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Consenso e partecipazione popolare al Risorgimento: un 1848 di massa?

Come abbiamo avuto modo di vedere, il tradizionale approccio storiografico al Risorgimento, concentrato sull’individuazione di spiegazioni ai mali dello Stato unitario e al suo difficile rapporto con la popolazione, aveva evidenziato la ristrettezza della partecipazione e la mancata adesione delle masse all’ideale nazionale. Il nazionalismo che ne emergeva era un movimento politico debole in termini di consensi e di comprensione del paese reale, che questo fosse per una scelta consapevole di esclusione degli interessi dei ceti più poveri, e in particolare delle masse rurali, dall’orizzonte politico di liberali o democratici o per una involontaria incapacità di diffondere le proprie ideologie. Questa lettura implica evidentemente un ridimensionamento dell’esperienza del lungo 1848, il momento rivoluzionario e popolare per eccellenza dell’età risorgimentale: la partecipazione delle masse urbane che lo caratterizzava resta un episodio anomalo e isolato, neppure troppo rimarchevole quanto alle cifre complessive, in ogni caso insufficiente per ottenere risultati validi, data la sostanziale indifferenza, quando non aperta ostilità, delle campagne. Saremmo quindi di fronte a un tentativo di riprodurre la rivoluzione francese tradottosi in farsa fallimentare e segnato da una teatralità melodrammatica vuota e illusoria.

La nuova corrente di studi, prevalente dopo il 2000, si discosta nettamente da queste considerazioni rivalutando la popolarità e la diffusione d’idee patriottiche. A modificarsi è innanzitutto la prospettiva con cui si guarda al nazionalismo: esso era pur sempre un movimento poggiante su idee che si sarebbero potute agevolmente contestare, dall’evidente portata sovvertitrice nei confronti dei regimi politici esistenti e per questo costretto alla clandestinità. In quest’ottica i numeri di adesione alle società patriottiche o ai corpi volontari assumono un diverso valore e la semplice diffusione di alcuni principi dell’ideale nazionale in sezioni non maggioritarie ma quantomeno significative della popolazione costituisce un fenomeno che non può più essere dato per scontato e deve invece essere attentamente osservato e contestualizzato.

L’idea di un 1848 segnato da una considerevole partecipazione popolare e da una generale condivisione delle rivendicazioni in diversi settori della società attraversa

tutta l’opera di Enrico Francia48 nel descrivere sia il dimostrantismo sia le varie fasi della lotta armata, anche se l’espressione «di massa» è usata, come in molti altri autori, con circospezione.

Le cifre di tale partecipazione restano fondamentalmente le stesse su cui si basava la vecchia interpretazione: i vari episodi vedono sulla scena pubblica diverse migliaia e nei casi più eclatanti qualche decina di migliaia d’individui. Per limitarsi al 1848, feste, celebrazioni e cortei potevano raggiungere picchi di 10.000 presenze a Roma nel gennaio 1847, 25.000 a Genova nel settembre dello stesso anno49 o addirittura 40.000 di nuovo a Roma impegnati in un giuramento collettivo di difesa della patria nel marzo 184850; 3.000 saranno i difensori di Brescia, città di 30.000 abitanti circa, nelle dieci giornate51; 3-4000 i caduti della Repubblica Romana52; Milano e Venezia nei loro sollevamenti generali vantano numeri anche maggiori53. I volontari della Prima Guerra d’Indipendenza ammontavano a 15.000 nelle stime più riduttive54 fino ai 50.000 in quelle più ottimiste55, numeri che ne fanno il momento di intervento nella lotta armata più ampio da parte del popolo, all’incirca alla pari con la spedizione dei Mille. L’affluenza ai seggi delle repubbliche del 1849 varia in percentuale da regione a regione e tra città e campagne ma porta al voto il 40% dei romani e 29.000 veneziani su 42.000 aventi diritto56. Cifre senza dubbio difficili da trascurare ma non paragonabili a quelle che caratterizzeranno le società di massa del Novecento e ben lontane dal segnalare inequivocabilmente l’esistenza di un appoggio diffuso ai promotori di manifestazioni e moti.

