• Non ci sono risultati.

Le minoranze e il nuovo “corso nazionale”: il caso delle comunità ungheresi e tedesche

Capitolo IV: i rapporti del regime con le minoranze nazionali e le confessioni religiose

4.1 Le minoranze e il nuovo “corso nazionale”: il caso delle comunità ungheresi e tedesche

Il corso politico avviato durante la prima fase della leadership di Ceauşescu diede luogo a notevoli aspettative di cambiamento in numerosi settori della società romena, ivi comprese le minoranze nazionali. Il nuovo orientamento ‘nazionale’ della dirigenza romena non collideva in linea di principio con ipotesi di un più ampio riconoscimento dei diritti delle minoranze, tenendo conto del fatto che il consenso verso la politica di emancipazione da Mosca coinvolgeva trasversalmente differenti settori sociali e nazionali della società romena. Tuttavia, il ‘comunismo nazionale’ fin dagli esordi – dunque dall’epoca pre-ceausista – fu connotato da un’ambivalenza di fondo rispetto al tema delle politiche da adottare nei confronti delle minoranze nazionali: alla conferma della validità, sul piano teorico, del principio leninista delle ‘nazionalità coabitanti’ si affiancarono progressivamente incisivi tentativi di pervenire a un ridimensionamento dei diritti collettivi attribuiti alle comunità nazionali minoritarie – in primis a quella ungherese – e, in parallelo, a un disconoscimento del principio di autonomia territoriale a garanzia di tali comunità. Questi tentativi erano corroborati dallo sforzo di pervenire a un’ ‘omogeneizzazione’ della società romena nei suoi differenti aspetti ed articolazioni. L’ambivalenza delle policies adottate in questo ambito durante gli anni Sessanta sarebbe stata superata a partire dalla metà degli anni Settanta, allorchè il regime romeno virò verso una politica dagli accenti più decisamente nazionalisti procedendo con maggiore risolutezza ad eliminare i diritti delle minoranze in campo culturale, amministrativo ed educativo.

La questione rappresentata dalle minoranze nazionali e dalle connesse tendenze centrifughe legate alla presenza di istanze secessionistiche in alcune regioni del Paese era emersa per lo Stato romeno immediatamente dopo la prima guerra mondiale. Fino al 1918 il

Regat – termine con il quale si designa l’entità statuale romena sorta nel 1859 dall’unificazione dei principati di Moldavia e Valacchia – era apparsa una realtà sostanzialmente omogenea sul piano nazionale, pur in presenza di talune minoranze (come gli

ebrei1) presenti nell’intero territorio romeno, insieme ad altre (bulgari e turchi) insediate in modo compatto in determinate aree del Paese.

In seguito al trattato di pace del Trianon, furono annessi alla Romania i territori della Transilvania, della Bucovina, della Bessarabia e del Banato, i quali erano tradizionalmente mistilingui ed eterogenei sul piano della composizione nazionale. La cosiddetta România

Mare (Grande Romania) così creata costituì de facto – seppure non negli intendimenti dei dirigenti romeni – uno Stato multinazionale. In esso gli abitanti di nazionalità romena ascendevano al 71,9% del totale, laddove le minoranze nazionali costituivano poco meno di un terzo della popolazione: esse erano principalmente rappresentate da ungheresi (oltre un milione e mezzo, insediati nel territorio della Transilvania e del Banato) da tedeschi (745.000 persone, presenti nella medesima area di insediamento della comunità ungherese), da ucraini e russi (rispettivamente 580.000 e 400.000, presenti in Bucovina e Bessarabia), ai quali si aggiungeva una cospicua comunità ebraica (oltre 700.000 persone)2.

