• Non ci sono risultati.

Premesse ed elementi costitutivi del culto della personalità in epoca ceausista

Il 19 aprile 1954, alcuni giorni dopo l’esecuzione di Lucreţiu Pătrăşcanu – e quel

1.3 Premesse ed elementi costitutivi del culto della personalità in epoca ceausista

Il contributo agli studi sul patrimonialismo sviluppato da Juan Linz, ricollegandosi in modo originale alle fondamenta del pensiero sociologico di Max Weber, si sofferma sulla relazione tra strutturazione organizzativa del potere e culto della personalità34. Linz ha evidenziato come, sul piano degli assetti socio-istituzionali, il culto della personalità si trovi sovente in stretta connessione con un modello di Stato ‘patrimoniale’ e, in particolare, con alcune sue peculiari varianti (il familismo e, in misura ancor più significativa, il sultanismo)35. Il familismo trovò nella fase matura della Romania ceausista espressione abbastanza evidente e coerente, mentre nella generalità dei Paesi sottoposti all’influenza sovietica ebbe applicazione limitata. Il caso romeno riporta piuttosto ad alcune esperienze ‘scismatiche’ ed eterodosse del comunismo internazionale, tra le quali appare esemplare il caso della Corea del Nord e - almeno parzialmente - dell’Albania di Enver Hoxha.

In riferimento al caso romeno, Michael Shafir36 ricollegandosi a Kenneth Jowitt37 è stato tra i primi ad adoperare l’espressione familiarizzazione del partito per definire un sistema di governo caratterizzato dalla presenza di un leader indiscusso coadiuvato dalla propria ‘famiglia’, la quale comprende i differenti clientes posizionati in prossimità del

34 H.E. Chebabi and Juan J. Linz, “A theory of sultanism 1: a Type of Nondemocratic Rule” in H.E. Chebabi and

Juan Linz (coord.), Sultanistic regimes, The Johns Hopkins University Press, Baltimore and London, 1998, p. 3 - 25

35

- H.E. Chebabi e J. Linz (ivi) hanno individuato le principali caratteristiche associabili a un regime definito di tipo sultanista: (1) l’esistenza di una direzione personale esercitata senza alcun tipo di limitazione o restrizione, che permette al dirigente e ai suoi associati di intervenire arbitrariamente nelle strutture di governo, ignorando qualsiasi tipo di norma interna o standard professionale, dando vita all’accrescimento ipertrofico di corruzione e di procedimenti discrezionali nei rapporti di potere; (2) il personalismo espresso tramite un pronunciato culto della personalità tributato al leader; (3) la crescente affermazione del dinasticismo, il quale è contrassegnato dalla preponderanza dei membri di famiglia nelle strutture direttive del potere; (4) l’attaccamento meramente

formale alle norme costituzionali – laddove esse esistano; (5) la progressiva riduzione del consenso sociale associato ai membri della famiglia e ai loro clientes politici, reclutati direttamente da parte del leader e verso questi interamente responsabili nell’esercizio delle loro funzioni; infine (6) un utilizzo arbitrario e clientelare

delle risorse economiche, dal momento che la connotazione personalistica del potere esercitato dal leader e dai suoi collaboratori permette a costoro l’impiego discrezionale dei fondi pubblici e lo stabilirsi di monopoli tesi alla massimizzazione del profitto a beneficio del ‘sultano’ e dei suoi clientes.

36

.Nell’accezione proposta da Shafir, la ‘familiarizzazione del partito’ può essere valutata come una manifestazione del nepotismo, inteso come la migliore garanzia di continuità ai vertice del potere. Occorre sottolineare che – in questo caso – il senso della parola ‘famiglia’ è estensivo ed include, accanto a persone legate alla “famiglia dominante” da vincoli di parentela o da alleanze matrimoniali, anche coloro che appartengono, in senso esteso alla famiglia clientelare. Cfr. M. Shafir, Romania: politics, economics and

society... cit., p.79

37 A giudizio di Jowitt la riproduzione delle relazioni clientelari nel quadro dell’apparato di partito e di Stato,

sotto il patronato di un leader supremo e indiscusso, costituirebbe la riproduzione, su larga scala, del modello delle relazioni interfamiliari. Attenendosi a questa intepretazione, come a quella dello stesso Shafir, la fase ‘avanzata’ della leadership dejista (1958-1965) accoglie elementi chiaramente associabili a un processo di ‘familiarizzazione’ del partito.

