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Dal governo alla governance: verso il superamento del modello burocratico?

6. Gli anni Novanta del cambiamento

6.2. Dal governo alla governance: verso il superamento del modello burocratico?

Il percorso di modernizzazione della pubblica amministrazione italiana deve essere inqua- drato nella più ampia transizione politico-istituzionale in atto nelle democrazie contempora- nee dalla tradizionale forma statocentrica e gerarchica verso modelli decentrati, multipo- lari e reticolari di governo; dallo “Stato gestore” allo “Stato regolatore”105, dal “castello” al- la “rete”106

.

Con gli interventi legislativi succedutisi a partire dagli anni Ottanta nell’ottica della de- centralizzazione e della privatizzazione dei poteri e dei servizi, lo Stato ha assunto il ruolo di regolatore, facilitatore e promotore di azioni e servizi pubblici compartecipati. Il passag- gio da una forma di Stato all’altra – pur non essendo interpretabile nei termini di un reale superamento della struttura di potere centralizzata, monistica e verticistica tipica dello sta-

103

Butera, Dente, Change management nelle pubbliche amministrazioni, cit., pp. 36-37. 104

Per un inquadramento della riforma del linguaggio amministrativo all’interno del percorso di mo- dernizzazione dell’amministrazione pubblica, si ritiene utile riproporre in questo e nel sottoparagrafo suc- cessivo alcuni dei temi che sono stati trattati più approfonditamente in A. Cirillo, L’amministrazione rela-

zionale. Modelli comunicativi di Public Governance, in Id. (a cura di), Potere e Società. In nome di nuove soggettività democratiche, in «Rivista trimestrale di Scienza dell’Amministrazione», FrancoAngeli, Milano,

4/2011, pp. 59-78. 105

G. Sepe, Tra le riforme della pubblica amministrazione, in S. Rolando, a cura di, Teoria e tecniche

della comunicazione pubblica, Rizzoli Etas, Milano, 2011, pp. 17-26 (1a ed. 2001). 106

to-nazione107 – ha certamente favorito lo sviluppo di un sistema policentrico, cooperativo e condiviso di governo della cosa pubblica: contraddistinto dalla compartecipazione di una pluralità di soggetti pubblici, semi-pubblici e privati alla formulazione e all’attuazione del- le politiche di interesse generale e alla gestione dei servizi di pubblica utilità (public utili-

ties); dalla trasversalità dei livelli d’intervento (locale, nazionale, comunitario, internazio-

nale) e dall’aumento delle risorse, delle competenze e dei saperi impiegati nell’ottica del perseguimento di finalità comuni di interesse pubblico.

Nelle nuove forme ibride di potere reticolare le rigide procedure gerarchiche e burocra- tiche tendono a essere sostituite con stili e metodi organizzativi flessibili e rispondenti alla complessità e alla dinamicità delle relazioni di interdipendenza che vengono a intessersi tra attori interessati e coinvolti a vario titolo nelle politiche pubbliche considerate108. Come ha sottolineato la sociologa della pubblica amministrazione tedesca Renate Mayntz, il nuo- vo sistema di governo si distingue da quello burocratico basato sul controllo gerarchico in- nanzitutto per un maggior grado di cooperazione e per la costante interazione tra «lo Stato e attori non statuali all’interno di reti decisionali miste pubblico-private»109.

Il paradigma post-burocratico di azione pubblica partecipata, sussidiaria e congiunta ne- cessita della definizione di nuove regole, metodi e criteri operativi e di interazione per tra- dursi in politiche e servizi pubblici realmente rispondenti alle esigenze, agli interessi e alle attese dei soggetti coinvolti. Come già sostenuto dalla cosiddetta “Scuola delle contingen- ze” negli anni Settanta, essendo il framework istituzionale in cui le organizzazioni si trova- no a operare caratterizzato da elevati livelli di incertezza e di “turbolenza” che rendono pre- caria e “contingente” ogni strategia d’azione, la nuova organizzazione reticolare necessita di precisi schemi di azioni e di relazioni a cui ispirarsi per operare efficacemente e responsa- bilmente. Accanto ai principi ispiratori a cui deve essere improntata l’azione amministrativa