L’autonomia territoriale divenne dunque per la Romania una questione rilevante soltanto dopo la prima guerra mondiale, senza tuttavia condurre agli esiti politici auspicati dalle minoranze nazionali. Immediatamente dopo la creazione della ‘Grande Romania’ fu sollevato il problema della concessione di un’autonomia territoriale volta a garantire il carattere etnicamente composito delle nuove province, senza che tale questione ottenesse risposte soddisfacenti. Il Consiglio direttivo della Transilvania e i semi-autonomi Direttorati amministrativi della Bessarabia e della Bucovina – organismi creati verso la fine del 1918 - durarono meno di due anni, venendo dissolti tramite decreto dal primo ministro romeno Averescu nell’aprile del 1920. Occorre peraltro rilevare come tali organismi nacquero dalle esigenze di coordinamento amministrativo legate alla transizione post-bellica piuttosto che dall’intento di accordare ad essi un ruolo di tutela nei confronti delle minoranze nazionali3. Durante il periodo lo Stato romeno adottò una politica orientata a favorire un processo di snazionalizzazione delle minoranze nazionali. L’esito di questa strategia appare discutibile se si assume che essa intendesse promuovere un atteggiamento lealista da parte delle minoranze

1

Gli ebrei del Regat erano prevalentemente insediati nella regione della Moldavia, ove si erano rifugiati in gran numero, nel corso del XIX secolo, per sfuggire alle persecuzioni antisemite poste in atto nei vicini territori zaristi. La definizione della comunità ebraica come minoranza nazionale appare giustificata dalla riluttanza da parte del regno di Romania ad accordare agli ebrei diritti di cittadinanza. La naturalizzazione integrale degli ebrei romeni avvenne, non senza difficoltà, appena dopo la prima guerra mondiale. Cfr. H. Bogdan, Storia dei

Paesi dell’Est, Sei, Torino, 2002. Per una visione più articolata delle vicende degli ebrei romeni, segnatamente nell’ultimo cinquantennio cfr. G. Eschenazi; G. Nissim, Ebrei invisibili: i sopravvissuti dell'Europa orientale

dal comunismo a oggi, Milano, Oscar Mondadori, 2004

2 H. Bogdan, Storia dei Paesi dell’Est, Torino, Sei, , 2002, p. 231

nei confronti dello Stato nazionale; ma fu nondimeno efficace per quanto attiene alla capacità di privare tali minoranze – comprese quelle tradizionalmente ben organizzate e con ampi poteri di autogoverno, come i sassoni di Transilvania – del loro network organizzativo e dei propri punti di riferimenti in ambito educativo e culturale.

Le decurtazioni territoriali subite dalla Grande Romania nel corso del 1940 vennero in significativa misura riconfermate nell’assetto post-bellico. L’Unione Sovietica conservò infatti le regione della Bessarabia e della Bucovina e la Bulgaria il territorio della Dobrugia meridionale. La Transilvania settentrionale, attribuita all’Ungheria a seguito del cosiddetto lodo Ciano-Ribbentrop, tornò invece sotto sovranità romena.

Gli assetti territoriali confermati al termine della seconda guerra mondiale condussero dunque a una relativa semplificazione dei rapporti tra lo Stato centrale e le minoranze nazionali, venendo meno il problema, di non trascurabili proporzioni numeriche, costituito dalle minoranze ucraine, russe e bulgare insediate entro i confini della Romania del periodo interbellico. Permaneva tuttavia la questione della minoranza ungherese – oltre un milione e mezzo di persone – e della comunità tedesca presente in Transilvania. Quest’ultima, al termine della seconda guerra mondiale apparve considerevolmente ridimensionata sul piano numerico (passando da circa 780.000 a meno di 400.000 persone)4 a seguito di deportazioni, espulsioni o al trasferimento volontario in Germania. La minoranza tedesca non era, in ogni caso, avvertita dai dirigenti romeni come un pericolo per l’integrità territoriale del Paese, sia perchè tale minoranza non poteva avvalersi di uno Stato tutore in grado di sollevare questioni di revisionismo territoriale sia anche, probabilmente, per il lealismo da essa manifestato nei confronti dello Stato romeno, significativo se posto in comparazione con altre minoranze nazionali5. Nei confronti della comunità tedesca il regime comunista romeno, segnatamente a partire dal riconoscimento di relazioni diplomatiche con la RFT nel 1967, avrebbe condotto una politica volta a favorirne il progressivo esodo dal territorio romeno in cambio di valuta pregiata. Si trattò di una politica non soltanto discutibile sul piano morale, ma altresì dannosa per la Romania, dal momento che depauperava il Paese di una comunità tradizionalmente attiva e qualificata sul piano produttivo.

