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La condanna dell’intervento sovietico in Cecoslovacchia

Capitolo II: Le tappe del consolidamento sul piano interno La leadership e il partito tra il nono e il decimo congresso del PCR (1965-69)

2.5 La condanna dell’intervento sovietico in Cecoslovacchia

Il discorso di condanna nei confronti dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia che fu pronunciato da Nicolae Ceauşescu il 21 agosto 1968 rappresentò il momento nel quale il segretario del PCR pervenne all’apogeo della propria popolarità, scavalcando la mediazione del partito e assumendo il ruolo di difensore dell’autonomia, integrità e dignità della nazione nel proscenio interno e internazionale. I prodromi di questo ulteriore, esplicito distanziamento dal Cremlino possono essere individuati nelle prese di posizione espresse, dal principio del 1968, dal partito comunista romeno nei confronti del PC cecoslovacco. L’atteggiamento assunto da Ceauşescu nei confronti di Dubček era coerente, sul piano delle relazioni internazionali, con gli assunti sviluppati nella “dichiarazione d’indipendenza” dell’aprile del 1964, basandosi sulla persuasione che ciascun partito comunista avesse il diritto di perseguire senza pressioni o ingerenze esterne il proprio originale percorso verso il socialismo. Autonomia, rispetto tra i Paesi del campo socialista e non ingerenza furono principi

richiamati nel corso della seduta plenaria del Comitato Centrale del partito svoltasi nel marzo del 196845. Questo atteggiamento dei dirigenti romeni non era tuttavia privo di riserve nei confronti degli sviluppi politici assunti sul piano interno dalla “Primavera di Praga”. Il partito comunista romeno e il suo leader manifestarono un atteggiamento decisamente prudente nei confronti degli intenti riformatori perseguiti da Dubček sul piano interno. Ancora minore simpatia potevano suscitare presso il segretario del PCR i propositi di radicale liberalizzazione in ambito politico e culturale espressi nel “Manifesto delle duemila parole”, redatto in giugno da Ludvik Vakulik. L’oggettiva divaricazione esistente tra il caso cecoslovacco e quello romeno – in riferimento al carattere sostanzialmente autoritario e dirigistico dei tentativi riformatori promossi da Bucarest - non è soltanto evidenziata dalla successiva involuzione autoritaria del regime romeno, ma venne colta con chiarezza anche da osservatori occidentali, in interventi contemporanei agli sviluppi della primavera di Praga.46. Già anteriormente al 1968 Enzo Bettiza aveva osservato, in riferimento al caso romeno, come desatellitizzazione e liberalizzazione non rappresentassero poli necessariamente convergenti, e che il modello tecnocratico adottato da Bucarest era lungi dall’assicurare qualsiasi reale forma di affrancamento della società dalla più rigorosa vigilanza politica esercitata dallo Stato e dal partito47.

Le conseguenze del discorso di Piaţa Palatului furono importanti per la leadership romena sotto vari punti di vista. Facendo appello alle corde più sensibili del sentimento nazionale, Ceauseşcu potè assumere un più compiuto ruolo direttivo d’impronta personalistica. La condanna dell’intervento sovietico funse parimenti da potente rappel à

l’ordre nei confronti della direzione del PCR, rafforzandone la coesione interna allo scopo di non destare l’impressione di dissidi interni che i sovietici avrebbero potuto strumentalizzare per riproporre, come negli anni dello stalinismo, una subalternità della Romania nei confronti del Cremlino.

Secondo Dumitru Popescu l’attribuzione a Ceauşescu di un accresciuto primato personale, foriero del successivo sviluppo del culto della personalità, sarebbe scaturita da una

45 Cfr. A. Basciani, Riformismo cecoslovacco e indipendentismo romeno in Era sbocciata la libertà? A quaranta

anni dalla Primavera di Praga (1968-2008) – (a cura di F. Guida e G. Altarozzi), Roma, Carocci, 2008, pp-119- 120

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“The contrast here with developments in Yugoslavia, CzechoSlovakia and even Hungary is obvious. In these countries the trend is away from integration toward a more pluralistic concept of society with interest groups being recognized and allowed a considerable degree of autonomy. The Rumanian Party has firmly rejected this concept. Different strata of society are, of course, recognized but control over them, and responsibility for them, are vestedsecurely in the central leadership.” Cit. da J.F. Brown, Power and policies in Ceauşescu’s Romania, p.13. report 5-20-1968, cfr. http://www.osaarchivum.org/files/holdings/300/8/3/text/50-7-229.shtml

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necessità politica, associata all’imperativo morale – largamente condiviso nel partito - di proteggere un leader giunto a identificarsi in modo organico con la politica di indipendenza romena, la quale nell’agosto del 1968 divenne rappresentativa dell’intero Paese48. L’esito dei nuovi rapporti delineatisi tra leader e partito avrebbe dato luogo, nell’agosto del 1969, a un importante cambiamento politico- istituzionale. Le nuove regole approvate nel X° congresso del PCR stabilirono che il Segretario Generale non fosse eletto, come in precedenza, dal Comitato Centrale; tale compito venne infatti attribuito alla Grande Assemblea Nazionale (Mare adunare natională - MAN) – ossia all’organo formalmente titolare del potere legislativo – prefigurando un rapporto di tipo plebiscitario tra il popolo (che dalla MAN era “rappresentato”) e il segretario generale del PCR.

