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La riforma del linguaggio amministrativo

1. Premessa Un percorso incompiuto

Nonostante le denunce e le voci di protesta levatesi nella storia della pubblica amministra- zione italiana contro l’utilizzo di un linguaggio astrusamente tecnico e inaccessibile ai più, il burocratese è divenuto oggetto di specifica e sistematica attenzione soltanto di recente: nell’ambito della più ampia riflessione politica e istituzionale sulla trasparenza e la moder- nizzazione della comunicazione pubblica e, in generale, della riforma organica e comples- siva della pubblica amministrazione1.

Negli anni Novanta matura la consapevolezza che la semplificazione del sistema ammi- nistrativo, rivolta a rendere più “agile e snella” l’azione amministrativa, procedure e proce-

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Naturalmente il percorso deve essere inserito altresì all’interno del processo di semplificazione normati- va con cui a partire dai lavori della Commissione Barettoni-Arleri del 1981 si è tentato di contrastare l’“in- flazione” e l’“inquinamento” normativo mediante la messa a punto e il ricorso a strumenti di delegificazione e snellimento, a testi unici di raccolta delle leggi della medesima materia e a tecniche di redazione per la qualità e l’accessibilità delle leggi (drafting legislativo). Si fa strada a partire dagli anni Ottanta – in verità Montesquieu già nel 1748 aveva annotato che «le leggi inutili indeboliscono quelle necessarie» (De l’esprit

de lois, libro XXIX, cap. 16) – la consapevolezza che la crescita indiscriminata delle leggi non garantisce

affatto il principio illuministico e razionalistico della “certezza del diritto”; al contrario, lo stato di affolla- mento e di disordine del sistema legislativo, la tortuosità e l’oscurità delle norme rappresentano un’insidia per la sicurezza dei rapporti giuridici che dovrebbero regolare la convivenza sociale. Una delle cause del- l’aumento esponenziale della legislazione nell’ordinamento italiano è da rintracciarsi proprio nell’assenza di chiarezza che rende le leggi faticosamente interpretabili generando l’esigenza di altre leggi: «leggi mal for- mulate hanno bisogno infatti di frequenti revisioni, le quali a loro volta tendono a succedersi farraginosa- mente, senza sostituirsi per intero alle regole preesistenti ma aderendovi piuttosto a mo’ di glosse». Fra i vizi che inquinano la nostra legislazione rientra inoltre il fenomeno già ricordato di “amministrativizzazione del- la legge”: che da generale e astratta perviene sempre più alla regolamentazione di aspetti minuti e concreti più prettamente amministrativi che sono invece oggetto specifico di interventi di natura provvedimentale. Si arriva così, secondo una ricerca condotta dal Dipartimento Istituzioni del Servizio studi della Camera dei de- putati nel 1996, a circa 40 mila leggi nazionali, incluse quelle regionali: mentre in molti altri paesi sono solo circa 5/6 mila. In media solo il Parlamento produce in un anno circa 500 leggi. Come è stata notato, si tratta di una proliferazione degli atti normativi a cui si unisce una bassa qualità dei testi e dunque una scarsa com- prensione dei contenuti giuridici, limitata a coloro che risultano in possesso di un’appropriata cultura giuri- dica. Cfr. M. Ainis, La legge oscura. Come e perché non funziona, Roma-Bari, Laterza, 2010 (1a ed. 1997), p. 21.Tra le tappe che hanno stimolato l’avvio del percorso di riforma del linguaggio giuridico-amministrati- vo meritano di essere ricordati i convegni tenutisi a Roma, presso l’Accademia dei Lincei tra il 1982 e il 1985 sul Linguaggio della divulgazione, il XIX Congresso internazionale della Società di Linguistica Italia- na del 1985 Dalla parte del ricevente: percezione, comprensione, interpretazione e la pubblicazione della Presidenza del Consiglio dei ministri nel 1990 del volume Il diritto all’informazione in Italia. Occorre ricor- dare inoltre che nel 1988 una sentenza della Corte costituzionale, la n. 364 del 1988, rivedendo il principio dell’inescusabilità dell’ignoranza della legge sancito dall’art. 5 del codice di procedura penale, prevedeva che «l’ignoranza della legge penale non scusa tranne che si tratti d’ignoranza inevitabile»; quale appunto il caso dei cittadini di fronte a leggi obiettivamente oscure, farraginose e ambigue. La stagione delle riforme linguistiche in campo normativo si apre ufficialmente con la pubblicazione nel 1991 delle Regole e sugge-