4 M. Shafir, Romania : politics, economics and society...cit., p.166

5 Tale sintonia di fondo nelle relazioni tra maggioranza romena e minoranza tedesca si attenuò parzialmente nel

corso della seconda guerra mondiale, allorchè numerosi elementi tedeschi della Transilvania e del Banato si arruolarono nelle forze armate germaniche (finendo poi – al termine della guerra - ai lavori forzati in Urss).

Significativamente differente appariva il quadro in riferimento alla minoranza ungherese. Nei confronti di quest’ultima non sarebbe apparso plausibile perseguire una strategia tesa a incoraggiare l’emigrazione, sia per il maggiore peso numerico della comunità stessa, sia per la opportunità di evitare l’insorgere di un contenzioso con uno Stato confinante qual era l’Ungheria, rispetto a cui si imponevano relazioni di vicinato non necessariamente cordiali, ma comunque correttamente improntate al principio della collaborazione “fraterna” tra i Paesi del blocco socialista.

Il tema del confronto con la nazionalità ungherese aveva tradizionalmente svolto un ruolo importante nel nation-building della nazione romena in termini generali e più specificamente nel territorio della Transilvania, area nella quale, già in età moderna, i romeni avevano acquisito la condizione di nazionalità di maggioranza relativa sul piano numerico, senza che a questa condizione facesse per lungo tempo riscontro un corrispondente primato sul piano politico e sociale. Nel corso della diretta dominazione ungherese in Transilvania (1867-1914) la poco illuminata politica condotta da Budapest, orientata a perseguire una magiarizzazione forzata della locale popolazione romena, non incoraggiò certamente quest’ultima – il cui processo di acquisizione di una matura coscienza nazionale era frattanto divenuto irreversibile – ad auspicare un futuro sotto l’egida ungherese6.

La conculcazione dei diritti nazionali si ripropose a parti rovesciate dopo l’annessione della Transilvania da parte della Romania. Il governo romeno, peraltro formalmente vincolato a trattati sottoscritti al termine della guerra con le potenze dell’Intesa - i quali erano tesi a garantire un livello di tutela ‘minima’ alle minoranze nazionali - non pervenne a proporre nè ad adottare soluzioni radicali nei riguardi della minoranza magiara presente nel Paese. Tale minoranza non conobbe un sensibile decremento numerico durante il periodo interbellico, se si eccettua il fenomeno della migrazione verso l’Ungheria da parte di circa 200.000 magiari della Transilvania e del Banato – provenienti in misura rilevante ma non esclusiva dai ranghi dei ceti urbani e dei possidenti terrieri – avvenuta negli anni immediatamente posteriori al 1918. Le controversie che opponevano ungheresi a romeni si acuirono nel 1940 dopo il ricordato Lodo Ciano-Ribbentrop (noto anche come Secondo Arbitrato di Vienna),

6 Nondimeno, alcune personalità che aderivano al Partito Nazionale Romeno operante ai tempi della duplice

monarchia – è il caso dell’intellettuale e giurista Aurel Popovici (1863-1917) e del futuro leader del partito nazional-contadino, Iuliu Maniu (1873-1953) - ritennero per lungo tempo plausibile l’ipotesi di una permanenza dei romeni di Transilvania all’interno dello Stato austro-ungherese, a condizione che questi acquisisse un impianto federale e conferisse maggiori possibilità di autogoverno alle singole nazionalità presenti al suo interno. Cfr. K. Hitchins, A nation affirmed: the Romanian national movement in Transylvania: 1860-1914, Bucharest, The Encyclopaedic Publishing House, 1999

determinando significativi strascichi da porre in relazione sia all’atteggiamento repressivo adottato dalle autorità ungheresi di occupazione, sia alle ritorsioni attuate da gruppi nazionalisti romeni nella fase in cui la Transilvania, verso la fine del 1944, tornò integralmente sotto la sovranità romena.