Infatti, proprio poggiandosi su tali stime Marco Meriggi, ancora nel 2012, può contestare agevolmente la tesi di un Risorgimento non elitario, che egli attribuisce a Banti, sostenendo invece la validità delle tradizionali critiche all’incompiuto processo di nation-building dell’epoca. Ritiene che l’assenza di cifre maggiori indichi l’effettivo disinteresse della popolazione per le questioni di politica nazionale, più che l’ostilità ai progetti unitari57 (la partecipazione a movimenti                                                                                                                

48 Francia, 1848. 49 Ivi, pp. 78-83.

50 Petrizzo, Risorgimento a dimensione-massa, p. 38. 51 Idem.

52 Marco Meriggi, Il Risorgimento rivisitato: un bilancio, p. 42. 53 Francia, 1848, pp. 128-31.

54 Marco Meriggi, Il Risorgimento rivisitato: un bilancio, pp. 42-43. 55 Petrizzo, Risorgimento a dimensione-massa, p. 38.

56 Francia, 1848, pp. 342-43.

reazionari, o comunque ostili alle autorità politiche fautrici dell’indipendenza italiana, presenta, infatti, cifre analoghe in termini di unità di grandezza ma comunque minoritarie rispetto a quelle del movimento nazionalista). Secondo Meriggi, tale situazione è da attribuire non solo ai limiti strutturali delle società europee del XIX secolo a manifestare una partecipazione di massa, oltre simili cifre, alla vita politica, ma anche al ritardo dell’Italia nella formazione di una sfera pubblica, i cui partecipanti avessero una preparazione culturale di base, tale da essere in grado di leggere i giornali, che avevano, infatti, una tiratura nettamente inferiore di quelli francesi, inglesi o tedeschi, apprezzare le più innovative forme d’intrattenimento, comprendere la situazione politica del momento58.

A ciò Meriggi aggiunge che la stessa classe politica, in tutte le sue fazioni, inclusi i democratici, era in fin dei conti ostile a un più ampio e profondo coinvolgimento delle masse popolari. Quest’ultima tesi sembra però complessa da sostenere data la grandissima diversificazione dello schieramento favorevole alla causa nazionale: certamente non appare sufficiente richiamarsi alle opinioni di un moderato come Gioberti e di un personaggio d’orientamento democratico ma deceduto già nel 1835 quale Romagnosi per fornirne un quadro esaustivo59. Anche volendo riconoscere una comune volontà di escludere il popolo da qualunque processo decisionale non sembra si possa negare la volontà di mobilitarlo nel dimostrantismo del 1846-48 e di chiamarlo alle armi: pur in una prospettiva che si può immaginare puramente utilitarista e con forti timori di una deriva rivoluzionaria, tra gli stessi moderati vi saranno diversi leader pronti a promuovere e tentare di regolare tale coinvolgimento, che pure spesso sfuggirà dal loro completo controllo60.

Gli stessi dati sulla partecipazione vanno analizzati con attenzione. Le cifre appaiono sostanzialmente poca cosa in confronto a una popolazione come quella italiana, che alla metà del XIX secolo si aggirava intorno ai 24 milioni; tuttavia va tenuto a mente che esse spesso rilevano solo una porzione dell’appoggio popolare alle varie iniziative: per ogni volontario che partiva di casa vi era facilmente un’intera famiglia che ne condivideva o quantomeno accettava le convinzioni politiche e il patriottismo, molti uomini che votarono nelle svariate consultazioni erano affiancati da donne o giovani privi del diritto di voto. Nelle città insorte o                                                                                                                

58 Ivi, pp. 45-48. 59 Ivi, pp. 48-51.

assediate i dati sui combattenti sono inevitabilmente molto parziali: nelle Cinque giornate milanesi, nella difesa di Venezia, Roma, Brescia nel 1849 e in diversi altri episodi secondari, chi lottava armi in pugno era affiancato un gran numero di individui, prevalentemente donne, anziani e giovani, ovvero quelle figure che erano ritenute in difficoltà per la loro debolezza fisica nello scontro armato, che contribuivano alla lotta allestendo barricate, preparando munizioni, asserragliandosi nelle abitazioni e scagliando sui nemici proiettili di fortuna, assistendo feriti e moribondi, portando messaggi. Dati precisi su questa partecipazione collaterale allo scontro bellico sono evidentemente irrecuperabili, senza contare la variabilità dei diversi ruoli, ma è abbastanza chiaro che ci si trova di fronte a città, o anche villaggi, fondamentalmente uniti e concordi nella lotta e nella resistenza61.