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Il dibattito politologico internazionale in materia di governance, se in un primo momento ha insistito sulle possibilità democratiche offerte dal nuovo stile di potere, da qualche tempo si interroga sulle insidie e le derive anti-democratiche insite nei processi reticolari di decision making: riconducibili alla scarsa rappre- sentanza degli interessi collettivi in un sistema in cui tendenzialmente finiscono per predominare interessi neo-corporativi e clientelari di mercato, alla partecipazione ristretta di soli alcuni segmenti della società civi- le a svantaggio delle categorie sociali più deboli, all’esclusione dai processi decisionali pubblici di aree terri- toriali in cui lo spirito civico e l’associazionismo è meno diffuso e, in generale, ai problemi di legittimazione istituzionale interni alle reti di potere. Sui vari limiti presenti nel meccanismo di governance si rimanda ad A. Borghini, Dal Governo alla governance. Scenari, orizzonti, confini, in «Rivista trimestrale di scienza dell’amministrazione», 4, 2011, pp. 19-37. Mentre per una panoramica internazionale del dibattito si ri- manda a: A. Palumbo, S. Vaccaro (a cura di), Governance: teorie, principi, modelli, pratiche nell’era globa-

le, Mimesis, Milano, 2007; Id., Id., a cura di, Governance e democrazia. Tecniche del potere e legittimità dei processi di globalizzazione, Mimesis, Milano, 2009.

108

A. Salvini, Dentro le reti. Forme e processi della Network Governance, in «Rivista trimestrale di Scienza dell’amministrazione», 4, 2011, pp. 39-57.

109

R. Mayntz, La teoria della “governance”: sfide e prospettive, in «Rivista italiana di scienza politica», a. XXIX, aprile 1999, pp. 3-21 (cit. p. 3).

tradizionalmente riconosciuti e custoditi nel diritto amministrativo classico – imparzialità, buon andamento ed equità –, si pone l’accento sui moderni valori della trasparenza, della cooperazione e dell’empowerment recentemente tradotti in principi giuridici (si veda in par- ticolare la legge sulla trasparenza già citata).

Per definizione, nei sistemi cooperativi e integrativi di governo, le “regole del gioco” non sono decise e imposte dall’alto da organismi che assumono una posizione sovraordi- nata rispetto ad altri. Esse discendono piuttosto dai vigenti meccanismi di consultazione, contrattazione e negoziazione tra le parti e sono suscettibili di continue rivisitazioni per l’intera durata del progetto comune. Tuttavia, inserita all’interno di reti di potere eteroge- nee (pubblico-private), all’organizzazione pubblica compete, in virtù della sua natura isti- tuzionale e in relazione al grado di istituzionalizzazione della rete, la funzione di coordi- namento dell’azione collettiva (network coordination). Essa è chiamata a esercitare una lea-

dership più o meno direttiva a seconda delle caratteristiche della prestazione collettiva, del-

la natura degli interessi da soddisfare, dell’ampiezza della rete, delle risorse investite, dei saperi e delle competenze richieste. Le funzioni istituzionali di mediazione e di regolazione sociale – consistenti più precisamente in «riduzione dell’incertezza nei rapporti sociali, ab- bassamento dei costi di transazione e garanzia dell’applicazione del contratto»110, nonché in garanzia di condizioni di equità per tutti gli attori sociali coinvolti e di controllo delle esternalità negative a danno di terzi derivanti dalle relazioni di scambio e dai corsi di azione istituzionalizzati – sono già sufficienti a legittimare la posizione centrale, in termini di pote- re e di responsabilità, ricoperta dallo Stato, e dalla pubblica amministrazione, rispetto agli altri nodi della rete di governo.

