La riforma del linguaggio amministrativo
Grafico 2. Distribuzione percentuale dei livelli di competenza in Italia
7. L’autore dalla parte del destinatario
7.1. Principi e strategie di cooperazione testuale
Analogamente a quanto accade già da tempo per la comunicazione commerciale, si com- prende anche nel settore pubblico la rilevanza che assume la conoscenza del livello di auto- nomia interpretativa e dei codici linguistici e simbolici in possesso del pubblico di riferi- mento per poter calibrare e adeguare, retroattivamente, la produzione alla ricezione; un’a- zione meta-comunicativa tesa ad assicurare la comprensione effettiva dei contenuti e nel contempo la trasmissione dell’idea di una pubblica amministrazione attenta all’altro e di- sponibile al dialogo. L’attenzione al processo della ricezione ha sollecitato l’interesse de-
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E. Goffman, The Neglected Situation, in «American Anthropologist», LXVI, 6, 1964, pp. 13-25. Trad. it. di F. Orletti: La situazione trascurata, in Giglioli, Fele, op. cit., pp. 63-68 (cit. p. 66). Si veda anche Id., The
Interaction Order, in «American Sociological Review», 48, 1, 1983, pp. 1-17. Trad. it. a cura di P.P. Giglioli, L’ordine dell’interazione, Armando, Roma, 1998.
gli studiosi di comunicazione pubblica per le teorie della percezione e dei feedback e per le analisi di carattere socio-psicografico così come l’impegno delle stesse istituzioni nello svi- luppo di nuove competenze interdisciplinari.
Se – per utilizzare le parole di Tullio de Mauro – la comprensione è sempre un caso di
problem solving138, essa si rivela ovviamente assai più problematica nel caso dei messaggi che le istituzioni pubbliche rivolgono alla generalità della popolazione: questi infatti risulta- no decodificabili a partire dai diversi sistemi di ricezione presenti in una data comunità di parlanti; eterogenea dal punto di vista delle risorse materiali e simboliche, delle conoscenze e delle competenze linguistiche e comunicative.
Al fine di evitare il rischio di una comunicazione egocentrica e autoreferenziale si rende necessario per gli autori di testi pubblici attuare una “decodifica anticipatoria” nella fase di ideazione e progettazione dei messaggi: ossia un’anticipazione dell’atteggiamento della de- stinazione e un adeguamento retroattivo ai differenti meccanismi di ricezione; i quali po- tranno essere presupposti grazie alla raccolta diretta dei feedback, alla consultazione degli studi disponibili sulla popolazione di riferimento e alle stesse analisi sul grado si soddisfa- zione dei cittadini (customer satisfaction).
In sintesi, ciò che viene richiesto agli autori dei testi amministrativi è l’esercizio di una certa “flessibilità cognitiva” e l’acquisizione di strategie psico-socio-linguistiche di role ta-
king, di immedesimazione nell’universo simbolico dell’altro, che rendano davvero possibile
l’interazione comunicativa. La comunicazione pubblica, come comunicazione “decentrata” e “centrata sull’altro”, è sempre da intendersi anche nei termini di una comunicazione es- senzialmente “sociale”: essa comporta obbligatoriamente «la capacità di effettuare scelte linguistiche adatte all’altro, una azione continua di codifica e ricodifica. […] il soggetto do- po aver codificato il messaggio per sé, deve essere in grado di ricodificarlo tenendo presente le caratteristiche dell’ascoltatore»139.
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De Mauro, sulla scia dell’ermeneutica ottocentesca, di Schleiermacher e di Dilthey, invita a constatare come: «comprendere un enunciato linguistico [ponga] sempre un problema, anzi una somma, un intreccio di problemi quale che sia l’enunciato e quale che sia la perizia di chi lo riceve e vuole capire. […] Comprendere un enunziato, comprenderlo davvero, è sempre un caso di problem solving». Ogni atto interpretativo si fonda sul rimando circolare tra la parte e il tutto. L’attività del comprendere non è pertanto un «riflesso obbligato e speculare, mero ricalco esecutivo della produzione»: fenomeni di incomprensione sono sempre in agguato; per questa ragione, ricorda De Mauro, lo stoico Zenone faceva notare come gli dei avessero donato agli uomini una sola bocca e due orecchie. Cfr. T. De Mauro, Capire le parole, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. VII-VIII.