rimenti per la redazione dei testi normativi da parte dell’Osservatorio legislativo interregionale diretto da

dimenti, adempimenti e controlli, provvedimenti e servizi, passi necessariamente attraverso la semplificazione del complicato e oscuro linguaggio burocratico.

Nel 1993 Sabino Cassese nella premessa al Codice di stile delle comunicazioni scritte ad

uso delle amministrazioni pubbliche invita a equiparare il problema linguistico delle am-

ministrazioni ad altri ritenuti correntemente più urgenti: «un’organizzazione pubblica ob- soleta, procedure amministrative labirintiche, sedi di uffici pubblici cadenti, servizi pub- blici scadenti, controlli vecchi ed improduttivi»2. Sul piano comunicativo, «sigle incom- prensibili, forme antiquate, espressioni rompicapo» – nota l’allora ministro della Funzione pubblica – contribuiscono al pari di altre disfunzioni strutturali e noti ritardi ad alimentare nella società civile l’idea di una pubblica amministrazione ambigua e ipertrofica e il senso di sospetto e di sfiducia nei confronti del suo operato.

Cassese riporta al riguardo il caso paradossale di una circolare ministeriale emanata nel 1993 a chiarimento dell’art. 20 della legge 241 del 1990, celebrata e nota come legge sulla pubblicità e la trasparenza degli atti amministrativi. Nella circolare “esplicativa” sono pre- senti espressioni gergali e ostiche assolutamente contraddittorie rispetto alla filosofia del- l’accesso e dell’accessibilità che ha ispirato la legge. Nella frase «l’eccessiva incidenza del- la pendenza dei procedimenti amministrativi sulla esplicabilità delle posizioni di vantag- gio degli amministrati», i cittadini compaiono ancora, secondo la tradizionale logica gerar- chica, come “amministrati”; si parla erroneamente di “pendenza” per riferirsi alla durata ge- nerale del procedimento e di “esplicabilità” per indicare l’esercizio effettivo di un diritto; e i diritti del cittadino su cui insiste la legge 241 ritornano ad essere inutilmente trattati nei termini giuridici tradizionali di “posizioni di vantaggio”.

La frase, ricca, piuttosto che di veri tecnicismi giuridici, di termini astratti e non comuni – nonché di errori – viene tradotta nel Codice di stile in una seconda frase semplicissima dal punto di vista lessicale e sintattico: «la durata dei procedimenti amministrativi finisce per impedire l’esercizio dei diritti dei cittadini»3.

Come dimostra emblematicamente il caso della circolare ministeriale, la garanzia di pub- blicità del procedimento amministrativo e di accesso agli atti amministrativi che la legge sulla trasparenza intende assicurare non è sufficiente a determinarne un’effettiva conoscen-

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S. Cassese, Prefazione, in Id. (a cura di), Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle am-

ministrazioni pubbliche. Proposta e materiali di studio, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento

della Funzione pubblica, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1993, p. 9. Il Codice rientra in un pro- gramma generale di modernizzazione dell’azione amministrativa e di rivalorizzazione dei servizi pubblici pro- mosso dal ministro della Funzione pubblica Cassese. Al 1993 risalgono altre iniziative quali il Codice di con-

dotta dei dipendenti pubblici e la Carta dei servizi pubblici, recepita l’anno successivo dal Governo come diret-

tiva “Principi sull’erogazione dei servizi pubblici” del 27 gennaio 1994. 3

za se il linguaggio utilizzato dalle amministrazioni continua ad essere poco chiaro e com- prensibile.

