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Capitolo V: La politica estera nel periodo 1965-

6.8 La cultura romena nel

Nel corso del 1968 si sviluppò la fase culminante del confronto tra il partito e gli scrittori di orientamento innovatore. Tale confronto si dipanò in concomitanza con un’attività del PCR e del governo romeno estremamente intensa sul piano della politica interna ed internazionale, il cui climax fu rappresentata dalla condanna espressa da Ceauşescu nei confronti dell’intervento sovietico in Cecoslovacchia. La popolarità acquisita dal leader romeno attraverso questa presa di posizione segnò in modo significativo, nel medio periodo, il corso delle relazioni tra intellettuali e regime. Di reale importanza nella vita culturale del Paese furono le conferenze del partito che ebbero rispettivamente luogo nel marzo e nell’aprile del 1968. Nella prima di esse, Ceauşescu invitò gli intellettuali a partecipare al dibattito riguardante la vita politica interna “senza alcun timore o paura”85. Il leader del PCR, nel medesimo consesso, dichiarò inoltre: “nessuno può affermare di detenere il monopolio della verità assoluta per quel che riguarda le modalità di sviluppo della vita sociale; nessuno può affermare di avere l’ultima parola nella prassi politica o nel pensiero sociale e filosofico”86. Appare estremamente verosimile che quest’ultima affermazione vada interpretata nel contesto dell’emergente sintonia di Ceauşescu con i dirigenti cecoslovacchi e che debba dunque essere collocata nell’ambito della politica estera ceausista piuttosto che in quella interna; nonostante ciò, numerosi intellettuali del Paese interpretarono tale dichiarazione come il segnale di un abbandono, da parte del partito, della pretesa di detenere il monopolio della verità sul piano ideologico e culturale. Ad esempio, in un saggio pubblica nella Gazeta Literară del 28 marzo, il giornalista e drammaturgo Paul Anghel sostenne che si era infine conclusa la “triste e sterile dialettica delle menzogne”87.

Di considerevole importanza per gli intellettuali e scrittori fu anche la riabilitazione di Lucreţiu Pătrăşcanu e di altre vittime delle repressioni staliniane avvenuta nel corso del

plenum dell’aprile 1968. Nell’edizione del Luceafărul dell’11 maggio, il critico e scrittore nonchè vicepresidente del CSAS Mihnea Gheorghiu auspicò che il ‘disgelo’ culturale promosso dal regime compisse un ulteriore salto di qualità in ambito letterario, in modo tale che si pervenisse “dopo una liberalizzazione delle forme, anche a una liberalizzazione delle tematiche”. Il critico Ovidiu Crohmănilceanu osservò all’epoca che “lo scrittore che desidera descrivere la società in un modo davvero realista si scontra in continuazione con le più grandi

85

D. Deletant, Ceauşescu şi Securitatea... cit., p.175

86 Ivi 87 Ivi, p.166

difficoltà”. Nel suo complesso, nella prima metà del 1968 queste difficoltà apparivano tuttavia minori rispetto a un passato anche recente.

