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La plenaria dell’aprile 1968: premesse e sviluppi sul piano politico

Capitolo II: Le tappe del consolidamento sul piano interno La leadership e il partito tra il nono e il decimo congresso del PCR (1965-69)

2.4 La plenaria dell’aprile 1968: premesse e sviluppi sul piano politico

Tra i settori nei quali si manifestò visibilmente il nuovo corso politico inaugurato dal IX° congresso vi furono il ministero degli Interni e i servizi di sicurezza, dove si era precedentemente concentrata la base del potere politico esercitato da Alexandru Drăghici. Questi, come in precedenza ricordato, aveva conferito alla direzione degli Interni taluni caratteri di discrezionalità e arbitrarietà propri di uno “Stato nello Stato” o, quantomeno, di un dicastero governato da proprie leggi25. Nel luglio 1965, Drăghici venne sostituito alla guida degli Interni dal proprio viceministro, Cornel Onescu. Quest’ultimo, che avrebbe detenuto quell’incarico ministeriale fino al 1972, era un protégé di Ceauşescu, al pari di altre personalità emerse nei ranghi del potere dopo il IX° congresso26. Malgrado il declassamento subito, fino al giugno del 1967 Drăghici continuò esercitare un certo controllo sui problemi legati all’attività dell’esercito e dei servizi di sicurezza, per mezzo di una delega affidatagli in seno al segretariato del CC del PCR27. A dispetto di questi moderati compromessi con l’ex titolare degli Interni, la strategia adottata dal Segretario Generale apparve fin dagli esordi orientata in direzione di un rinnovamento di uomini e metodi. Tra gli altri segnali emersi in tale direzione vi fu, durante il IX° congresso, la mancata riconferma tra i membri del Comitato Centrale di Gheorghe Pintilie (Pantiuşa), personalità con alle spalle un

25 Le ristrutturazioni in seno agli Interni non si arrestarono durante gli ultimi anni della segreteria di Gheorghiu-

Dej. Il 30 maggio del 1963, ad esempio, la direzione politica e operativa delle truppe di sicurezza venne sottratta alla Securitate (la cui denominazione amministrativa era Departamentul Securităţii Statului - DSS) – e posta sotto la diretta supervisione del ministero degli Interni. Cfr. D. Deletant, Ceauşescu şi securitatea... cit., p.82

26 Negli anni tra il 1959 e il 1965 il ‘tirocinio’ politico di Onescu si era svolto prevalentemente nella Direcţia

Organizatoraică e nella Secţia de Cadre del CC del PMR, le quali, come in precedenza ricordato, erano organismi diretti e coordinati da Ceauşescu. Ivi, p.86

27 Questa delega era tuttavia esercitata da Drăghici congiuntamente a Vasile Patilineţ, uomo di fiducia di

coinvolgimento sanguinario nelle lotte interne al partito e nella direzione degli organi di sicurezza durante gli anni dello stalinismo28.

La progressiva marginalizzazione politica che interessò l’ex ministro degli Interni e la contestuale ristrutturazione organizzativa del settore della sicurezza risultò favorita dalla convergenza di intendimenti riscontratasi a questo proposito tra i massimi dirigenti del partito. Gli ex membri del Politburo – non meno dello stesso Ceauşescu - percepivano Drăghici come una minaccia alle posizioni di potere da loro detenute, e tale timore non si limitò a condizionare la successione ai vertici del partito nel marzo 1965 ma anche la fase ad essa posteriore. Emerse in questo ambito quella che può essere definita come la “sindrome di Berija” nel quadro di un parallelismo richiamato da Michael Shafir rispetto alla transizione post-staliniana in Unione Sovietica, durante la quale si pervenne rapidamente a liquidare l’ex capo dei servizi di sicurezza29.

Alla luce di queste considerazioni si può forse comprendere meglio la ragione per la quale i maggiori dirigenti di partito approvarono – a loro potenziale detrimento - l’istituzione, nel novembre del 1965, di una commissione di inchiesta cui era affidato il compito di indagare sui crimini commessi dalle autorità del partito durante il periodo poco meno che ventennale intercorso dall’instaurazione del regime comunista. La direzione di tale commissione – la quale operò in un quadro di grande riservatezza e con un esito già largamente predeterminato almeno in riferimento alle responsabilità ricoperte da Alexandru Drăghici – fu affidata congiuntamente a Vasile Patilineţ e ad alcuni esponenti non di primissimo piano della “vecchia guardia” del partito (Gheorghe Stoica, Nicolae Guină e Ion Popescu-Puţuri). Gli esiti dell’inchiesta furono clamorosamente resi pubblici nel 1968.