Una situazione altrettanto paradigmatica citata nella stessa Premessa è quella delle comu- nicazioni ai contribuenti: in cui il cittadino è messo nelle condizioni di “pagare due tasse”, quella “esplicita” con cui contribuisce alle spese dello Stato e quella “occulta” rappresentata dalle ore pazientemente dedicate alla compilazione di moduli complicati.

Proprio riguardo al linguaggio del fisco merita di essere segnalato il percorso di sempli- ficazione linguistica, per certi versi antesignano, intrapreso a partire dall’anno di pubblica- zione del Codice di stile, dal Dipartimento delle Entrate del Ministero delle Finanze. Il Di- partimento, grazie alla collaborazione di linguisti e comunicatori, sostituiva il modello 740 del 1993, che anche il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro aveva definito “lu- nare” per le regole astruse e i calcoli impossibili richiesti ai contribuenti nella compilazione, con il nuovo modello 740 “terrestre”. Insieme alla riscrittura della bolletta Enel per la forni- tura dell’energia elettrica ad opera del gruppo di lavoro coordinato da Tullio De Mauro4

, veniva realizzata così una delle esperienze pilota in tema di semplificazione linguistica; pe- raltro in una materia complessa e specialistica quale quella fiscale5.

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La riscrittura della bolletta Enel risale al 1998. Furono eliminate innanzitutto abbreviazioni, espressioni gergali e riferimenti incomprensibili e invitati gli operatori a comunicare costi, modalità di pagamento, con- sumi, imposte erariali con un linguaggio più cortese e “politicamente corretto”, abbandonando la vecchia formula “se non paghi, tagliamo”. L’Enel, come tutte le grandi aziende di servizi, con la fine dei monopoli e l’era delle privatizzazioni, non poteva più rivolgersi a “utenti” ma a “clienti”, a cui trasmettere non soltanto la fatturazione dei consumi (precedentemente scritta in rosso, con duri solleciti di pagamento e minacce di distacco), ma, nell’ottica della fidelizzazione del cliente, anche comunicazioni volte a instaurare un rapporto interattivo improntato alla massima trasparenza e allo sviluppo della dimensione fiduciaria (compliance). Da qui le nuove sezioni riservate alle comunicazioni telefoniche per guasti e reclami e, di recente, finanche la possibilità di comunicare l’autolettura del contatore. T. De Mauro, M. Vedovelli (a cura di), Dante, il gendar-

me e la bolletta. La comunicazione pubblica in Italia e la nuova bolletta Enel, Laterza, Roma-Bari, 2001.

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Con il passaggio da un modello 740 all’altro, «le frasi lunghe delle istruzioni si sono ridotte del 50%, il numero medio di parole per frasi è sceso da 32 a 22, l’indice complessivo di leggibilità è cresciuto del 40%. Oltre ad accorciare i periodi sono state eliminate le troppe subordinate e le doppie negazioni […], ridotte le dispersive citazioni di articoli di legge, tolte dal testo (e concentrate in una apposita appendice) tutte le de- scrizioni di casi particolari, statisticamente irrilevanti, che appesantivano inutilmente la lettura delle istru- zioni». Cfr. Agenzia delle Entrate - Ufficio Relazioni esterne, Il linguaggio del fisco. Dizionario pratico dei

termini tributari, Roma, 2002. A partire dal 1993 il Dipartimento delle Entrate si è impegnato a portare a-

