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La “gabbia” linguistica: il linguaggio delle legg

Analisi sociologica intorno alla conservatività del codice

3. Tra “concetti sensibilizzanti” e primi “indizi” empiric

3.3. La “gabbia” linguistica: il linguaggio delle legg

I testi propriamente “amministrativi” intrattengono un rapporto di interdipendenza profon- do, complesso e per natura inestricabile con i “discorsi più strettamente giuridici”. Sappia- mo infatti come il testo normativo debba essere quotidianamente interpretato e “tradot- to” nei diversi atti amministrativi e come, d’altra parte, le norme siano spesso anticipate da decreti e regolamenti amministrativi69.

La distinzione tra “testi amministrativi” e “testi giuridici” risponde esclusivamente al- l’intento di questo lavoro di concentrarsi sull’ampia gamma dei documenti prodotti dalle pubbliche amministrazioni (delibere, determinazioni, regolamenti, decreti dirigenziali, or- dinanze, statuti, circolari, bandi, avvisi, lettere, modulistica, autorizzazioni, ecc.): dunque sia su fonti normative di matrice amministrativa, la cosiddetta “normazione secondaria”, e- spressione del potere normativo oltre che della funzione di comunicazione della pubblica amministrazione; sia su documenti informativi non prettamente giuridici con cui le ammi- nistrazioni veicolano la propria identità e il proprio agire nella cosiddetta società dell’in-

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Klaus citato da Ponzio: «La fondazione della comunicazione al livello sintattico-semantico richiede, come osserva Klaus, il recupero dell’aspetto pragmatico del linguaggio, in base al quale il linguaggio si pre- senta come prassi, come collegato geneticamente e funzionalmente con l’insieme delle attività pratiche del- l’uomo nella società». Ivi, p. 87.

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Come è stato chiarito nel Codice di stile curato da Sabino Cassese nel 1993,«l’influenza – tra le due ti- pologie di testi – è stretta e reciproca. Innanzitutto perché la burocrazia è una grande e diretta produttrice di norme (come ad esempio decreti legge, decreti legislativi, regolamenti delegificanti, ecc.) e partecipa all’ela- borazione delle leggi attraverso la redazione dei disegni di legge governativi. In secondo luogo perché, nella veste di attuatori, i burocrati compiono una duplice funzione nei confronti delle leggi: le traducono in atti amministrativi e le spiegano alle stesse amministrazioni (ad esempio attraverso circolari destinate alle ammi- nistrazioni periferiche) e agli utenti». Si tratta di un lavoro che spesso «non raggiunge l’obiettivo sia perché alcune leggi sono scritte per non essere comprese, sia perché i burocrati tendono a duplicare, riscrivendoli e- sattamente, interi passaggi, frasi o tecnicismi contenuti nelle leggi». Cfr. Cassese, Codice di stile delle comu-

nicazioni scritte, ad uso delle amministrazioni pubbliche. Proposta e materiali di studio, Presidenza del

Consiglio dei ministri, Dipartimento della Funzione pubblica, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1993, p. 20. Le amministrazioni hanno dunque il compito di tradurre i contenuti generali delle leggi in atti e procedure che prescrivono precise e concrete azioni a determinati destinatari e di selezionare dal testo legi- slativo solo quanto occorre a disciplinare e regolare una data situazione. Si veda anche S. Brunamonti, Il

rapporto tra testi legislativi e testi amministrativi, in F. Franceschini, S. Gigli (a cura di), Manuale di scrit- tura amministrativa, Agenzia delle Entrate, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 2003, pp. 181-200; e P. Fiorelli, La lingua del diritto e dell’amministrazione, in L. Serianni, P. Trifone (a cura di), Storia della lingua italia- na, Scritto e parlato, vol. II, Einaudi, Torino, 1994, pp. 553-597.

