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Analisi sociologica intorno alla conservatività del codice

2. Disegno, fasi e metodologia della ricerca

Fin qui ci siamo occupati in generale di collocare l’oggetto della nostra ricerca nel contesto dei mutamenti legislativi, organizzativi e culturali che hanno riguardato la pubblica ammini- strazione nell’ultimo ventennio (I capitolo) e di spiegare, sotto il profilo socio-linguistico, in che senso il linguaggio burocratico costituisca un serio ostacolo ai percorsi di innovazione amministrativa e di cittadinanza attiva (II capitolo).

I principali risultati emersi dalle analisi linguistiche condotte sui testi amministrativi (les- sico specialistico, sintassi complessa e involuta, ambiguità espressive, carenze ed eccedenze informative, pedissequa aderenza al linguaggio giuridico, scarsa pianificazione testuale) so- no stati analizzati in connessione con alcuni dei problemi socio-culturali ed educativi più ur- genti della nostra realtà nazionale11 allo scopo di dimostrare come il linguaggio burocratico incida fortemente nella conservazione dell’ordine sociale esistente impedendone mutamenti in senso democratico; nello specifico, come esso rifletta e contemporaneamente determini il rapporto tuttora asimmetrico tra istituzioni e cittadini.

Al fine di rispondere all’obiettivo generale della nostra ricerca, ossia – riformuliamo –

comprendere i motivi per cui, nonostante le denunce e le riforme in materia di trasparenza e chiarezza comunicativa, la riforma linguistica della pubblica amministrazione stenti a compiere significativi passi in avanti, abbiamo ritenuto opportuno in questa sede concentra-

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Si utilizza l’espressione nel senso inteso dai neo-istituzionalisti per “campo organizzativo” (Powell, Di Maggio): dunque per designare un contesto di vita istituzionale riconosciuto come distinto da altri; un insieme organizzativo sempre più variegato e fluido, caratterizzato da una fitta rete di comunicazione tra attori organiz- zativi in rapporto di reciproco sostegno e condizionamento.

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Ricapitolando, in relazione ai destinatari dei testi amministrativi: analfabetismo, scarse competenze alfabetiche funzionali, debolezza del sistema educativo e formativo, digital e cultural divide; in relazione agli autori: ritardo nello sviluppo della formazione continua e permanente e in particolare nell’acquisizione delle “nuove” competenze comunicative.

re la nostra analisi sul versante della produzione dei testi amministrativi e indagare, oltre a- gli usi linguistici prevalenti nella comunità linguistica, gli atteggiamenti, le credenze e le o- pinioni che i parlanti condividono intorno a tali usi; consapevoli del fatto che rappresenta- zioni e definizioni della realtà intervengono direttamente nei comportamenti effettivi – reci- ta infatti il noto teorema della “definizione della situazione” coniato da William Thomas nel 1928: «se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, essi sono reali nelle loro con- seguenze»12.

In aderenza a una prospettiva di studio sociolinguistica di carattere ermeneutico, il focus della ricerca non sarà pertanto rappresentato dall’analisi di dati linguistici astratti dal conte- sto di riferimento (analisi formale) ma dal comportamento linguistico che si manifesta al- l’interno di un universo socialmente definito (analisi sociologica e contestuale).

Assumendo, quindi, una prospettiva sociologica piuttosto che sociolinguistica, la ricerca si propone più specificatamente di contribuire allo studio della società in rapporto alla lin- gua (compito che in Italia si assume in via programmatica una specifica sociologia del lin- guaggio) piuttosto che della lingua in relazione alla società (materia su cui risulta impegnata in Italia a partire dagli anni Settanta la sociolinguistica)13. Della sociolinguistica si riprende, piuttosto che il più fortunato orientamento descrittivo e correlazionale, la vocazione origina- ria ad un’analisi critica della società e dei suoi comportamenti linguistici.

