può consentire alle amministrazioni di affrontare le sfide dell’innovazione orga- nizzativa.

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Lucarelli, op. cit., p. 2. 90

La Strategia Europa 2020, con cui è rinnovata la precedente Strategia di Lisbona 2010, assegna alla cono- scenza, e dunque alla formazione, il ruolo di fattore imprescindibile e strategico di crescita per un’economia dell’Unione europea intelligente, sostenibile e solidale e quindi per una politica di coesione sociale.

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Nella nuova direttiva del ministro per la Pubblica amministrazione e l’innovazione del 30 luglio 2010 sulla “Programmazione della formazione delle amministrazioni pubbliche” si legge infatti: «L’introduzione di sistemi di valutazione della performance delle strutture amministrative e del personale, così come la pre- visione di strumenti di valorizzazione del merito e di incentivazione dell’impegno dei dipendenti pubblici, sono strumenti finalizzati a ridurre il divario di efficienza che ancora separa il sistema pubblico dal settore privato e a migliorare la qualità dei servizi erogati. Il rilievo dei servizi pubblici infatti (si pensi all’i- struzione, alla sanità, alla difesa, alla giustizia, all’assistenza ecc.) è tale che dalla loro qualità e disponibilità dipende il recupero complessivo di qualità e produttività del sistema economico e sociale del Paese».

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Tra tutti, F.P. Cerase, Amministrare: l’economia, la società. Ragioni, competenze, soggetti, FrancoAn- geli, Milano, 2006, pp. 43-96.

Nuove e più complesse conoscenze e competenze sono richieste alle organizzazioni post- moderne per la gestione strategica del cambiamento. Gli stessi processi di riorganizzazione istituzionale, discendenti dal decentramento e dal rafforzamento dei livelli locali di governo, necessitano del pieno coinvolgimento di tutto il personale e della sua idonea e continua ri- qualificazione professionale. Le modificazioni organizzative implicano passaggi repenti- ni e imprevedibili da conoscenze, comportamenti e abitudini inadeguate ai nuovi contesti i- stituzionali e operativi a saperi e skill rispondenti a precisi standard di rendimento lavora- tivo ed essenziali allo svolgimento dei compiti previsti per la realizzazione di progetti.

Sappiamo come al precedente modello fordista, incentrato sulla razionalizzazione e sul rigido controllo del processo produttivo, sulla netta individuazione e attribuzione di qualifi- che funzionali e relative mansioni, sulla pianificazione sequenziale e rigida delle attività, si venga a sostituire con il post-fordismo un’organizzazione del lavoro “per progetti e compe- tenze” che assurge a «prassi gestionale delle risorse umane in linea con la nuova centralità acquisita nelle organizzazioni dagli attori e dalle loro logiche d’azione»93. La gestione delle risorse umane piuttosto che essere decisa sulla base di dichiarazioni formali di tito- li e di esperienze pregresse viene a dipendere sempre più dalla valutazione delle competen- ze e delle performance realmente dimostrate dai soggetti nel perseguimento dei fini stra- tegici dell’organizzazione.

La direttiva del ministro per la Funzione pubblica Franco Frattini del 13 dicembre 2001 sulla “Formazione e valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni” aveva richiamato i responsabili della gestione del personale e della formazione delle risorse u- mane ad assumere annualmente il compito di una programmazione e pianificazione delle attività formative sulla base dell’analisi dei fabbisogni formativi, in coerenza con la mis- sione istituzionale delle varie amministrazioni e compatibilmente con la domanda emer- gente di nuove e maggiori conoscenze e competenze nella società civile. Al fine di preve- nire il cosiddetto “dinamismo molecolare” e di ottenere il coinvolgimento attivo nella mo- dernizzazione del sistema di tutti coloro che vi operano, ciascun dipendente pubblico veniva individuato come destinatario di attività formative, in misura superiore rispetto ai prece- denti livelli percentuali di investimento in formazione sul monte retributivo; più specifi- catamente, doveva essere garantito un numero minimo di ore di formazione per ogni ad-

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Per approfondimenti sul nuovo modello di “amministrazione per progetti e competenze”, si veda F. Consoli, L. Benadusi, L’emergenza della metodologia delle competenze nel pensiero teorico e pratico ma-

detto sulla base di quanto previsto dai contratti collettivi. In virtù della contrattazione l’in- vestimento annuo in formazione verrà fissato poi all’1% del monte retributivo.