Un’altra trasformazione determinatasi dopo la conclusione della Primavera di Praga fu rappresentata dal il graduale arresto delle tendenze ‘liberali’ in seno alla leadership romena: questo processo apparve favorito dalla cautela che fu imposta alla Romania dalla percezione del proprio isolamento all’interno del blocco orientale e dal conseguente timore di manovre eversive progettate da Mosca per favorire una ricollocazione in senso filosovietico dei vertici della dirigenza romena. L’espressione più visibile di questa involuzione autoritaria, meno di tre anni più tardi, sarebbero state le cosiddette tesi di luglio del 1971, le quali equivalsero a un’adesione del leader romeno a un impianto ideologico e a una prassi politica d’impronta neostaliniana, comportando nel medesimo tempo e l’abbandono di ogni tentativo di riforma degli orientamenti strutturali della politica economica romena.

La condanna dell’intervento sovietico da parte di Ceauşescu ebbe importanti riflessi anche sul piano dell’organizzazione della sicurezza interna, in ragione della necessità di prevenire minacce provenienti da parte sovietica. Durante il discorso del 21 agosto il segretario del PCR annunciò la costituzione delle Guardie Patriottiche (Garzi Patriotice), ossia di milizie composte da lavoratori – in eguale misura uomini e donne – chiamati alla mobilitazione di fronte a un pericolo per l’indipendenza e l’integrità territoriale del Paese. Il risvolto riservato del richiamo alla mobilitazione patriottica fu rappresentato dall’ordine, trasmesso al Consiglio per la Sicurezza dello Stato, di elaborare un piano a garanzia della sicurezza del segretario generale. L’XI° direzione della Securitate (la Direcţia Tecnică) fu incaricata di progettare un piano che si occupasse, in termini generali, delle modalità attraverso cui reagire a un’ipotesi di invasione da parte sovietica. Tale piano fu pronto nel 1970 ed assunse il nome in codice di ROVINE-IS-70. Il progetto prevedeva forme di

48 D. Popescu, “Am fost şi cioplitor de himere”. Un lider comunist se destăinuie, Bucureşti, Editură Expres,

mobilitazione che conducessero alla resistenza armata dell’intera popolazione, da attuarsi sotto il coordinamento del Consiglio per la Sicurezza dello Stato. Nell’eventualità di un insuccesso dei tentativi di fermare l’occupazione del territorio romeno, Ceauşescu e il vertice dirigente del partito sarebbero stati condotti segretamente in un Paese straniero49. Il piano venne revisionato e ulteriormente articolato dopo che la DIE (Direcţia Informăţii Externe) rilevò l’esistenza di un piano sovietico (con il nome in codice DNESTR) che prevedeva la sostituzione di Ceauşescu con un dirigente più malleabile dinanzi alle richieste del Cremlino50.

In conclusione, è possibile affermare che il discorso del 21 agosto del 1968 rappresentò il climax e al tempo stesso l’inizio della fase regressiva della cosiddetta “stagione liberale” del comunismo romeno. Secondo Michael Shafir, tale evento costituì un tassello fondamentale di quella che egli definisce come strategia del “cambiamento simulato” promossa dalla dirigenza romena.

Questa espressione riporta - seppur nel quadro di circostanze storiche sensibilmente differenti - alla situazione della fine del secolo anteriore, quando l’intellettuale, scrittore e accademico Titu Maiorescu constatava la supremazia delle forme fără fond (forme senza contenuto) nella cultura politica nazionale. Sarebbe però un’indebita semplificazione asserire che i dirigenti comunisti romeni e il loro leader considerassero i cambiamenti promessi o parzialmente attuati in questa fase alla stregua di meri tatticismi o di espedienti discorsivi. Il richiamo a Maiorescu e all’assenza di una base solida sulla quale dar vita a riforme a un vero corso liberale appare logica qualora ci si soffermi sui limiti imposti da un modello politico tardo- stalinista che in Romania non venne mai posto radicalmente in discussione, determinando in tal modo la successiva involuzione di segno vieppiù autoritario che interessò il comunismo romeno.

49 I contenuti del piano ROVINE-IS-70 prevedevano che questo venisse lanciato “nel momento nel quale, come

conseguenza di un atto di aggressione indirizzato contro il nostro Stato, esista il pericolo imminente di una rapida occupazione della capitale o di una parte del territorio, fatto che renderebbe difficoltoso o addirittura impossibile il coordinamento da parte della dirigenza della lotta di resistenza dell’intero popolo dall’attuale sede di governo...(Il piano consta) nell’allontanamento dalla capitale – in forma riservata e protetta - della direzione superiore di partito, con destinazione ed itinerari già stabiliti in precedenza”. Evenimentul zilei, 7 iulie 1993, p.3 citato da D. Deletant, Ceauşescu şi Securitatea... cit., p. 97

50 Ibidem. La genesi e gli obiettivi del piano DNESTR sono menzionati anche da Ion Mihai Pacepa – ex

responsabile del controspionaggio estero in seno alla Securitate, stabilitosi negli USA nel 1978 - in I.M. Pacepa,