• Non ci sono risultati.

Tra compromesso e intransigenza: i rapporti con le Chiese

Capitolo IV: i rapporti del regime con le minoranze nazionali e le confessioni religiose

4.2 Tra compromesso e intransigenza: i rapporti con le Chiese

Gli elementi salienti della politica perseguita in ambito religioso durante l’epoca ceausista si attennero con una certa coerenza ai principi direttivi stabiliti nella fase di consolidamento del regime. In termini generali, il comunismo romeno fin dai suoi esordi apparve non meno intransigente rispetto ad altri regimi dell’Est nella pretesa di esercitare un controllo statale sui culti legalmente ammessi, inibendone risolutamente le possibilità di azione in ambito sociale30. I limiti frapposti dalle autorità comuniste si compendiarono, in termini generali, nella negazione dell’autonomia delle confessioni religiose e, in modo ancor più deciso, nella negazione della fede religiosa come forma di possibile counteridentification individuale e come elemento di legittimazione per scelte di coscienza che si ponessero in collisione con il regime.

La legge sui culti emanata il 4 agosto 1948 dispose il controllo dello Stato sulle istituzioni ecclesiali per quanto riguardava gli aspetti amministrativi ed economico-finanziari delle stesse. I rapporti statali con le Chiese vennero affidati al ministero – poi Dipartimento - per gli Affari religiosi, cui spettava anche il compito di verificare che le attività svolte delle Chiese si attenessero e si limitassero agli aspetti liturgici e pastorali. La subordinazione delle Chiese nei confronti dello Stato venne eloquentemente simboleggiata dai provvedimenti in ambito patrimoniale ed educativo. La prima Costituzione della repubblica popolare di Romania (approvata nell’aprile del 1948) abolì le scuole confessionali; poco dopo, la riforma educativa del 3 agosto 1948 decretò lo smantellamento di tutte le scuole private e l’eliminazione dell’insegnamento religioso dai programmi scolastici. L’articolo 35 della

nuova legge sull’educazione, approvata contestualmente alla legge sui culti, dispose l’incameramento da parte dello Stato degli edifici e dei beni appartenenti alle scuole private di carattere laico o religioso. In concomitanza con questo provvedimento, le proprietà delle quali erano titolari le varie Chiese vennero espropriate senza compensazione. I seminari furono presi in gestione dallo Stato oppure smantellati, la visibilità pubblica dell’insegnamento teologico e dei rituali cristiani - come pure delle feste di Natale e di Pasqua - venne ridotta al minimo.

Con la nuova legge, il riconoscimento legale venne esteso a quattordici confessioni religiose, tra le quali non vi era nè la Chiesa greco-cattolica – storicamente la seconda del Paese per numero di fedeli, i quali, insieme ai loro ministri di culto, furono sottoposti a una dura persecuzione –né quella cattolico-romana, la quale si trovò a operare in assenza di un vero e proprio riconoscimento giuridico. Il crisma del riconoscimento legale, in linea di principio, non poneva le confessioni ammesse al riparo da un trattamento arbitrario da parte statale nè da una forte incertezza riguardo il loro futuro. Il primo articolo della legge sui culti garantiva “la libertà di coscienza e di fede” ma, attraverso gli articoli 6 e 7, il diritto alla pratica religiosa era vincolato a severe condizioni ed a limitazioni rigorose. L’esistenza stessa delle Chiese era subordinata alla volontà dello Stato, dal momento che l’articolo 13 della legge sui culti indicava che la legittimità accordata a questi poteva essere revocata in qualsiasi momento „qualora tale provvedimento appaia giustificato”. Inoltre, la nomina dei sacerdoti appartenenti alle confessioni riconosciute, pur avvenendo in seno alle Chiese stesse, doveva nondimeno essere sottoposta a una sorta di nihil obstat da parte del ministero dei Culti e da questo ratificata.

Malgrado l’intransigente pretesa di controllo esercitata dalle autorità comuniste, tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta le policies romene in materia confessionale si differenziarono parzialmente dallo zelo ateistico e dalla martellante propaganda antireligiosa che caratterizzarono, ad esempio, il regime comunista cecoslovacco nel medesimo periodo. Questa relativa divaricazione sul piano dei metodi non deve tuttavia indurre a ritenere relativamente „liberale” l’atteggiamento del regime romeno in materia religiosa. A separare parzialmente i governi di Praga e di Bucarest era la differente composizione del mosaico confessionale con il quale essi rispettivamente si misuravano, piuttosto che un differente approccio di natura ideologica. Certamente Gheorghiu-Dej seppe con pragmatismo riconoscere in quella che era tradizionalmente professata come la religione nazionale, ossia la maggioritaria confessione cristiano-ortodossa, un elemento in grado di assicurare il pieno consolidamento del regime. Oltre due terzi dei romeni (ossia, verso il 1965, circa 13 milioni

di persone ) appartenevano alla Chiesa ortodossa almeno sotto un profilo di carattere sociologico.