Cfr. K. Jowitt, “An organizational approach to the Study of political culturale in Marxist-Leninist Systems” in

nucleo dirigente. In questo quadro, il culto della personalità rappresenterebbe un esito non obbligato – ma potentemente corroborato da elementi sistemici - di una strutturazione informale dei rapporti di potere caratteristica del patrimonialismo, avente alla propria base la proliferazione delle relazioni clientelari all’interno del partito e al di fuori di esso. Nel quadro di tale tipo di relazioni di potere, il culto della personalità tributato a Nicolae Ceauşescu non si caratterizzerebbe dunque come un’‘aberrazione’ legata alla deriva personale e psicologica del leader, tesi accreditata - in funzione sostanzialmente autogiustificatoria - da parte di ex dirigenti del regime comunista romeno nel quadro di alcuni interventi, come quelli raccolti nelle interviste accordate a Lavinia Betea38 e Rodica Chelaru39. Esso si configurerebbe piuttosto come uno strumento coerente con i principi del pragmatismo politico, segnalando ai “sottoposti” (con particolare riferimento ai membri di partito) il personaggio politico con la più potente base di potere e il cui sostegno determinerebbe di conseguenza la massimizzazione dei benefici ottenibili. In sintesi, è possibile affermare che il culto della personalità si configuri come un elemento ‘sistemico’ non necessariamente presente nella generalità dei sistemi politici a connotazione “patrimoniale” – nel cui novero rientra, seppure, a livello a un livello di strutturazione incompleta, la tarda fase del potere dejista - mentre tale culto si colloca in un rapporto di più cogente correlazione con un modello di direzione politica di tipo sultanista, nel cui ambito possiamo collocare la Romania di Ceauşescu nella fase matura della sua involuzione totalitaria e personalistica.

Il primato in seno al partito e allo Stato acquisito da Gheorghiu-Dej nel corso degli anni Cinquanta si affiancò a un culto tributato al partito e al suo massimo dirigente che fu tuttavia esercitato in forme sostanzialmente moderate; nel suo ambito non si ravvisano, a nostro giudizio, i caratteri distintivi del culto della personalità. Occorre sottolineare, a questo proposito, come il culto della personalità non rappresenti il necessario corollario dell’accentramento personalistico del potere. Anche in assenza di uno configurazione pienamente strutturata del culto delle personalità, un indiscusso primato politico e un sicuro esercizio delle principali funzioni direttive in seno al Partito e allo Stato accomunò il ruolo assunto da Nicolae Ceauşescu già verso il 1968-69 con la posizione compiutamente conseguita dal suo predecessore dieci anni prima. A tale riguardo, possiamo riprendere la

38 L. Betea, Alexandru Bârlădeanu despre Dej, Ceauşescu şi Iliescu, Bucureşti,Ed. Evenimentul Românesc,

2009; Maurer şi lumea de ieri. Mãrturii despre stalinizarea României, Arad, Ed. Ion Slavici, 1990; Convorbiri

neterminate – Corneliu Mănescu în dialog cu Lavinia Betea, Iaşi, Polirom, 2002

griglia interpretativa elaborata da Andrej Korbonski40.al principio degli anni Settanta,

relativa all’attribuzione di un ruolo di primus oppure di primus inter pares ai segretari di Partito dei Paesi posti sotto la sfera d’influenza sovietica. La distinzione tra le due tipologie menzionate è valutata da Korbonski sulla base del modello di direzione politica impressa al Paese e in rapporto alle modalità detenute da ciascun segretario generale nel rapportarsi con il partito da lui diretto. In linea con la prevalente interpretazione storiografica, la conclusione cui perviene lo schema proposto dall’autore evidenzia come, a partire dalla fase posteriore alla morte di Stalin nel 1953, la direzione politica nell’Europa dell’Est si orientò in misura predominante verso un modello di direzione politica almeno parzialmente collegiale, sulla base dell’attribuzione al segretario del ruolo primus inter pares. La Romania di Gheorghiu-Dej e di Ceauşescu e la Bulgaria guidata da Todor Žikvov, insieme alla Jugoslavia e l’Albania, costituirono invece, secondo Korbonski, un nucleo di Stati nei quali, nell’arco temporale collocato tra la destalinizzazione e la caduta dei regimi comunisti, prevalse un modello di direzione politica contrassegnata da un deciso primato del segretario del partito, posto in una relazione di potere asimmetrica nei confronti degli altri dirigenti.