Il carattere prevalentemente simmetrico e orizzontale delle interazioni interne alla net-

work governance non deve far pensare alla scomparsa dei rapporti asimmetrici tradizionali

del potere: alcuni aspetti della struttura burocratica si riproducono anche all’interno della struttura reticolare ed emergono ancora una volta come i più razionali e funzionali al per- seguimento degli obiettivi inter-organizzativi. Nonostante i limiti e le “conseguenze inat- tese” dell’agire di tipo burocratico, è inopportuno dunque parlare di un reale superamento del modello organizzativo burocratico, il quale vanta un’indiscussa superiorità tecnica, in termini di disciplina, di efficacia (conseguimento degli scopi a cui l’azione amministrativa è diretta) e di efficienza (conseguimento degli scopi sulla base delle risorse di cui l’ammini-

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D.C. North, Institutions, Institutional Change, and Economic Performance, Cambridge University Press, Cambridge, 1990. Trad. it.: Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia, il Mu- lino, Bologna, 1994.

strazione dispone), rispetto a qualunque altra forma di funzionamento organizzativo111. I principi su cui si fonda l’azione burocratica persistono all’interno delle organizzazioni com- plesse, tuttora “ancorate” al modello burocratico per il governo e il controllo più razionale possibile dell’organizzazione.

La sociologa tedesca Mayntz parla, a proposito dei moderni processi di governance, di «autoregolazione all’ombra della gerarchia» e di inevitabile persistenza dei rapporti dise- guali di potere: lo Stato continua comunque ad esercitare «il diritto di ratifica legale, il dirit- to di imporre decisioni autoritative[…], il diritto di intervenire con un’azione legale o esecu- tiva» nel caso in cui i diversi attori sociali non assicurino autonomamente, mediante la con- trattazione e il coordinamento delle decisioni, una forma di self-regulating system. «La ge- rarchia – dunque – rappresenta, anche in epoca moderna, un assunto base dell’organizzazio- ne, anche se il processo di snellimento cui è stata sottoposta e le innovazioni organizzative l’hanno resa sempre più duttile e flessibile»112

.

A partire da tali considerazioni preliminari, appare utile piuttosto riflettere su come su- perare i limiti della razionalità organizzativa e dell’azione amministrativa razionale rispetto allo scopo113, correggere le derive e le degenerazioni del modello, contenerne le conseguen- ze inattese e disfunzionali114 – nei termini di Raymond Boudon gli «effetti perversi» impre-

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Come ha sottolineato Robert Merton, «il merito maggiore della burocrazia è la sua efficienza te- cnica, assicurata dall’accento posto sulla precisione, la sveltezza, il controllo qualificato, la continuità, la discrezionalità e il massimo del rendimento. La sua struttura è quella che di più si avvicina alla eliminazione completa di relazioni personali e di considerazioni impersonali (ostilità, ansietà, complicazioni affettive, ecc.)». Accanto alle funzioni che l’organizzazione burocratica svolge positivamente devono però essere stu- diate le funzioni non-intenzionali (latenti) e tra queste le disfunzioni che, a parere di Merton, Max Weber, interessato esclusivamente a «ciò che la struttura burocratica è capace di ottenere: precisione, comportamen- to responsabile, efficienza», avrebbe trascurato. Cfr. R.K. Merton, Teoria e struttura sociale. Studi sulla

struttura sociale e culturale, cit., vol. II, pp. 405-406.

112

A. Giosi, Teoria classica della burocrazia e processi di modernizzazione della Pubblica amministra-

zione, Aracne, Roma, 2007, p. 21.

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Si riporta brevemente la definizione data da Max Weber del tipo di agire razionale rispetto allo sco- po fondato sul calcolo costi/benefici. Secondo Weber, in tale modello di agire umano il soggetto agente orienta il proprio agire «in base allo scopo, ai mezzi e alle conseguenze concomitanti misurando razionalmente i mezzi in rapporto agli scopi, gli scopi in rapporto alle conseguenze, e infine anche i diversi scopi possibili in rapporto reciproco». Sappiamo come per il sociologo tedesco tale forma di razionalità e l’inarrestabile processo di razionalizzazione delle relazioni sociali che ne consegue dominano pervasivamente le diverse sfere della moderna e “disincantata” civiltà occidentale. Weber, Economia e società, cit., vol. I, p. 23.