I rapporti tra la Chiesa Ortodossa e lo Stato romeno in epoca comunista furono ambivalenti. Il regime introdusse una distinzione piuttosto netta tra questa Chiesa, che era vista come leale nei confronti della nazione, e altre confessioni la cui fedeltà nei confronti dello Stato romeno era considerata più discutibile. In visibile contrasto con altri Paesi dell’Est Europa, e in modo particolare con la Polonia - dove la Chiesa cattolica aveva per lungo tempo costituito, anche sul piano socio-politico, un richiamo identitario nettamente separato rispetto all’autorità dello Stato - i rapporti dell’episcopato ortodosso romeno nei confronti della leadership politica nazionale erano storicamente improntati a una certa subalternità. Sebbene avesse dato un importante contributo alla formazione dell’identità nazione romena, la Chiesa ortodossa non aveva mai effettivamente preteso né un primato nè una condizione di pari dignità rispetto ai detentori del potere secolare. Negli anni Venti e Trenta, rivendicando l’intento di rafforzare l’unità spirituale della nazione, la Chiesa ortodossa si adoperò tenacemente per contrastare alcune iniziative governative come il concordato con il Vaticano (1927) e lottò per la creazione di potenziali enclavi di autonomia collocate tra le maglie di una legislazione che sembrava postulare un legame indissolubile tra la nazione romena e il suo culto dominante31.

La religione ortodossa venne riconosciuta nel 1923 come confessione cristiana ufficiale in Romania. Nel 1925, sotto la direzione del patriarca Miron Cristea, la Chiesa Ortodossa romena divenne autocefala, e tale evento concorse ad accrescere la sua identificazione con la nazione romena e con le sue istituzioni politiche. In tal modo – parafrasando Gheorghe Ursul, storico della Chiesa romena lo Stato divenne “pienamente padrone (stăpân) della sua Chiesa nazionale”32. L’Ortodossia romena, scrisse negli anni Trenta il filosofo e pedagogo Rădulescu-Motru “si lascia dominare dagli interessi dello Stato. Il suo grande e glorioso titolo di merito è sempre stato costituito dalla sua identificazione con la nazione romena” 33Con termini non dissimili Nichifor Crainic, poeta ed esponente della destra radicale nel periodo interbellico, affermò nel 1944 che la Chiesa Ortodossa in Romania non perseguiva, né avrebbe mai potuto perseguire, obiettivi politici separati rispetto a quelli dello Stato34. Ha un significato particolarmente emblematico, sotto questo profilo, il fatto che nel 1938 il Re Carol II, al momento di sospendere il regime parlamentare democratico fino ad

31 C. Durandin, Histoire des roumains, Paris, Fayard, 1995

32 cit. da M. Shafir, Romania : politics, economics and society...cit., p.155 33 Ibidem

allora operante, abbia affidato al patriarca Miron Cristea il compito di presiedere un nuovo esecutivo “super partes” dii unità nazionale.

Da un lato vi era dunque la realtà di una Chiesa maggioritaria storicamente percepita in Romania come istituzione nazionale e caratterizzata da una tradizione di ascolto dinanzi al potere politico. Dall’altro, occorre forse valutare alcuni aspetti pertinenti, in termini più generali, al cristianesimo ortodosso. Tra di essi, la priorità accordata all’aspetto cultuale e liturgico rispetto all’impegno pastorale nella realtà civile. Si tratta indubbiamente di un elemento di differenziazione rispetto alle Chiese latine e protestanti - figlie di un milieu culturale indissolubilmente legato alla storia della cristianità occidentale – le quali si caratterizzano per una presenza sociale ben altrimenti marcata. Come osserva lo studioso Morozzo della Rocca35: “tradizionalmente la visibilità delle Chiese ortodosse è data dai culti.

Ortodossia è data da doxa e significa sia giusta dottrina sia giusta lode, che può bene interpretarsi come giusta liturgia. Per gli ortodossi, la liturgia esprime esaustivamente l’essere comunità cristiana.” Secondo Dragan Nedeljiković36 “il cristianesimo orientale, molto sublime e spiritualista, è nettamente teocentrico, divinista e antiumanista, soprastorico, statico e poco impegnato nella vita sociale”. In base a questa interpretazione, per il cristianesimo orientale “che tutto osserva sub specie aeternitatis, i diritti dell’uomo, il parlamentarismo, la democrazia, ecc., sono problemi non essenziali in questo mondo effimero, transitorio”.