Nel caso romeno, il ruolo di primus conseguito da Gheorghiu-Dej nel 1952 – sostituendo il pregresso modello di direzione semi-collegiale - pervenne al proprio definitivo consolidamento verso il 1958. Ceauşescu, dopo una prima fase nella quale manifestò, non senza enfasi, la volontà di accreditarsi quale primus inter pares dinanzi al partito, si avvicinò in tempi piuttosto rapidi al modello di primus. Ciò avvenne in concomitanza con trasformazioni politiche i cui estremi temporali possono essere collocati tra la conferenza del PCR svoltasi nel dicembre 1967 e la celebrazione del X° congresso del partito nel 1969; in una collocazione cronologica intermedia tra questi due eventi si inserisce il discorso pubblico contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia come momento decisivo di accrescimento del capitale politico e morale detenuto da Ceauşescu.

Per quanto attiene alle modalità di misurarsi con il tema del culto della personalità nell’ambito del discorso politico, è possibile individuare considerevoli differenze tra Gheorghiu-Dej e Ceauşescu. Il primo fu indotto a manifestare dei rilievi critici in riferimento al culto della personalità nel marzo del 1956 – poco dopo lo svolgimento del XX° congresso del PCUS – adeguandosi, pur in modo piuttosto reticente, alla denuncia antistaliniana espressa da Khruščëv.Lo scopo fu quello di prevenire eventuali critiche alla

40

A. Korbonski, “Leadership succesion and political change in Eastern Europe” in Studies in comparative

communism in Studies in comparative communism, vol.IX° , n°.1-2, 1976. cit. da A. Cioroianu, Ce Ceauşescu

propria leadership provenienti dal Cremlino o dagli stessi ranghi del PMR. Durante la stagione “liberale”, la critica al culto della personalità venne espressa da Ceauşescu in termini più espliciti rispetto a quelli adoperati dal proprio predecessore. In un discorso pronunciato il 26 aprile del 1968 - pochi giorni dopo il plenum nel quale fu liquidato politicamente Alexandru Drăghici - Ceauşescu dichiarò:

Noi non abbiamo bisogno di idoli. Non abbiamo bisogno di ‘uomini-simbolo’. Il marxismo-leninismo respinge e ha sempre respinto simili interpretazioni in quanto estranee all’ideologia della classe lavoratrice. La nostra bandiera è il marxismo-leninismo, la sua concezione del mondo e la vita del proletariato41.

Questo passaggio testimonia la volontà del segretario generale di affrancarsi dai retaggi dello stalinismo e il desiderio di stornare dubbi relativi all’intenzione di promuovere un processo di personalizzazione nella direzione politica del PCR i cui presupposti politico- istituzionali erano già peraltro in avanzata fase di definizione. Dopo l’agosto 1968, nella retorica discorsiva del conducător i riferimenti al culto della personalità divennero più reticenti fino a scomparire del tutto dal principio degli anni Settanta. Anteriormente al discorso poc’anzi citato, Ceauşescu aveva in altre occasioni stigmatizzato le degenerazioni personalistiche dell’ideologia politica marxista-leninista, in riferimento velato allo stesso Gheorghiu-Dej e come implicito monito ai propri colleghi del Politburo. Questo aspetto apparve ad esempio durante un discorso pronunciato il 7 maggio del 1966, la cui importanza è parimenti associata al delineare, da parte del segretario del PCR, una interpretazione in chiave nazionale della funzione storica del partito comunista romeno, attraverso la condanna delle tesi ‘antinazionali’ da esso propugnate durante il periodo interbellico.

Il marxismo leninismo ci insegna che l’attività dei militanti, delle personalità rivoluzionarie e dei dirigenti politici possono essere interpretati correttamente soltanto in stretta correlazione con la classe sociale alla quale essi appartengono. Solo così eviteremo tanto l’esagerazione dei meriti di alcuni militanti, quanto la negazione del loro contributo alla lotta per il progresso sociale. Nessun dirigente, per quanto preminente, può essere considerato come fautore isolato di avvenimenti storici senza che questo conduca alla sua deificazione, alla negazione del ruolo delle masse, del popolo. La valutazione dell’attività dei militanti rivoluzionari deve essere svolta tenendo conto del contributo e del ruolo che questi hanno svolto in ciascun periodo della loro vita, in ciascuna tappa attraversata dal movimento operaio. La descrizione del ruolo da essi svolto nella lotta rivoluzionaria del passato deve essere fatta in considerazione della realtà e non in base alla funzione che essi attualmente occupano nel partito. Sarebbe sbagliato esagerare i meriti del passato di alcuni dirigenti solo per porre la storia in accordo con il presente: questo condurrebbe a uno snaturamento della verità storica 42.

