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Capitolo III: Esordi e sviluppi del comunismo nazionale

3.2 La ‘desovietizzazione implicita’

La ‘fase nazionale’ del PCR nacque nel quadro di una consapevole reazione nei confronti della pregressa tradizione politica del partito quale si era manifestata durante il periodo interbellico ma anche nel corso della prima fase del consolidamento del regime. Gli anni Cinquanta (ma la definizione appare maggiormente congrua se riferita al periodo tra il 1949 e il 1955) furono effettivamente in Romania anni di quasi integrale appiattimento sui desiderata sovietica sul piano politico ed economico, come pure in ambito culturale e ideologico. Sul piano delle relazioni internazionali, nel corso dei primi anni di vita del regime la politica estera romena non potè strutturarsi altrimenti che in base alle indicazioni provenienti dal centro direttivo di Mosca.

Durante questa prima fase, un piatto dogmatismo di cui fu interprete e promotore in ambito culturale il responsabile delle questioni ideologiche del partito, Mihai Roller, determinò conseguenze in numerosi ambiti. Questo approccio ebbe ad esempio come corollario sul piano storico e storiografico la formulazione di una tesi centrata sulla storica amicizia e convergenza di interessi tra i popoli romeno e russo, come pure sulla preminenza dell’apporto slavo nella moderna etnogenesi del popolo romeno e nella formazione della sua identità linguistica e culturale3. Si trattava di una teoria in flagrante contrasto con le coordinate fondamentali del mondo della cultura romeno e con i sentimenti anti-russi prevalenti tra la popolazione. Tale teoria non appariva neppure dotata di una propria genealogia negli studi storiografici romeni, comparendo piuttosto ex novo come frutto di una contingente necessità politica4. Alla luce delle vicende storiche del Paese, come anche dello strettissimo legame della cultura romena con quella europeo-occidentale (e segnatamente francese) si può ben comprendere come una connotazione intrinsecamente filo-russa della storia nazionale fosse avvertita – non diversamente da quanto avveniva in Polonia e in Ungheria nello stesso periodo - come un’etichetta imposta obtorto collo, la quale

2 Per decisione di Gheorghiu-Dej, nel 1962 vennero amnistiati 1.304 detenuti. L’anno seguente furono liberati

dalle carceri altre 1.892 persone, mentre il provvedimento approvato e nel primo trimestre del 1964 coinvolse un ultimo lotto di 464 detenuti. Cfr. Deletant, Ceauşescu şi Securitate...cit., p.70.

3 F. Constantiniu,. "O fază sumbră a istoriografiei româneşti: perioada rolleriană(1947-1958)" in Magazin

Istoric, n°. 10 (2002), pp.7-11

contraddiceva i caratteri salienti della storia nazionale e ancor più la sua percezione presso la popolazione.

La riforma ortografica adottata poco dopo la nascita del regime, riproduceva in ambito linguistico la metamorfosi della cultura ufficiale in senso filo-russo e, più ampiamente, filo- slavo. La lettera â venne sostituita dal segno î, di derivazione slava, nella riproduzione del medesimo fonema, e l’esito di questo mutamento fu un ‘mascheramento’ ortografico del rapporto di parentela del romeno con le altre lingue di ceppo romanzo. La parola România, tramutata in Romînia esprimeva visibilmente questo cambiamento. Nonostante il ripristino della grafia dell’epoca precomunista sarebbe avvenuto soltanto alcuni anni dopo la caduta del regime, nel 1993, uno degli atti che contrassegnarono simbolicamente il nuovo corso nazionale del comunismo romeno fu, nel biennio 1964-65, il ripristino dell’originale denominazione România.