Mediante un approccio ermeneutico, e utilizzando procedure di osservazione contestuali, linguistiche e sociologiche, è nostro obiettivo riuscire a porre in risalto i fattori sociali, poli- tici, culturali ancora inesplorati che, accanto alle problematiche linguistiche stricto sensu, intervengono nel limitare la leggibilità e la comprensibilità dei testi amministrativi: sia di quelli più prettamente tecnico-giuridici, che abbiamo visto rigidamente vincolati alla strut- tura, alla formulazione e al lessico di leggi e decreti, sia di quelli informativi e regolativi meno “tecnici” in costante aumento nelle amministrazioni pubbliche sempre più relazionali e dialogiche (lettere, comunicazioni, mail, carte dei servizi, avvisi, segnaletica, istruzioni per la compilazione di moduli, ecc.).

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W. Thomas, The Child in America, Knopf, New York, 1928. Il teorema venne ripreso poi da R.K. Merton, impegnato in una dimostrazione del modello della “profezia che si autoadempie” mediante casi concreti. Cfr. R.K. Merton, Social Theory and Social Structure, Free Press, New York, 1968 (ed. or. 1949). Trad. it. di C. Marletti e A. Oppo: Teoria e struttura sociale. Studi sulla struttura sociale e culturale, vol. II, il Mulino, Bologna, 2000, pp. 765 ss.

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Per una distinzione tra “sociolinguistica” e “sociologia del linguaggio”, intese come aree disciplinari distinte e sovrapposte, l’una interessata ad aspetti micro e l’altra macro del rapporto di covariazione tra lin- gua e società, l’una più incline ad utilizzare metodi quantitativi e l’altra qualitativi, si veda R.A. Hudson, So-

ciolinguistics, Cambridge University Press, Cambridge, 1996 (1a ed. 1980). Trad. it.: Sociolinguistica, il Mulino, Bologna, 1998, p. 12.

Da questa constatazione di fondo prende le mosse la ricerca di carattere “comprenden- te”14

che si intende condurre in questa sede: rilevare, mediante l’utilizzo di un approccio metodologico “riflessivo”15, fondato sul rapporto circolare tra orientamenti teorici e ricerca empirica, i fattori di resistenza strutturali, istituzionali e culturali ai cambiamenti linguistici. La comprensione dell’“agire linguistico soggettivamente dotato di senso” della “comunità linguistica” di riferimento è orientata da alcuni costrutti teorici preliminari che, circolarmen- te, soltanto “i termini osservativi” consentiranno, a ricerca conclusa, di definire.

Si tratta, beninteso, di soli «concetti operativi» ricavati dalla letteratura interdisciplinare sviluppata sul tema che ci offrono indicazioni di massima sulla strada da seguire in un dise- gno di ricerca progressivamente «emergente» e «situazionale»: ossia che «si definisce […] con il procedere della stessa indagine». «Si abbandona la fissità di schemi precostituiti e ci si cimenta in una realtà che, per quanto possa essere conosciuta in buona parte preventiva- mente alla discesa sul campo, supera quasi sempre le modellizzazioni e i quadri teorici di riferimento»16.

Come chiarisce anche Davide Sparti, tale «circolarità ricorsiva» tra teoria e ricerca empi- rica deve essere ricondotta al «doppio livello ermeneutico»17 che, nella ricerca sociale im- postata “riflessivamente”, si viene a creare per effetto della doppia capacità interpretativa: del ricercatore e degli attori sociali che a loro volta interpretano la realtà. Il dato infatti si co- struisce all’interno dell’interazione a partire dalla costruzione della realtà del soggetto che a sua volta viene ri-costruita dal ricercatore.