Nell’ambito del nascente regime comunista, la politica adottata verso le minoranze da parte del governo di Bucarest divenne ufficialmente informata al principio leninista delle ‘nazionalità coabitanti’, che aveva come corollario il rispetto dei principi di autogoverno nelle aree popolate in prevalenza da appartenenti a minoranze nazionali. In generale, gli ungheresi di Transilvania, erano in prevalenza concentrati in distretti urbani come ad esempio quello di Cluj (Kolozsvar in ungherese), mentre la popolazione romena era all’epoca ancora prevalentemente insediata in aree rurale. Vi era tuttavia un territorio ove gli ungheresi costituivano - e tuttora costituiscono – una maggioranza compatta, sia negli insediamenti urbani sia nelle campagne, ossia l’area denominata in ungherese Székelyföld e in romeno Ţinutul Secuiesc. In entrambe le denominazioni il significato è quello di „Territorio dei Secleri” ( detti anche Siculi), in riferimento a una popolazione di lingua e cultura ungherese (connotata da modeste differenze linguistiche, rectius dialettali, rispetto alla madrepatria) cui viene attribuita un’etnogenesi parzialmente differenti rispetto agli altri ungheresi7. Può apparire singolare il fatto che il Ţinutul Secuiesc – ossia l’area di massima concentrazione della minoranza magiara presente in Romania - sia ubicata nell’area sud-ovest della Transilvania, nel cuore geografico della Romania e a distanza considerevole dalla frontiera con l’Ungheria, dalla quale esso è separato da territori popolati in prevalenza da romeni.

Nel 1952 il regime comunista promosse la creazione della Regione Autonoma Ungherese( Regiunea Autonoma Maghiara – RAM ) la quale abbracciava l’area del Ţinutul

Secuiesc più alcuni distretti ad esso contermini.In base ai censimenti effettuati nel 1956, la RAM aveva 731.000 abitanti, dei quali 567.000 (il 77,5%) erano ungheresi e 145.700 romeni8. Complessivamente, soltanto un terzo della popolazione romena di madrelingua magiara risiedeva all’interno dei confini della Regione Autonoma. Questo fatto lascia adito al dubbio che essa fosse stata creata per circoscrivere le dimensioni numeriche della comunità

7 Le origini dei Secleri sono tuttora oggetto di un dibattito storico che assume talvolta tinte semi-mitologiche. Si

dibatte se tale popolo costituisca l’erede degli unni che arrivarono in Transilvania nel V° secolo, e che avrebbero adottato - alcuni secoli più tardi - la lingua ungherese. Le prime testimonianze scritte relative ai Secleri risalgono all’XI° secolo e descrivono l’esistenza di un popolo costituito essenzialmente da militari e coloni insediatisi lungo l’area dei Carpazi per difendere il limes sud-orientale del Regno di Ungheria. La cosiddetta ‘Unione delle Tre Nazioni’ (Unio trium nationum Transsylvaniae), siglata nel 1437 e riconfermata nel 1542, riconobbe la nobiltà seclera – al pari di quella sassone e ungherese– come natio dominante della regione.

8

D. Deletant, Ceauşescu and the Securitate...cit., p.118. Le caratteristiche salienti assunte dalla RAM sono analizzate da S.Bottoni in Transilvania rossa...cit., pp.119-150