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P. Ricci Bitti, B. Zani, La comunicazione come processo sociale, il Mulino, Bologna, 1983, p. 29. Gli au- tori si rifanno al concetto di role taking formulato da George Hebert Mead nel 1934 inteso come capacità di as- sunzione del ruolo dell’“altro generalizzato”; in termini più comuni, come predisposizione empatica a “mettersi nei panni dell’altro”. Cfr. G.H. Mead, Mind, Self, and Society, University of Chicago Press, Chicago, 1934. Trad. it. di R. Tettucci: Mente, sé e società, Giunti-Barbera, Firenze, 1966. Il concetto di decodifica anticipa- toria è stato rielaborato in seguito da R. Rommetveid, in On the Architecture of Intersubjectivity (1974).
Riprendendo ancora una volta l’espressione wittgensteiniana, ogni «forma di vita» ri- chiede un preciso e appropriato «gioco linguistico»; le cui regole non possono essere stabili- te una volta per tutte ma decise di volta in volta in relazione al contesto d’uso e alle compe- tenze linguistiche degli interlocutori. Come insegna l’arte della retorica ogni genere di co- municazione richiede uno stile adeguato: e la comunicazione pubblica richiede un linguag- gio il più possibile vicino a quello del “cittadino medio” e alle sue reali possibilità di frui- zione.
Una scrittura istituzionale che intenda essere chiara, funzionale ed efficace deve avvalersi necessariamente di tecniche di scrittura controllata che consentano di calibrare contenuti e stili comunicativi anche sulle fasce di cittadini con minore scolarità. Nella fase di progetta- zione del testo bisognerà porre attenzione al destinatario e al suo contesto di riferimento: se nella comunicazione scritta tra uffici legali, essendo condiviso il contesto di riferimen- to, non occorrerà per esempio spiegare tecnicismi ed espressioni gergali di dominio comu- ne perché l’atto comunicativo si riveli efficace; in presenza di contesti di riferimento diffe- renti, sarà necessario invece distinguere tra “tecnicismi specifici” e “tecnicismi collatera- li”140
, aiutare il lettore nella comprensione dei primi e sostituire gli ultimi in quanto pseudo- tecnicismi: vale a dire formule cristallizzate e stereotipate tipiche di un certo ambito setto- riale, utilizzate non perché contenenti una maggiore precisione giuridica e densità infor- mativa ma unicamente per conferire al testo uno stile tecnico e ufficiale più rigoroso e ricercato e come strumento di distinzione sociale e culturale rispetto al linguaggio comu- ne (es. “consacrare un atto”, “produrre un testimone”, “prestare il consenso”).
Occorre precisare, in linea con la definizione semiotica di “testo” offerta dalla tradizione di studi ermeneutici141, che un testo pone sempre problemi di interpretazione dei significati.
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Il valore dei tecnicismi collaterali è connotativo piuttosto che denotativo. Essi sarebbero facilmente sosti- tuibili con termini di uso più comune ma sono preferiti per esigenze stilistiche (permettono per esempio di otte- nere effetti di variatio evitando ripetizioni) e perché esclusivi di una ristretta cerchia di specialisti. Non tutti i tecnicismi collaterali rispondono tuttavia soltanto a esigenze stilistiche. È il caso degli “iperonimi”, ossia di quei termini “economici” che si riferiscono a una serie di casi, azioni o oggetti e per i quali non esistono sino- nimi: “area di circolazione” per esempio non può essere sostituito sempre con “strada”; essa indica infatti an- che “scale”, “marciapiedi” e qualsiasi altro spazio del suolo pubblico destinato a viabilità. Cfr. L. Serianni, Un
treno di sintomi. I medici e le parole: percorsi linguistici nel passato e nel presente, Garzanti, Milano, 2005,
pp. 127-128. Si veda anche: A. Sobrero, Lingue speciali, in Id., Introduzione all’italiano contemporaneo. La
variazione e gli usi, vol. 2, Laterza, Roma-Bari, 1993, pp. 237-277; M. Dardano, Profilo dell’italiano contem- poraneo, in L. Serianni, P. Trifone (a cura di), Storia della lingua italiana, Scritto e parlato, vol. II, 1994, Ei-
naudi, Torino, p. 366. 141
Secondo la prospettiva della semiotica interpretativa formulata da Umberto Eco, un testo senza la “cooperazione interpretativa” e la “negoziazione del senso” tra emittente e fruitore non è altro che una strut- tura retorico-testuale, una “macchina pigra”. Del resto, considerata «l’indefinita estensibilità del significato» (De Mauro), qualsiasi unità testuale pone sempre un problema di “traduzione” e di individuazione del contenu- to referenziale di un enunciato. Cfr. Eco U., Lector in Fabula, Bompiani, Milano, 1979. Si veda anche: P. Fab- bri, La svolta semiotica, Laterza, Roma-Bari, 1998; De Mauro, Capire le parole, cit.