vanti il progetto di semplificazione linguistica conseguendo una serie di risultati positivi: non solo per quan- to concerne importanti riscritture (dopo il modello 740 fu la volta del modello Unico, dello Statuto del con- tribuente e dell’Annuario del contribuente) ma anche nell’elaborazione di prodotti informativi a supporto del rapporto dei contribuenti con il fisco. Il linguaggio del fisco sopra citato è per esempio un glossario in cui i principali termini tributari sono spiegati in modo chiaro; nella consapevolezza che il lessico tributario non è semplificabile se non entro certi limiti: «le deduzioni devono rimanere deduzioni, le detrazioni detrazioni. Il ravvedimento, la rendita, l’accatastamento, il cumulo “giuridico” delle sanzioni, la nota di accredito, l’ac- quiescenza, la “capienza” non sono termini sostituibili o semplificabili. Non si può usare il termine tassa al posto di imposta partendo dal concetto che la tassa è una parola di uso più comune […], non si può, creden- do di essere più chiari, confondere l’imponibile con l’imposta e rinchiudere il linguaggio del fisco in catego- rie espressive banali e generiche, che farebbero perdere il nesso indispensabile fra norme, diritti e obbliga-

Come abbiamo già avuto modo di anticipare, le amministrazioni pubbliche, in seguito al decentramento dei compiti e delle funzioni dallo Stato agli enti locali, hanno intrapreso, in virtù dell’autonomia istituzionale acquisita, un percorso di sperimentazione di pratiche, tec- niche e strategie informative inclusive atte a far emergere dal coinvolgimento diretto dei cittadini nell’attività amministrativa attese, bisogni e interessi diffusi scarsamente rappre- sentati da soddisfare attraverso l’erogazione di servizi appropriati e di qualità.

“Farsi capire” è un dovere costituzionale delle istituzioni pubbliche, chiamate ad affronta- re gli ostacoli che si frappongono all’uguaglianza sostanziale dei cittadini in termini di pari opportunità di accesso alle informazioni e ai servizi comuni (comma 2, art. 3 Cost.); a porsi a servizio esclusivo della Nazione (art. 98 Cost.); e a sollecitare l’attiva e riflessiva parteci- pazione della cittadinanza alla vita politica, economica, sociale del Paese (art. 118, Titolo V, Cost.). Con il tramonto del “potere invisibile” in nome del «governo del potere pubblico in pubblico»6, del “segreto d’ufficio” in nome della “pubblicità” dell’azione amministrativa, i cittadini da individui passivi dell’azione amministrativa acquisiscono, almeno teoricamente, diritti soggettivi di activae civitatis tra cui quello di partecipare ed esercitare un controllo attivo sul procedimento amministrativo. Dal loro dovere di comprendere dipende e il loro diritto alla comprensione e specularmente il dovere dei poteri pubblici di farsi capire.

Tuttavia, affinché questo sia indiscriminatamente possibile, non è sufficiente la garanzia della pubblicità degli atti: essa è soltanto un prerequisito essenziale della più ampia traspa- renza amministrativa7; la quale chiama in causa, oltre all’accesso e alla conoscibilità degli atti, la loro effettiva comprensione.

zioni». Il Ministero delle Finanze, insieme al Ministero dell’Agricoltura e delle foreste e all’Istituto naziona- le di Previdenza sociale, è stato tra i primi a porsi il problema dell’efficacia comunicativa dei propri prodotti.

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N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1995, p. 20. 7