In tal senso, guardare con gli occhi dell’attore che si sta osservando, in modo da stabilire una relazione empatica adeguata alla comprensione della sua interpretazione della realtà, non comporta l’abbandono delle idee orientative che hanno condotto alla definizione del- l’oggetto e del problema e degli strumenti concettuali che ci orientano nella raccolta e nel- l’analisi delle informazioni. Pur lasciando alla ricerca empirica il compito di circoscrivere e

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Con il termine Verstehen, utilizzato da Dilthey per indicare il metodo proprio delle scienze dello spirito in antitesi al metodo delle scienze della natura (Erklären), Max Weber si riferiva non tanto alla distinzione tra le due procedure d’indagine ma all’orientamento delle scienze storico-sociali, a differenza di quelle naturali, ver- so l’individualità e l’accertamento delle relazioni causali intercorrenti tra fenomeni individuali; all’«atteggia- mento ermeneutico mediante il quale l’osservatore sceglie, sulla base di valori storicamente rilevanti, gli ele- menti tipici di una certa società, determinati al fine di fornirne un’interpretazione tale da rispettare il senso sog- gettivamente inteso». Cfr. M. Weber, Über einige Kategorien der verstehenden Soziologie (1913), in Id., Ge-

sammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, Mohr, Tübingen, 1922. Trad. it.: Su alcune categorie della sociolo- gia comprendente, in Id., Il metodo delle scienze storico-sociali, introduzione di P. Rossi, Einaudi, Torino,

1958, pp. 239-307. 15

C. Cipolla, Teoria della metodologia sociologica. Una metodologia integrata per la ricerca sociale, FrancoAngeli, Milano, 19954.

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G. Gianturco, L’intervista qualitativa. Dal discorso al testo scritto, Guerini, Milano, 2005, p. 26. 17

approfondire più dettagliatamente il fenomeno linguistico, non possiamo, in sintesi, dimen- ticare «la lente teorica senza la quale, comunque, tale empiria sarebbe cieca»18. Essa infatti ci ha fornito le “ipotesi” generali che pur non dovendo essere sottoposte direttamente a veri- fica empirica esercitano la loro funzione euristica in termini descrittivi e orientativi.

Si seguirà dunque un approccio metodologico più precisamente di tipo “abduttivo”, una logica di ricerca che considera induzione e deduzione in termini di rapporto di interdipen- denza19. D’accordo con chi ritiene che non si possa dare «nel concreto processo di ricerca, una deduzione che non implichi qualche forma di induzione e, viceversa, un’opzione indut- tiva che a sua volta non sia associata a qualche aspetto deduttivo».

Infatti come si può supporre di partire da ipotesi del tutto chiuse e determinate senza considerare la possibilità, nella dinamica del processo di verifica, di dover fare i conti con esiti inattesi, non previsti, fuori dallo schema concettuale impostato a priori? Come si può pensare che la dura replica delle cose non abbia alcuna possibilità di retroagire sullo schema teorico prefigurato all’inizio dell’indagine dal ricercatore? Come si può essere così conservatori? E, viceversa, come si può immaginare che un percorso di ri- cerca non sia anche una forma di selezione, non comporti delle scelte, non sia accom- pagnato da qualche tipo di pregiudizio? Come si può dar credito al fatto che i dati parli- no da soli, che essi non siano in qualche modo “costruiti” dallo studioso, che portino a delle scoperte del tutto indipendenti dalla impostazione dell’indagine dovuta al ricerca- tore?

L’abduzione – continua Cipolla – è pertanto il «luogo d’incontro necessario di due percorsi procedurali che, con buona pace di Popper, non possono mai esistere separatamente nel far- si concreto di una ricerca empirica, rappresenta quel bilanciamento imprescindibile che solo

può impedire all’indagine sociologica di chiudersi nelle sue premesse o di perdersi nel mondo»20.

All’assunzione nel processo conoscitivo di una prospettiva euristica ermeneutica, volta alla comprensione delle conoscenze pratiche intersoggettivamente condivise, «attraverso cui i soggetti costruiscono e interpretano i mondi sociali che essi stessi contribuiscono a

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Gianturco, op. cit., p. 45. 19