Negli anni a venire – come dimostrano i rapporti annuali sulla formazione nella pubbli- ca amministrazione94 – è possibile in effetti registrare una crescita costante della spesa per formazione; fino all’inversione di tendenza segnalata dal XIVRapporto annuale sulla for- mazione nella pubblica amministrazione.

In seguito all’introduzione delle misure anticrisi previste dal fin troppo noto patto di sta- bilità, vengono ridotti gli interventi formativi e le ore dedicate alla formazione. Il decreto legge 78 del 2010 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivi- tà economica”, convertito in legge 122 del 2010 – legge finanziaria del 2010, “legge di sta- bilità” –, stabilisce per le amministrazioni pubbliche la riduzione del finanziamento dedica- to alla formazione del 50% rispetto a quello impiegato nel 2009 (articolo 6, comma 13).

La direttiva 10 del 30 luglio 2010 sulla “Programmazione della formazione nelle am- ministrazioni pubbliche” emanata dal ministro per la Pubblica amministrazione e l’inno- vazione, intervenendo nell’ambito della strategia di riforma prevista dalle “Linee program- matiche sulla riforma della pubblica amministrazione – Piano industriale” del 28 maggio 2008”, ribadisce tuttavia la centralità e il ruolo strategico delle «politiche di valorizzazio- ne del capitale umano e di gestione della conoscenza, la cui efficacia all’interno di ogni si- stema organizzativo dipende in misura determinante dalla quantità e soprattutto dalla qua- lità delle risorse allocate per la formazione». In tale direzione, il Ministero, in quanto orga- no di indirizzo, coordinamento e programmazione in materia di formazione, aggiornamen- to professionale e sviluppo del personale delle pubbliche amministrazioni, si impegna a fornire alle amministrazioni indicazioni utili per un efficiente ed efficace utilizzo delle risor- se disponibili. Nonostante le ristrettezze economiche, nelle intenzioni del governo, la qualità

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Il Rapporto viene realizzato ogni anno dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione, in colla- borazione con il Formez, il Gruppo di lavoro tecnico delle regioni e delle province autonome, l’Istituto Gu- glielmo Tagliacarne delle Camere di Commercio e con il coordinamento dell’Ufficio per la Formazione del personale delle pubbliche amministrazioni del Dipartimento della Funzione pubblica. Oggetto è la forma- zione effettuata nei diversi livelli di governo (Stato centrale, Regioni, Province, Comuni, Camere di com- mercio). Nel 2010 sono state censite in totale 51.700 attività formative, 524.000 partecipazioni su circa 800.000 dipendenti delle amministrazioni pubbliche (tra queste tutte le Amministrazioni centrali, le Regioni e le Ca- mere di commercio e campioni ampiamenti significativi di Province e Comuni). Le aree tematiche prevalen- ti degli interventi formativi sono risultate: la giuridico-normativa, la tecnico-specialistica e quella informati- ca-telematica, in ordine diverso nei vari comparti. Ovviamente al numero elevato di dipendenti coinvolti in attività formative, di ore e di risorse finanziarie destinate alla formazione, non sempre corrisponde un’effet- tiva trasmissione alla struttura del know how acquisito e non sempre gli interventi formativi hanno riguarda- to saperi realmente spendibili all’interno della struttura.

della formazione, «dimensione fondamentale e costante del lavoro e strumento essenzia- le nella gestione delle risorse umane», deve essere comunque garantita95.

Una soluzione per far fronte alla scarsa disponibilità di risorse economiche viene indi- viduata nella riduzione degli incarichi esterni e nel ricorso esclusivo alla Scuola superiore della pubblica amministrazione per lo svolgimento di attività di formazione: sia esse in pre- senza sia in modalità e-learning. Un chiaro passo indietro rispetto alla governance della co-

noscenza fondata sulle sinergie tra governo, università e imprese e sul superamento della

posizione tradizionalmente autoreferenziale in nome dell’assunzione di un modello coope- rativo pubblico-privato.

Dal breve profilo qui delineato delle recenti politiche formative, è possibile intuire come anche per ciò che riguarda il percorso formativo sulla semplificazione del linguaggio ammi- nistrativo si stia verificando negli ultimi anni una fase di stallo che rischia di vanificare i ri- sultati ottenuti in un quindicennio di direttive e circolari, di guide e manuali, di corsi e labo- ratori, di convegni e giornate studio, di scritture e riscritture: soprattutto in termini di nuova sensibilizzazione al tema, di riqualificazione professionale e – sebbene vi sia ancora tanto da fare – in termini di “sburocratizzazione” del linguaggio delle amministrazioni pubbli- che.

