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Capitolo II: Le tappe del consolidamento sul piano interno La leadership e il partito tra il nono e il decimo congresso del PCR (1965-69)

2.1 Il IX° congresso e il debutto della fase “liberale”

Secondo Mary Ellen Fischer, i primi anni della segreteria di Ceauşescu furono visibilmente contrassegnati dal compromesso politico tra il segretario generale e i suoi potenziali avversari nel quadro della dirigenza collettiva creata dopo la morte di Gheorghiu- Dej1. Durante questa prima fase, il segretario del PCR parve operare in modo sinergico con gli altri dirigenti del partito, avendo come obiettivo quello di assicurare la stabilità interna dello Stato e la coesione della nuova dirigenza, puntando nel medesimo tempo ad acquisire il sostegno da parte della società romena nelle sue varie espressioni ed articolazioni (la classe lavoratrice ma anche le minoranze nazionali ed le élites intellettuali). La strategia di legittimazione della nuova dirigenza si avvalse di prese di posizione in senso patriottico – ricorrente fu l’appello alla storia e alla dignità nazionale – congiuntamente all’enunciazione di propositi tesi ad assicurare maggiore trasparenza nelle strutture direttive del potere e il rispetto dei principi di legalità socialista; non da ultimo, concorsero all’efficacia di tale strategia alcuni concreti provvedimenti legislativi volti all’innalzamento dei livelli retributivi e del tenore di vita complessivo della popolazione. L’insieme di questi elementi non soltanto assicurò una solida transizione alla nuova dirigenza ma, in eguale misura, determinò l’accumulazione di un importante capitale di consenso da parte di Ceauşescu.

Nel corso di questa fase, il consolidamento politico di Ceauşescu nell’ambito degli organi direttivi e negli apparati si attuò - secondo la Fischer - essenzialmente mediante una strategia ‘inclusiva’ orientata alla graduale immissione dei sostenitori del segretario generale in funzioni direttive in seno al partito e allo Stato, evitando qualsiasi tipo di confronto diretto con gli ex membri dell’entourage dejista ancora collocati in posizioni di vertice. Questa strategia inclusiva – basata su promozioni piuttosto che sulla destituzione di personale politico ritenuto vicino ai potenziali rivali del segretario - proseguì fino al X° congresso (agosto 1969) per quanto riguarda i quadri intermedi di partito, i dirigenti locali ed organismi quali il Comitato Centrale, ossia settori ove il potere di selezione e nomina di personale politico da

parte di Ceauşescu aveva avuto la possibilità di manifestarsi già anteriormente al 1965, grazie al ruolo da questi svolto in seno agli apparati2.

Per quanto attiene ai vertici del partito, la pars destruens della strategia adottata dal segretario del PCR si manifestò in modo visibile già anteriormente al 1969. La rimozione di Chivu Stoica dalla presidenza del Consiglio di Stato nel dicembre 1967 fu un primo segnale di una decisa riconfigurazione dei vertici del potere; la definitiva liquidazione politica di Alexandru Drăghici, sanzionata nell’aprile del 1968, costituì un monito morale che implicitamente configurava un ricatto politico esercitato da parte di Ceauşescu nei confronti degli altri dirigenti di Stato e di partito, i quali vennero di fatto posti in una posizione di sostanziale subordinazione nei confronti del segretario generale in carica.

