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La riforma del linguaggio amministrativo

3. Per un’analisi linguistica dei testi amministrat

Sotto il profilo strettamente linguistico, le analisi ad oggi condotte sui testi amministrativi (cfr. nota 15) hanno consentito di porre in evidenza alcuni tratti specifici dell’italiano bu- rocratico25:

 un lessico “tecnico”26

, sostenuto, criptico, aulico e desueto – o comunque inconsue- to – rispetto al lessico di altissima frequenza del cittadino di media istruzione, costi- tuito dalle 7.050 parole del vocabolario di base della lingua italiana27;

25

Rispetto alla lingua verbale, la lingua scritta pone indiscutibilmente maggiori difficoltà interpretative addebitabili fondamentalmente a caratteristiche semiotiche e pragmatiche. Se il discorso orale si svolge tra interlocutori in compresenza, il testo scritto invece mette in contatto interlocutori fisicamente assenti e in tempi diversi. Il fatto che lo scritto non sia interattivo significa innanzitutto che il lettore non può avvaler- si per la comprensione del testo di strumenti para-linguistici ed extralinguistici quali gesti, espressioni fac- ciali, intonazioni, prossemica e riferimenti diretti al contesto situazionale condiviso; così come non può con- tare sul sostegno simultaneo dell’autore all’effettiva ricezione del testo. Per questi motivi scrivere risulta as- sai più difficile che parlare. L’autore però, in situazioni di “comunicazione differita”, al fine di favorire la comprensione da parte del lettore, può innanzitutto cercare di prevedere e pertanto prevenire dubbi e frainten- dimenti. Per approfondimenti si vedano: M.A.K. Halliday, Written and Spoken Language, Deakin U.P., Vic- toria, 1985-1991. Trad. it.: Lingua parlata e lingua scritta, La Nuova Italia, Scandicci-Firenze, 1992; W.J. Ong, Orality and Literacy. The Technologizing of the Word, Routdlege, London, 1982. Trad. it.: Oralità e

scrittura, Zanichelli, Bologna, 1986; T. De Mauro, Guida all’uso delle parole, Editori Riuniti, Roma, 1997.

26

Il carattere tecnico del lessico è accentuato dalla larga frequenza rintracciabile nei testi amministrativi di “pseudo-tecnicismi”, ossia di termini che solo apparentemente sono tecnicismi giuridici: in realtà questi sono usati per assegnare al testo un tono solenne e uno stile rigoroso, arcaizzante e formale appositamente distinto dalla lingua comune e, secondo l’opinione di alcuni, studiosi e cittadini, volutamente inaccessibile ai più. Cfr. Sobrero, Lingue speciali, in Id. (a cura di), Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e

gli usi, vol. II, Laterza, Roma-Bari, 1993, pp. 237-277. Il lessico burocratico è costituito sia da tecnicismi

convenzionalmente stabiliti e funzionali a fini della precisione e della monoreferenzialità (rapporto univoco tra significante e significato, tra segno e referente extralinguistico), della neutralità emotiva, della densità in- formativa e dell’economia del discorso, sia da “tecnicismi collaterali”, che Luca Serianni, a proposito della lingua medica, definisce «particolari espressioni stereotipiche, non necessarie, a rigore, alle esigenze della denotatività scientifica, ma preferite per la loro connotazione tecnica». Cfr. L. Serianni, Saggi di storia lin-

guistica italiana, Morano, Napoli, 1989, p. 103. Stante a una ricerca internazionale, in Italia svolta da Tullio

De Mauro, nei testi giuridico-amministrativi le parole essenziali del diritto che non possono essere espresse diversamente non supererebbero mai il 4%. I risultati di questa ricerca sono riportati in M.T. De Stefano, La

semplificazione del linguaggio amministrativo come strumento di educazione linguistica, Nuova Cultura,