Il fondatore del pragmatismo Charles SandersPeirce già alla fine dell’Ottocento aveva dimostrato come l’unica operazione logica veramente scientifica in un mondo in cui domina il caso fosse un ragionamento di tipo abduttivo e inferenziale, senz’altro fallibile (fallibilismo della ragione) ma scientifico proprio in quanto aperto a rettifiche continue dei propri risultati. L’abduzione, intesa come «processo di formazione di ipotesi esplicative» a partire dall’osservazione di regolarità e uniformità nei fatti, dunque come ipotesi di spiegazione a partire dai fatti, è l’unico procedimento logico che conduce alla formulazione di una teoria davvero nuova che, retroattivamente, consente di spiegare i fatti (retroduzione). Al contrario «la induzione non fa che determinare un valore e la deduzione sviluppa semplicemente le conseguenze necessarie di una pura ipotesi». Se «la dedu- zione prova che qualcosa deve essere; l’induzione mostra che qualcosa è realmente operativa; l’abduzione me- ramente suggerisce che qualcosa può essere». Cfr. C.S. Peirce, Collected Papers, Harvard University Press, Cambridge, 8 voll., 1931-1958. Trad. it.: Opere, a cura di Bonfantini, Bompiani, Milano, 2003, § 5.171.

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creare», corrisponderà pertanto una metodologia d’indagine coerentemente orientata «alla comprensione ermeneutica dell’esperienza soggettiva di attribuzione di senso mediante la ricostruzione degli accounts (“resoconti”) dei soggetti partecipanti all’indagine»21. I reso- conti ci dicono dei metodi con cui gli attori, nel nostro caso amministrativi, danno ordine e costruiscono una precisa situazione sociale; delle pratiche intersoggettive di attribuzione di senso che i membri mettono in atto nel loro agire pratico finalizzato e con cui danno vita ad un’azione intersoggettivamente organizzata. Normalmente nell’atteggiamento sociologico cosiddetto “ingenuo” tali pratiche non assurgono a oggetto specifico di riflessione ma sono assunti a-problematicamente.

Come una prospettiva di studio fenomenologica ed etnometodologica diffusasi anche all’interno degli studi organizzativi neo-istituzionalisti suggerisce, si prevede di poter rin- tracciare nella ricostruzione degli account che gli attori amministrativi saranno in grado di restituirci circa il loro “agire linguistico” (obiettivo specifico dell’analisi del caso di studio che affronteremo nel quarto capitolo), la complessità dei fattori soggettivi, strutturali e isti- tuzionali che intervengono nella determinazione di un particolare comportamento linguisti- co; si tratta infatti di dimensioni tra cui viene a intessersi un profondo rapporto di circolarità e che qui isoliamo ai soli fini espositivi – essendo nella realtà organizzativa al contrario pro- fondamente interagenti tra loro e difficili da discernere.

Concentrando l’attenzione sulle «procedure interpretative mediante le quali [uno specifi- co mondo della vita] viene costruito all’interno di concrete interazioni»22, in virtù dell’ine- vitabile rapporto di «indicalità» e di «riflessività»23 che sussiste tra significati e caratteristi- che strutturali di quel mondo della vita – nel nostro caso tra elementi cognitivi e azione or- ganizzata –, si assumono nello stesso tempo informazioni sulle pratiche, oggettive e simbo- liche, che si producono e riproducono nel contesto lavorativo più ampio.

Lo studio del comportamento linguistico delle amministrazioni pubbliche, seppure qui metodologicamente condotto a partire dall’analisi di tipo microsociologica delle pratiche e degli atteggiamenti sviluppatesi all’interno di un determinato gruppo professionale intorno alla scrittura, mira comunque alla ricomposizione finale del profondo intreccio dei diversi livelli analitici (micro, meso e macrosociologico) sondati più estesamente nel percorso della ricerca. Si andrà, in sintesi, alla ricerca dei significati soggettivi che gli attori amministrativi attribuiscono a un dato comportamento linguistico, inteso appunto come azione individuale

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A. Salvini, La ricerca sociale, in M.A. Toscano, Introduzione alla sociologia, FrancoAngeli, Milano, 2006, pp. 573-600 (cit. p. 577).

