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Il 19 aprile 1954, alcuni giorni dopo l’esecuzione di Lucreţiu Pătrăşcanu – e quel

1.2 Il consolidamento del PCR tra Gheorghiu-Dej e Ceauşescu

Nel paragrafo precedente è stato delineato uno scenario politico nel quale, a dispetto delle differenze di contesto, emergono significative similitudini tra le modalità di consolidamento ed esercizio del potere adottate rispettivamente da Gheorghiu-Dej e da Nicolae Ceauşescu. Nel caso di entrambi i leader ricorse – con un differente grado di pervasività e intensità - la tendenza a un accentramento personalistico del potere e ad un superamento della distinzione tra funzioni di partito e di Stato in base a un procedimento, se non atipico, quantomeno non prevalente tra gli Stati del blocco sovietico durante la fase post-staliniana (e caratteristico invece del comunismo albanese, entrato in aperta collisione con il Cremlino a partire dal principio degli anni Sessanta).

In entrambe le leadership, il processo di consolidamento delle basi del potere personale e il ridimensionamento di reali o potenziali avversari si espresse sia tramite strategie inclusive – prevalentemente orientate ad ampliare il numero di membri ammessi negli organismi direttivi del partito - sia attraverso innovazioni politico-istituzionali, come pure, non in ultima istanza, mediante il ricorso ad efficaci tattiche diversive: la temporanea ‘destalinizzazione’ nella struttura direttiva del PMR promossa da Gheorghiu-Dej a metà degli anni Cinquanta e il divieto di cumulo di incarichi sancito nel IX° congresso del partito per iniziativa di Ceauşescu possono essere ritenuti indicativi a tale proposito.

Fondamentale aspetto nella politica di Gheorghiu-Dej (e lascito di importanza essenziale per il suo successore) fu la ricerca della coesione politica - attraverso l’eliminazione dei reali e potenziali nemici o competitors – quale premessa per lo sviluppo di politiche basate sul consenso già in precedenza concepite o delineate. In relazione a questo aspetto Kenneth Jowitt ha evidenziato che l’unità del nucleo dirigente e dei quadri del partito realizzata da Gheorghe Gheorghiu-Dej rappresentò una condizione essenziale per porre in applicazione in maniera coerente, coordinata e uniforme le politiche di

consolidamento e industrializzazione e la stessa ‘nazionalizzazione’ del partito28. La coesione del gruppo dirigente del PMR delineatasi al termine delle epurazioni svoltesi negli anni Cinquanta fu testimoniata dall’efficace resistenza opposta alle pressioni e ‘provocazioni’ sovietiche seguite al dissidio con il Comecon (1962-63), aventi lo scopo di determinare una frattura politica in seno al Politburo romeno ed estromettere Gheorghiu- Dej dalla guida del partito.

Analizzando le considerazioni sviluppate da Mary Ellen Fischer in riferimento all’origine eterogenea dal punto di vista sociale e nazionale dei membri del Politburo e del Comitato Centrale in epoca dejista, Michael Shafir segnala come l’origine della coesione nell’élite del PMR non vada ricondotta a una presunta omogeneità della dirigenza romena sul piano della composizione nazionale né debba essere semplicisticamente attribuita al timore di epurazioni. A fondamento di tale spirito unitario vi fu piuttosto ciò che egli definisce il ‘fattore ansietà’ (anxiety faction) legato al tentativo di superare il costante ‘dissidio fazionale’ che aveva inibito le autonome capacità organizzative del partito comunista romeno fin dalla sua nascita e durante l’intero periodo interbellico, associandosi a una rigida e umiliante supervisione ideologica esercitata dai sovietici tramite il Comintern29. Inoltre, l’accusa di essere ‘agenti di una potenza straniera’ (l’Urss) era certamente familiare per i dirigenti comunisti romeni negli anni Venti e Trenta. Da questo punto di vista, la deflagrazione della disputa con i sovietici diede al PMR l’opportunità di superare tale stigma, senza per questo rinunciare ai principi organizzativi o del nucleo centrale dell’ortodossia marxista quale era intesa more staliniano in ambito socio- economico (rigida centralizzazione burocratica e assoluta preminenza accordata allo sviluppo dell’industria pesante): rispetto a tali criteri direttivi Ceauşescu, come del resto il suo predecessore, seppe manifestare nel tempo una fedeltà non priva di zelo.

Secondo Shafir, il ‘fattore ansietà’ permase anche quando il consolidamento politico del regime e della leadership dejista venne ultimato: ciò concorrerebbe a spiegare la considerevole coesione manifestata dal Partito durante gli anni Sessanta e Settanta. Il trauma correlato alla stagione delle lotte settarie all’interno del partito venne introiettato da Ceauşescu. Il riferimento - ricorrente durante gli anni Sessanta e Settanta in numerosi discorsi del conducător - alle passate lotte intestine come elemento carico di ripercussioni negative rispetto alla popolarità del partito nel Paese, non va dunque considerato alla

28 K. Jowitt, Revolutionary breakthroughs and national development. The case of Romania 1944-1965, Berkeley

and Los AngelesUniversity of California Press, pp.139 e seguenti.

29 M. Shafir, Romania : politics, economics and society: political stagnation and simulated change, London,

stregua di un mero espediente retorico. D’altra parte, l’energica denuncia dell’attività ‘frazionista’ come “crimine contro il partito”, insieme alla decisa affermazione del principio direttivo del “centralismo democratico” – entrambi elementi incorporati nello statuto del partito approvato nel IX° congresso del 1965 – traggono la propria giustificazione nella genesi e nelle vicende storiche che contrassegnarono il PCR.