Roma, 2009. 27

Il vocabolario di base della lingua italiana (da ora VdB) elaborato da Tullio De Mauro nel 1980 sulla ba- se delle analisi condotte a partire dagli anni Sessanta dal Centro universitario di calcolo elettronico dell’Univer- sità di Pisa su un campione di testi scritti, comprende 7.050 parole che ricorrono statisticamente con più fre- quenza nella lingua italiana, conosciute e usate da tutti i parlanti in possesso di un’istruzione di base (otto anni di scuola di base corrisponderebbero al livello di una piena alfabetizzazione funzionale). In termini percentuali, il loro impiego all’interno di un testo in lingua italiana può arrivare al 95%. Più precisamente, 1.991 risultano le parole in assoluto più usate e note alla stragrande maggioranza degli italiani che hanno frequentato almeno gli studi elementari (vocabolario fondamentale), 2.750 quelle molto usate ma meno ri- spetto alle prime (vocabolario di alto uso) e 2.337 i termini noti ma poco usati sia nella lingua scritta che in quella parlata, appartenenti al vocabolario ricettivo e non produttivo dell’“italiano medio” (vocabolario di

alta disponibilità). Si noti che il “Grande dizionario dell’uso” a cura di De Mauro contiene circa 250.000

parole. I dati sono stati ricavati sulla base del Lessico di frequenza della lingua italiana scritta (Lif) e della consultazione di vocabolari dell’uso comune. La lingua italiana possiede un vocabolario comune costituito da circa 50.000 parole (in cui sono esclusi i termini specialistici di ogni linguaggio settoriale) che adulti con un’istruzione media e alta conoscono e possono correttamente utilizzare nella vita quotidiana, indipenden- temente dai mestieri e dalle professioni. Il VdB rappresenta un sottoinsieme del vocabolario comune. Cfr. T. De Mauro, Guida all’uso delle parole. Parlare e scrivere semplice e preciso per capire e farsi capire, Editori Riuniti, Roma, 1980. Sulla base del VdB sono stati implementati strumenti informatici di ausilio alla

 una struttura sintattica ampollosa, ridondante e “labirintica” che rischia continua- mente di far disperdere l’attenzione del lettore;

 una scarsa pianificazione logica degli argomenti che impedisce la riuscita dell’atto comunicativo nei termini di raggiungimento degli obiettivi comunicativi da parte del mittente come del ricevente.

È chiaro come i fattori linguistici evidenziati rendano inevitabilmente assai difficoltosa la comprensione dei testi: non solo per i cittadini ma anche fra amministrazioni che si occupa- no di materie differenti e finanche fra uffici della medesima amministrazione deputati a svolgere compiti precisi e specializzati. In generale, un’amministrazione che non comunica adeguatamente con i destinatari dell’azione amministrativa è anche un’amministrazione che funziona male al suo interno. In tal senso il linguaggio può essere ritenuto un «termometro che misura lo stato di salute [complessivo] di un’amministrazione»28.

Occorre tuttavia sempre distinguere tra comunicazione interna e comunicazione ester- na. Com’è ovvio, se tra addetti ai lavori, in cui vi sono presupposizioni implicite condivi- se, il ricorso ai tecnicismi offre finanche il vantaggio di scambi più rapidi ed efficaci, nel- le comunicazioni rivolte alla generalità dei cittadini i livelli di formalità di un testo devono essere attentamente adeguati, secondo il modello comunicativo della “flessibilità relaziona- le”29

, al contesto comunicativo: i tecnicismi giuridici, per esempio, dovranno essere resi nella maniera più chiara ed esplicita possibile e, nell’ottica di una scrittura che sia espressio- ne di spirito di servizio, eventualmente spiegati; le frasi dovranno essere costruite nel modo più vicino possibile al modello della proposizione semplice (soggetto + verbo + comple- mento oggetto e altri complementi) e concatenate tra di loro attraverso un uso frequente del- la punteggiatura e della coordinazione piuttosto che della più complessa subordinazione; e l’ordine logico delle informazioni dovrà rispecchiare innanzitutto le esigenze comunicative del destinatario.

scrittura amministrativa che analizzano, valutano e permettono di prevedere la difficoltà del testo in rapporto alle capacità di comprensione del lettore. Lo strumento informatico, mediante un’interrogazione del testo e- lettronico, restituisce automaticamente l’indicazione dei termini “fondamentali” (in colore verde), “di alta disponibilità” (in colore rosso), “di alto uso” (in colore blu) e “non appartenente al VdB” (in colore grigio). Per il lessico di frequenza della lingua italiana si veda: U. Bartolini, C. Tagliavini, A. Zampolli, Lessico di frequen-

za della lingua italiana contemporanea, Garzanti, Milano, 1972.