ungherese direttamente interessata a forme di tutela. Tale dubbio appare confermato dal fatto che dopo il 1952 furono progressivamente ridotte le tutele in campo educativo e amministrativo destinate agli ungheresi residenti al di fuori della RAM. In modo analogo, nel medesimo periodo si pervenne allo smantellamento di taluni organismi rappresentativi dei diritti collettivi della minoranza magiara, come l’Alleanza del Popolo Ungherese (Madosz). La peculiare ubicazione territoriale della RAM garantiva inoltre esigenze di sicurezza dello Stato romeno, scoraggiando la pur poco plausibile riemersione di controversie territoriali con l’Ungheria. Va parimenti osservato come le previste disposizioni a tutela della minoranza ungherese nel settore della scuola e della pubblicazione amministrazione non si accompagnarono al conferimento alla RAM di poteri di autogoverno né di forme di autonomia in campo legislativo che sarebbe stato lecito ritenere fossero attribuite a una regione autonoma. Nell’articolo 20 della Costituzione approvata nel 1952 si affermava anzi espressamente che “le leggi della repubblica popolare romena sono obbligatorie nel territorio della Regione Autonoma Ungherese”9.

Nel corso degli anni Cinquanta la Regione Autonoma Ungherese detenne dunque uno status controverso e fu oggetto di opposte valutazioni le quali opponevano da un lato coloro, tra i romeni, che ravvisavano in essa un’inammissibile minaccia all’integrità e unità dello Stato - prefigurando la creazione di una ‘enclave’ separata dal resto del territorio nazionale - e dall’altro chi, nei ranghi della minoranza ungherese, riteneva invece che la RAM costituisse un ghetto solo nominalmente autonomo ma di fatto guidato da Bucarest.

I fatti d’Ungheria del 1956 costituirono la premessa per alcune importanti misure che andavano in direzione di un ridimensionamento dei diritti detenuti dalla minoranza ungherese in campo amministrativo, educativo e culturale. Fu posta fine all’importazione nel territorio romeno di pubblicazioni in lingua ungherese provenienti dalla vicina Repubblica Socialista d’Ungheria, mentre furono parimenti ridotti gli scambi culturali tra i due Paesi10. Nel 1959, in una riunione del Comitato Centrale, presieduta da Nicolae Ceauşescu, venne decisa la fusione dell’università ungherese Bolyai con il locale istituto romeno Babeş, determinando un significativo ridimensionamento dei corsi tenuti in lingua ungherese11. Infine, il 17 dicembre del 1960, il Politburo del PMR, riunito sotto la presidenza di Nicolae Ceauşescu12, nel quadro di una più generale riforma amministrativo del Paese (i cui distretti amministrativi passarono

9

E.Illyés National Minorites in Romania, Boulder, Columbia University Press, 1982

10A. Biagini, Antonello; F. Guida Mezzo secolo di socialismo reale...cit., p.89 11

A seguito di questa decisione, il rettore dell’Università Bolyai, László Szabédi, si suicidò. M. Shafir,

Romania: politics, economics and society...cit., p.160

12

da 189 a 143) decise di apportare significative modifiche alla fisionomia etnica e territoriale della Regione Autonoma Magiara, nella quale la componente ungherese decrebbe percentualmente dal 77 al 62%. La RAM venne denominata Regione Autonoma Ungherese- Mureş, enfatizzando il legame con il centro romeno ed attribuendo talune aree compattamente abitate da magiari alla contermine regione di Braşov. Nella ricordata seduta del CC, venne abrogato il preambolo all’art 19 della Costituzione approvata nel 1952, il quale dichiarava: “la RAM è costituita da un territorio abitato compattamente dalla popolazione ungherese”. In tal modo venne abrogata una disposizione costituzionale da cui implicitamente discendeva, per le autorità romene, una forma di obbligazione tesa a garantire misure a favore dell’autonomia territoriale della minoranza ungherese. Il cambiamento determinatosi in direzione del passaggio da una netta maggioranza magiara a un tendenziale equilibrio etnico all’interno della RAM, era ufficialmente motivato da considerazioni economiche che non giocarono in realtà alcun ruolo nella vicenda13. Occorre peraltro sottolineare che motivazioni di natura socio-economica o più specificamente pertinenti ad esigenze di sviluppo produttivo, divennero a partire nella Romania ceausista un argomento non di rado invocato dalle autorità per giustificare taluni progetti di ‘ingegneria demografica’ messi in atto in alcune aree del Paese.