Modestissimo seguito presso la popolazione romena (in media meno di un migliaio di iscritti nel corso degli anni Trenta), spiccato settarismo e netta prevalenza di dirigenti, quadri e militanti provenienti dalle fila delle minoranze nazionali rappresentarono verosimilmente le caratteristiche salienti del PCR durante il periodo interbellico; esse non risultarono certamente scevre di conseguenze al momento della creazione del regime comunista in Romania30.In relazione alle caratteristiche appena delineate, e con particolare riferimento all’irrilevanza del PCR interbellico sia sul piano nazionale sia nell’ambito dei rapporti di forza in seno al Comintern, Vladimir Tismăneanu descrive quella che definisce

sindrome del paria quale chiave di volta per comprendere le vicende e l’evoluzione storica del partito comunista romeno. Una volta assunta la guida del Paese, il PMR/PCR avrebbe cercato – con parziale efficacia – di emanciparsi da tale sindrome, ricostruendo ex novo una propria legittimità basata dapprima su un modello direttivo d’impronta personalistica e autoritaria e in seguito sulla promozione di un riavvicinamento tra popolazione, partito e

leadership attraverso il ricorso alla carta del nazionalismo31.

Durante la fase di ‘accumulazione primitiva di legittimità’ da parte del regime, si evidenziò dunque la preminenza della ricerca di coesione in seno al partito rispetto ad altre considerazioni di ordine politico-ideologico. L’unità intorno alla figura di Gheorghiu-Dej fu un principio anteposto allo sviluppo delle policies focalizzate sull’autonomia nazionale quali vennero dispiegandosi nella successiva evoluzione del comunismo romeno. Tale approccio determinò una collisione con coloro che pretesero di precorrere i tempi dell’autonomia nazionale o della distensione politica rischiando in tal modo di mettere in pericolo la coesione del nucleo dirigente associato intorno alla leadership del partito. Emblematica, sotto questo profilo, appare la sorte riservata a Lucreţiu Pătrăşcanu, il quale venne giustiziato nel 1954. Dirigente dotato di una solida preparazione culturale unita a un tenace patriottismo, Pătrăşcanu disponeva, soprattutto potenzialmente, di un carisma e di una popolarità in grado di oscurare il ruolo direttivo svolto da Gheorghiu-Dej.

30Sugli aspetti pertinenti al rapporto tra militanza politica e nazionalità nel PCR durante la fase pre-ceausista si

rimanda in particolare a S. Bottoni Transilvania rossa: il comunismo romeno e la questione nazionale, 1944-

1965, Roma, Carocci, 2007

Segnatamente nelle sua fase embrionale, il processo di ‘nazionalizzazione’ del partito si dipanò dunque nel quadro di fluttuazioni e si accompagnò a sviluppi politici non necessariamente in sintonia con istanze di ‘liberalizzazione’ sul piano interno.

L’esito delle epurazioni svoltesi in seno al partito tra il 1952 e il 1958 determinò il consolidamento dell’unità all’interno del partito attraverso la sostituzione della pregressa struttura di potere nel PMR – originariamente organizzata in modo virtualmente collegiale – con quello che Kenneth Jowitt definisce un apparato “patrimoniale”32 posto in un rapporto di filiazione e dipendenza diretta dai vertici del regime e collocabile al di fuori del controllo ufficialmente esercitato dal Comitato Centrale. Tale apparato era formato da quadri politici disciplinati, la cui ascesa e il cui ruolo politico erano di fatto attribuibili alla lealtà e ai legami con il leader del partito, sia in forma diretta sia mediata. Il politologo Graeme Gill ha evidenziato la correlazione tra lotte intestine in seno ai partiti comunisti e la creazione di una struttura politica ‘patrimoniale’, definita dall’autore con la locuzione “potere di disporre di personale”33. Secondo Gill, l’assenza di efficienti barriere politiche e istituzionali tese ad assicurare il rispetto del principio della direzione collettiva rappresenta un elemento che, in una prima fase, favorisce il conflitto politico e assicura al dirigente vittorioso l’acquisizione del dominio sul partito e sullo Stato avvalendosi di strumenti di reclutamento informali. All’ordinario funzionamento del processo decisionale, il leader sostituirebbe dunque (o si adopererebbe per sostituire) il sostegno politico ad egli personalmente accordato presso tutti i livelli della gerarchia del partito. Applicando gli assunti sviluppati da Gill al caso romeno, si può affermare che nella Romania dejista sussistesse indubbiamente un’originaria debolezza di vincoli statutari e politici a garanzia della collegialità e della democrazia interna al partito. Tale debolezza fu dunque, in misura prevalente, concausa piuttosto che conseguenza del processo di accentramento personalistico del potere avviato da Gheorghiu-Dej. La virtuale inesistenza di regole formali vincolanti in seno al partito concorsero parimenti a spianare la strada al consolidamento dell’autorità personale di Nicolae Ceauşescu. Il futuro conducător - fin dal IX° congresso che ne confermò l’elezione alla guida del PCR - si avvalse ampiamente della considerevole malleabilità dei vincoli statutari del partito, intervenendo disinvoltamente su di essi nel quadro di una strategia di affermazione del proprio primato resa meno visibile dalle disposizioni promosse a difesa del principio della dirigenza collettiva.

32 K. Jowitt, Revolutionary breakthroughs and national development. The case of Romania 1944-1965, cit. 33 G. Gill, “Personal dominance and the collective principle: individual legitimacy in marxist-leninists systems”

in T.H Rigby, F. Fehér (coord.), Political legitimation in Communist States, London, The Mac Millian Press Ltd, 1982