Il permanere degli stilemi dell’ “epoca Roller” dopo l’allontanamento dal potere, nel 1952, della cosiddetta fazione “filo-moscovita” del partito incarnata da Ana Pauker e Vasile Luca, testimonia come fautrice di questo approccio ideologico-culturale non fosse una specifica componente del PMR. La divisione tra corrente “nazionale” e “sovietica” in seno al partito comunista romeno può apparire evidente soprattutto a posteriori, dacchè al principio degli anni Cinquanta entrambe le correnti ricordate professavano una zelante fedeltà nei confronti delle direttive di Mosca. Gheorghiu-Dej, nell’edificare le fondamenta della legittimazione del regime comunista, preferì emulare in modo pedissequo il modello sovietico, oscurando ogni legame del regime con riferimenti (marxisti o meno) appartenenti alla tradizione nazionale. Egli si adoperò piuttosto per creare ex novo una genealogia ideologica del partito di diretta derivazione staliniana, perseguendo in tal modo l’obiettivo di accreditarsi quale ‘padre fondatore’ del partito e del regime e di occultare, nel medesimo tempo l’irrilevanza strutturale del PCR durante il periodo interbellico. Lo stesso Constantin Dobrogeanu-Gherea il cui contributo teoretico al marxismo poteva costituire un valido riferimento “autoctono” nel pantheon ideologico del partito5, venne sostanzialmente ignorato nel corso della fase stalinista del regime. Il coté patriottico presente in settori del partito – e certamente non estraneo ai dirigenti provenienti dal “gruppo delle carceri” facente capo a Gheorghiu-Dej - non fu dunque messo in condizioni di operare in modo visibile nel corso del primo decennio di vita del regime6. A questo riguardo, non va peraltro dimenticato che era

5 Nel medesimo tempo, come ebreo russo ed epigono del populismo russo Dobrogeanu-Gherea poteva per un

altro verso rappresentare anche un trait d’union tra cultura politica russa e romena.

6 Secondo Shafir, durante i primi anni di vita del regime fu la “moscovita” Pauker a proteggere e valorizzare il

stato Stalin a scegliere Gheorghiu-Dej in luogo della Pauker quale più opportuno leader alla guida del PCR.

Sebbene la conformità ideologica alle direttive sovietiche caratteristica dell’ “epoca Roller” mostrasse i primi segni di affanno a partire dal 1955, tale epoca pervenne ufficialmente a conclusione soltanto nel 1958. Durante la seduta plenaria del CC del PMR del 9-13 giugno di quell’anno, il simbolo eponimo del dogmatismo ideologico venne infatti redarguito e conseguentemente allontanato da ogni incarico nella direzione del PMR: il capo di accusa mosso a Roller era che questi avrebbe permesso all’Istituto di Storia del Partito di tenere una conferenza durante la quale taluni relatori avrebbero messo in ombra il ruolo svolto da Gheorghiu-Dej nell’organizzazione degli scioperi delle officine Griviţa nel 19337. L’accusa era pretestuosa e venne sollevata dal plenum nel quadro di una scelta dei tempi non accidentale, ossia alcune settimane dopo il ritiro delle truppe sovietiche dalla Romania. La defenestrazione di Roller determinò l’abbandono degli orientamenti più schiettamente anti- nazionali emersi in ambito culturale e storiografico nel corso degli anni precedenti. Essa non condusse tuttavia a una liberalizzazione nella vita del regime né a un ripensamento critico del rigido dogmatismo e delle pressanti richieste di conformità ideologica che continuavano a condizionare il lavoro di intellettuali ed artisti.

Come in precedenza ricordato, il percorso di emancipazione dalla tutela sovietica del regime romeno rappresentò un processo cronologicamente ‘segmentato’ e, segnatamente durante la prima fase, carico di contraddizioni e ambivalenze in rapporto alle istanze di distensione e apertura emergenti sul piano interno. Il 1956 – con i correlati eventi del XX congresso del PCUS e della rivoluzione ungherese – fu un anno che costituì, sotto diversi aspetti, l’antefatto di quanto avvenne nel corso nel maggio del 1958 con il ritiro delle truppe sovietiche presenti nel territorio romeno. La destalinizzazione sancita nel febbraio del 1956 dalla relazione svolta da Krusciov durante il XX congresso del PCUS, apparve foriera di conseguenze potenzialmente perniciose per Gheorghiu-Dej, il quale era riluttante ad associarsi a una critica incisiva dello stalinismo. Il segretario generale del PMR era debitore a Stalin per il proprio consolidamento politico e, inoltre, per la decisiva approvazione accordata dal Cremlino, tra il maggio e il giugno del 1952, alla defenestrazione della triade Pauker-Luca- Georgescu. Per prevenire possibili critiche dirette contro la propria leadership, Gheorghiu- Dej convocò per il 23-25 marzo gli organi dirigenti del partito per una seduta plenaria; in essa