I numeri della partecipazione dunque si concentrano in alcune aree e in alcuni contesti, nei quali si riscontra un consenso effettivamente diffuso verso la lotta patriottica: nel caso dei diversi centri urbani protagonisti del 1848, in particolare, appare decisamente sostenibile che ci si trovi di fronte a un movimento di massa che va a coinvolgere anche le classi medio-basse della popolazione. Cifre che appaiono decisamente contenute se confrontate col totale della popolazione italiana assumono ben diverso valore osservandone l’incidenza sulla demografia delle singole città o provincie62.

Un discorso del tutto differente si deve naturalmente fare per le campagne che, secondo quello che è un luogo comune storiografico, rimasero comunque sostanzialmente indifferenti agli ideali del Risorgimento. Pur senza stravolgere questo quadro generale, le ricerche recenti hanno però fornito un’immagine più complessa e diversificata del mondo rurale italiano: gli studi di Maurizio Bertolotti, ad esempio, evidenziano l’importanza dell’adesione al nazionalismo nel mantovano63. Certamente la popolazione rurale evita di prendere parte ai moti (ma con rilevantissime eccezioni, nel Lombardo-Veneto soprattutto), palesa interessi ben diversi da quelli urbani, guardati con sospetto dal ceto dirigente, e manifesta a non di rado aperta ostilità verso i regimi nati nel corso del lungo 1848. Tuttavia essa non si muove mai apertamente contro i regimi rivoluzionari e spesso                                                                                                                

61 Ivi, pp. 126-36, 370-81.

62 Petrizzo, Risorgimento a dimensione-massa, p. 38.

63 Maurizo Bertolotti, Non solo nelle città. Sul Quarantotto nelle campagne in Fare l’Italia unità e

le stesse agitazioni nelle campagne (l’occupazione di terre) rivelano l’assorbimento di concetti e terminologia nazionalisti da parte dei contadini, sia pure in forme distorte e piegate alle proprie rivendicazioni, un fenomeno comunque rilevante e degno d’interesse.

Alessio Petrizzo ritiene che si possa parlare di un Risorgimento a dimensione-massa proprio perché esso va collocato «nelle condizioni demografiche, sociali e

culturali dell’Italia del XIX secolo»64. In altre parole le testimonianze della partecipazione popolare deve essere valutata in rapporto al contesto delle società europee ottocentesche, certamente non favorevole all’attiva manifestazione della massa sulla scena pubblica. Come rileva lo stesso Meriggi, le cifre raggiunte dai principali eventi del Risorgimento non sono nettamente inferiori rispetto a quelle della stessa rivoluzione francese65, che pure sin dalla lettura di Cuoco è assunta come modello di rivoluzione attiva, cioè con una spontanea e intensa partecipazione del popolo agli eventi66 di cui il Risorgimento italiano mancherebbe.

Secondo Petrizzo, comunque, non è corretto pretendere che il consenso attorno all’idea dell’identità nazionale e del diritto all’indipendenza italiana si esprima con numeri più massicci, non solo perché è necessario considerare i vincoli strutturali della società dell’epoca, ma anche perché non si deve dimenticare che si sta trattando di un movimento che era stato a lungo osteggiato dalle autorità pubbliche. Solo a partire dalla metà degli anni Quaranta esso può occupare la scena pubblica, in alcuni stati della penisola, senza eccessivi rischi di repressione e anche così il diritto di riunione che tutela i manifestanti è garantito solo con la concessione delle costituzioni67.