Tra le misure adottate da Ceauşescu nei primi anni della propria direzione politica vi furono provvedimenti che si proponevano di ripristinare il primato della legalità socialista e del rispetto delle norme di uno Stato di diritto in contrasto con le procedure arbitrarie invalse durante gli anni Cinquanta. Nel corso del 1965 furono approvati provvedimenti che accrebbero il potere dei tribunali quali organi dotati di attribuzioni distinte rispetto alle

28 Nel 1946, l’autista di Pintilie era stato l’esecutore materiale dell’assassinio di Şefan Foriş, segretario del PCR

tra il 1940 e 1944 e a capo del gruppo di partito operante clandestinamente sul territorio nazionale. Divergenze strategiche e rivalità di potere separavano tale organizzazione dal “gruppo delle carceri” capeggiato da Gheorghiu-Dej, dal quale provenne l’ordine di liquidare fisicamente Foriş, ottenendo in tal senso l’avallo del Cremlino. Sulle vicende relative al “caso Foris”, cfr. D. Catanuş Cazul Ştefan Foriş. Lupta pentru potere în PCR

de la Gheorghiu-Dej la Ceauşescu – Documente 1940-1968, Bucureşti, Vremea, 1999. Va osservato che, malgrado la mancata riconferma nel 1965, Pintilie non seguì la sorte di Drăghici. Nel 1971, in concomitanza con l’anniversario dei cinquanta anni dalla fondazione del PCR, Nicolae Ceauşescu riabilitò Pintilie e pervenne anzi a conferirgli l’onorificenza dell’ordine “Tudor Vladimirescu”. Cfr. V. Tismăneanu, “Călăi stalinişti: cazul Pantiuşa” in Cotidianul, 21 april 2006.

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autorità di polizia e fu altresì disposto per legge che nessun cittadino potesse essere trattenuto senza mandato di arresto per un periodo superiore alle 24 ore. Malgrado il fatto che queste misure non furono applicate in modo rigoroso, non si può sottovalutare come esse presentassero un carattere garantista, visibilmente negletto negli anni anteriori al 1964 30.

E’ stato precedentemente evidenziato come, nel processo di consolidamento politico associato alla fase “liberale”della leadership ceausista, il superamento del dualismo tra gli incarichi inerenti al partito e quelli propriamente pertinenti al governo e allo Stato – quest’ultimo inteso anche nelle sue diramazioni periferiche - venne risolto in un primo momento da Ceauşescu mediante l’attribuzione di un primato al partito. Si trattò in ultima analisi di un passaggio propedeutico all’assunzione di un controllo pervasivo egualmente esercitato, a partire dalla fase autoritaria del regime, su entrambi i poli del potere politico- istituzionale. Questo modus operandi venne attuandosi anche in riferimento a un settore strategico come quello rappresentato dal ministero degli Interni e dalle forze di sicurezza. In base al decreto 710/22 del luglio 1967 l’attività della Securitate venne posta sotto la supervisione di un organo di recente fondazione, il Consiglio per la Sicurezza dello Stato (Consiliul al Securităţii Statului - CSS). Tale organo era autonomo dal ministero degli Interni e direttamente responsabile, nell’esercizio delle proprie funzioni, nei confronti dell’esecutivo e degli organi direttivi del partito. La direzione del CSS venne affidata a Ion Stănescu, che dal 1972 sarebbe divenuto ministro degli Interni in sostituzione di Cornel Onescu.

Il provvedimento concernente la ristrutturazione dei servizi di sicurezza intervenne ad un mese di distanza dalla seduta plenaria che sancì un’ulteriore tappa del redde rationem programmato dal segretario generale nei confronti di Alexandru Drăghici. In non casuale concomitanza con un soggiorno all’estero dell’ex ministro degli Interni, il 15 giugno venne convocata una riunione del Comitato Centrale durante la quale il segretario del PCR criticò apertamente gli errori commessi da Drăghici nel corso della sua lunga (1952-65) direzione degli Interni. Ceauşescu sottolineò che “nei primi anni seguiti alla loro fondazione, agli organi di sicurezza è mancata esperienza e capacità di discernimento politico, rendendosi in tal modo promotori di indicazioni sbagliate”31. In tal modo furono commessi “abusi e violazioni della legalità socialista” che avrebbero trovato espressione anche nella delega agli organi di sicurezza della risoluzione di problemi di natura eminentemente politico-organizzativa, recando grave pregiudizio all’attività e al ruolo svolto dal partito. Le vittime di tale processo – proseguì Ceauşescu – furono attivisti di partito e di Stato che, in determinate circostanze, si

30 Cfr. D.Deletant, Ceauşescu şi Securitatea...cit., p.86. 31 Ivi, p.87

erano limitati ad esprimere visioni personali riguardo ad alcuni aspetti della linea politica, oppure avevano commesso sbagli che non appariva comunque legittimo sanzionare attraverso il ricorso a provvedimenti persecutori.