Esso è fondamentalmente un oggetto semiotico prodotto dalla negoziazione tra il significa- to intenzionato dall’autore e i processi di significazione messi in atto dal lettore (lector in
fabula). «Una volta separato dal suo emittente, dalla sua intenzione, dalle circostanze con-
crete della sua emissione, si ritiene che il testo galleggi in uno spazio potenzialmente infini- to di interpretazioni possibili. Non esiste un senso definitivo, originale, finale»142. Un qualsiasi testo è destinato a mantenere in sé elevati margini di ambiguità e di imprevedibili- tà e a produrre di conseguenza una «deriva infinita di senso» (Eco), una molteplicità di si- gnificati, forse anche tanti quanti sono i suoi lettori143.
Affinché i significati possano essere realmente condivisi, onde evitare quindi derive in- terpretative, è possibile tuttavia porre dei limiti all’attività dell’interpretazione attraverso «restrizioni preliminari»144: per esempio adottando “strategie interpretative” che possano restringere il più possibile la “polisemia” insita negli atti comunicativi e rispettando le re- gole specifiche del genere testuale a cui l’atto comunicativo appartiene.
Nella linguistica testuale – specifica disciplina linguistica che si propone di studiare il testo come “co-testo”, ossia come macro-atto comunicativo inserito in un preciso contesto situazionale e socio-culturale145 – sono stati individuati in generale sette principi costitutivi o condizioni di testualità che un qualsiasi testo deve soddisfare per avere valore comunica- tivo: la coesione grammaticale (le relazioni sintattiche) del testo di superficie; la coerenza logica (le relazioni logico-semantiche) soggiacente al testo di superficie; l’intenzionalità, ossia la volontà/capacità di colui che produce il testo di dare vita a un testo coesivo e coe- rente per soddisfare le sue intenzioni e raggiungere il fine di un progetto; l’accettabilità, ov- vero la predisposizione del ricevente ad attendersi un testo coesivo e coerente che sia utile e rilevante per acquisire informazioni e la disponibilità ad orientare la propria azione sulla ba- se delle informazioni ricevute; l’informatività del testo rispetto ai livelli di attesa e di cono-
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P. Montesperelli, L’intervista ermeneutica, FrancoAngeli, Milano,2004 (1a ed. 1997), p. 40. 143
E.D. Hirsch, Validity in Interpretation, Yale U.P., New Haven and London. Trad. it.: Teoria
dell’interpretazione e critica letteraria, il Mulino, Bologna, 1983. Citato in Montesperelli, op. cit., p. 40.
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U. Eco, I limiti dell’interpretazione, Bompiani, Milano, 1990. 145
Il testo viene definito come un’unità pragmatica prodotta e interpretata all’interno di dinamiche comuni- cative, un’occorrenza comunicativa (kommunikative Okkurrenz).Cfr. R.A. de Beaugrande, W.U. Dressler,
Einführung in die Textlinguistik, Max Niemeyer Verlag, Tübingen, 1981. Trad. it.: Introduzione alla linguisti- ca testuale, il Mulino, Bologna, 1994 (1a ed. 1984), p. 18. Gli autori, rifacendosi in particolare alla teoria degli atti linguistici di Searle su cui ci siamo già soffermati, assumono il testo come unità minima d’analisi. Se la grammatica strutturalista e quella generativo-trasformazionale si erano limitate allo studio della frase come uni- tà massima d’analisi della langue, la linguistica testuale considera il testo, di qualsiasi dimensione esso sia – dunque anche enunciati minimi – come «unità osservabile nel comportamento linguistico di determinati parlan- ti» (E. Benvenist, Problèmes de linguistique générale, Paris, Gallimard, 1966. Trad. it.: Problemi di linguistica
generale, il Saggiatore, Milano, 1971, pp. 269-82). Ponendo l’accento sul carattere processuale dell’enun-
ciazione, piuttosto che sull’enunciato quale prodotto comunicativo, il testo assume in tali studi tutti gli aspetti di una vera e propria azione; di un’azione appunto comunicativa.
scenza degli interlocutori; la situazionalità, vale a dire la rilevanza del testo in una deter- minata situazione comunicativa; e infine l’inter-testualità tra un evento comunicativo e gli altri. Disattendere l’una o l’altra condizione di testualità comporta la trasgressione del patto che disciplina qualsivoglia interazione comunicativa.