E’ difficile immaginare quale dinamiche si sarebbero sviluppate nel confronto sempre più intenso tra partito e intellettuali se, il 21 agosto del 1968, non avesse avuto luogo il discorso di Ceauşescu di condanna dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Tale discorso produsse come esito il coagularsi, tra i ranghi degli scrittori, di una solidarietà sostanzialmente spontanea nei confronti della dirigenza del partito e dello Stato, non diversamente da quanto avvenne nella società romena nel suo insieme. La Gazeta Literară il 22 agosto pubblicò una dichiarazione firmata da 23 giovani scrittori che collaboravano con la redazione (tra di essi Alexandru Ivasiuc, Dumitru Ţepeneag e Adrian Păunescu). In questa lettera, i firmatari esprimevano “ferma protesta contro questa azione ingiustificata che contravviene il principio della libertà, della democrazia, dell’indipendenza e della dignità umana. Siamo convinti che il processo di democratizzazione iniziato in Cecoslovacchia non danneggi affatto il socialismo, ma accresca il suo prestigio nel mondo... non la libertà di pensiero e di parola o l’impegno cosciente delle masse popolari nel forgiare la storia costituiscono un pericolo per il socialismo, ma piuttosto le azioni inqualificabili come quella contro cui protestiamo adesso”. La dichiarazione si chiudeva con le seguenti parole: “siamo pienamente d’accordo con l’atteggiamento assunto dal partito e dalla dirigenza romena e con le parole pronunciate dal compagno Ceauşescu e siamo pronti a dare per intero il nostro contributo per difendere, se necessario, i nostri valori fondamentali – la patria e la costruzione pacifica del socialismo”. Il 22 agosto stesso, un certo numero di giovani scrittori, tra i quali Alexandru Ivasiuc, Adrian Păunescu e Paul Goma fecero domanda di iscrizione al PCR. Non furono casi isolati: tra il marzo 1968 e il marzo 1969 il partito acquisì 100.000 nuovi membri, giungendo a contare 1.900.000 iscritti88. Nel medesimo arco di tempo, all’interno del partito la proporzione di intellettuali ( intesi lato sensu, comprendendo dunque in tale categoria anche insegnanti e una parte dei cosiddetti “colletti bianchi”) si accrebbe dal 9% nel 1964 al 23% nel 196889.

Il 1968 costituì un anno particolarmente fecondo per la scena letteraria. Tra le opere pubblicate in questo periodo vi fu il romanzo di Marin Preda Întrusul (“L’intruso”). In questa replica romena dello Straniero di Camus, Preda delineava il ritratto di un giovane che lavora in una grande fabbrica; questi manifesta con forza la propria riluttanza ad adattarsi al pervertimento dei tradizionali valori umani e relazionali che, seconda Preda, avrebbe luogo

88 C. Durandin, Nicolae Ceauşescu..., cit., p.90:

89

nella società urbana contemporanea. L’autore non si limitò ad evocare gli aspetti negativi o dolorosi della realtà quotidiana: nel romanzo veniva evocato anche un caso di ingiustizia politica90. Dopo l’agosto del 1968, ottenne il placet della censura anche Îngerul a strigat (“L’angelo ha gridato”), un romanzo dello scrittore e drammaturgo Fănuş Neagu . Tale opera delinea, con un linguaggio vivacemente espressivo, le vicende di uomo che medita e compie vendetta contro gli assassini di suo padre. Le vicende si dipanano lungo un arco temporale che abbraccia gli anni dello stalinismo (come testimoniano i reiterati riferimenti alla collettivizzazione delle terre) , durante il quale emerge in modo evidente l’insofferenza del protagonista del romanzo nei confronti delle costrizioni ideologiche imposte dal regime.

Il 1968 costituì un anno importante per il teatro politico romeno, in un contesto nel quale il vocabolo ‘politico’ assumeva una sfumatura antagonista rispetto ai canoni dell’ortodossia ideologica. Nel mese di gennaio, la rivista Luceafărul presentò ai lettori la

pièce teatrale Iona (Giona) di Marin Sorescu, che venne rappresentata nei teatri di Bucarest il mese successivo. Questa pièce conobbe grande successo e le rappresentazioni proseguirono fino al gennaio 1969. L’opera di Sorescu descrive la parabola del personaggio biblico Giona, rivisitata in una chiave di lettura originale: all’inizio della rappresentazione, apprendiamo che il protagonista si trova nello stomaco di una balena, da cui riesce successivamente a liberarsi, ma soltanto per prendere atto di essere finito all’interno di una seconda balena di dimensioni ancora più grandi, che aveva inghiottito quella precedente. Riuscendo infine ad uscire dal grembo della seconda balena, Giona comprende di ritrovarsi all’interno di una terza balena. L’epilogo dell’opera vede il suicidio del protagonista. Il destino tragico di Giona, descritto in un linguaggio semplice ed accessibile allo spettatore medio, offre l’occasione per una meditazione di una certa profondità sull’esistenza umana. Secondo alcuni critici, il grembo della balena rappresentava un simbolo del cosmo; per altri costituiva una metafora della solitudine nella quale germoglia e sviluppa l’esistenza umana. Giona può tuttavia essere anche considerato, in un interpretazione di natura politica, come un individuo che cerca di evadere dalle convenzioni – sociali o ideologiche. Appare evidente come il suicidio finale del protagonista quale unico strumento per conseguire la liberazione dalla schiavitù strida con l’ottimismo insito nel concetto di umanesimo socialista. Dopo il gennaio del 1969, Giona non fu più rappresentato in Romania al di fuori di una singola circostanza (nel 1982), venendo tuttavia da allora rappresentato in numerosi teatri all’estero91. Nello stesso 1968, Ion Baieşu si