di un intransigente dogmatismo in campo culturale. Cfr. M. Shafir, Romania : politics, economics and

society...cit., p.43

7 Pochi giorni dopo lo svolgimento della plenaria (il 21 giugno), Roller, gravamente ammalato di diabete, si

fu presentato un rapporto nel quale veniva attuata una moderata critica del culto della personalità e indirettamente di Stalin stesso, senza che peraltro questi venisse esplicitamente menzionato. Per quanto riguardava le tendenze autocratiche di stampo staliniano, durante tale consesso Gheorghiu-Dej insistette sul fatto che queste erano state debellate nel PMR al momento della liquidazione della fazione “moscovita”. Complessivamente, la reazione della dirigenza romena e del suo leader dinanzi alla destalinizzazione messa in atto da Krusciov fu tra le più reticenti all’interno del blocco sovietico, convergendo indirettamente verso le posizioni dogmatico-conservatrici che nel PCUS facevano capo al gruppo Malenkov- Molotov8. Nei suoi contenuti e nelle modalità di difesa, la posizione del leader del PMR può essere paragonata a quella espressa, nelle medesime circostanze, dal segretario della SED9 Walter Ulbricht nella Repubblica Democratica Tedesca.

La drammatica conclusione della rivoluzione ungherese, in novembre, evidenziò in modo inequivocabile i limiti della destalinizzazione e della tolleranza sovietica in rapporto ai Paesi satelliti. L’indiscusso e zelante sostegno accordato dalla dirigenza romena alla repressione attuata dall’URSS in Ungheria parve ridimensionare le implicazioni – per Bucarest potenzialmente nefaste – della destalinizzazione e contribuì nel medesimo tempo ad attenuare le animosità precedentemente emerse tra Krusciov e Gheorghiu-Dej. In conseguenza di ciò, la posizione del segretario del PMR risultò considerevolmente rafforzata anche sul piano interno. Ciò permise a Gheorghiu-Dej di procedere senza particolari indugi ad emarginare politicamente Iosif Chisinevşki e Miron Constantinescu, entrambi promotori di esplicite critiche all’indirizzo del segretario.

La convergenza romeno-sovietica nel corso degli eventi dell’ottobre-novembre 1956 va evidentemente riportata al timore, avvertito dalla dirigenza romena, che le istanze rivoluzionarie divampate in Ungheria potessero propagarsi presso la minoranza magiara di Romania – costituita da poco meno di due milioni di persone – rafforzando i focolai di irredentismo e revisionismo territoriale e favorendo nel medesimo tempo rivendicazioni in direzione di una liberalizzazione politica. Il fatto che quest’ultimo timore, in particolare, non fosse destituito di fondamento, venne confermato dalle manifestazioni di solidarietà agli insorti ungheresi che si svolsero in varie località del Paese, tra le quali Cluj e la stessa capitale, evidenziando come l’opposizione alla dominazione sovietica affratellasse i settori

8 Vladimir Tismăneanu, “The ambiguity of romanian national communism”, in Telos – a quarterly journal of

critical thought, n: 60, summer 1984, pp.65-79

9 Sozialistische Einheitspartei Deutschland, formazione politicamente egemone nella RDT, nata nel 1946 dalla

fusione tra il partito comunista tedesco (KPD) e la SPD operante nell’area di occupazione sovietica della Germania.

più consapevoli dell’opinione pubblica e del mondo studentesco piuttosto che creare frizioni o elementi di antagonismo tra le nazionalità presenti in Romania. La risposta repressiva adottata dal governo romeno fu improntata a moderazione, al fine di evitare di accrescere l’interesse dell’opinione pubblica e il numero di proseliti intorno a queste manifestazioni, le quali di fatto costituirono le prime forme di mobilitazione politica non riconducibili nell’alveo del partito comunista che avessero interessato i centri urbani dalla nascita del regime10.