Contemporaneamente anche il linguaggio del diritto subisce continue “contaminazioni” da parte del bu- rocratese e ne assume i tratti precipui. Scrive Michele Ainis: «gran parte dei difetti della legislazione di- pende dalla circostanza che quest’ultima a conti fatti è una succursale del linguaggio burocratico, sia perché i disegni di legge vengono concepiti non di rado negli uffici legislativi dei ministeri (che naturalmente sono composti da burocrati), sia perché la legge stessa – come suol dirsi – si è ormai amministrativizzata, nel sen- so che essa regola questioni minute e di dettaglio, un tempo ascritte al dominio pressoché esclusivo dell’atto amministrativo». Cfr. M. Ainis, La peste del burocratese, in La legge oscura, pp. 173-174.

formazione e della conoscenza (tra cui anche istruzioni, pagine web, brochure, carte dei servizi, opuscoli, ecc.)70.

Negli studi linguistici si considera dunque il linguaggio amministrativo come una “va- riante” del linguaggio giuridico. Tuttavia, se il linguaggio giuridico è un linguaggio tecnico- specialistico in senso stretto, non altrettanto potremmo dire del linguaggio amministrativo, rivolto, com’è prevalentemente, alla cittadinanza. Il linguaggio amministrativo è definito pertanto più propriamente – lo vedremo a breve – come varietà linguistica “settoriale” ma non “specialistica”, differente a seconda dei diversi settori amministrativi, costituita da tratti della lingua standard, da un nucleo di parole ed espressioni comuni con il linguaggio del diritto e dall’insieme delle formule e delle “abitudini” linguistiche radicate nei singoli set- tori amministrativi. Il burocratese è più precisamente un codice ibrido, di “tipo misto”, u- tilizzato per trattare di contenuti eterogenei e disparati. Alfredo Fioritto per descrivere il rapporto tra le due varietà linguistiche, il linguaggio giuridico e il linguaggio amministra- tivo, ricorre alla metafora della trama e dell’ordito: la trama è costituita dal linguaggio del diritto comune a tutte le amministrazioni, l’ordito dal gergo caratteristico dei vari uffici71.

Secondo la classificazione linguistica delle tipologie testuali offerta da Francesco Saba- tini, i testi amministrativi rientrerebbero insieme agli altri testi giuridici e prescrittivi nella classe dei testi “con discorso molto vincolante”, sia per quanto concerne le scelte stilisti- che dell’autore che le facoltà interpretative del lettore72. L’alto coefficiente di rigidità nella produzione e nella decodifica delle informazioni contribuirebbe a spiegare anche la refrat-

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Nel corso dell’analisi l’attenzione è infatti focalizzata sull’attività amministrativa come attività di co- municazione, tesa a garantire la legittimità e insieme l’efficacia comunicativa degli atti; finalizzata alla pro- duzione di norme e insieme di informazioni e comunicazioni. Occorre inoltre precisare che, in virtù dei mu- tamenti istituzionali su cui ci siamo soffermati nel primo capitolo, la funzione di comunicazione presso le pubbliche amministrazioni non può configurarsi più in termini unidirezionali e gerarchici (come lo è invece per definizione la comunicazione giuridica) ma interattivi e simmetrici.

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Fioritto, Manuale di stile dei documenti amministrativi, cit., p. 18. 72

Ogni tipologia testuale obbedisce a precise regole di funzionamento. A titolo esemplificativo, se i testi let- terari discendono dalla particolare visione del mondo e sensibilità dell’autore e si avvalgono della capacità in- terpretativa del lettore e della sua sensibilità emotiva, i testi giuridici, normativi e amministrativi devono essere costruiti in modo esplicito e preciso, veicolare significati univoci e oggettivi, ponendo vincoli interpretativi as- sai rigidi al lettore. Rispetto ad altre tipologie testuali in cui strutture testuali, codici linguistici e artifici stilistici possono essere liberamente decisi dall’autore, nei testi molto vincolanti l’autorità pubblica è chiamata a fare un uso denotativo e non connotativo del linguaggio: vale a dire a informare obiettivamente sulla realtà e non a e- sprimere significati diversamente interpretabili a seconda dei contesti; in sintesi, a restringere il più possibile la polisemia dei simboli e del testo in generale prestando attenzione a non trasmettere dubbi e ambiguità mediante il ricorso a metafore, metonimie, litoti, verbi e avverbi ipotetici, ecc. Come ha evidenziato Francesco Sabatini, si tratta di testi con «funzione prescrittivo-coercitiva, basata sull’imposizione di una volontà […] alla quale il membro appartenente a una data comunità non può sottrarsi, a pena di sanzioni». Cfr. F. Sabatini, La comuni-