90 A.U. Gabanyi, Literatura şi politica..., cit., p.176

91

In Italia l’adattamento teatrale si basò su una traduzione compiuta da Marco Cugno, titolare della cattedra di lingua e letteratura romena dell’Università di Torino.

vide porre in scena l’adattamento teatrale della sua novella Acceleratorul – pubblicata tre anni prima – la quale portava ora il titolo di Iertarea (“Il perdono”). Tale pièce, al pari di Iona, non venne più rappresentata nei teatri romeni nel corso degli anni successivi.

La nuova ed originale visione espressa dai alcuni giovani scrittori, quali i menzionati Sorescu e Baieşu, sembrava confermare l’esistenza di un divario tra generazioni letterarie, espresso in termini di differenti sensibilità sul piano estetico e politico. Tale divario apparve confermato in un’antologia critica della letteratura romena contemporanea elaborata nel 1968 dal critico Ion Negoiţescu. Nella sua opera, Negoiţescu definiva il periodo 1948-55 come un “vuoto storico; coerentemente con questo assunto, egli proponeva di espungere dalla storia della letteratura alcuni rappresentanti del realismo socialista in ambito letterario quali Eusebiu Camilar, Valerian Gălan e Remus Luca. Provocazione ancora più grave fu il fatto che, nella sua antologia, Negoiţescu etichettasse Eugen Barbu e Marin Preda – ossia i più autorevoli esponenti del nuovo establishment letterario - come esponenti di una “letteratura dell’epoca di transizione”. In fase pre-editoriale, ampi estratti dell’opera furono fatti circolare tra i critici letterari romeni, ivi compresi coloro tra di essi che si collocavano in un rapporto di fedeltà più o meno organica con la dirigenza del PCR. Nell’edizione del 19 maggio, il quotidiano di partito Scînteia espresse dubbi sulla validità dei criteri letterari adottati nella menzionata antologia, mentre la rivista Luceafărul, di cui era redattore capo Eugen Barbu, espresse in modo energico la propria insoddisfazione per la sottovalutazione compiuta da Negoiţescu nei confronti della letteratura degli anni Cinquanta (cui Barbu pur sempre apparteneva) a vantaggio dei giovani autori degli anni Sessanta. Non sorprende che l’antologia di Negoiţescu – i cui contenuti furono divulgati quel che tanto che bastò per suscitare accese polemiche – non ottenne il visto della censura.

A differenza del caso appena segnalato, l’antologia della poesia romena contemporanea scritta da Nicolae Mănolescu superò l’esame della censura, ma la sua diffusione fu quasi immediatamente bloccata ex abrupto. L’antologia si differenziava sensibilmente - per l’impostazione e i criteri di giudizio adottati e gli autori recensiti – rispetto alle antologie poetiche pubblicate nel corso dei due decenni precedenti: tanto bastò perchè una parte dell’establishment politico-letterario si sentisse chiamato in causa. La censura posteditoriale, evidente nel caso dell’antologia di Mănolescu, costituisce un caso ricorrente e caratteristico nel corso della tarda fase ‘liberale’ e durante i primi anni del “periodo autoritario” (1971-1977) del regime ceausista.