Nel corso dell’intervento del segretario del PCR emersero con evidenza gli elementi salienti dell’attacco frontale a Drăghici che avrebbero trovato compiuta espressione durante il

plenum tenutosi nell’aprile del 1968, la quale fu dunque lungi dal giungere come un fulmine a ciel sereno. Anteriormente al succitato plenum, il Consiglio di Stato - il cui presidente dal dicembre del 1967, era lo stesso Ceauşescu - emise il 3 aprile 1968 due decreti riguardanti il Consiglio per la sicurezza dello Stato, al quale venne accordato il ruolo di istituzione pienamente indipendente dall’esecutivo32. Fu altresì annunciata l’adozione di nuovo codice penale che, nell’ intento di preservare e rafforzare la legalità socialista, conferiva uno status giuridico più saldo alle disposizioni a garanzie dell’imputato approvate nel 1965. Sul piano della repressione, il nuovo codice ebbe una valenza di natura prevalentemente simbolica, dacchè esso non pervenne ad allentare la stretta vigilanza esercitata sulla società da parte degli organi di sicurezza. D’altra parte, la “burocrazia del terrore”, pur non liquidata sul piano organizzativo, era stata interessata da un cambiamento sul piano dei metodi fin dal biennio 1963-64. E’ in tale biennio che va individuata la fine dell’epoca di coercizione di massa, con il conseguente passaggio da una modalità di controllo di tipo schiettamente coercitivo a una di carattere eminentemente prescrittivo.

La seduta plenaria del 22-25 aprile 1968 segnò, in termini generali, la decisa affermazione di una apparente “destalinizzazione”, la quale non condusse unicamente all’espulsione dal partito di Alexandru Drăghici, ma proseguì lungo una linea di aperta contestazione nei confronti degli “arbitrii” e delle “violazioni della legalità socialista” avvenute nel corso degli anni Cinquanta. Tale processo di rivisitazione critica della storia del regime comunista chiamò in causa il ruolo svolto dallo stesso Gheorghiu-Dej. In conseguenza di ciò, il segretario del PCR in carica pervenne a sostituire compiutamente il proprio predecessore nella vesti di ‘padre fondatore’ e artefice del modello comunista romeno.

Nel corso della seduta plenaria Ceauşescu riportò le conclusioni salienti del lavoro svolto dalla commissione creata nel novembre del 1965 con lo scopo di individuare le

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In uno dei decreti in esame vennero specificamente definite le attribuzioni del CSS, il quale assumeva come compito “la difesa della sicurezza dello Stato contro azioni di sabotaggio, diversione, minacce poste all’ economia nazionale, come pure contro azioni intraprese da servizi di spionaggio stranieri”. Veniva inoltre disposto che il CSS si occupasse di “ controspionaggio militare, di organizzazione e sviluppo di attività informative e della tutela della sicurezza sicurezza dei dirigenti di partito e di Stato”. Ibidem, ...p.88

responsabilità connesse agli arbitrii cui erano stato sottoposti attivisti e dirigenti del partito durante gli anni dello stalinismo. La relazione elaborata dalla commissione d’indagine esprimeva – non sorprendentemente -valutazioni pienamente conformi alla visione del segretario generale nei riguardi degli abusi e crimini commessi nel passato. In essa era esaminato il caso di Ştefan Foriş, l’ex segretario del PCR la cui liquidazione fisica nel 1946 venne decisa dall’emergente gruppo direttivo facente capo a Gheorghiu-Dej. L’allontanamento di Foriş dal partito – secondo la relazione - era giustificato da alcune “deviazioni gravi”da questi commesse; tuttavia la sua esecuzione come presunto informatore della Siguranţa (la polizia segreta di epoca precomunista) costituì un grave errore, compiuto in assenza di motivazioni fondate. La commissione individuò in Gheorghe Gheorghiu-Dej, Teohari Georgescu, Ana Pauker e Vasile Luca – tutti defunti oppure (era il caso di Georgescu) già condannati per altre imputazioni - i responsabili politici di tale crimine.