Sono numerose le testimonianze che è stato possibile raccogliere all’interno della ricer- ca empirica condotta in questo studio sulla significatività delle esperienze formative. A tal proposito si rimanda a ciò che scrivono, riguardo alla partecipazione ad un percorso for- mativo in scrittura amministrativa, alcuni nostri testimoni privilegiati nei loro “resoconti formativi”:

«Alla fine di questo lavoro posso dire che l’atteggiamento nei confronti della co- municazione scritta è cambiato, adesso quando devo scrivere un testo mi pongo sempre più la domanda: chi è il destinatario della comunicazione e, soprattutto, è abbastanza chiaro quello che intendo dire?» (CP, res. 1).

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Il diritto allo studio dei lavoratori è garantito dall’art. 10 della legge 300/70 (Statuto dei lavoratori). Recita l’articolo: «I lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o co- munque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali. I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti […]».

La contrattazione collettiva prevede la concessione di un numero di ore retribuite (normalmente 150) nell’arco temporale di tre anni a favore di lavoratori che intendono frequentare corsi di studio istituiti presso strutture pubbliche o comunque legalmente riconosciute. Il diritto alla formazione e alla riqualificazione è ribadito inoltre dalla legge n. 53 del 2000: ogni lavoratore ha diritto ad ottenere la sospensione del rapporto di lavoro per poter conseguire un titolo di studio (art. 5) e a proseguire i percorsi di formazione professionale per tutto l’arco della vita per accrescere le proprie competenze professionali (art. 6).

«In un primo momento mi sentivo in qualche modo colpito nella mia competenza e professionalità in quanto ritenevo e ritengo che compito importante e forse il più im- portante di un dirigente sa il saper motivare, spiegare, comunicare sia ai collabora- tori che agli esterni […]. Le lezioni si sono rilevate immediatamente assai interes- santi sotto molteplici aspetti. Alcune lezioni mi permettevano di inquadrare teorica- mente problemi che avevo più volte incontrato nell’attività professionale e di dipen- dente di una amministrazione pubblica. Altre fornivano strumenti di lavoro e cono- scenze linguistiche che mi mettevano in grado di sostenere alcune mie convinzioni che avevo maturato nelle diverse direzioni a cui, successivamente, negli anni ero sta- to preposto. Altre ancora inquadravano in modo preciso e fornivano concetti in cui mi ero imbattuto e che non ero stato in grado di analizzare ed inquadrare coscien- temente» (CP, res. 4).

«Per me, dipendente comunale, il percorso previsto [l’autore si riferisce in particola-

re al tirocinio formativo] avrebbe portato, nella più ottimistica delle ipotesi, alla ri-

scrittura di alcuni testi, ordinanze o comunicazioni, la cui adozione, viste le inevita- bili resistenze burocratiche sarebbe stata quantomeno improbabile […] Per me, con l’inizio del percorso didattico del master, un risveglio brusco ma benvenuto, seguito da un breve stato confusionale (un po’ disarmante capire d’essere parte del proble- ma comunicazione pubblica) ma poi subito, la certezza: la comprensione dei testi amministrativi è un reale problema, almeno io, li renderò più semplici» (CP, res. 2).

La formazione è senz’altro lo strumento fondamentale per la prosecuzione del percorso di riforma linguistica della pubblica amministrazione. Essa agisce, come dimostrano le testi- monianze qui brevemente richiamate, sia in direzione del rafforzamento della sensibilità istituzionale rispetto al diritto di ogni cittadino alla comprensione, sia della diffusione ca- pillare della cultura del servizio, incentrata sul mutamento di prospettiva dal testo orienta- to sull’autore al testo orientato sul destinatario, e sia, naturalmente, dello sviluppo effetti- vo delle conoscenze e delle competenze tecniche necessarie a una comunicazione responsa- bile e democratica. Tra queste ultime: la capacità di riflettere e di mettere in discussione forme espressive tradizionali di tono inutilmente elevato; la conoscenza delle forme espres- sive più sintetiche, chiare e precise per esprimere concetti complessi; la capacità di indivi- duare soluzioni preferibili ad altre nel raggiungere determinati destinatari e obiettivi; il sa- per distinguere tra veri tecnicismi e parole non comuni che non sono indispensabili; l’abi- lità nello scrivere testi adeguati alle esigenze interne dell’amministrazione ma soprattutto al destinatario; la padronanza dei contenuti da trattare e l’attitudine a non dare per sconta- to ciò che appare ovvio a se stessi96. Per una corretta pianificazione di un testo nella scrit- tura professionale e in particolar modo in quella amministrativa occorre chiedersi pertanto innanzitutto chi è il destinatario (età, sesso, luogo di residenza, professione, titolo di stu- dio, capacità linguistiche, abitudini di lettura, ecc.) e quali contenuti devono essere trasmes-