Il progressivo allentamento della pressione repressiva attuatosi in Romania dopo il 1962 sembrò aprire nuove prospettive alla minoranza ungherese, segnatamente nell’ambito della cultura, dove essa, al pari della maggioranza romena, aveva subito i rigori di un dogmatismo ideologico rafforzatosi durante il triennio 1958-1960, dopo un effimero e limitato periodo di disgelo verificatosi a metà degli anni Cinquanta. Al momento dell’ascesa al potere di Ceauşescu, quando il processo di distensione era già in atto, numerose erano dunque le aspettative nutrite dalla minoranza ungherese – e in particolare della sua intelligencija – in direzione di un ampliamento dei propri diritti.

Alcune delle rivendicazioni esplicitamente avanzate dal mondo culturale romeno di madrelingua ungherese durante il biennio 1965-66, quali ad esempio un allentamento della censura o un accrescimento delle riviste e pubblicazioni letterarie in lingua magiara, apparivano coerenti con le tendenze riformatrici prevalenti in seno all’Unione degli Scrittori e potevano contare – almeno su un piano declaratorio - su un consenso di massima da parte della leadership romena. L’ipotesi di un rafforzamento dei contatti con gli scrittori e gli uomini di cultura della Repubblica Popolare Ungherese – peraltro di rado esplicitamente

invocata tra gli intellettuali ungheresi di Romania - destavano invece riserve non sempre tacite in seno al PCR, giungendo a prefigurare l’insorgere al riguardo di incomprensioni tra i governi di Bucarest e Budapest.

A partire dal biennio 1965-66 – e in termini più espliciti nel 1968 - a Budapest acquisì crescente visibilità la teorizzazione della “doppia responsabilità” romeno-ungherese rispetto alla questione della conservazione e dello sviluppo della lingua e cultura ungherese in Transilvania. In altri termini, tale assunto suggeriva un coinvolgimento diretto degli intellettuali, scrittori e uomini di cultura magiari della Repubblica Popolare d’Ungheria nei riguardi della condizione dei propri connazionali in Romania (come del resto di quelli presenti in Cecoslovacchia e Jugoslavia). Sebbene la teoria della “doppia responsabilità”- emersa in seno all’Unione degli Scrittori di Ungheria - ponesse l’accento sulla responsabilità preminente degli intellettuali senza ufficialmente postulare un coinvolgimento esplicito delle autorità governative di Budapest, gli sviluppi di essa non potevano passare inosservati ai dirigenti romeni. Questi non potevano infatti ammettere gli esiti potenzialmente allarmanti di una teoria che riconoscesse in modo coerente la popolazione di madrelingua magiara di Romania come parte integrante del popolo ungherese. In un dossier informativo prodotto dalla sezione propaganda del Comitato Centrale nell’aprile del 1968, si evidenziavano alcuni segnali giudicati indicativi a proposito dell’orientamento prevalente in seno all’Unione degli Scrittori Ungheresi14. Il fatto che tale orientamento non fosse in contrasto con le linee direttive del governo di Budapest appare testimoniato da alcuni interventi nel quotidiano governativo

Népszabadság. Il 29 ottobre 1967, tale quotidiano, riferendo dell’incontro organizzato dal ministero della Difesa ungherese e dall’Unione degli scrittori sul tema del patriottismo sottolineò come l’incontro avesse posto in evidenza che lo Stato ungherese aveva “una missione da compiere che riguarda l’arricchimento spirituale e culturale degli ungheresi che vivono nei Paesi vicini”15. In termini ancora più espliciti, il 10 ottobre del 1968, il

Népszabadság scrisse. “nessun popolo reciderebbe i propri legami con le componenti

14

Cfr. dosar “Informaţii asupra posiţiilor formulate in R.P. Ungara în legatura cu literatura şi scritorii de limbă maghiară din Ungaria” ANIC, Fond CC al PCR,Propaganda si agitaţie, dosar 13/1968. Nel documento viene