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I molti volti del traditore: dal re di Napoli alla spia

TEMI, FIGURE E CLICHE' DELLA LETTERATURA SUL 1848

4. IL TRADITORE: UN NEMICO DA MELODRAMMA

4.1 I molti volti del traditore: dal re di Napoli alla spia

Si è già avuto modo di toccare più volte le figure dei traditori, perlopiù con rapidi accenni. Trattando dei personaggi dei romanzi, si è evidenziato come vengano qualificati come traditori soggetti molto differenti quanto allo status sociale e alle azioni compiute. Se si espande l’analisi ad altre tipologie testuali, lo spettro dei traditori si allarga ulteriormente andando a includere potenzialmente qualunque personaggio profondamente negativo appartenente di nascita alla nazione italiana. Chiaramente nello spiegare tale situazione si possono chiamare in causa la mentalità manichea mostrata in ambito politico dagli autori, gli accesi contrasti tra le varie correnti politiche del nazionalismo e la necessità d’individuare capri espiatori della sconfitta, tutti fattori che portano a una radicalizzazione dei giudizi morali e politici; tuttavia mi pare essenziale innanzitutto precisare quale sia il concetto di traditore per capire poi come esso diventi un ombrello tanto ampio da coprire ogni malvagio italiano.

Nella prospettiva dei patrioti ottocenteschi, quali gli autori delle opere che stiamo analizzando evidentemente si consideravano, traditore era colui che veniva meno ai propri naturali e ineliminabili doveri etici verso la Patria italiana, perché non aderiva almeno nominalmente alla lotta per la sua liberazione e unificazione ed anzi agiva contro di essa schierandosi sul fronte opposto, rappresentato dagli austriaci ma anche dai reazionari fedeli ai poteri politici locali, o anche semplicemente perché era dedito alla ricerca del proprio utile personale e disinteressato degli interessi della comunità.

Dunque l’infamante appellativo non era un’esclusiva di chi dissimulava le proprie vere intenzioni e posizioni politiche, o di chi abiurava il credo nazionalista, che aveva in un primo momento abbracciato, o ancora di chi tramava nell’ombra per la rovina d’Italia o di qualche buon patriota, ma era applicato a tutti coloro che erano fedelmente al servizio dell’invasore straniero (naturalmente escludendo chi                                                                                                                

era costretto in tale situazione e tentava se possibile di sottrarvisi), a tutti gli esponenti del vecchio regime rimasti ancorati a posizioni politico-ideologiche fortemente conservatrici, contrari alle aspirazioni unitarie e alle richieste di riforme socio-politiche in senso liberal-democratico, ad ogni arrivista o malfattore che approfittasse di opportunità disoneste offerte dalla congiuntura storico-militare. Il tradimento di cui tutti costoro sono accusati è innanzitutto quello contro la Patria. Già la mancata partecipazione alla lotta nazionale che si scatena nel 1848 (partecipazione che può beninteso assumere forme molto diverse, non necessariamente totalizzanti e pur sempre compatibili con il profilo sociale del soggetto) è sufficiente a comminare una condanna morale netta, anche se disinteressati e ignavi difficilmente sono considerati alla stregua di traditori. Sembrerebbe passare quindi in secondo piano la propensione all’inganno, alla dissimulazione e all’imbroglio come elemento qualificante dei traditori, dal momento che molte delle figure individuate come tali non celano affatto la propria appartenenza politica, la propria lealtà all’Impero Asburgico, la propria intenzione di combattere i patrioti: funzionari pubblici e poliziotti del Lombardo-Veneto e degli stati reazionari della Penisola, leader politici dei partiti ultraconservatori o aristocratici nostalgici del vecchio regime e diversi altri personaggi sono traditori indipendentemente dal fatto che essi si servano di trame oscure o che dissimulino le proprie intenzioni. Ciononostante in realtà l’inclinazione a trucchi sleali, ai raggiri e alle menzogne resta, nella gran maggioranza dei casi, una componente centrale del traditore, intesa come una sua inclinazione naturale, messa in evidenza nella narrazione ben più di quanto avvenga con gli austriaci che pure sono ritratti, si è visto, come propensi a simili scorrettezze.