Un punto di partenza nel ripercorrere le scelte politiche adottate dal neosegretario del PCR può essere rappresentato dai cambiamenti introdotti nel IX° congresso del partito, che definirono la tattica perseguita da Ceauşescu sino alla fine del 1967. Le finalità sottese a tali cambiamenti si attuarono, in ambito politico-istituzionale, mediante il ricorso a due procedimenti tra loro complementari, i quali erano in precedenza appartenuti al modus

operandi di Gheorghiu-Dej: da un lato, la creazione e la dissoluzione di determinati organi di partito e, dall’altro, l’accrescimento del numero di membri ammessi in alcuni di questi organi, come nel caso del Comitato Centrale3. Il IX° congresso del PCR – svoltosi tra il 19 e il 24 luglio del 1965 - suggellò il debutto di Nicolae Ceauşescu sul proscenio internazionale e nello spazio pubblico nazionale. Si trattò del primo congresso tenutosi dopo il compimento del processo di emancipazione da Mosca sanzionato dalla “dichiarazione d’indipendenza” dell’aprile del 1964. In esso trovò visibile conferma ciò che Enzo Bettiza all’epoca definì “la nuova ideologia romena”, ossia “un miscuglio di moderno pragmatismo tecnocratico e di entusiasmo nazionale ottocentesco, risorgimentale”4

L’originalità e il carattere innovatore che parvero contrassegnare la nuova dirigenza romena vanno inquadrati nel contesto delle frizioni con Mosca, soprattutto in rapporto ad un’analisi comparata con le tendenze alla stagnazione e all’involuzione autoritaria emerse in seno al Cremlino. In un periodo nel quale Leonid Brežnev procedeva a una rapida ‘ri- stalinizzazione’ della vita economica e politica dell’Urss e il responsabile delle questioni

2

Conformemente ai dati forniti da Mary Ellen Fischer, dei 16 membri del PCR che detenevano l’incarico di primo segretario regionale nel 1965, 11 vennero promossi in organismi direttivi nel corso degli anni successivi e nessuno di essi fu retrocesso fino al 1969. Ibidem

3 Ivi, p.70-73

4 E.Bettiza, L’altra Europa: fisiologia del revisionismo nei Paesi dell’Est, Firenze, Vallecchi Editore, 1966,

ideologiche del PCUS, Mikhail Suslov, lanciava i propri anatemi contro il “volontarismo” e gli “schemi fallaci” attribuiti al disarcionato Khruščëv5, a Bucarest si era insediato un gruppo di dirigenti fermamente intenzionato ad assecondare il proprio neosegretario, il quale appariva determinato a promuovere incisive riforme nel campo politico ed economico sulla falsariga dell’autonomia conseguita nelle relazioni con l’estero e della distensione delineatasi sul piano interno.

Sul piano degli incarichi politici, il IX° congresso mantenne in larga misura invariato il team costituitosi nel periodo precedente. Chivu Stoica si vide confermata l’attribuzione della carica di Presidente del Consiglio di Stato (cui era stato eletto il 24 marzo) e Ion Gheorghe Maurer mantenne il ruolo di primo ministro (che deteneva ininterrottamente dal 1957). L’unico significativo cambiamento di personale ai vertici istituzionali interessò Alexandru Drăghici, il quale, in conformità con la neoistituita disposizione statutaria concernente il divieto di cumulo di incarichi politici, fu costretto a rinunciare al ministero degli Interni, assumendo in sua vece la meno importante funzione di Presidente del Comitato Centrale del Partito.

Il processo di ‘desatellizzazione’ sul piano delle relazioni con Mosca apparve confermato dall’approvazione, nell’ambito dei lavori congressuali, di una nuova Costituzione nella quale non era contenuto alcun riferimento al primato ideologico dell’Unione Sovetica. L’autonomia dal Cremlino non si arrestava a questo aspetto. Una clausola della nuova Costituzione prevedeva che la Romania non potesse entrare in guerra per mera fedeltà nei confronti del Patto di Varsavia6. La conferma congressuale del “nuovo corso” nazionale si ebbe nella relazione introduttiva tenuta il 19 luglio dal segretario generale. Tra le personalità citate da Ceauşescu comparve in primo luogo Alexandru D. Xenopol, uno storico romeno del XIX° secolo che era stato alfiere dell’industrializzazione e del superamento della preminenza del settore agrario quale percorso obbligato per promuovere l’emancipazione economica e sociale della Romania7. Il riferimento a questa personalità costituiva un evidente sostegno teorico alle argomentazioni – accolte con convinta unanimità in seno al partito – a favore della politica economica perseguita dal regime con costanza fin dai suoi esordi. Va osservato che Xenopol era stato un personaggio sostanzialmente ignorato dai dirigenti del partito durante gli anni Cinquanta, a causa del suo retroterra culturale che ne impose la collocazione ideologica