Al centro della relazione presentata da Ceauseşcu vi era la figura di Lucreţiu Pătrăşcanu. Esponente di una linea comunista attenta ai valori nazionali (in un’occasione aveva dichiarato: „prima di essere comunista sono romeno”), Pătrăşcanu fu tra i dirigenti romeni più influenti durante la transizione politica anteriore al pieno consolidamento del regime comunista. Detenne infatti un ruolo di primo piano nei negoziati che condussero – il 23 agosto del 1944 - al rovesciamento della dittatura del maresciallo Antonescu. Successivamente divenne titolare del ministero della Giustizia, incarico da cui fu però allontanato nel febbraio 1948, con l’accusa di deviazione nazionalista. Il 28 aprile dello stesso anno, Pătrăşcanu venne arrestato e posto sotto la supervisione di un comitato inquirente di partito, guidato da Teohari Georgescu (all’epoca ministro degli Interni), Alexandru Drăghici e Iosif Rangheţ33. Pătrăşcanu era una personalità politica vulnerabile già anteriormente

all’arresto, essendo poco amato dai propri colleghi di partito e sospettato di scarsa lealtà da parte dei sovietici34. Ad accrescerne l’isolamento intervennero alcune dichiarazioni da questi rilasciate che apparivano interpretabili come gravi segnali di “sciovinismo”, nell’accezione attribuita a questo termine durante il periodo staliniano35. Secondo Deletant36, la sorte di

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Rangheţ era stato, insieme a Constantin Pârvulescu e Alexandru Bărlădeanu, a capo del triumvirato costituitosi al vertice del PCR dopo l’allontanamento – nell’aprile 1944 - di Ştefan Foriş dalla segreteria.

34 Nel settembre del 1944, Pătrăşcanu destò i sospetti dei delegati sovietici nel corso dei negoziati per

l’armistizio tenutosi a Mosca, dal momento che contestò talune condizioni poste dall’Urss invece di accettarle senza riserve

D. Deletant, Teroarea comunistǎ în România...cit., p.158

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In due distinte occasioni - nel luglio 1945 e nel giugno 1946 - Pătrăşcanu accusò alcuni elementi ungheresi per le tensioni nazionali presenti in Transilvania. Cfr. T. Gallagher, Theft of a nation : Romania since

communism, London, Hurst, 2005

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Pătrăşcanu fu segnata dall’ ostracismo che Stalin oppose ai passi compiuti dal leader comunista bulgaro Georgi Dimitrov al principio del 1948 per giungere alla creazione di una federazione balcanica la quale – nelle intenzioni del promotore – avrebbe dovuto comprendere la Jugoslavia. Dinanzi all’emergente dissidio tra Mosca e Belgrado, l’interesse manifestato dal governo romeno nei confronti del progetto di Dimitrov attirò le severe rimostranze del Cremlino, il quale impose al PCR di liberarsi degli elementi ‘sciovinisti’.

A conclusione di una interminabile istruttoria politico-giudiziaria, condotta con i metodi invalsi nell’epoca stalinista e a più riprese temporaneamente interrotta, il processo a Pătrăşcanu ebbe inizio soltanto il 14 aprile del 1954 e si concluse celermente con una condanna capitale, eseguita la notte tra il 16 e il 17 aprile presso il penitenziario militare di Jilava. I capi di accusa mossi al dirigente simbolo di un comunismo nazionale ante litteram facevano parte del repertorio ideologico dell’ultima fase dello stalinismo, ma anzichè soffermarsi sulle accuse di “titoismo” e “cosmopolitismo” – rese desuete dopo la morte di Stalin e, in prospettiva, dall’imminente riavvicinamento tra Tito e Krusciov – si preferì accusare Pătrăşcanu di aver collaborato con agenti della Siguranţa e con i servizi segreti anglo-americani per minare le basi del regime socialista in Romania. Diversamente dalla maggior parte dei “processi farsa” che si tennero nell’Europa sovietizzata durante gli anni dello stalinismo - come quelli condotti rispettivamente in Ungheria e Cecoslovacchia contro László Rajk (1949) e Rudolf Slanský – nel processo intentato a Pătrăşcanu non si pervenne ad estorcere all’imputato alcuna ‘confessione’ relativa alla veridicità dei capi di accusa mossigli; nè d’altra parte tale processo, condotto in forma strettamente riservata, potè assumere una valenza “esemplare” sotto il profilo ideologico. L’esecuzione di Pătrăşcanu, avvenne dunque ‘fuori tempo massimo’, ossia nella fase di disgelo posteriore alla morte di Stalin e all’insediamento di Krusciov al potere. La ragione di tale processo e il suo esito vanno verosimilmente ricondotti alla volontà di Gheorghiu-Dej di liberarsi di un potenziale, temibile rivale il quale, nel contesto della destalinizzazione ‘implicita’, avrebbe potuto proporsi come protagonista di una leadership dotata di accenti riformatori e nazionali, come avvenne con in Imre Nagy in Ungheria e, soprattutto, in modo simile a quanto sarebbe avvenuto nel 1956 con Władisław Gomulka in Polonia37.