cazione e gli usi della lingua. Pratica dei testi, analisi logica, storia della lingua. Scuole secondarie superiori,

Loescher, Torino,19902, p. 101. Si veda inoltre lo studio microsociologico compiuto da P. Drew e J. Heritage sulle caratteristiche di neutralità, distacco e «cautela» che contraddistinguono il face-work professionale (Talk

tarietà di tali tipologie testuali rispetto ai mutamenti. Qualsivoglia cambiamento all’interno di un “discorso molto vincolante”, che a modo di “patto comunicativo” lega rigidamente autore e destinatario, può essere percepito infatti come una minaccia rispetto al valore legale del testo e a un ordine costituito e codificato73. In tali discorsi «dire e fare sono in strettissi- mo rapporto: modificare la formula può interferire nella capacità performativa del testo»74. Nel linguaggio giuridico, come è stato rilevato, non è possibile separare il contenuto nor- mativo dall’espressione linguistica che ne è un elemento costitutivo: «il diritto non si serve della lingua, ma è fatto di lingua»75. E nel lessico e nella grammatica giuridica risiede la for- za normativa e pragmatica del diritto: un reato, un matrimonio, un divieto, un autorizzazio- ne sono tali perché è la legge, dunque un atto linguistico normativo, che lo stabilisce.

A proposito del «diritto di dire il diritto», Bourdieu osserva:

Il diritto è senza dubbio la forma per eccellenza del potere simbolico di nominazione che crea le cose nominate e in particolar modo i gruppi, e conferisce alle realtà sorte dalle sue operazioni di classificazione tutta la permanenza, quella delle cose, che un’istituzione storica è capace di conferire a delle istituzioni storiche. Il diritto è la for- ma per eccellenza del discorso agente, capace, per sua intrinseca virtù, di produrre de- gli effetti. Non è eccessivo dire che esso fa il mondo sociale, a condizione però di non dimenticare che da quest’ultimo al tempo stesso è fatto76.

Dalla testualità giuridica i documenti amministrativi non ricalcano quindi soltanto la tipica struttura soggetto-motivazione-disposizione, il lessico (tecnicismi, forme auliche, arcaismi, latinismi, perifrasi, ecc.) e gli aspetti sintattici (subordinate e incisi a catena, nominalizza- zioni, doppie negazioni, ecc.). Essi ne assumono anche i livelli di “performatività”, ossia la capacità dell’atto linguistico di incidere direttamente nella realtà a cui si riferisce. In quanto “enunciati performativi”, rivolti a produrre precisi effetti sull’azione o sul comportamento del destinatario e dunque a modificare la realtà esistente, questi – per utilizzare il titolo di

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Michel Foucault aveva notato, nell’ambito della sua teoria sulla governamentalità e sui dispositivi atti a governare e regolare l’agire individuale nella vita quotidiana, come modificare “l’ordine del discorso” giuri- dico significasse intervenire nell’equilibrio dei rapporti tra potere e società: essendo l’atto normativo espres- sione di una determinata volontà politica – che mette in atto procedure di controllo, selezione e organizza- zione dei discorsi in funzione dell’acquisizione e del mantenimento del consenso –, la variazione impli- cherebbe la messa in discussione non tanto della “volontà di verità” quanto della legittimità dei rapporti di potere che presiedono alla produzione dei discorsi. L’“ordine del discorso” è il titolo del testo della lezione inaugurale di Foucault al Collège de France del 1970, pubblicata l’anno successivo presso Gallimard, Paris. Trad. it.: L’ordine del discorso, Einaudi, Torino, 1972.