28

Fioritto, Manuale di stile dei documenti amministrativi, il Mulino, Bologna, 2009, p. 26. 29

Il modello si basa sul presupposto che non esistano comportamenti comunicativi di per sé giusti o sbaglia- ti, ricette preconfezionate di efficacia comunicativa valide indipendentemente dalle situazioni e dalle circostan- ze. Il buon comunicatore deve compiere continuamente scelte responsabili e adeguate ai diversi contesti e ai vari destinatari. Si veda: L. Marletta, L. Pacifico, La comunicazione situazionale. Strumenti per sviluppare la

Recenti studi di leggibilità e di comprensibilità condotti sulla testualità pubblica30 dimo- strano quanto il linguaggio delle istituzioni pubbliche sia distante dal repertorio linguistico comune – confermando un dato peraltro fin troppo noto nell’esperienza quotidiana di ogni cittadino31; chiamato giorno dopo giorno a mettere alla prova le proprie abilità linguistiche di fronte a termini ed espressioni antiquate, inutilmente sofisticate e artificiose, opache, se non addirittura ermetiche. Basti pensare all’espressione presente sui biglietti degli autobus in cui si ricorda ai passeggeri di “obliterare il titolo di viaggio presso le apposite macchinet-

te obliteratrici”, all’avviso affisso sull’autobus in cui si indica che il “posto è riservato a mi- norato non deambulante”, alle lettere inviate dalle amministrazioni comunali in seguito ad

accertamenti sull’“omessa oblazione della sanzione pecuniaria”, al cartello esposto sui cas- sonetti dei rifiuti in cui si informa che è “severamente vietato il conferimento dei rifiuti” e a tantissime altre espressioni che ricorrono frequentemente in testi pubblici rivolti indistin- tamente ai cittadini. Di seguito se ne riportano a titolo esemplificativo alcune di difficile comprensione e altre comprensibili ma inutilmente artefatte:

“efficientamento di risorse umane” invece di “miglior rendimento lavorativo” “autorizzazione in forma narrativa” invece di “autorizzazione scritta”

30

Si veda innanzitutto la ricerca realizzata dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione per conto della Presidenza del Consiglio dei ministri, La semplificazione del linguaggio amministrativo, cura- ta da Stefano Sepe nel 2003 (http://www.matteoviale.it/biblioteche/approfondimenti/sepe.pdf); e l’altra ri- cerca realizzata sempre dalla Sspa per conto del Dipartimento della Funzione pubblica, Il linguaggio delle

istituzioni pubbliche nei discorsi di insediamento Avvocatura dello Stato, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, a

cura di F. Basilica e S. Sepe nel 2004 (http://www.sspa.it/wp-content/uploads/2010/ 04/Relazione.pdf). Leggibilità e comprensibilità sono due criteri differenti di valutazione di un testo. La leggibilità si rife- risce all’espressione fisica e formale di un testo, alla sua veste lessicale, sintattica e grafica, ed è alla base della comprensibilità di un testo (effettiva comprensione del senso intenzionato dal mittente). Ma, perché un testo raggiunga l’obiettivo comunicativo per cui è stato scritto, è necessario che esso sia anche comprensibile, ossia che le diverse unità informative siano organizzate e disposte logicamente e coerentemente all’interno del testo in modo da favorire l’effettiva comprensione da parte delle diverse tipologie di destinatario e che soprattutto il testo sia strettamente aderente al contesto. La più antica formula di leggibilità è quella elabora- ta nel 1946 dall’americano Rudolph Flesch, ripresa in Italia nel 1972 da Roberto Vacca e riadattata nel 1988 dal Gruppo Universitario Linguistico Pedagogico dell’Università “La Sapienza” di Roma con il nome di “for- mula Gulpease”. Ci soffermeremo sugli indici di leggibilità più avanti. Si rimanda intanto a R. Flesch, How

to Test Readability, Harper and Rowe, New York, 1951; e si veda anche: Id., How to Write in Plain English. A Book for Lawyers and Consumers, Harper and Rowe, New York, 1979.

