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Prodromi e caratteristiche della ‘desovietizzazione’ romena

Capitolo III: Esordi e sviluppi del comunismo nazionale

3.1 Prodromi e caratteristiche della ‘desovietizzazione’ romena

L’immagine pubblica acquisita da Nicolae Ceauşescu nell’agosto del 1968 fu quella di garante e custode dell’unità e dell’indipendenza nazionale. In un’analisi del fenomeno del comunismo nazionale è opportuno soffermarsi a chiarire il significato da attribuire ai termini di unità e indipendenza nel contesto politico-ideologico e nel repertorio discorsivo dominanti nella Romania ceausista. Il richiamo talvolta enfatico agli ideali associati a questi vocaboli non costituì per la leadership romena un mero espediente retorico ma si configurò piuttosto come un importante elemento tematico adoperato dal regime nel quadro di una ridefinizione dei rapporti tra partito, ideologia e società. In tale contesto, al termine unità quale presupposto per la difesa dell’indipendenza nazionale, possono essere attribuiti, due significati tra loro distinti e interconnessi. Il primo fa riferimento alla mobilitazione della popolazione per la difesa di alcuni obiettivi di interesse nazionale connessi alla sovranità della Romania e al suo ruolo sul piano internazionale. Il secondo è più strettamente legato alla difesa dell’integrità territoriale del Paese, minacciata da possibili rivendicazioni revisionistiche dell’Ungheria (in riferimento alla Transilvania) oppure dalle pressioni disgregatrici provenienti dall’Unione Sovietica. Con questa ultima permaneva inoltre un sordo contenzioso riguardo al trattamento riservato alla maggioritaria componente romenofona della popolazione residente nella Repubblica Socialista Sovietica di Moldavia, ossia nella realtà statuale e amministrativa corrispondente grosso modo alla regione della Bessarabia, la quale era stata storicamente oggetto di una contesa nazionale russo-romena. Il fatto che l’Urss non rappresentasse soltanto il Paese leader del blocco socialista, ma fosse nel medesimo tempo uno Stato territorialmente contermine alla Romania, rendeva plausibile il richiamo all’unità e alla coesione del popolo romeno contro possibili minacce alla sovranità e all’integrità territoriale del Paese provenienti dal potente vicino.

Il discorso dell’agosto del 1968 si colloca simbolicamente a conclusione di un percorso di emancipazione della leadership romena dalla tutela del Cremlino il cui inizio fu ufficialmente sancito dalla “dichiarazione d’indipendenza” dell’aprile del 1964. Occorre parimenti osservare come quest’ultima possa essere adeguatamente compresa soltanto alla luce di un inquadramento degli eventi pregressi. Possiamo affermare che la politica di

origini riportano alla seconda metà degli anni Cinquanta. Il divorzio formale dal centro direttivo di Mosca non avvenne d’un sol colpo, sebbene la dichiarazione della seduta plenaria del CC deò PMR nell’aprile 1964 abbia rappresentato un evento di valore emblematico. La separazione dal Cremlino fu piuttosto il risultato di divergenze inerenti il modo di concepire la sovranità romena sul piano internazionale e nell’ambito dei rapporti economici, e tale esito fu favorito dall’accumularsi di animosità tra la leadership romena e quella sovietica, dal momento che i rapporti tra Krusciov e Gheorghiu-Dej non furono mai improntati a cordialità. Di estremo rilievo furono i fattori congiunturali emersi sul piano internazionale e rivelatisi propizi al distacco di Bucarest dal Cremlino: dal ritiro delle truppe sovietiche dalla Romania, avvenuto nel 1958, all’emergere del dissidio sino-sovietico, fino all’erosione della prestigio di Mosca sul piano internazionale, avvenuta in concomitanza con le forti tensioni registrate con Washington durante il triennio 1961-631.

Per riprodurre la terminologia adoperata in riferimento al processo di destalinizzazione, possiamo asserire, in riferimento al caso romeno, l’esistenza di una fase di

desovietizzazione implicita che abbraccia gli anni tra il 1958 e il 1962 e di un’altra contrassegnata invece da una desiovietizzazione esplicita la quale si espresse in modo vieppiù deciso nel corso del biennio 1963-64, in concomitanza con le controversie emerse riguardo al ruolo da attribuire alla Romania nell’ambito del Comecon. Sul piano interno, le due fasi distinte che abbiamo richiamato produssero esiti differenti in riferimento ai rapporti tra Stato, partito e società. Nel corso del 1958 e negli anni immediatamente seguenti, desovietizzazione e distensione interna parvero procedere su binari nettamente separati, in un contesto di rigore repressivo e di esplicita riaffermazione del dogmatismo ideologico. La seconda fase della desiovietizzazione assunse un carattere visibilmente differente rispetto alla prima. Essa si accompagnò infatti a fenomeni di distensione e liberalizzazione sul piano interno che testimoniarono l’esistenza di un regime più sicuro di sé, maggiormente consolidato e pertanto disposto a promuovere strategie inclusive, orientate alla ricerca del consenso, le quali sembravano implicare una rinuncia agli strumenti fallimentari e oramai desueti rappresentati

1 Tra le interpretazioni avanzate in merito alla genesi del processo di nazionalizzazione del PMR/PCR,

segnaliamo quella proposta verso la metà degli anni Sessanta dallo storico britannico Hugh Seton-Watson. Questi istituì un parallelo tra la situazione dei partiti comunisti al governo in Polonia e in Romania. Dal momento che tali partiti disponevano di un modestissimo livello di popolarità presso i rispettivi popoli, essi erano – in comparazione con altri regimi - maggiormente dipendenti dall’Unione Sovietica ma, nel medesimo tempo, risultavano anche maggiormente permeabili ai sentimenti anti-russi universalmente presenti nelle società da loro guidate. Una “forte presenza di quadri intermedi devoti e indottrinati” avrebbe potuto impedire la pervasiva capillarità degli atteggiamenti ostili all’Unione Sovietica, ma, a giudizio di Seton-Watson, non esistevano i presupposti per adempiere a una simile condizione. Di conseguenza, i vertici dirigenziali di Polonia e Romania avrebbero finito con l’identificarsi più con i sentimenti della popolazione che con gli interessi dei propri tutori sovietici. Cfr. H. Seton-Watson, Nationalism and communism: Essays 1963-64, New York, Praeger, 1964, p.168

dalla repressione indiscriminata e dal dogmatismo ideologico. Testimonianza di questi nuovi intendimenti politico-programmatici furono, durante il triennio 1962-64, tre distinte amnistie che ebbero come esito la virtuale riduzione a zero del numero di detenuti politici nelle carceri romene2.