Lo storico Marius Oprea ha evidenziato come la ricostituzione degli apparati di sicurezza ungheresi, radicalmente destrutturati nel corso della rivoluzione, si avvalse in misura significativa della collaborazione romena11. Alcune centinaia di ufficiali e sottoufficiali della Securitate, di nazionalità ungherese, vennero inviati a Budapest per cooperare con la ricostituenda AVH (Allamvédelmi Hatoság – Autorità per la Sicurezza dello Stato). Un ruolo strategico nella supervisione politica di questo processo fu svolto da Emil Bodnăraş. Questi - che durante il periodo interbellico era stato agente del NKVD - in virtù dei contatti diretti con i servizi sovietici potè utilmente fungere da mediatore nel quadro di una riconciliazione tra Mosca e Bucarest. Egli adoperò la propria influenza per rendersi con successo portavoce delle istanze nazionali romene dinanzi al Cremlino, promuovendo i negoziati che sarebbero sfociati, meno di due anni più tardi, nel ritiro delle truppe sovietiche dalla Romania. Tale ritiro venne annunciato il 24 maggio del 1958 e divenne operativo un mese più tardi, contestualmente a una riduzione di 119.000 unità degli effettivi sovietici impegnati nell’Europa centro-orientale12.

Il 1958 e gli anni immediatamente successivi furono in Romania un periodo di netta riaffermazione dell’ortodossia sul piano ideologico che ebbe come corollario un deciso inasprimento dell’apparato repressivo13. Misure draconiane vennero approvate a difesa dell’integrità dello Stato e delle conquiste della “società socialista”. Fu emendato il codice penale e con il decreto n. 318 del 21 luglio 1958 venne considerevolmente ampliata la casistica giuridica di atti ostili allo Stato punibili con la pena di morte. Una conseguenza del nuovo clima fu il considerevole aumento del numero delle persone recluse in base a capi d’imputazione di natura politica. Nel gennaio 1958, le cifre ufficiali denunciavano l’esistenza di 6.211 persone detenute per delitti contro la sicurezza dello Stato (la cifra non comprende i

10 A proposito delle manifestazioni studentesche svoltesi in Romania nel 1956 cfr. S. Cfr. S. Bottoni

Transilvania rossa: il comunismo romeno e la questione nazionale..., pp. 151-160. Uno studio interamente dedicato al medesimo tema, scritto in lingua inglese, è J. Granville, «If hope is sin, then we are all guilty», Pittsburgh, The center for Russian and East European Studies, 2008

11 M. Oprea, Banalitatea răului – O istorie a Securităţii în documente, Polirom, Iaşi, 2002, p.34 12 D. Deletant, România sub regimul comunist... cit., p.147

detenuti in attesa di giudizio), divenute 10.125 nel dicembre dello stesso e 17.613 nel gennaio 1960. Appare decisamente plausibile porre una correlazione tra l’inasprimento dell’impianto ideologico e repressivo dello Stato e il desiderio di Gheorghiu-Dej di fugare ogni velleità da parte di coloro che pretendessero di associare il ridimensionamento della tutela sovietica a un allentamento della vigilanza dello Stato socialista nei confronti dei propri cittadini14. In conseguenza di questo atteggiamento delle autorità si produsse una desertificazione in campo culturale. Gli anni immediatamente posteriori al 1958 apparvero in questo campo contrassegnati da una certa sterilità, soprattutto qualora si consideri che per un limitato periodo di tempo, durante la metà del decennio, alcune pur isolate voci – come quella del giovane poeta Nicolae Labiş (morto nel 1955) - avevano avuto modo di esprimersi al di fuori dei clichès del realismo socialista.