31

I cittadini si scontrano quotidianamente con difficoltà di accesso ai testi amministrativi e di disbrigo di pratiche farraginose e labirintiche. Lo testimoniano i numerosi articoli di giornale, rubriche televisive, blog, forum e gruppi di discussione in cui studiosi e comuni cittadini si confrontano sul tema. Per citare solo alcuni dei più frequentati e visitati tra gli ultimi: Osservatorio della lingua italiana (http://dizionari.zanichelli.it/ osservatorio-lingua-italiana/), Lingua italiana e accessibilità (forum.diodati.org/), Chiaro&Semplice (http:// chiaroesemplice.blogspot.it/), Parole (http://cortmic.myblog.it/), Il blog del Mestiere di scrivere (http://blog. mestierediscrivere.com/), La magia della scrittura (http://www.magiadellascrittura.it/), La mia Firenze (http://blog.quotidiano.net/fiechter/2012/09/12/94/), Lapis in fabula. Piccoli testi buffi (http://lapisinfabula. blog.tiscali.it/2007/10/20/considerazioni_su_parole_in_burocratese_ 1813854-shtml/), Dis.amb.iguando (http://www.giovannacosenza.it).

“declinare le proprie generalità” invece di “fornire i propri dati anagrafici” “arrecare nocumento” invece di “danneggiare”

“acquisire in atti” invece di “archiviare”

“attergare” invece di “retroscrivere” (o meglio ancora di “scrivere dietro”) “effettuare attesa” invece di “attendere”

“procedere all’accertamento” invece di “accertare” “esito e riscontro” invece di “risposta”

“consumare il pasto” invece di “mangiare” “esitare” invece di “concludere” (una pratica ) “porre in essere” invece di “realizzare”

“licenziare” invece di “trasmettere” (un documento) “ottemperare” invece di “rispettare”

“defalcare” invece di “ridurre” “espletare” invece di “svolgere” “escutere” invece di “interrogare” “introietare” invece di “riscuotere” “addivenire” invece di “giungere” “differire” invece di “rinviare” “depennare” invece di “cancellare” “compiegare” invece di “allegare” “eccepire” invece di “contestare”

“portare a conoscenza” invece di “informare” “prendere visione” invece di “leggere” “inconferente” invece di “irrilevante” “quiescenza” invece di “pensione” “diniego” invece di “rifiuto” “quietanza” invece di “ricevuta”

“decesso”, “trapasso” invece di “morte” “ingiunzione” invece di “ordine” “incartamento” invece di “pratica” “corrispettivo” invece di “pagamento”

“dichiarazioni mendaci” invece di “dichiarazioni false” “moneta divisionale” invece di “spiccioli”

“spazi cortilizi” invece di “cortile”

“aree pertinenziali” invece di “posto macchina” “evento franoso” per “frana” e via di seguito32

.

La lettura da parte del destinatario è resa ulteriormente ardua da artifici retorici e dalla ten- denza stilistica tipicamente burocratica all’“impreziosimento” e alla ricercatezza; ottenuta per mezzo sia di habitus linguistici e testuali ereditati dal passato e radicati nell’ambiente lavorativo – fino a diventare indicatori di prestigio sociale –, sia di tendenze, per così dire, “innovative” che contribuiscono a marcare un particolare registro conferendogli ufficialità, autorevolezza e prestigio rispetto alla lingua comune: dal ricorso a espressioni perifrastiche, al conio di neologismi, a rideterminazioni semantiche di termini propri di altre lingue spe- ciali, all’introduzione di forestierismi. Come è stato evidenziato, si tratta di caratteri ricor- renti nel lessico burocratico situati all’interno di una «forbice linguistica, fra arcaismo estre- mo e neologismo ardito»33.

Tra i tratti linguistici tipicamente burocratici acquisiti dalla tradizione:

 termini arcaici e antiquati (“testé”, “onde”, “all’uopo”, “addì”, “lì”, “allorquando”, “ancorché”, “ove”, “talché”, “codesto”, “prefato”) ed enclisi del verbo (“dovendosi);  latinismi (de iure, de cuius, de quo, a quo, ad quem, de facto, ex nunc, ex tunc, ex an-

te, contra jus, contra legem, ope legis, per tabulas, ius aedificandi)34;

 locuzioni preposizionali e congiunzionali complesse (“a corredo di” invece di “in- sieme”, “in costanza di” invece di “nel corso di”, “al fine di” invece di “per”, “nel ca- so in cui” invece di “se”, “con riferimento a” invece di “circa”, “di concerto con” o in “raccordo con” invece “di intesa con”, “a far tempo da” invece di “a partire da”);