La ricostruzione degli aspetti e momenti salienti riguardanti il “caso Pătrăşcanu” e le responsabilità politiche ad esso connesse, pose le basi per l’attacco contro Alexandru Drăghici. Nel corso della seduta plenaria, tale attacco venne inizialmente mosso da Paul Niculescu-Mizil e fu poi ripreso e ampliato da Ceauşescu, trasformandosi in un’articolata

requisitoria. Nel suo intervento, il segretario del PCR si premurò di sottolineare che le decisioni arbitrarie e i crimini commessi da Drăghici contro Pătrăşcanu ed altri esponenti del PMR/PCR non sarebbero stati il risultato di una fedeltà ideologica nei confronti del partito nè avrebbero rappresentato la mera esecuzione della volontà espressa da Gheorghiu-Dej. Tali motivazioni, invocate dall’ex ministro degli Interni a propria discolpa, vennero respinte con veemenza da Ceauşescu, il quale sottolineò invece la diretta responsabilità di Drăghici rispetto ad azioni in flagrante contrasto con il principio della legalità socialista.: “la realtà, compagni, è, che durante l’intero corso della sua attività al ministero degli Interni, Drăghici ha incoraggiato abusi...li ha incoraggiati, e ne ha commessi lui stessi, e non pochi. Drăghici non fu uno strumento, egli porta la responsabilità diretta per tutto ciò che è avvenuto al ministero dell’Interno”38.

Nel corso della requisitoria, tuttavia, il segretario del PCR evidenziò come a Gheorghiu-Dej andasse attribuita una precisa e grave responsabilità politica per “il suo intervento personale nell’inchiesta su Pătrăşcanu per le disposizioni date riguardo al suo svolgimento e per gli ordini imposti per ottenere nuove denunce e per effettuare nuovi arresti di presunti complici”39. La corresponsabilità di Gheorghiu-Dej in questo episodio postulava la complicità dei membri del Politburo dell’epoca nell’avallare le decisioni politiche riguardanti il processo e l’ esecuzione di Pătrăşcanu. Ciò venne chiaramente evidenziato da Ceauşescu quando affermò che “una grave responsabilità per aver ammesso lo svolgimento del processo senza verificare la credibilità delle accuse mosse dagli organi di investigazione ricade sui dieci membri dell’ufficio politico del PCR” 40 Direttamente coinvolti, sebbene non nominati

individualmente, i dirigenti dell’ex Politburo confluiti nel Presidium accettarono di riconoscere le responsabilità loro attribuite, verosimilmente al fine di evitare ulteriori azioni o prese di posizione da parte del segretario generale che potessero in futuro recare pregiudizio al loro status politico.

Ceauşescu potè muovere l’atto di accusa nei confronti del proprio predecessore e dei colleghi di partito sulla base di una propria presunta estraneità ad ogni complicità morale e politica rispetto al caso Pătrăşcanu. Tale assunto sarebbe stato giustificato – in modo peraltro non del tutto credibile - dal fatto che al momento dell’esecuzione del dirigente comunista, il futuro leader del PCR non era ancora divenuto membro permanente del Politburo, assumendo tuttavia tale incarico appena due giorni dopo questo evento (il 19 aprile del 1954). Il capitale

38 ANIC, Fond CC al PCR, Secţia Cancelarie, dosar 66/1968 39 Ibidem

politico derivante da questa circostanza rafforzò in Ceauşescu la determinazione nel pervenire a una riformulazione dei rapporti di forza in seno al partito, sebbene taluni aspetti poco trasparenti relativi alle indagini giudiziarie sul caso dovessero necessariamente rimanere estranei a qualunque requisitoria o sforzo di chiarificazione politica. Almeno una circostanza va rilevata a tale riguardo. In seguito alla seduta plenaria, Drăghici fu destituito da ogni incarico di partito, senza che tuttavia venisse posto in essere alcun procedimento penale nei suoi confronti, nonostante sussistesse la base giuridica per una simile iniziativa. A questo proposito, Maurer si fece latore presso gli organi dirigenziali del partito, dell’opportunità di non dare luogo a procedere nei riguardi di alcuna accusa di rilevanza penale che coinvolgesse l’ex ministro degli Interni; se si fosse proceduto diversamente – osservò Maurer - ne avrebbe risentito il prestigio del partito e del suo leader41. Inoltre, nel settembre del 1968 fu lo stesso