41 M. Marin , Originea şi evoluţia cultului personalităţii.. cit., p.81

42 ibidem, p.79. Colpisce come questa confusione tra passato e presente sia stata poi impiegata proprio a

Se da un lato la ferma presa di distanza dal modello staliniano in riferimento al culto della personalità delinea un’implicita rottura nei confronti di alcune scelte compiute da Gheorghiu-Dej, va a nostro avviso altresì evidenziato come la compiuta strutturazione del culto della personalità, nella fase matura del ceausismo, costituisca almeno parzialmente un segnale di discontinuità non soltanto rispetto alle fase anteriore del comunismo romeno. Elementi di discontinuità ed elementi tradizionali convergono in differente misura nel delineare le caratteristiche distintive del culto della personalità tributato a Nicolae Ceauşescu. Autori come Katherine Verdery43 e Adrian Cioroianu44 hanno evidenziato le modalità attraverso le quali, in epoca ceausista, gli elementi tradizionali presenti nella società romena sarebbero stati strumentalizzati, reinterpretati e riadattati nel discorso pubblico per assumere una nuova veste conforme alle direttive ideologiche del regime, al fine di favorire la legittimazione delle azioni di governo e, implicitamente, il culto del leader. Il fenomeno del culto della personalità sarebbe stato dunque accettato da larghi strati della popolazione perchè in esso ricorse un insieme di elementi e simboli tradizionali, familiari alla popolazione: ad esempio, la deferenza mostrata nei confronti del personaggio che incarna il simbolo dell’autorità in ambito politico o religioso, l’esistenza di un diffuso culto dei santi o l’immagine paternalistica associata al leader del Paese45.

Sul piano delle tradizioni politiche, la Romania precomunista ebbe periodi a direzione politica autoritaria ma non sperimentò modelli di leadership totalitaria comparabili a quelli posto in atto dal conducător46 nella fase matura del comunismo romeno. A nostro avviso

non esiste, da questo punto di vista, un’ “eccezionalità” romena che giustificherebbe il culto della personalità di Ceauşescu quale esito prevedibile dell’evoluzione del comunismo nazionale in rapporto alla tradizione storica precedente. Questa considerazione non intende

43Cfr. K.Verdery, Compromis si rezistenţă: cultura română sub Ceauşescu, traducere de Mona Antohi si Sorin

Antohi), Bucureşti, Humanitas, 1994

44 A. Cioroianu, Ce Ceauşescu qui hante les roumains...cit. La medesima tematica è affrontata anche in un’altra

dell’autore: Pe umerii lui Marx. O introducere în istoria comunismului românesc, Bucureşti, Curtea Veche, 2007.

45 Cfr. E.A. Rees “Leader cults: varietes, preconditions and functions” in A. Balász (coord.) The leader cult in

communist dictatorship. Stalin and the Eastern Block, Palgrave Mac Millan, 2004, pp.3-26

46 Interessante appare la genesi e la storia di questo termine. Fino al periodo interbellico esso non fece parte del

repertorio terminologico ricorrente nella vita politica romena. Il vocabolo conducător incominciò ad essere impiegato principalmente a seguito del coup d’Etat che nel 1938 condusse alla dittatura regale di Carol II. E’ tuttavia con gli esordi del regime antonesciano (nel maggio 1940) che tale termine acquisì largo impiego nella fraseologia politica. La parola conducător divenne dunque legata al regime autoritario di destra che guidò la Romania durante la seconda guerra mondiale, assumendo evidenti analogie con termini quali duce e caudillo. Essa, tuttavia, non detenne per molto tempo una caratterizzazione strettamente unidirezionale sul piano politico. In modo limitato, questa espressione trovò parziale ‘rilegittimazione’ nella fase avanzata della leadership dejista, associata all’idea di una leadership autorevole e popolare. Fu tuttavia in epoca ceausista che il termine

conducător venne progressivamente reinserito con una certa sistematicità nel discorso pubblico, in concomitanza con l’affermarsi del culto della personalità tributato a Nicolae Ceauşescu. In tal modo venne progressivamente oscurata la stretta parentela tra questo termine e una leadership autoritaria declinata secondo il modello tipico di una dittatura di destra. Cfr. Ce Ceauşescu qui hainte les roumains...cit.

tuttavia affatto negare l’apporto di elementi tradizionali nella costruzione del modello totalitario che caratterizzò la fase avanzata della leadership ceausista.