Alla luce degli elementi precedentemente menzionati, appaiono maggiormente comprensibili le caratteristiche della ‘coabitazione’ tra comunismo e ortodossia quali si configurarono dapprima in epoca dejista e in seguito sotto la leadership di Nicolae Ceauşescu. Nonostante il fatto che la Costituzione approvata dal nascente regime nel 1948 avesse abrogato lo status di confessione dominante precedentemente riconosciuto alla Chiesa ortodossa, Gheorghiu-Dej si adoperò dunque per stabilire con quest’ultima relazioni di ‘buon vicinato’. Tale definizione, in questo caso, si riferisce indiscutibilmente a due ‘vicini’ posti in relazioni di potere nettamente assimetriche, l’uno dei quali (la Chiesa) collocato in una condizione di subalternità nei confronti dell’altro (lo Stato comunista). Questo forma di subordinazione, malgrado si esprimesse in forme differenti e probabilmente più radicali rispetto al passato, non costituiva un elemento inedito nella storia dello Stato romeno. Il sostegno finanziario del regime alla Chiesa ortodossa (erogato, in differente misura, anche agli altri culti ammessi) riportava a una prassi invalsa in epoca precomunista. I dirigenti

35

Cit. in .R. Morozzo della Rocca, Le Chiese ortodosse – una storia contemporanea, Edizioni Studium, Roma, 1997, p.31

comunisti apparivano del resto ben consapevoli del fatto che una Chiesa posta in condizioni di dipendenza economica rispetto allo Stato fosse una Chiesa più malleabile.

L’ascesa ai vertici dell’episcopato ortodosso del patriarca Giustiniano (Justinian) Marina, avvenuta nel maggio del 1948, impresse una decisa accelerazione al consolidamento delle relazioni tra lo Stato comunista e i vertici dell’Ortodossia romena. I presupposti, anche personali, per la collaborazione tra Giustiniano e il leader del PCR dell’epoca apparivano propizi. Il futuro patriarca aveva garantito protezione e rifugio a Gheorghiu-Dej dopo che questi era fuggito dal carcere nel 1944, poco prima della caduta del regime antonesciano. Al tempo stesso, occorre osservare come nel corso degli anni Trenta, Giustiniano avesse intrattenuto buone relazioni con Nae Ionescu, intellettuale di spicco nell’influente destra radicale del periodo prebellico. A dispetto della loro differente collocazione sul piano politico e culturale, sia Gheorghiu-Dej sia il nuovo patriarca apparivano in qualche misura legati al proposito di garantire alla Romania una forma autoctona di sviluppo. I comunisti respingevano il modello economico e – almeno parzialmente – i riferimenti culturali predominanti in Occidente; questo approccio offriva loro un terreno comune con Giustiniano, a capo di una Chiesa all’epoca ampiamente caratterizzata da una persistente diffidenza nei confronti delle Chiese cristiane d’Occidente (definizione in eguale misura riferita al cattolicesimo37 e alle confessioni protestanti).

Gli intendimenti di Giustiniano nei riguardi del costituendo regime vennero espressi, con una chiarezza che non lascia adito a dubbi, già in occasione di un discorso pastorale pronunciato verso la fine del 1948:

Alcune persone considerano il materialismo come nemico del cristianesimo. Tuttavia, noi giudichiamo gli uomini in base ai fatti da loro compiuti e alla loro realizzazioni. Giudichiamo una dottrina in funzione dell’ordine sociale che è in grado di produrre. Come potremmo quindi non vedere che nell’ordinamento sociale attuale sono messi in pratica i più sacri principi del Vangelo? Non è forse cosa buona la redistribuzione dei beni, che sono in questo modo sottratti alle mani degli sfruttatori? (...) Perciò è bene essere onesti e riconoscere che l’attuale dirigenza di Stato ha portato tranquillità agli uomini, perchè ha assicurato loro i mezzi per l’esistenza e ha permesso loro di vivere dei frutti del loro lavoro onesto38.

In questo quadro di sostanziale subordinazione non priva di accenti zelanti, poche e isolate furono le voci di dissenso all’interno della Chiesa ortodossa. Tra di esse una delle più importanti fu quella di padre Gheorghe Calciu-Dumitreasa, il quale venne arrestato una prima

37 Nel 1949 lo stesso Giustinano avrebbe dichiarato: “Il Vaticano è l’epicentro delle più antiche tradizioni

imperialiste e non esita ad utilizzare tutti i mezzi propri del sistema capitalista per poter commercializzare le cose sante”. Cit. da C. Durandin, Histoire des roumains...cit., p.376.