5 Cfr.C.A.Linden, Khrushcev and the Soviet Leadership, 1957-1964, Baltimore, The John Hopkins Press, 1966 6 F. Guida, La Romania, Edizioni Unicopli, Milano, 2009, p.257

7 Un’interpretazione della filosofia della storia di Xenopol è proposta dalla studiosa Angela Giustino Vitolo in

tra i ranghi degli intellettuali di destra8. Tra le altre personalità romene citate da Ceauşescu nella relazione introduttiva vi era Constantin Dobrogeau Gherea, un ebreo di origine russe che fu ‘padre fondatore’ del socialismo romeno ed originale teorico di un marxismo con declinazioni populiste, la cui importanza negli anni dello stalinismo era stata sostanzialmente negletta. Il segretario generale riservò inoltre una doverosa menzione al predecessore Gheorghiu-Dej, e successivamente, ad Engels e Lenin. Nell’impostazione della relazione la bilancia pende dunque a favore delle personalità romene non solo sul piano dei numeri ma altresì, in misura ancor più significativa, in riferimento al differente peso accordato agli ‘autoctoni’ nella struttura dell’intervento9.

Nell’ambito delle decisioni assunte nel corso del IX° congresso furono presenti nel medesimo tempo segnali di continuità e di rottura rispetto al periodo precedente nella storia del partito. Come prova di continuità con la vicende storiche del partito comunista romeno – ma nel quadro di una rottura simbolica nei confronti di Gheorghiu-Dej – venne deciso il ritorno all’originaria denominazione di Partito Comunista (Partidul Comunist Român – PCR) in sostituzione della sigla Partito Romeno dei Lavoratori (Partidul Muncitoresc Român –

PMR) adottata nel 1948, durante il congresso che accolse all’interno del partito l’ “ala sinistra” dei socialisti guidata da Ştefan Voitec. In conseguenza di tale decisione, venne inoltre modificato il criterio nella numerazione dei congressi del partito, includendovi quelli tenuti durante il periodo interbellico. L’integrazione all’interno della storia generale del partito della nuova fase politica inaugurata dal IX° congresso costituiva un implicito ridimensionamento del ruolo politico svolto da Gheorghiu-Dej, concorrendo a sottrarre almeno parzialmente al defunto segretario l’attribuzione di ‘padre fondatore’ del partito. Oltre al cambio di denominazione, il partito accolse la proposta - avanzata dallo stesso Ceauşescu - di riconoscere d’ufficio come membri del ‘nuovo’ PCR la generalità degli aderenti all’ex partito socialdemocratico e non soltanto di coloro che erano entrati a far parte del PMR nel 194810.

8 E. Bettiza, L’altra Europa... cit.

9 Xenopol venne citato per primo (a pagina 24 della relazione); seguivano Dobrogeanu-Gherea e Gheorghiu-Dej

(a p.25 e 26). Engels appariva alla p. 77 e Lenin fu nominato appena a p. 98. Cfr. A. Cioroianu, Ce Ceauşescu

qui hante les roumains.... cit.

10 Nel 1947 il Partito Socialdemocratico (Partidul Social Democrat) contava circa 500.000 membri. Soltanto la

metà di essi aderì nel febbraio del 1948 al “nuovo” soggetto politico (il PMR) egemonizzato dai comunisti. In quelle circostanze, la fusione tra PCR e PSD venne attivamente sostenuta dai dirigenti socialdemocratici Titel Petrescu e Ştefan Voitec. Quest’ultimo nei decenni seguenti conobbe una carriera politica eccezionalmente longeva, assurgendo ad inossidabile “compagno di strada” dei dirigenti comunisti. D. Deletant, Ceauşescu şi

Securitatea: constrîngere şi disidenţa in România anilor 1965-1989, traducere din engleza de Georgeta Ciocaltea, Bucureşti, Humanitas, 2008. pp. 31-32.