Per Cioroianu, la ricerca di una personalizzazione a vari livelli nel rapporto tra ceti dirigenti e cittadinanza si è tradizionalmente espressa in Romania attraverso l’individuazione nella figura del dirigente di un pater familias quale unica, possibile incarnazione del bene comune. Secondo lo stesso autore, il principale fattore che favorì l’adesione di estesi strati della popolazione romena al culto della personalità tributato a Nicolae Ceauşescu fu precisamente la mentalità tradizionale incline a individuare nel ‘capo’ – a prescindere dalla veste istituzionale ricoperta – un pater familias, una personalità a cui attribuire il ruolo di responsabile e di tutore dei bisogni e delle aspirazioni di tutti coloro che ne accettano il primato47. Questa interpretazione riconduce evidentemente all’archetipo di

padre della nazione 48 quale componente integrante del culto della personalità in epoca ceausista.

Gli elementi tradizionali insiti nel culto della personalità vennero consapevolmente incorporati nel discorso pubblico in epoca ceausista e rafforzati mediante la comparazione istituita con figure esemplari della storia nazionale quali Stefano il Grande (Stefan Cel

Mare) o i sovrani daci Burebista e Decebalo. Questo aspetto suggerisce che il fenomeno del culto della personalità rivolto a Ceauşescu si sia avvalso in larga misura del procedimento della “invenzione della tradizione”, nell’accezione attribuita a questo sintagma dallo storico inglese Eric Hobsbawm49 in riferimento a un uso manipolatorio e selettivo della storia volto a legittimare il presente. A conferma di questo assunto si può riportare il ‘caso’ di Burebista, ossia di una delle personalità con la quale più frequentemente era istituito un parallelo storico con il conducător durante la fase avanzata del regime. Come osserva Adrian Cioroianu50, la figura storica di Burebista venne letteralmente “riscoperta” negli anni Settanta e ad essa fu attribuita grande importanza in quanto legata alla fondazione dello Stato unitario dei Daci. Fino a quel momento, il ricordo del primo sovrano dacico era stata oscurato dalla figura di Decebalo, protagonista, quest’ultimo, di una fase cronologicamente posteriore nonché simbolo di una resistenza opposta all’invasore romano che si concluse in

47 Ivi

48 “Durante l’interminabile fase di transizione attraversata durante due secoli dalla società romena, il personaggio

provvidenziale, il salvatore, il padre del popolo, si è imposto come l’unico punto fermo, incomparabilmente più affidabile e più efficace rispetto ad astratti principi politici”. L. Boia, “Mythologie historique roumaine (XIX et XX siècle)” in Analele Universităţii Bucureşti. Seria istorie, vol. XLII-XLIII, 1993-1994, cit. A. Cioroianu, Ce

Ceauşescu qui hante les roumains... cit., p.24

49 E. Hobsbawm, T.Ranger (coord.) The invention of Traditions, Cambridge-London, Cambridge University

Press, 2004

50

disfatta. L’esaltazione di un sovrano dotato degli attributi di fondatore (ctitor) e di capo vittorioso e indiscusso appariva funzionale al ruolo che Ceauşescu aspirava a ricoprire quale iniziatore di una nuova fase della storia nazionale. Rispetto a Decebalo, re eroico ma sconfitto dai romani, Burebista poteva risultare non soltanto maggiormente conforme al ruolo mitologico e mitopoietico attribuito al conducător, ma anche a una rappresentazione omogenea della nazione romena, vista in un rapporto di fedeltà organica al proprio leader. Non fu certamente un caso che la rivalutazione di Burebista si consolidasse nel corso degli anni Settanta, in concomitanza con l’accentuazione della retorica nazionalistica nel discorso pubblico e con il prevalere delle tesi del protocronismo in ambito culturale. La storiografia protocronista, fin da principio connotata da una forte valenza politico-ideologica, enfatizzava l’elemento daco-tracico nell’etnogenesi del popolo romeno a detrimento del ruolo svolto dai ‘colonizzatori’ romani. Tale orientamento - accolto e non di rado enfatizzato in seno alla dirigenza comunista dell’epoca - appariva funzionale alla ‘costruzione’ di un passato mitologico che esaltasse il carattere etnicamente ‘puro’ della nazione romena, sfociando nel corso degli anni Ottanta nel parossismo che connotò il fenomeno della cosiddetta “tracomania”51.

Michael Shafir ritiene che l’apparizione e lo sviluppo del culto della personalità di