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M. Piemontese, La semplificazione difficile, ma non impossibile, del linguaggio della pubblica am-

si (evitando i rischi derivanti da una scarsa e inappropriata conoscenza degli argomenti

oppure, viceversa, dall’eccessiva padronanza dell’argomento, che induce a ritenere note an- che ai non esperti certe informazioni invece rilevanti). Occorre inoltre rendere esplicito lo

scopo della comunicazione, disporre le informazioni secondo il criterio della rilevanza e

della gerarchia (chiarendo da subito, secondo la regola delle 5W del giornalismo anglosas- sone, who, what, when, where e why) e rivedere e controllare il testo sottoponendolo ad ana- lisi di leggibilità e comprensibilità (per esempio leggerlo assumendo il punto di vista del destinatario oppure semplicemente sottoporlo alla lettura di colleghi).

Nonostante siano stati messi a punto criteri oggettivi di leggibilità e di comprensibilità e strumenti di ausilio alla scrittura controllata, nonostante i corsi di formazione abbiano coinvolto un gran numero di dipendenti pubblici di diversi enti e livelli, gli interventi for- mativi intrapresi non si sono tradotti nella realtà organizzativa in un effettivo miglioramen- to della qualità dei testi. È mancata innanzitutto nella fase di progettazione formativa una seria attenzione ai bisogni formativi rinvenibili nei diversi contesti lavorativi e un’approfon- dita conoscenza dei problemi che quotidianamente gli attori amministrativi riscontrano nella scrittura. Non si possono addebitare – come troppo frequentemente e superficialmente ac- cade – soltanto ai dipendenti pubblici, all’assenza di competenze comunicative, di spirito di servizio e di etica pubblica, la responsabilità dei problemi comunicativi che i testi presenta- no. È necessario calarsi nella realtà lavorativa per poter comprendere le origini e la reale natura di tali problemi.

I corsi inoltre non hanno coinvolto, com’è ovvio, la totalità dei dipendenti pubblici con mansioni di scrittura e non sono stati sostenuti con iniziative di autoformazione interne alle diverse realtà organizzative (solo in rarissimi casi sono sorti gruppi di lavoro sulla scrittura amministrativa interni agli enti). Né tantomeno hanno trovato realizzazione nel panorama nazionale l’istituzione, per esempio, di uffici appositi di semplificazione del linguaggio amministrativo, sul modello svedese.

In aderenza al principio secondo cui non esistono tecniche e strategie comunicative uni- versalmente valide ma soltanto più adeguate secondo le concrete situazioni comunicative, riteniamo sia essenziale inoltre, a questo punto del nostro lavoro, presentare prima un breve profilo delle competenze linguistiche e comunicative della popolazione a cui tali te- sti sono destinati e a cui dunque devono essere adattati. Affinché la questione della sem- plificazione linguistica non venga intesa e fraintesa come «operazione semplicistica e po-

pulistica» che contribuisce ad «abbassare il livello culturale del nostro Paese»97, occorre precisare che se le amministrazioni pubbliche sono chiamate a utilizzare un linguaggio vi- cino al repertorio linguistico comune alla cittadinanza per rispondere alla loro specifica funzione all’interno del sistema sociale, d’altro canto, alcune istituzioni, in particolare la scuola, e l’università e la ricerca pubblica, devono assumersi la responsabilità dell’aumento dei livelli culturali della popolazione.

Sebbene l’obiettivo principale della nostra ricerca sia quello di analizzare i limiti e le cri- ticità rinvenibili sul versante della produzione dei testi amministrativi, il progetto di ricerca non può trascurare le criticità riscontrabili sul versante della ricezione e in generale imputa- bili ai bassi livelli culturali della popolazione destinataria dei testi pubblici; di cui recenti studi e ricerche offrono una conoscenza sistematica e approfondita.

Il cittadino medio somiglia al tuo vicino di casa: ti aspetta sulla porta, ti mostra (con tutta la sua frustrazione) una bolletta, una multa, una convocazione ponendoti sempre la stessa identica domanda ma a cui non sempre sai rispondere: cosa devo fare? (CP, res. 2)98.