Un’altra importante decisione adottata in occasione del congresso fu il cambiamento nella denominazione dello Stato, che da repubblica popolare (Republica Populară România) divenne repubblica socialista (Republica Socialistă România). La locuzione “repubblica socialista”, nei regimi marxisti leninisti dell’Europa orientale, indicava innanzitutto un più avanzato stadio di sviluppo nella costruzione del socialismo rispetto alle “democrazie popolari”. L’intento sotteso a tale decisione va verosimilmente ricondotto anche alla volontà della nuova leadership di enfatizzare il processo di emancipazione dall’Unione Sovietica, collocandosi in una condizione di parità rispetto ad essa anche per quel che riguardava la denominazione accordata allo Stato romeno.

Un ulteriore cambiamento fu rappresentato dall’attribuzione a Ceauşescu del titolo di segretario generale anzichè di primo segretario, ripristinando la denominazione adoperata fino alla ristrutturazione organizzativa del partito promossa da Gheorghiu-Dej nel 1954. Sebbene alcuni autori11, alla luce del prevalere di un clima propizio alle tendenze riformatrici, abbiano visto in tale decisione la conferma della volontà di favorire una democratizzazione al vertice del PCR, una simile interpretazione, soprattutto a posteriori, non appare fondata12 .

L’aspetto di maggiore rilevanza emerso sul piano delle dichiarazioni congressuali, ma anche in riferimento ai cambiamenti adottati nella nuova Costituzione e nello statuto del partito, fu probabilmente rappresentato dall’assunzione di un modello di direzione collettiva come supremo principio ispiratore nell’attività del partito. In flagrante contrasto con i metodi invalsi in epoca staliniana, Ceauşescu dichiarò, nel corso della propria relazione congressuale, che non sarebbe stato ammesso che il principio della dirigenza collettiva venisse mutilato sotto alcuna forma, poichè una simile eventualità avrebbe costituito la base di “errori e decisioni arbitrarie”13. L’assunzione di tale principio-guida era volto ad escludere la possibilità di ripercorrere il ‘deragliamento’ ideologico imputato a Gheorghiu-Dej a seguito del XX° congresso del PCUS, le cui conseguenze avevano condotto nel 1957 all’esclusione di Miron Constantinescu e di Iosif Chişinevski dai ranghi del partito. Costantinescu venne reinserito nel novero dell’organico dirigenziale del PCR attraverso l’assunzione, nell’ottobre del 1965, del modesto incarico di viceministro dell’educazione nazionale. Chişinevski non ebbe un trattamento altrettanto generoso, a causa delle sue responsabilità nell’“affare

11Questa interpretazione è ad esempio suggerita da Edward Behr in Kiss the hand you cannot bite: the rise and

fall of the Ceauşescu, New York, Villard Books, 1991, p.171.

12 La Romania funse da battistrada in questo senso a decisioni assunte in altri Stati comunisti in un contesto di

stagnazione dogmatica e di chiusura alle istanze riformatrici. Il titolo di segretario generale fu infatti ripristinato in Unione Sovietica nel 1966 e in Cecoslovacchia nel 1971. Cfr. Rush,1974, p.289 in M. Shafir, Romania:

politics, economics and society... nota n°.6, p.199.

Pătrăşcanu”, le quali sarebbero state ufficialmente stigmatizzate nel corso della seduta plenaria dell’aprile 1968.