22

P.P. Giglioli, A. Dal Lago, Etnometodologia, Bologna, il Mulino, 1983, p. 16. 23

intenzionale e “dotata di senso”, per cogliere in essi anche i vincoli strutturali al comporta- mento linguistico, insiti appunto in qualsiasi “azione collettiva reiterata” e “finalizzata”24, e le pressioni istituzionali esercitate sulle amministrazioni pubbliche dal contesto istituzionale in cui esse sono calate.

L’utilizzo di un approccio radicalmente interpretativo potrebbe infatti indurre nell’errore di trascurare gli aspetti strutturali e istituzionali che, pur essendo prodotti dall’interazione sociale, agiscono indipendentemente dalla volontà e dall’azione sociale.

La ricerca si colloca in tal senso all’interno di quel filone di studi neo-istituzionalisti che assumono le istituzioni come strutture sociali ripetute e relativamente stabili prodotte inter- soggettivamente da gruppi di persone per il raggiungimento di determinati obiettivi e con- temporaneamente come «fatti esteriori e costrittivi» (Durkheim) che vincolano e plasmano le condotte umane; ancora più precisamente, essa si ispira a quegli approcci “morbidi” e “intermedi” sviluppatisi attorno allo studio delle organizzazioni post-moderne che analizza- no il potere che i soggetti detengono nella costruzione della realtà organizzativa e sociale senza tuttavia trascurare vincoli e condizionamenti imposti dalla struttura sociale e dal con- testo istituzionale di riferimento. Rispetto al costruttivismo più radicale, che in nome di una sorta di «imperialismo del soggetto»25 finisce per pervenire inevitabilmente alla negazione del carattere oggettivo del mondo esterno, ridotto a mero costrutto soggettivo, tali approcci «pur assumendo che la società è edificata a partire dalle interpretazioni degli individui, am- mett[ono] che esistono delle strutture più ampie, istituite dagli individui attraverso le loro interazioni e a seguito di comportamenti sociali ripetuti, le quali hanno a loro volta un effet- to sul comportamento degli individui stessi, in una sorta di processo circolare»26.

Analogamente, anche l’ambiente istituzionale esterno vincola l’azione organizzata; esso impone infatti “le regole del gioco” ed esercita sulle organizzazioni in esso calate pressioni esterne che sollecitano continui processi di adattamento e di ristrutturazione dei fini e, di conseguenza, degli strumenti organizzativi. Un’amministrazione non è infatti un’entità

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M. Ferrante, S. Zan, Il fenomeno organizzativo, Carocci, Roma, 2003 (passim). 25

“Approcci morbidi” o “soft” allo studio delle organizzazioni sono registrabili a partire dagli anni Settanta; in particolare grazie agli apporti metodologici della fenomenologia, dell’etnometodologia, del cognitivismo e dell’interazionismo simbolico. Rispetto all’approccio tradizionalista hard, gli studi organizzativi iniziano ad adottare logiche di ricerca che «privilegiano gli aspetti culturali, simbolici, riflessivi, nonché i processi di con- ferimento di senso che i soggetti mettono in atto interagendo con le organizzazioni stesse». Bonazzi, Come stu-

diare le organizzazioni, il Mulino, Bologna, 2002, p. 157. Tra gli approcci intermedi – intermedi rispetto alle

sociologie radicalmente interpretative che corrono il rischio di risolversi nell’«imperialismo del soggetto» e a quelle strutturaliste e funzionaliste che viceversa sembrano pervenire a una sorta di «reificazione della struttura sociale» – si rimanda in particolare a quello del costruzionismo strutturalista elaborato da A. Giddens in The

Constitution of Society. Outline of the Theory of Structuration, Cambridge, Polity Press, Cambridge, 1984.

Trad. it.: La costituzione della società. Lineamenti di teoria della strutturazione, Comunità, Milano, 1990. 26

chiusa, con confini ben precisi, ma un organismo in continua interazione con l’ambiente e- sterno e dunque in costante evoluzione sulla base dei cambiamenti dettati dall’esterno.