32

Gran parte degli esempi sono tratti da un corpus di testi raccolto da chi scrive nell’ambito di una pre- cedente attività di ricerca linguistica condotta durante un tirocinio formativo di 400 ore presso alcuni uffi- ci dell’Agenzia delle Entrate (Firenze e Livorno) e confluiti nella relazione di stage Verso la chiarezza dei

testi amministrativi, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Pisa. Altri esempi sono stati ripresi dai ma-

nuali di stile e dalla rubrica dell’Osservatorio Zanichelli della lingua italiana, Parlar chiaro. L’italiano al

servizio del cittadino a cura di M. Arcangeli. Cfr. http://dizionari.zanichelli.it/osservatorio-lingua-italiana/

33

Per una più ampia disamina dei costrutti e delle tendenze stilistiche tipiche del burocratese si rinvia a So- brero, Lingue speciali, cit.

34

Si osservi come tra i latinismi ve ne siano alcuni – “ ex nunc”, “de facto” – non specificatamente giuridici ma utilizzati per conferire una patina di erudizione e di eleganza al testo. Si confondono spesso gli arcaismi con veri e propri termini tecnici del diritto: in realtà si può parlare di termine tecnico solo quando non esiste un equivalente nella lingua comune che produce appunto l’effetto di rendere obsoleto l’arcaismo. Cfr. B. Mortara Garavelli, Le parole e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche sui testi giuridici italiani, Einaudi, Torino, 2001, p. 181. Si veda anche G. Cornu, Linguistique juridique, Montchherestien, Paris, 1990.

 formule solenni e stereotipe (“in ossequio a”, “in ottemperanza a”, “ci pregiamo di in- formare la S.V.”, “è fatto obbligo a chiunque”, “pregasi voler cortesemente dispor- re”);

 espressioni pleonastiche e ridondanti (“assolutamente vietato” o “è fatto divieto asso- luto”, “netto rifiuto”, “entro e non oltre”, “autorità competente”, “apposito modulo”, “previa autorizzazione”, “avvenuto pagamento dell’emolumento suppletivo”, “docu- mento debitamente timbrato e firmato”, “normativa vigente”, “procedura comparati- va e selettiva”);

 espressioni sinonimiche superflue (“oggettività e imparzialità”, “procedura comparata e per confronto”);

 eufemismi utilizzati per esprimersi in modo accorto, prudente35

e reticente, per atte- nuare concetti spiacevoli o imbarazzanti, dunque per utilizzare un linguaggio nobili- tante e attentamente politically correct36, e per evitare reazioni negative da parte dei destinatari (“il mancato accoglimento”, “avranno cura di far rispettare”, “non sembra potersi sostenere”, “operatore tecnico” invece di “muratore”, “operatore ecologico” invece di “netturbino”, “audioleso” invece di “sordo”, “necroforo” invece di “becchi- no”, “agente carcerario” invece di “secondino”, “ausiliario” invece di “bidello”, “mancare” invece di “morire”);

 riprese anaforiche (ossia precisazioni e rimandi all’indietro al già detto o al già noto) ricorrenti, ridondanti e superflue (“il summenzionato caso”, “l’infrascritto”, “il pre- detto responsabile”, “il surrichiamato limite massimo retributivo”, “il succitato rego- lamento”, “per le prefate ragioni”);

 perifrasi del verbo generico accompagnato dal sostantivo (“effettuare una verifica”, “provvedere alla depennazione”, “procedere al differimento”, “apporre una firma”, “sottoporre ad analisi”, “trovare applicazione”, “accedere alla consultazione”).