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In particolare Merton si concentra sulle conseguenze inattese derivanti dalla assoluta conformità dei funzionari al modello della razionalità di scopo e alle regole organizzative: la disciplina, da mezzo richiesto dalla struttura organizzativa per il raggiungimento di determinati fini, ne diviene al contrario un potente ostacolo. A causa del processo di “trasposizione delle mete”, per cui un valore strumentale diventa un valore finale, la massima aderenza alle regole formali all’interno di un’organizzazione burocratica si trasforma in rigidità e incapacità di adattamento. Ciò accade – secondo l’argomentazione mertoniana – in quanto la con- formità al ruolo e ai moduli dell’azione in un’organizzazione formale è assicurata non solo dalle pressioni esercitate dalla struttura burocratica sul personale ma anche da sentimenti individuali, quale il senso del dovere, che sollecitano il personale ad assumere un comportamento conforme alle regole interne. Accade però che tali sentimenti anziché essere rapportati alle mete organizzative rimangano circoscritti ai mezzi richiesti dalla struttura per il raggiungimento delle mete: «l’adesione alle regole, concepita originariamen-

visti115 – e, in particolare, su come porre rimedio a quell’«incapacità addestrata»nell’adat- tarsi ai mutamenti dettati dall’ambiente esterno addebitabile all’assenza di flessibilità e al- l’impermeabilità del sistema amministrativo chiuso rispetto a quello reticolare aperto fon- dato sull’apprendimento continuo e sull’interazione strategica116

.

Il compito degli studi organizzativi diventa allora quello di ricercare forme di raziona- lità alternative a integrazione e revisione del modello egemone nel mondo occidentale della razionalità strumentale-formale: sia della versione più prettamente economica incen- trata sulla massimizzazione dei profitti e sulla minimizzazione dei costi in funzione di de- terminati scopi sia di quella strettamente tecnica e meccanica fondata sul calcolo e sul con- trollo dei mezzi atti al raggiungimento di determinati scopi e sulla dominabilità e prevedi- bilità dei corsi di azione.

Occorre a tal fine innanzitutto “riabilitare” quelle forme di razionalità dell’agire deri- vanti dall’attribuzione soggettiva e intersoggettiva di senso sulla base del «politeismo dei valori» già teorizzato da Max Weber. Esigenze e visioni individuali, etiche e professionali, interne all’organizzazione possono rivelarsi in grado di sopperire ai limiti etici, sociali e cul- turali di una razionalità organizzativa rivolta unicamente all’incremento dell’efficienza in rapporto ai mezzi di produzione. Vi sono fattori extra-economici che contribuiscono al ren- dimento lavorativo e al buon funzionamento dell’organizzazione e che pertanto non posso- no essere trascurati in nome dell’assoluta prevedibilità e affidabilità dell’azione garantita dal modello burocratico modernista117: una maggiore cura dei rapporti interpersonali e della

te come mezzo diventa fine a se stessa»; la disciplina, anziché essere considerata un prerequisito per il raggiungimento dei fini organizzativi, assurge a valore fondamentale indipendentemente da considerazio- ni di tipo strumentale. Cfr. R.K. Merton, Teoria e struttura sociale. Studi sulla struttura sociale e cultura-

le, cit., II, pp. 409-411.

115

R. Boudon, Effets pervers et ordre social, Presses Universitaires de France, Paris, 1977. Trad. it.:

Effetti “perversi” dell’azione sociale, Feltrinelli, Milano, 1981.