Pubblicità e trasparenza non sono sinonimi. La trasparenza dell’azione amministrativa non consiste uni- camente nella conoscibilità da parte del cittadino dell’operato della pubblica amministrazione. Rispetto alla pubblicità, la trasparenza deve porre il cittadino nelle condizioni di comprendere e non solo di conoscere: di formarsi, sulla base delle informazioni ricevute, una propria opinione razionalmente fondata e di operare, sulla base di quest’ultima, delle scelte personali. Come ha precisato Gregorio Arena: «Si ha applicazione del criterio della pubblicità quando informazioni detenute dall’amministrazione vengono messe a disposizione di coloro che desiderano prenderne visione, su loro richiesta (diritto di accesso) o per iniziativa autonoma dell’ammi- nistrazione (legge 150 del 2000). Questo tuttavia non comporta necessariamente una maggiore trasparenza dell’amministrazione, come dimostra il caso dei bilanci comunali, il cui essere pubblici non aumenta real- mente la trasparenza delle amministrazioni comunali, essendo essi di fatto spesso incomprensibili ai cittadi- ni. Le informazioni contenuti in tali bilanci sono certamente pubbliche ma non servono o servono solo in misura minima ad assicurare la trasparenza di quell’amministrazione». La pubblicità delle informazioni è dunque una precondizione della trasparenza; la quale è conoscenza nel senso di effettiva comprensione. Cfr. G. Arena, Le diverse finalità della trasparenza amministrativa, in M. Merloni (a cura di), La trasparenza am-

Il diritto dei cittadini alla comprensione – dunque non più semplicemente “il diritto di in- formazione” sancito dall’art. 21 della nostra Costituzione8 – riscontra seri ostacoli nell’uti- lizzo da parte delle amministrazioni pubbliche di un codice linguistico non condiviso dalla popolazione destinataria – non solo dalle tipologie di destinatari più svantaggiati dal punto di vista socio-culturale ma spesso anche da cittadini più istruiti ma non addetti ai lavori9.

Il principio della trasparenza è indissolubilmente collegato a quello della semplicità e del- la chiarezza linguistica dei testi di “interesse pubblico”; vale a dire di quell’ampia catego- ria di testi prodotti da soggetti pubblici o esercenti di pubblici servizi che producono effetti diretti nella vita quotidiana dei cittadini, a livello individuale e collettivo, a livello di diritti e di doveri: dai testi di legge agli atti amministrativi, dagli avvisi al pubblico ai cosiddetti “bugiardini” allegati ai farmaci, dalle etichette alimentari alle cartelle cliniche, dalle bollet- te ai libretti di istruzione, dai pannelli autostradali alle comunicazioni di servizio nelle sta- zioni ferroviarie e aeroportuali e via di seguito.

Più nello specifico, rispetto al testo legislativo con cui raramente almeno le fasce sociali più deboli e svantaggiate dei cittadini si misurano in modo immediato e diretto, i testi am- ministrativi (i provvedimenti e la totalità degli atti amministrativi10 e i testi in generale pro-

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E. Zuanelli Sonino (a cura di), Il diritto all’informazione in Italia, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l’Informazione e l’editoria, Poligrafica e Zecca dello Stato, Roma, 1990. Nel volume esperti afferenti alle diverse discipline discutono del nuovo “diritto all’informazione”: da intendersi non più come “libertà di espressione” (art. 21 Cost.) sul versante della produzione dell’informazione, ma come dirit- to del cittadino ad essere informato e in modo comprensibile.

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Come ha dimostrato De Mauro, «il colto, Herr Doktor o, come avrebbe detto don Lorenzo Milani, il ‘babbo di Pierino’, possiede circa venti-trentamila parole che, nella stessa classe dei più colti, conosce solo lui insieme a un ristretto numero di suoi compagni di studi e colleghi di professione, e se le usa senza rispet- to per l’interlocutore non viene capito nemmeno dai colti di altra professione; inoltre anche il colto, se non vive in una stretta cerchia professionale, se parla con altri, se legge giornali, libri non strettamente speciali- stici, rischia di incontrare a ogni passo quelle settanta-ottantamila parole estranee al ‘vocabolario comune’ (comune a tutti i colti). […] Ne segue che anche Herr Doktor, dinanzi a un enunziato scritto o parlato pro- dotto da un altro Herr Doktor (ma anche da una persona di più bassa istruzione che faccia un mestiere speci- fico, idraulico o telefonista o salumiere) rischia di trovarsi dinanzi a un problema a causa della disparità dei patrimoni lessicali entro la massa dei locutori di una stessa lingua (che condividono lo stesso vocabolario fondamentale». Cfr. T. De Mauro, Capire le parole, Laterza, Roma-Bari, 1994, p. 82. Più avanti riprenderemo la distinzione tra “vocabolario comune” e “vocabolario fondamentale” della lingua italiana.