È stato notato come la scuola neo-istituzionalista, rispetto alla tradizionale “tensione epi- stemologica” tra approccio sociologico soggettivo e oggettivo, interpretativo e positivistico, si collochi in una posizione sui generis. Si tratta a nostro avviso e, a parere di altri27, di una posizione ambivalente ma, in virtù della sua stessa ambivalenza, anche assai feconda dal punto di vista euristico: in quanto rivolta all’integrazione in una cornice epistemologica uni- taria delle diverse e parziali prospettive di studio. A differenza della scuola funzionalista, che, soprattutto nella versione parsonsiana, si era occupata prevalentemente dello studio delle istituzioni come complesso di norme e valori esterni e costrittivi rispetto all’individuo, il quale le interiorizza tramite processi di socializzazione, ma a differenza anche dell’istitu- zionalismo classico (tra tutti: Weber e Selznick), interessato alle strategie razionali interne alle singole unità organizzative piuttosto che ai «miti razionalizzati» in atto nell’ambiente istituzionale più ampio in cui esse sono embedded (Meyer e Rowan), il neo-istituzionali- smo, soprattutto nelle sue versioni più “soft”, considera altrettanto determinante, accanto alla razionalità organizzativa e ai processi di razionalizzazione istituzionali, il punto di vista che “razionalmente” i soggetti elaborano su norme e valori istituzionalmente definiti e i processi interpretativi con cui quotidianamente questi vengono percepiti e rielaborati dai soggetti; in sintesi, anche il significato che norme e valori rivestono per i soggetti e con cui i soggetti stessi provvedono alla costruzione della realtà sociale28.

All’interno di tale quadro epistemologico, si ritiene, pertanto, che l’analisi della percezio- ne che i soggetti sviluppano intorno all’agire istituzionale includa o comunque permetta an- che di rilevare i vincoli strutturali e istituzionali all’azione organizzata. Riprendendo la ter- minologia diffusa negli studi neo-istituzionalisti che propongono un approccio soft allo stu- dio delle organizzazioni, l’intersezione tra i diversi fattori può essere tradotta nei termini di “principi normativi, regolativi e cognitivi”, “modelli di comportamento validi e persistenti”, “condotte istituzionalizzate” (routines, convenzioni, procedure, strategie) e “sedimentazioni di significati” che sostengono, sollecitano e legittimano – nel nostro caso – un certo stile di scrittura.

27

G. Bonazzi, La scuola neo-istituzionalista, in Id., Storia del pensiero organizzativo, FrancoAngeli, Mila- no, 2008, pp. 470-494.

28

Berger P., Luckmann T., The Social Construction of Reality: A Treatise its the Sociology of Knowledge, Anchor Books, Garden City (NY), 1966. Trad. it. di Sofri Innocenti M.: La realtà come costruzione sociale, il Mulino, Bologna, 1997.

Le pratiche di scrittura che andiamo a indagare sono pertanto da intendersi nei termini di

pratiche sociali quotidiane rese possibili dalla struttura organizzativa e contemporanea- mente interpretate e riprodotte dagli attori sociali nell’ambiente organizzativo.

Stante alla “teoria della strutturazione” elaborata da Giddens, oggetto d’indagine diventa- no così le «pratiche sociali ordinate nello spazio e nel tempo», «riprodotte» e «ricorsive», in cui è coinvolta tanto la struttura quanto l’attore sociale29

. Lo stesso sociologo britannico a- nalizza come tale rapporto tra struttura e attore sociale sia interno anche alla lingua: una struttura che consente di generare discorsi ma che varia a secondo dell’uso che ne fanno i parlanti; «condizione perché possano generarsi atti di discorso» e insieme «conseguenza non intenzionale della produzione del discorso»30.

Entrando, in sintesi, nel merito del dibattito sociologico mainstream sviluppatosi sul rap- porto tra struttura e azione sociale, certamente le organizzazioni possiedono una cultura or- ganizzativa sedimentata nel tempo in base alla quale è possibile spiegare il comportamento dei soggetti (come dimostrano gli studi culturalisti); ma, nel contempo, esse sono il risultato