35

La definizione di “eufemismo” come «prudenza verbale» è di G.L. Beccaria (a cura di), Linguaggi setto-

riali in Italia, Bompiani, Milano, 1973, p. 27. Del resto, «le entrate contratte ci danno una consolazione verbale

che le entrate diminuite ci negherebbero» (ivi, p. 29). 36

Il movimento contro l’uso discriminatorio della lingua nei confronti delle minoranze etniche, nato negli anni Sessanta negli Usa, ha condotto all’affermazione di vere e proprie “norme” linguistiche che sanzionano comportamenti linguistici difformi. In Italia le pubbliche amministrazioni sono state richiamate a partire dagli anni Ottanta a non utilizzare espressioni che possano dare adito a discriminazioni tra sessi, etnie, religioni, me- stieri, ecc. Sul punto si ricordano le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana della Com- missione per la parità e le pari opportunità tra donna e uomo della Presidenza del Consiglio del 1987 a cura di Alma Sabatini. Come è stato segnalato, in realtà, l’uso di espressioni eufemistiche (“litoti perifrastiche”) spesso anziché evitare certe parole tabù e attutirne i significati spiacevoli non fa altro che accentuare certe differenze e rendere addirittura più crude certe realtà (è il caso della disabilità). Si pensi all’uso del femminile per inomi professionali (avvocatessa, ministra, funzionaria, architetta).

 termini ambigui (per esempio “ovvero”: non è chiaro quando ha una funzione con- giuntiva e esplicativa di precisazione e quando invece una disgiuntiva di opposizione analogamente a “oppure”).

Tra i fenomeni lessicali che con una certa frequenza introducono nuovi termini all’interno del registro burocratico:

 anglicismi derivanti in particolare dal lessico finanziario e commerciale, dalla politica e dalla telematica (staff leasing, customer service, city manager, planning, action

plan, authority, card, badge, welfare, front e beck office, ticket);

 nomi derivanti da verbi a suffisso zero, ossia aggiungendo direttamente la desinenza alla base verbale (“ammanco” da “ammancare”, “stipula” da “stipulare”, “scorporo” da “scorporare”, “reintegro” da “reintegrare”, “storno” da “stornare”, “subentro” da “subentrare”);

 neologismi verbali derivanti da sostantivi in unione ai suffissi “-are” e “-izzare” (“commissariare”, “disdettare”, “relazionare”, “referenziare”, “quotizzare”, “contrav- venzionare”, “dimissionare”, “inizializzare”, “sinergizzare”, “pedonalizzare”, “atter- gare”, “attenzionare”, “ottimizzare”, “customizzare”, “interfacciare”);

 neologismi aggettivali in “-ale” sulla base del modello inglese (“assistenziale”, “co- municazionale”, “datoriale”, “tergale”, “concorsuale”, “vertenziale”);

 nominalizzazioni, ossia sostantivi al posto di verbi (“espletamento”, “stipulazione”, “impossidenza”, “decorrenza”, “effettuazione”)

 sostantivi astratti al posto di sostantivi concreti (“modulistica” invece di “moduli”, “problematiche” invece di “problemi”, “tematiche” invece di “temi”, “tempistica” in- vece di “tempi”, “totalità” invece di “tutti”, “metodologia” invece di “metodi”, “no- minativi” invece di “nomi”)37

.

Naturalmente non è da un singolo termine che dipendono i livelli di leggibilità di un intero testo. Seri problemi di leggibilità, e dunque di comprensibilità, si pongono nel momento in cui i fenomeni lessicali citati si ritrovano all’interno dello stesso testo strettamente compe-

37

Alcuni esempi sono ripresi da un corpus di testi dell’Agenzia delle Entrate analizzati nell’ambito dei lavo- ri di riscrittura realizzati dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Studi italianistici dell’Università di Pisa tra il 2001 e il 2002 (per i quali si rinvia a I. Comar, Il lessico nei testi amministrativi, in Franceschini, Gigli, op. cit., pp. 111-129), altri sono esempi famosi presenti nei manuali di stile e altri ancora sono stati estrapolati da un corpus di testi raccolti durante l’esperienza diretta di formatrice di italiano scritto e professionale presso enti locali della Toscana e della Liguria. Teniamo a precisare che non si tratta assolutamente di termini ed espres- sioni da eliminare dal vocabolario amministrativo. L’obiettivo a cui deve mirare una accurata semplificazione linguistica è quello di contenere certi usi superflui e ridondanti, spesso addirittura grotteschi, che riducono inutilmente l’accessibilità dei testi.

netrati tra di loro; come accade in atti e testi amministrativi e finanche in un semplice avviso agli uffici come quelli di seguito riportati38.