Per quanto attiene agli aspetti economici del processo di emancipazione della Romania dalla tutela sovietica, il raffronto tra l’inizio e la fine degli anni Cinquanta denuncia evidenti cambiamenti. Esempio significativo della subalternità del Paese durante i primi anni del regime furono le joint ventures romeno-russe (denominate sovrom ) connotate da un equilibrio asimmetrico nella ripartizione degli utili – a deciso vantaggio della parte sovietica – che concorreva a inibire piuttosto che a permettere un pieno sviluppo dell’economia nazionale. A metà degli anni Cinquanta, tuttavia, il peso detenuto dai sovrom decrebbe gradualmente e, a partire dal 1958, queste vennero mantenute dai sovietici soltanto in taluni settori strategici petrolio, uranio) dell’economia romena15.Verso la fine degli anni Cinquanta si manifestarono segni di un inconfondibile riorientamento nel commercio estero romeno. Mentre nel 195116 2/3 delle transazioni economiche della Romania si svolgevano con altri Paesi del Patto di Varsavia, la componente sovietica nel commercio estero si ridusse dal 51,5% nel 1958 al 43,7% nel 1959, per giungere al 40,1% nel 1960. Crebbe contestualmente in modo estremamente significativo l’incidenza degli scambi commerciali con i Paesi occidentali. Questo trend permase nel corso degli anni Sessanta, pur nel quadro di moderate fluttuazioni.

14 L’articolo 9 del nuovo codice prevedeva la pena capitale per i cittadini romeni che avessero stabilito contatti

con persone straniere “allo scopo di condurre lo Stato romeno a una condizione di neutralità o a una dichiarazione di guerra”. Questa disposizione venne per scoraggiare potenziali proseliti di Imre Nagy e del gesto da questi compiuto durante la rivoluzione ungherese del 1956 attraverso la proclamazione della neutralità del Paese e, implicitamente, il ritiro del Paese dal trattato di Varsavia. Nel nuovo codice la definizione di sabotaggio economico venne estesa per includervi il furto e tentativi di corruzione (si fa precisamente riferimento alla miţa, termine traducibile in italiano come ‘tangente’ o semplicemente ‘mancia’ a scopo corruttivo) e, infine, gli atti teppistici (huliganici) . Cfr, D. Deletant, România sub regimul comunist...cit., pp.148-50

15 A. Biagini, F. Guida, Mezzo secolo di socialismo reale,Torino, Giappichelli, 1997, p.88

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Alla fine degli anni Cinquanta, il Paese sembrava aver virtualmente raggiunto il punto di decollo. Il piano di sei anni approvato durante il terzo congresso del PMR, nel giugno 1960, era centrato sull’incremento a ritmi sostenuti dello sviluppo dell’industria pesante, principalmente nel settore metallurgico e petrolifero. Simbolo degli ambiziosi progetto della dirigenza romena fu la nuova acciaieria di Galaţi, un impianto che, in base ai programmi, sarebbe dovuto giungere a produrre quattro milioni di tonnellate d’acciaio nel 1970. Il progressivo riorientamento del commercio estero non favorì una reale diversificazione produttiva, se si eccettua la maggiore enfasi rivolta, rispetto al passato, allo sviluppo del settore automobilistico. Furono dunque mantenuti e rafforzati i capisaldi essenziali della politica economica del regime: incremento degli investimenti industriali, accordati in misura predominante al settore pesante, alti tassi di reinvestimento e statizzazione integrale del settore agricolo, considerato, quest’ultimo, strumento di accumulazione primitiva subalterno alle necessità di sviluppo industriale17.

La preminenza che fin dagli esordi il regime comunista accordò a un sostenuto programma di industrializzazione concorse a determinare importanti trasformazioni sociali. Tra il 1950 e il 1967 la percentuale di forza lavoro impiegata nel settore primario decrebbe dal 74,3% al 56,7%.18. Nello stesso periodo, la quota di popolazione residente nelle aree urbane e suburbane aumentò dal 23,4% al 33,7% del 1965.Dal punto di vista della leadership romena, queste trasformazioni indicavano un indiscutibile successo e un adempimento degli obiettivi perseguiti dal regime.