74

T. Raso, Origini e strategia dell’informazione in alcune testualità burocratiche, in «Studi linguistici i- taliani», XXV, 1999, pp. 234-266 (cit., p. 237).

75

Cfr. M. Cortelazzo, Lingua e diritto in Italia. Il punto di vista dei linguisti, Cisu, Roma, 1997, p. 36. 76

una famosa opera di John Austin77 – risultano davvero capaci “di fare cose con le parole”. Basti pensare alla centralità nei discorsi amministrativi di verbi performativi che hanno il potere di produrre effetti pratici immediati: “disporre”, “conferire”, “autorizzare”, “decreta- re”, “ordinare”, “dichiarare”, “vietare”, ecc.

In un’ottica funzionalista, tra le varie funzioni del linguaggio – descrittiva, narrativa, rap- presentativa, espositiva, argomentativa, regolativa78 – nei testi giuridici e prescrittivi a pre- valere è infatti la funzione “regolativa”, poiché essi sono rivolti a disciplinare azioni e com- portamenti del destinatario. Con ciò non si deve trascurare il fatto che i testi amministrativi non contengano anche parti descrittive, argomentative, rappresentative, ecc. La connotazio- ne prevalentemente regolativa di tale tipologia testuale è da riferirsi piuttosto alla funzione generale che i testi amministrativi, come i testi giuridici, sono chiamati a svolgere nella real- tà sociale79.

A tal proposito, Tullio De Mauro definisce più specificatamente i testi prodotti dalle pub- bliche amministrazioni come “testi di servizi”:

[…] un testo di servizio è un testo informativo con una forte componente pragmatica. Esso si differenzia da altri testi informativi […] in quanto non si limita a trasmettere so- lo un contenuto referenziale, cioè notizie su una certa situazione. Come ogni testo in- formativo, ha sì l’obiettivo di coinvolgere il destinatario nell’acquisire la conoscenza di un contenuto referenziale, ma ciò non ha fini che possono essere e restare di pura natu- ra locutoria e conoscitiva. Il testo di servizio mira a trasferire conoscenze al destinatario perché questi le utilizzi in tempi definiti per regolare il suo comportamento pratico80.

Si tratta, nei termini della linguistica pragmatica, di testi dunque “illocutori”, che mirano a regolare comportamenti del destinatario in maniera “suasiva” o “iussiva” – ossia persuasiva o prescrittiva; e di testi “perlocutori” che producono effetti diretti negli interlocutori (si ri- manda alla classificazione di Austin di atto locutorio, illocutorio e perlocutorio).

Da quanto premesso si può comprendere come il profondo rapporto di dipendenza che intercorre tra il linguaggio delle leggi e il linguaggio burocratico – in sociolinguistica come abbiamo visto ritenuto un particolare sottocodice rispetto al codice giuridico nell’architettu-

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Cfr. J.L. Austin, How to Do Things with Words, Harvard University Press, Cambridge, 1962. Trad. it.:

Come fare cose con le parole, Marietti, Genova, 1996.

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Si rimanda per una precisa classificazione delle tipologie testuali in senso funzionalistico al modello di Egon Werlich (delineato in Typologie der Text, 1975) rielaborato da Cristina Lavinio. Cfr. C. Lavinio,

Teoria e didattica dei testi, La Nuova Italia, Scandicci, 1990.

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Tuttavia in assenza di una comunicazione adeguata, anche il carattere performativo del testo trova solo at- tuazione formale e non sostanziale.

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Cfr. T. De Mauro, M. Vedovelli, Dante, il gendarme e la bolletta. La comunicazione pubblica in Ita-

ra dell’italiano contemporaneo81

, – costituisca una delle ragioni principali per cui la lingua della burocrazia oppone resistenza, sul modello della lingua con cui sono scritte le leggi82, alle varie riforme linguistiche promosse in vista di una maggiore democratizzazione dei processi comunicativi istituzionali.