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Anche i provvedimenti sono atti amministrativi ma si distinguono dalla generalità degli atti in quanto espressione tipica del potere amministrativo; essi producono effetti diretti nella sfera giuridica dei soggetti e sono immediatamente esecutivi indipendentemente dal loro consenso. Mentre tramite un qualsiasi altro atto l’amministrazione si limita a esternare la sua volontà, giudizio, conoscenza e scienza. Si veda: F. Satta, Atto

amministrativo, in «Enciclopedia giuridica Treccani», 1988. Perché un atto amministrativo sia legittimo in

giurisprudenza sono sufficienti: la competenza del soggetto che emana l’atto sulla base dei poteri conferitigli dalla legge; l’assenza di condizionamenti esterni nel soddisfacimento di un interesse; la forma scritta dell’at- to che dovrà contenere obbligatoriamente l’intestazione (in cui è indicato il soggetto che ha il potere di ema- nare il provvedimento), la decisione e le relative motivazioni, la firma, il luogo e la data dell’emanazione. Cfr. A. Fioritto, Documenti, atti, provvedimenti, in Id., Manuale di stile dei documenti amministrativi, il Mulino, Bologna, 2009. Il provvedimento è l’atto finale discendente dal procedimento amministrativo, ossia dall’insieme degli atti e delle attività compiute dall’amministrazione pubblica in funzione dell’adozione dell’atto finale. Il procedimento si apre grazie a un atto iniziale che può consistere in una richiesta del citta-

dotti dalla pubblica amministrazione, anche a contenuto informativo e non necessariamente regolativo), considerata la pervasività dell’azione amministrativa nei diversi settori della so- cietà moderna – dal lavoro alla vita domestica, dall’istruzione alla sanità, dai trasporti alla cultura, dal fisco alla giustizia –, intervengono costantemente nella vita quotidiana: e nel tentativo di regolarne i processi essi si traducono invece in un quotidiano disagio.

Una società che voglia essere realmente democratica deve innanzitutto poter condividere un codice linguistico comune. Affinché uno scambio comunicativo effettivamente si realiz- zi, ossia affinché vengano raggiunti e gli obiettivi della produzione e quelli della ricezione, è necessario innanzitutto che emittente e ricevente condividano il codice per mezzo del quale le informazioni sono veicolate. La fuoriuscita degli “addetti ai lavori” dal «recinto protetto del linguaggio»11, mediante l’adozione di un linguaggio trasparente e accessibile alla generalità della popolazione, a cui talvolta i testi di pubblica utilità sono indistintamen- te rivolti, costituisce il principale strumento di inclusione politico-sociale: a fondamento e a sostegno della realizzazione della totalità delle pratiche di cittadinanza attiva sperimentate e in via di sperimentazione nelle odierne società democratiche; la “lingua del popolo”, espres- sione non esclusivamente simbolica di un paese realmente democratico, è la risorsa strate- gica fondamentale su cui le istituzioni dovranno investire per favorire l’inclusione dei citta- dini, e in particolare delle categorie svantaggiate, nell’azione istituzionale.

All’inaugurazione di un percorso di ammodernamento linguistico hanno contribuito ne- gli ultimi anni l’azione di contrasto alla cattiva qualità delle leggi, interventi normativi nell’ottica dell’efficacia comunicativa, comportamenti organizzativi maggiormente cen- trati sulle esigenze dei cittadini piuttosto che sui formalismi e le procedure interne, la molti- plicazione dei contesti e dei canali di interazione tra funzionari e cittadini, la maggiore specializzazione e professionalizzazione delle strutture e delle figure deputate alla cura dei