In diretta correlazione con l’enfasi posta sulla collegialità quale principio alla base del ‘nuovo corso’ politico fu l’approvazione di una norma tesa ad a evitare la sovrapposizione tra ruoli di partito e compiti istituzionali. L’articolo 13b del nuovo statuto del PCR affermava testualmente che “un membro di partito può detenere un’unica funzione direttiva che necessiti

un impegno permanente”; tale principio era valido in riferimento “sia agli organi di partito sia a quelli di Stato”14. A causa di tale disposizione Alexandru Drăghici dovette rinunciare alla funzione di ministro degli Interni, assumendo il ruolo di segretario del Comitato Centrale del partito. Nel congresso venne parimenti ribadita l’importanza del metodo del centralismo democratico (menzionato nell’art.14 dello statuto), fu vietata l’esistenza di correnti e condannato il ‘frazionismo’ (giudicato un “crimine contro il partito” nell’art. 2). Questi elementi apparvero coerenti rispetto agli assiomi portanti del consolidamento del potere attuato da Gheorghiu-Dej nel ricordo dei dissidi e delle rivalità fazionali che avevano contrassegnato il partito durante la sua tormentata esistenza interbellica, ma anche durante l’epoca staliniana.

I cambiamenti apportati nel corso del IX° congresso nella strutturazione degli organi direttivi del partito appaiono di estremo rilievo per comprendere le modalità di consolidamento del potere adottate dal neosegretario. Le innovazioni introdotte favorirono un cambiamento innanzitutto qualitativo degli organismi direttivi del partito. Tuttavia, attraverso l’immissione in essi di personale politico la cui ascesa era avvenuta sotto la supervisione di Ceauşescu, venne parimenti introdotto l’argomento numerico necessario per assicurare la neutralizzazione dei potenziali avversari del segretario generale. Di fatto, uno degli obiettivi centrali correlati alle innovazioni introdotte nel 1965 appare retrospettivamente essere stato quelli di fornire un meccanismo per l’avanzamento dei protégés di Ceauşescu che non potevano ancora ascendere a posizioni direttive di primo piano. Questa strategia si espresse anche attraverso un ridimensionamento dei compiti affidati agli ex membri del Politburo e mediante un contestuale potenziamento del ruolo svolto dal Comitato Centrale.

Il Politburo (Biroul Politic) fu sostituito da due nuovi organismi direttivi: il Comitato Esecutivo (Comitetul Executiv - Cex) e il Presidium Permanente (Prezidiul Permanent - PP). Gli alti dignitari del partito non avevano forse motivazioni plausibili per opporsi a questa

14 Congresul al IX-lea al PCR, Editură Politică, Bucureşti, 1965, p.803 in E. Marin, Originea şi evoluţia cultului

iniziativa, dal momento che il Presidium radunava al suo interno i membri politicamente più anziani del PCR e si collocava, almeno apparentemente, in coerenza con il principio della direzione collettiva. Tale organismo era formato soltanto da sette dirigenti, nella totalità ex membri dell’ufficio politico: Nicolae Ceauşescu, Chivu Stoica, Ion Gheorghe Maurer, Gheorghe Apostol, Alexandru Bârlădeanu, Emil Bodnăraş e Alexandru Drăghici. I due ex membri del Politburo che non entrarono a far parte del Presidium (Alexandru Moghioroş e Petre Borilă) vennero inclusi all’interno del Comitato Esecutivo. Questo era composto da quindici membri permanenti (tra i quali i sette dirigenti del presidium)15, affiancati da dieci membri supplenti. Nel Comitato Esecutivo esordirono due dirigenti - cresciuti politicamente sotto la tutela di Ceauşescu - destinati a una significativa carriera politica: Paul Niculescu- Mizil - già membro del CC del PCR – fu eletto membro di pieno diritto del Cex mentre Ilie Verdeţ venne ammesso in qualità di membro supplente. Tra i membri permanenti del Cex privi di una pregressa esperienza politica nel Politburo e inquadrabili in un rapporto di stretta parentela politica con il segretario generale vi erano anche Gheorghe Rădulescu e Constantin Drăgan.