116

Francesco Paolo Cerase ha indicato, limitatamente al caso italiano, una serie di punti critici del model- lo burocratico, il quale non terrebbe adeguatamente conto di fattori concreti dell’attività amministrativa qua- li: a) l’assenza di una netta separazione tra decisioni politiche e attuazione amministrativa e delle ambiguità e incertezze che nell’ambiente esterno intralciano la fase di attuazione delle politiche; b) lo scarto tra la teo- ria e la norma e il contesto non perfettamente definito e controllabile in cui essa deve essere applicata, dun- que anche tra l’atto legislativo e le regole di attuazione che prescrivono, sulla base dell’interpretazione dello spirito della legge, come e per mezzo di quali azioni concrete deve essere attuato un compito; c) incongruen- za e incoerenza tra le stesse norme; d) comportamenti non discendenti esclusivamente da prescrizioni nor- mative ma da altre motivazioni ad agire in un determinato modo; e) incidenza retroattiva sull’organizzazione dell’attività amministrativa della prestazione; f) richiesta dettata dal soddisfacimento di bisogni e interessi pubblici di risorse materiali e tecnologiche e di competenze specialistiche ad hoc. Cfr. F.P. Cerase, Pubblica

amministrazione, cit., pp. 85-103.

117

S.R. Clegg, L’ironia del caso. Max Weber nel contesto della sociologia delle organizzazioni, in S.B. Ba- charach, P. Gagliardi, B. Mundell (a cura di), Il pensiero organizzativo europeo, Guerini e Associati, Mi- lano, 1995, pp. 29-80. L’autore distingue l’idealtipo modernista della burocrazia da uno post-modernista. An- che C.J. Fox e H.T. Miller parlano in un testo del 1995 di una “Pubblica amministrazione post-moderna”:

solidarietà organizzativa, uno stile lavorativo di squadra essenzialmente democratico, un certo “clima” di “benessere” organizzativo, la valorizzazione delle motivazioni individuali, l’introduzione di sistemi di incentivazione economica, morale e culturale e di sviluppo delle potenzialità professionali. Ad un livello più generale, motivazioni, interessi, scelte e strategie dei soggetti che agiscono – sulla base del senso attribuito all’agire amministrativo – intervengono nella definizione degli scopi organizzativi e dunque nelle modalità con cui l’azione amministrativa incide sul processo di riproduzione e trasformazione sociale. Di fronte alla complessità della società post-moderna, proprio a partire da tali fattori soggetti- vi ed intersoggettivi, psicologici e sociali, è possibile dare vita a comportamenti flessibili, innovativi e strategici in grado di fronteggiare situazioni nuove e “turbolenze” impreviste. In base all’analisi della burocrazia compiuta da Michel Crozier nel Fenomeno burocrati-

co (1964)118, il potere, piuttosto che configurarsi weberianamente come esercizio raziona- le del potere da parte di un’autorità formale, deve essere assunto come potere di controllo dei margini di incertezza presenti in comportamenti mai perfettamente prevedibili. Sareb- be un paradosso infatti – invita a notare Crozier – l’esercizio di un potere in assenza di di- screzionalità di scelta e di comportamento da parte di chi deve obbedirvi. La prevedibilità delle decisioni e dei comportamenti, dettata dalla rigida e impersonale regolamentazione in- terna, dalla predeterminazione formale dei comportamenti e dalla convinzione che esista un’unica one best way, è infatti una condizione utopica. Nella realtà lavorativa emergono margini di incertezza e di discrezionalità nei comportamenti dei soggetti, dettati fondamen- talmente dalla dinamicità e complessità della realtà esterna all’organizzazione: l’uomo non è soltanto un braccio (come sostenevano i tayloristi) e neanche soltanto un cuore (secondo quanto sostenuto dalla teoria delle Relazioni umane); è al contrario un essere capace di pro- gettare, elaborare strategie e compiere scelte non previste dall’organizzazione, anche a tute- la di interessi personali. Forme di razionalità private, sebbene per un verso, come si è detto, possano entrare esplicitamente in conflitto con la razionalità organizzativa, per l’altro pos- sono rivelarsi maggiormente strategiche e adatte alla soluzione di problemi organizzativi.