Il movimento risorgimentale si muove sul piano della «nuova politica» che è scaturita dalla Rivoluzione francese e dall’emergere della nuova sfera pubblica, politica più aperta alle masse, che utilizza frequentemente il linguaggio delle emozioni, e condizionata dalle interazioni con le arti. Ciò implica che l’interessamento e il coinvolgimento delle masse in questa politica avvengano attraverso una serie di canali collaterali che meritano l’attenzione degli storici: al fianco del dimostrantismo e della lotta armata, possono essere espressione di                                                                                                                

64 Petrizzo, Risorgimento a dimensione-massa, p. 38. 65 Meriggi, Il Risorgimento rivisitato: un bilancio, pp. 45-6. 66 Di Meo, La rivoluzione passiva da Cuoco a Gramsci. 67 Petrizzo, Risorgimento a dimensione-massa.

sentimenti patriottici anche la frequentazione del teatro o del circolo locale, la lettura di determinati romanzi o la circolazione di giornali e fogli volanti, di raffigurazioni satiriche o cronachistiche, di ritratti degli eroi della nazione68; la stessa pratica del voto plebiscitario, a lungo descritti come farsa politica, è spesso vissuta con grande partecipazione dell’intera comunità locale69. Nel valutare incidenza e ampiezza di queste pratiche politiche, spesso sfuggenti, non si deve dimenticare che esse devono a lungo fronteggiare la censura e la repressione poliziesca, anzi l’emergere di molte delle forme alternative d’espressione del nazionalismo può essere attribuita al confronto con autorità pubbliche intolleranti che ne restringono lo spazio d’espressione. Soltanto intorno al 1848 si apre nuovamente l’accesso alla scena pubblica e diviene possibile coinvolgere strati significativi delle masse70.

In questa stessa ottica è possibile apprezzare appieno le dimensioni e l’intensità della partecipazione femminile, superiori a quanto sostenuto dalla tradizionale visione del fenomeno. Già nel ’99 Soldani parlava di una presenza massiccia di donne nelle feste e nelle celebrazioni del 1846-48 e di una ragguardevole mole di scritti, principalmente ma non solo diaristici e privati, in cui esse esprimevano il proprio fervente amor patrio, configurando il coinvolgimento femminile alla stagione insurrezionale come un fenomeno rilevantissimo e meritevole di nuovi studi approfonditi, pur nei suoi limiti e nella sua chiara caratterizzazione in senso tradizionalista71.

Al di la delle dispute sulla possibilità di definire il Risorgimento come un movimento davvero di massa, mi sembra evidente un generale mutamento dalla prospettiva assunta dalla comunità degli storici nell’affrontare la questione. Ciò è evidente se si confrontano i due, già citati, dibattiti ospitati sulle pagine di Passato

e presente a distanza di circa un decennio. Nel primo si sottolinea più volte il

mancato coinvolgimento delle masse, in primis quelle rurali, nella lotta e negli ideali risorgimentali72; ciò comprometterebbe la costruzione di un sentimento d’identità nazionale condiviso e il riconoscimento nelle istituzioni statali da parte della popolazione dell’Italia liberale. L’esperienza fondante del senso                                                                                                                

68 Idem. 69 Ivi, p. 39. 70 Ivi, pp. 39-41.

71 Soldani Simonetta, Donne e nazione nella rivoluzione italiana del 1848 in “Passato e presente” n. 46, 1999.

d’appartenenza alla nazione italiana andrà dunque ricercata in altre vicende storiche, come la Resistenza che si configura come un secondo, più partecipato e quindi più riuscito, Risorgimento73. Nel secondo dibattito, invece, si nota un atteggiamento diametralmente opposto, pronto a rimarcare forza e pervasività del discorso nazionale, guardando all’intero movimento nazionalista come a un fenomeno tutt’altro che naturale o inevitabile, sorprendente sotto molti aspetti nei suoi successi74. E’ in quest’ottica che Banti e Ginsborg evidenziano che «al Risorgimento inteso come movimento politico che ha avuto come fine la costituzione nella penisola italiana di uno stato nazionale, hanno preso parte molte decine di migliaia di persone; che altre centinaia di migliaia di persone, spesso vicine a coloro che hanno militato in senso stretto al Risorgimento hanno guardato con partecipazione, con simpatia sincera o con cauta trepidazione»75.

                                                                                                                73 Ivi, pp. 36-7.

74 Soldani, a cura di, Le emozioni del Risorgimento, in Passato e presente, n 75.

CAPITOLO II

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