38

Citato da M. Stamătescu (et al.), O istorie a comunismului din Romania, Institutul a investigare a crimelor comunismului in România, Bucureşti, Polirom, 2008, p.87

volta nel 1948 e una seconda volta nel 1979, venendo, a partire da quest’ultima data, estromesso dalle funzioni pastorali precedentemente ricoperte in seno alla Chiesa. Non si può sottovalutare l’importanza di dissidenza di padre Dumitreasa, ma probabilmente non appare neppure giustificato attribuire ad essa le caratteristiche di epifenomeno di un ipotetico dissenso di proporzioni significativamente più ampie all’interno del clero ortodosso.

Paese latino di religione ortodossa come veniva talora rappresentato per enfatizzare da un lato il suo legame con la cultura occidentale (e segnatamente francese) e dall’altro con la Chiesa d’Oriente, il Regat romeno aveva rappresentato, fino al 1918, una realtà relativamente omogenea non soltanto sul piano nazionale ma anche su quello confessionale. Questa omogeneità si ridusse dopo il 1918. Un rilevante numero di fedeli cattolici di rito latino, di greco-cattolici, luterani e calvinisti entrarono a far parte dello Stato romeno contestualmente all’annessione della Transilvania e del Banato. Il nuovo mosaico confessionale rifletteva – con alcune importanti approssimazioni – la linea di demarcazione tra comunità nazionali differenti sotto il profilo storico ed etnografico. Gli ungheresi – al pari degli svevi del Banato – erano in prevalenza cattolici, ma tra di essi vi erano circa 700.000 fedeli calvinisti (i quali erano concentrati in misura predominante nel Ţinutul Secuiesc). I sassoni erano in schiacciante maggioranza luterani, mentre l’identità confessionale della comunità romena era contesa tra Ortodossia e fede greco-cattolica39.

La Chiesa greco-cattolica – che conserva ricorrenze e liturgia proprie della tradizione ortodossa ma respinge la tradizione autocefala della Chiesa d’oriente, riconoscendo il primato del Papa – contava, nel 1948, su circa 1.700.000 fedeli. La genesi di tale confessione riporta cronologicamente alla fine del XVII secolo e si ricollega a una trama di aspetti cui non furono estranee considerazioni politiche implicitamente legate all’emergere di una lotta per il riconoscimento dell’individualità nazionale romena. Nel 1699, con il trattato di Carlowitz, la Transilvania passò sotto dominazione austriaca. Ebbe allora inizio una fase di proselitismo cattolico, condotto prevalentemente dai gesuiti, sotto l’esplicita egida di Vienna. Gli Asburgo erano intenzionati ad assicurare il primato del cattolicesimo, ridimensionando il peso politico e numerico del protestantesimo e in particolare del calvinismo, il quale nel principato di Transilvania (1541-1691) aveva raggiunto influenza e diffusione ragguardevoli. Per bilanciare il peso dei protestanti gli austriaci, avevano bisogno dell’apporto dei romeni, di religione ortodossa e già allora elemento nazionale numericamente predominante in Transilvania.

39

Il compromesso „greco-cattolico” se non assicurò ai romeni di Transilvania una parificazione con le altre nazionalità, fu per essi il viatico verso il riconoscimento di una maggiore dignità; di tale nuovo status beneficiò indirettamente la stessa Chiesa ortodossa. In base all’accordo, i greco-cattolici riconoscevano l’autorità papale ma venne loro consentito di mantenere liturgia, canone e calendario legati alla tradizione ortodossa. Conformente alla prassi della Chiesa ortodossa, l’esercizio del sacerdozio restò aperto anche agli uomini sposati. Infine accanto al rito orientale, i greco-cattolici conservarono la lingua autoctona della liturgia, ossia il romeno. Quest’ultimo elemento concorreva a differenziarli rispetto ai romano-cattolici locali, prevalentemente di nazionalità ungherese, per i quali la lingua impiegata nella liturgia rimase il latino, come per tutta l’universitas cattolica fino al Concilio Vaticano Secondo.