Mediante i risultati di indagini empiriche compiute presso alcune pubbliche amministra- zioni francesi, Crozier conferma il giudizio negativo sulla burocrazia già diffuso nel senso comune della sua epoca: essa si rivela un microcosmo farraginoso, lento, pesante e ineffi- ciente, incapace di correggere i propri errori, un organismo ligio alla disciplina, alla routine e alle norme impersonali e non propenso al cambiamento. Di fronte alla crescente incertez-

118

M. Crozier, The Bureaucratic Phenomenon, Seuil, Paris, 1964. Trad. it.: Il fenomeno burocratico, Etas Kompass, Milano, 1969.

za dell’ambiente istituzionale esterno, si assiste pertanto, contrariamente alle previsioni we- beriane sulla fortuna del modello, alla sua degenerazione e decadenza: l’agire ispirato al cri- terio della razionalità assoluta e rivolto al perseguimento di finalità organizzative rigida- mente predeterminate non si rivela per definizione capace di quella flessibilità interna ne- cessaria ai continui adattamenti richiesti dall’ambiente esterno in preda all’incertezza e al rischio.

Già negli anni Venti del Novecento, in reazione alle teorie tayloristiche, la “Scuola delle Relazioni umane” aveva insistito sulla centralità del fattore umano e dei rapporti sociali e comunicativi, formali e informali, sul comportamento e sulla produttività organizzativa119. Secondo Crozier, all’interno di un’organizzazione vi sono elementi informali che interagi- scono con quelli formali, moventi individuali che si sovrappongono ai fini organizzativi. E- ludere un aspetto o l’altro significa arrestarsi a una visione riduttiva della struttura e dei pro- cessi organizzativi.

L’accento posto sull’elemento soggettivo e intersoggettivo aveva condotto negli anni Quaranta alla promozione dell’abbandono del paradigma della razionalità assoluta e sostan- tiva in funzione di forme di «razionalità limitata» (bounded rationality)120. Secondo tale ap- proccio, i processi decisionali, svolgendosi sempre in contesti di incertezza, non perverreb- bero mai a decisioni «ottimali» (l’one best way teorizzato da Taylor) ma soltanto «soddi- sfacenti» e “contestuali”. La consapevolezza dell’incompletezza delle conoscenze a dispo- sizione degli individui e dell’incapacità di valutare tutte le possibili alternative e l’intera gamma delle eventuali conseguenze induce ad anteporre alla razionalità della scelta finale (“razionalità sostanziale”) quella complessiva del processo evolutivo da cui genera la deci- sione finale (“razionalità procedurale”); in sintesi a porre l’attenzione piuttosto che sull’out-

put sull’intero processo di problem solving. La ricerca della risposta più ragionevole e sen-

sata – in termini di rapporto dinamico tra gli esiti raggiunti e le aspirazioni emergenti del

119

Il movimento delle Relazioni Umane nacque per iniziativa di un gruppo di studiosi impegnati in una ricerca presso la Western Electric di Chicago. Elton Mayo spiegò come non fossero gli incentivi eco- nomici, le sanzioni e i fattori ambientali a intervenire maggiormente nel rendimento lavorativo quanto piuttosto un forte senso di appartenenza e una solida membership, un clima organizzativo armonico e col- laborativo, la comunicazione interpersonale, la condivisione soggettiva ed intersoggettiva della mission organizzativa e altre motivazioni individuali e collettive non necessariamente razionali.

120

Il modello ideato dal Premio Nobel per l’economia Herbert Simon (cfr. H.A. Simon e J.G. March,

Organizations, Wiley, New York, 1958) è stato ripreso successivamente da Crozier e Friedberg (cfr. M. Cro-

zier, E. Friedberg, L’acteur et le système. Les contraintes de l’action collective, Seuil, Paris, 1977. Trad. it.: At-

tore sociale e sistema. Sociologia dell’azione organizzata, Etas, Milano, 1977). In contrasto con la posizione

utilitaristica della scelta razionale (Coleman) che si basa sul rapporto tra costi e benefici (rational choice mo-

del), anche Raymond Boudon (op. cit.), in linea con il concetto di “razionalità limitata” proporrà più a-