Alcuni linguisti considerano appartenenti alla medesima varietà il linguaggio giuridico e il linguaggio burocratico. Se è vero però che entrambi utilizzano lo stesso codice e preva- lentemente il medesimo canale (la scrittura piuttosto che il parlato), è vero anche che conte- sto comunicativo e destinatario non sono i medesimi. Nel caso dei testi amministrativi il contesto è infatti rappresentato da un concreto e specifico campo d’intervento istituzionale e il destinatario da un pubblico, spesso indifferenziato, di non specialisti.

Come è stato rilevato da Alberto Sobrero, tra le lingue speciali, la lingua della burocrazia si distingue in quanto “lingua settoriale non specialistica” e di “tipo misto”. Essa non pos- siede infatti un proprio lessico specialistico, ma attinge – oltre che dalla lingua standard – da altre lingue speciali, in particolare da quella giuridica, da cui assume tecnicismi, forme, strutture e altri tratti caratteristici, e, a seconda della materia che intende disciplinare, dal lessico della finanza, dell’economia, della pubblicità, della tecnologia, dell’informatica, ecc. Da questi riprende in particolare forestierismi e neologismi (si pensi a prestiti integrali come

audit, briefing, planing, advisor, benchmark e a neologismi come beggiare, codare, hosta- re).

Il sottocodice burocratico, utilizzato per trattare di una disparità di argomenti e rivolgersi a un’ampia varietà di pubblico, si contraddistingue per una struttura lessicale, sintattica e te- stuale debole. Sobrero distingue all’interno delle lingue speciali (Ls) le lingue specialistiche (Lsp) delle discipline a specializzazione avanzata e destinate di preferenza a un pubblico di esperti (giurisprudenza, medicina, informatica, ecc.) dalle lingue settoriali (Lst) di ambiti professionali meno specialistici e utilizzate per comunicare con un pubblico più largo e in-

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Gaetano Berruto, da una prospettiva di studio funzionalista e con attenzione alla variabile diamesica, definisce il linguaggio della burocrazia come sottocodice e varietà situazionale, contestuale e funzionale utilizzata per comunicare determinati argomenti e collegata a una precisa attività lavorativa e professionale. Cfr. G. Berruto, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1987, p. 21.

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Anche nella comunicazione giuridica, in cui prevale una concezione unidirezionale del rapporto comu- nicativo, diretto autoritativamente dal legislatore o dal giudice, si registra negli ultimi anni, come si è già an- ticipato, una maggiore attenzione all’accessibilità e alla qualità dei testi; tradottasi in particolare nella formu- lazione e nell’adozione di regole redazionali nella legislazione regionale, nazionale e comunitaria. Numerose sono le misure previste anche per migliorare le tecniche di redazione del linguaggio giuridico su cui risulta at- tualmente impegnato in particolare l’Osservatorio legislativo interregionale diretto da Ugo Rescigno. Sulle tec- niche di buona redazione delle norme (legal drafting) dal punto di vista linguistico si rinvia invece a B. Mortara Garavelli, Le parole e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche sui testi giuridici italiani, Einaudi, Torino, 2001; e agli Atti del XIIIo convegno organizzato dalla Regione Toscana e dal Laboratorio di lingui- stica giudiziaria del Dipartimento di Linguistica dell’Università di Firenze il 13 gennaio 2006, Dalla legge

differenziato (linguaggio giornalistico, pubblicitario, politico e burocratico). Le lingue spe- cialistiche sono caratterizzate da un lessico specifico, regole convenzionalmente stabilite e accettate, precise modalità di formazione dei neologismi, scelte sintattiche prevalenti e strutture testuali codificate; mentre le lingue settoriali presentano un lessico specifico ridot- to, non sono regolate da precise convenzioni e attingono espressioni, tecnicismi collaterali e costruzioni sintattiche e testuali da altre lingue speciali83.