Come si può facilmente notare, tra i principi citati ve ne sono alcuni di natura stretta- mente linguistica riferiti al messaggio (coesione e coerenza) e altri invece socio-situazionali riferiti, oltre che ai partecipanti all’interazione comunicativa, al frame, alla cornice conte- stuale dell’intero comportamento comunicativo a cui il testo deve necessariamente rinvia- re146.
Accanto a tali criteri intrinseci e costitutivi di un testo, che consentono di valutare il ver- sante della produzione del testo, de Beaugrande e Dressler ne individuano altri regolativi che fanno riferimento invece al controllo dell’uso concreto del testo (attualizzazione del te- sto): l’efficienza che discende dal minor impegno e sforzo possibile dei partecipanti nella produzione e nell’uso del testo; l’effettività, ovvero la capacità del testo di produrre le con- dizioni favorevoli al raggiungimento di un fine; e l’appropriatezza dei contenuti testuali ri- spetto al contesto. La qualità di un testo deve dunque essere valutata a partire dalla concre- tezza della situazione comunicativa: in relazione al “contesto” a cui il “testo” (da textum, “tessuto”, “intreccio”) è profondamente intrecciato. Un testo non è infatti tale solo perché costituito da parti interne opportunamente collegate tra loro: per tradursi in occorrenza co- municativa esso deve presentare anche chiari collegamenti contestuali. Riguardo ai conte- nuti per esempio, perché un testo assolva alla sua funzione, questi debbono risultare perti-
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Si deve in particolare all’etnometodologia, più precisamente a Harold Garfinkel, il merito di aver chiarito come il senso dell’agire sociale – e dunque anche dell’agire linguistico – sia sempre da ricercarsi nel rapporto dinamico e circolare di indicalità e di riflessività che esiste tra l’accounts (azione, discorso, ecc.) e il contesto in cui esso è situato: in generale, di aver descritto come mediante le pratiche quotidiane intersoggettive di accoun-
ting (di definizione, spiegazione e descrizione delle situazioni) «i membri ordinari» assegnano senso alla realtà
contestuale e come la natura ordinata e ordinaria di tale realtà sia generata da azioni dotate del senso adeguato al perseguimento di certe finalità partiche. La realtà che viene organizzata “razionalmente” diventa pertanto “situazionalmente” accountable (“resocontabile”). E così, l’interpretazione di un’espressione linguistica non sarebbe il prodotto di una relazione univoca e oggettivamente definita tra segno e referente ma dipenderebbe dall’attualizzazione di un determinato account in una specifica cornice “familiare”. Essa sarebbe fondata dun- que su assunzioni tacite e implicite e su conoscenze di senso comune non problematizzate; su strutture interat- tive di costruzione del senso che consentono ai partecipanti di condividere significati. Non esistono interpreta- zioni valide una volta per tutte ma condivisioni di significato rese possibili dal rapporto circolare che viene a intessersi tra pratiche di resoconto e contesto: per cui le prime vengono interpretate grazie ai particolari “indica- li” presenti nel contesto e quest’ultimo, secondo l’orientamento costruttivistico, risulta continuamente riprodot- to all’interno delle procedure descrittive e interpretative. Cfr. H. Garfinkel, Studies in Ethnomethodology, Pren- tice-Hall, Englewood Cliffs, 1967. Per una panoramica generale del paradigma interpretativo della sociologia fenomenologica si rinvia a P.P. Giglioli, A. Dal Lago, Etnometodologia, Bologna, il Mulino, 1983; L. Muzzet- to, Fenomenologia ed etnometodologia. Percorsi della teoria dell’azione, FrancoAngeli, Milano, 1997; G. Fe- le, Introduzione all’etnometodologia, Carocci, Roma, 1999.
nenti e poter integrarsi con il sistema delle conoscenze già in possesso del ricevente e con l’orizzonte simbolico in virtù del quale essi acquistano un valore semiotico.