La Chiesa greco-cattolica presenta un importanza emblematica per la nazione romena sotto vari punti di vista e non solo in riferimento alla Transilvania. Dai suoi ranghi provennero molti dei protagonisti dei movimenti politici e culturali che determinarono nel XIX secolo il consolidamento dell’identità nazionale romena contemporanea – si pensi ad esempio alla

Scoala Ardealană40 o all’impulso dato all’adozione dell’alfabeto latino nella lettura e scrittura del romeno41, in sostituzione dei caratteri cirillici. In ambito politico, greco-cattolico fu Iuliu Maniu, il quale prima di divenire leader del Partito Nazional-Contadino, aveva debuttato nel Partito Nazionale Romeno di Transilvania42. Di religione greco-cattolica è anche una delle esponenti di punta del dissenso romeno come Doina Cornea, persuasa dell’importanza che la tradizione culturale connessa a tale culto detiene nel promuovere il dialogo tra le differenti componenti culturali e nazionali della società romena43.

La ricordata importanza svolta dalla Chiesa greco-cattolica fu riconosciuta dallo Stato romeno nel 1923, allorchè venne ad essa attribuito lo status di ‘seconda’ religione nazionale,

40 Apparsa alla fine del XVIII secolo, la “Scuola Transilvana” operò nel quadro di uno spettro di interessi

culturali piuttosto vasto. Essa, tra l’altro, addusse argomenti storici e filologici a sostegno della tesi in base alla quale i romeni di Transilvania discenderebbero direttamente dai coloni romani insediati nella provincia della Dacia. Tale tesi riporta, in riferimento a un ambito crono-spaziale più esteso, alla teoria della continuità “daco- romana” che è una nota vexata quaestio che oppone storici (e nazionalisti) romeni e ungheresi.

41 L’adozione dell’alfabeto latino in forma completa avvenne intorno al 1860, dopo circa un trentennio di

gestazione nel quale era invalso l’utilizzo – in gazzette, pubblicazioni letterarie e libri di vario genere – del cosiddetto “alfabeto di transizione”, caratterizzato da una miscela almeno apparentemente incoerente di caratteri latini e cirillici.

42 La denominazione completa di tale formazione era Partito Nazionale Romeno di Transilvania e Banato

(Partidul Naţional Român din Transilvania şi Banat). Esso nacque nel 1881 dalla fusione di due precedenti formazioni politiche sorte a sostegno dei diritti della comunità romena. Il partito nazional-contadino sarebbe nato oltre mezzo secolo più tardi – nel 1926 – da un’ulteriore fusione, tra il Partito Nazionale Romeno con il Partito Contadino (Partidul Ţărănesc) capeggiato da Ion Mihalache.

43

senza che ciò comportasse una diminuzione delle frizioni esistenti con la maggioritaria Chiesa ortodossa. Incomprensioni tra le due „Chiese nazionali” erano emerse frequentemente durante il periodo interbellico e nella fase ad essa successiva44. I vertici dell’episcopato ortodosso in ultima analisi vedevano nella Chiesa greco-cattolica una sorta di apostasia e di una ferita aperta in seno all’unità della Chiesa d’Oriente e, implicitamente, una minaccia alla coesione del popolo romeno. Durante la fase costituente del regime comunista, questa accusa venne confermata e rilanciata dai dirigenti del PCR che ad essa associarono una più specifica accusa di tramare contro le nuove autorità dello Stato. Verso la fine degli anni Quaranta, nelle pubblicazioni vicine al partito comunista, il permanere dell’Unione dei greco-cattolici con Roma sancita al principio del XVIII secolo veniva sovente qualificata come “anacronistica” o quale una scelta “antinazionale”, in quanto avrebbe minato l’unità del popolo romeno.

Grazie alla convergenza degli elementi poc’anzi menzionati – sommati all’esempio che veniva dall’Unione Sovietica, dove era stata abolita la Chiesa greco-cattolica (uniate) di Ucraina - il regime comunista potè efficacemente adoperarsi per pervenire a una sbrigativa liquidazione delle strutture confessionali e dei vertici episcopali della Chiesa greco-ortodossa. In termini piuttosto paradossali per un regime che si proclamava ateo, nel dicembre del 1948 venne sancita ex lege la forzata confluenza dei fedeli greco-cattolici all’interno della Chiesa ortodossa45. I luoghi di culto della Chiesa greco-cattolica passarono quasi dans l’espace d’un

matin da 1725 a zero.

La cancellazione per decreto della secolare storia della Chiesa greco-cattolica venne seguita da una vasta ondata di terrore nei confronti del clero e dei suoi fedeli. Secondo Dennis Deletant, almeno 600 sacerdoti greco-cattolici vennero imprigionati – e, in numerosi casi, assassinati - nella prima fase della persecuzione, ma questa stima sale a 1.400 se ci si riferisce all’intero periodo degli anni Cinquanta. Similmente, circa 5.000 fedeli vennero arrestati. Nei tristemente noti penitenziari di Sighet e di Gherla si spense un numero considerevole di