Per quanto riguarda i dieci membri supplenti del Cex (Iosif Banc, Maxim Berghianu, Petre Blajovici, Dumitru Coliu, Florian Dănălache, János Fazekas, Mihai Gere, Petre Lupu, Ilie Verdeţ, Vasile Vâlcu) il legame tra questi e il neosegretario generale apparve ancora più stretto di quanto si potesse affermare in riferimento ai membri permanenti. Ciascuno dei membri supplenti aveva fatto parte, a vario titolo, della burocrazia amministrativa diretta da Ceauşescu nella fase anteriore al 1965, nell’ambito della Direzione Organizzativa oppure nell’organizzazione regionale del partito. Cinque di questi dirigenti avevano precedentemente ricoperto l’incarico di primo segretario regionale del PCR16. E’ precisamente tra i membri supplenti del Comitato Esecutivo che, secondo Shafir17, occorre individuare la ‘riserva’ di sostenitori di cui Ceauşescu si avvalse nei momenti salienti del proprio consolidamento politico.

Nell’ambito dei lavori congressuali, il Comitato Centrale – un organismo divenuto ormai pletorico, non diversamente da quanto verificatosi in Unione Sovietica nella medesima fase storica – fu interessato da un ‘cambiamento all’insegna della continuità’. Esso fu infatti

15 I dirigenti che non rivestivano la duplice carica di membri del PP e del Cex erano Petre Borilă, Constantin

Drăgan, Alexandru Moghioroş, Paul Niculescu Mizil, Leonte Răutu, Gheorghe Rădulescu, Leontin Salajan e Stefan Voitec.

16 Si trattava precisamente di Petre Blajovici (Banato), Iosif Banc (Regione Autonoma Magiara- Mureş), Maxim

Berghianu ( Cluj); Vasile Vâlcu (Dobrugia), Florian Dănălache, (Bucarest).Cfr. M.E. Fischer, Nicolae

Ceaşescu...cit. nota 42 p.282

investito da un considerevole ampliamento di organico, in parallelo con una sostanziale continuità di personale politico rispetto al passato: quest’ultimo aspetto è testimoniato dal fatto che soltanto un numero limitato di membri eletti durante nel 1960 non furono riconfermati nel corso del IX° congresso. In base ai calcoli effettuati da Mary Ellen Fischer, il nuovo Comitato Centrale fu caratterizzato da un accrescimento quantitativo del 78% rispetto al IV° congresso del PMR, passando da 110 a 196 membri18.. Questo cambiamento riporta a una simile trasformazione promossa da Gheorghiu-Dej in occasione del secondo congresso del PMR del 1955, allorchè l’organico del CC venne accresciuto nella misura del 64% rispetto al precedente congresso, Per quanto riguarda la composizione del nuovo Segretariato del CC, quattro membri su nove (Paul Niculescu Mizil, Manea Mănescu, Vasile Patilineţ e Virgil Trofin) appartenevano al gruppo dei burocrati di partito vicini al segretario del PCR. Vasile Patilineţ e Virgil Trofin avevano operato come vice (adjuncţi) di Nicolae Ceauşescu nella sezione dei quadri operante in seno alla Direzione Organizzativa del PCR, il primo tra il 1964 e il 1965, il secondo, per un periodo più lungo, tra il 1956 e il 196519.

In ultima analisi, i cambiamenti politico-istituzionali approvati nel 1965 assicurarono al personale politico vicino al nuovo segretario generale un avanzamento verso i ranghi superiori del partito, delineando una nuova classe dirigente temporaneamente in stand by, il cui ruolo sarebbe divenuto maggiormente visibile dopo il X° congresso svoltosi nell’agosto del 1969.

2.2 Alcuni aspetti relativi al periodo della direzione collegiale (luglio 1965 - dicembre