Dalla stretta interdipendenza con il linguaggio giuridico discende il carattere rigidamente formale, e in quanto tale conservativo, del linguaggio amministrativo. Nei testi amministra- tivi, analogamente a quanto accade nei procedimenti amministrativi, l’attenzione per la le- gittimità sostanziale dell’atto, raggiungibile solo mediante l’efficacia comunicativa, pare rimanere subordinata al controllo della legittimità formale e la chiarezza ostacolata dalla stessa precisione tecnica; il rispetto formale delle regole, piuttosto che rivelarsi strumento utile al perseguimento di determinati fini, dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione am- ministrativa, sembra diventare – secondo un processo degenerativo già richiamato di “in- versione mezzi-fini” – il suo fine principale; mentre la finalità pratica del diritto viene inevi- tabilmente contraddetta dalla sua inaccessibilità.

Lo confermano le testimonianze sulla discrepanza tra efficacia giuridica ed efficacia co- municativa raccolte nel corso dell’indagine empirica condotta presso il Comune di Pisa. Ne anticipiamo una tra tutte:

Attualmente nel Comune di Pisa non esistono procedure di verifica testuale che fac- ciano riferimento alle tecniche acquisite nel corso del master. L’unico controllo testua- le in atto è quello relativo alla regolarità amministrativa delle determinazioni (testi re- golativi). La verifica della regolarità amministrativa si colloca all’interno del cosid- detto sistema dei controlli interni, di cui fanno parte anche il controllo di gestione, il controllo strategico e la valutazione della dirigenza […], volti a verificare il raggiun- gimento dei risultati dell’azione amministrativa in termini di efficacia, efficienza ed economicità, mentre il controllo di regolarità amministrativa ne verifica la legittimità. […]. Nel caso della regolarità amministrativa, il controllo è diretto a evidenziare gli errori che potrebbero compromettere la legittimità dell’atto e quindi la sua efficacia giuridica. Nelle analisi da noi condotte le criticità rilevate non minacciano l’efficacia giuridica del testo ma solo la sua efficacia comunicativa (CP, res. 5).

La natura giuridica dei testi amministrativi pare dunque già “per definizione” costituire un fattore ostacolante l’innovazione linguistica o, comunque, che rende inevitabile una certa “complessità linguistica” all’interno della testualità amministrativa.

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Sobrero, Lingue speciali, in Id. (a cura di), Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli

Nel dare attuazione a leggi già di per se stesse confuse, sovrabbondanti, vaghe, ridondanti e contradditorie, sono innanzitutto le amministrazioni a scontrarsi nella loro pratica quoti- diana con il problema di un’interpretazione univoca delle norme. Da qui la più facile e me- no rischiosa soluzione di affidarsi alla logica dell’adempimento al dettato normativo, ripro- ponendo quest’ultimo sic et simpliciter, nella sua astrusità e ambiguità inestricabile, all’in- terno dei propri testi; e generando così quella tendenza alla riproduzione pedissequa e minuziosa delle norme e delle regole descritta nei termini di «vizio travettistico» – in ricor- do della commedia ottocentesca in dialetto piemontese di Vittorio Bersezio Le miserie ’d

Monsù Travet, che fornisce alla letteratura il prototipo del dipendente statale della seconda

metà dell’Ottocento italiano. Scrive Stefano Sepe, riprendendo la descrizione pittoresca che nel 1909 Meuccio Ruini riporta del tipo Travet:

La prolissità ed il gusto barocco dello scrivere burocratico sono vezzi radicati e difficili da modificare. Tenere “a posto le carte”, avere cura di lasciar traccia scritta di ogni pas- saggio procedurale, preoccuparsi di dare veste formale ad ogni passaggio sono tuttora i fondamenti della prassi burocratica. Paradossalmente, tale atteggiamento che viene considerato socialmente fenomeno deprecabile, sintomo peculiare della inefficienza della amministrazione pubblica, assume, per i responsabili degli uffici, il carattere di elemento di certezza del diritto e di salvaguardia dei cittadini84.