Nella prospettiva degli scrittori patriottici gli schieramenti sul campo devono, infatti, inevitabilmente rispecchiare le inclinazioni caratteriali. Non si è traditori semplicemente per effetto di circostanze casuali e indipendenti dalla volontà personale, ma al contrario per una scelta precisa e sufficientemente consapevole. E, visto che la dominazione austriaca è evidentemente crudele ed abietta e che le ideologie antinazionaliste sono altrettanto palesemente inaccettabili (ancora una volta il giudizio al riguardo è pre-politico e non può essere oggetto di alcuna discussione), chi compie tale scelta sarà a sua volta malvagio e anzi sarà logico aspettarsi che tutti coloro che sono malvagi diventino traditori. La propensione alla congiura e alla doppiezza sembra un comune attributo del cattivo nella cultura

romantica o quantomeno nella produzione artistico-letteraria d’ampio consumo dell’epoca; doveva apparire naturale che tale tendenziale slealtà fosse un tratto costitutivo del traditore, colui che aveva rinnegato la propria patria per mettersi al servizio dei suoi nemici. Inoltre, trattandosi di una figura priva in molti casi di un riconoscimento ufficiale del proprio ruolo che gli fornisca una certa forza coercitiva, il traditore rischierebbe di risultare un antagonista debole all’interno di un romanzo, come anche una figura sostanzialmente priva di peso e di senso in una ricostruzione saggistica o memorialistica degli eventi, se non disponesse di un’arma temibile quali gli astuti stratagemmi e le fitte trame che egli tesse.

Di seguito si tenterà di elencare le molteplici incarnazioni del traditore che compaiono nella produzione scritta sul 1848, senza soffermarsi però su diverse delle figure storiche e delle tipologie di personaggio più interessanti cui saranno dedicati paragrafi specifici più avanti.

All’apice della scala sociale, la qualifica di traditore può colpire anche gli stessi sovrani italiani, incluso, ovviamente nei soli testi più tardi, il pontefice Pio IX. L’immagine del papa si modifica drasticamente nel tempo, mentre quella del re piemontese Carlo Alberto è estremamente controversa: la netta maggioranza degli autori gli riconosce quantomeno di essere stato sincero nei suoi sforzi bellici contro gli austriaci, ma non mancano gli esponenti democratici che lo accusano apertamente di tradimento, in primis una figura autorevole come Cattaneo, che ne fa il principale responsabile del fallimento del 1848379.

Più univocamente negativo il giudizio sugli altri sovrani italiani, anche se non mancano i momenti di esaltazione a favore dell’arciduca di Toscana Leopoldo durante la sua partecipazione alla guerra contro l’Austria380. Ferdinando II di Napoli è invece visto spesso con sospetto ed è dunque più spesso presentato, già prima della sua svolta reazionaria nel secondo ’48, come sospinto controvoglia dalla situazione e dalle molteplici pressioni a concessioni cui era contrario. Il giudizio negativo rende inevitabile la qualifica come traditori per questi due regnanti, così come per i sovrani minori di Lucca, Parma e Modena. Nonostante ciò, il ritratto di queste figure è sotto molti aspetti più vicino a quello degli amministratori austriaci che non di altri traditori, all’insegna di disinteresse per i

                                                                                                               

379 Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra.   380 Si veda Franceschi Ferrucci, Della Repubblica in Italia.

bisogni del popolo, malgoverno, brutalità repressiva e sperpero narcisista ed egoista di denaro381.

Ferdinando costituisce una parziale eccezione perché unisce a tali tratti una natura doppia e dissimulatrice che lo riavvicina all’immagine canonica del traditore: spesso è ritratto assecondare i liberali e venire incontro parzialmente alle loro richieste attendendo il momento opportuno per riaffermare l’assolutismo retrogrado e intransigente, ben contento di scatenare con l’occasione un bagno di sangue382. Tutto questo senza perdere i tratti del «più tiranno tra i monarchi» che gli sono ad esempio attribuiti da Fazio Spada: l’«Empio Borbon» con il suo governo oppressivo è responsabile d’aver devastato la Sicilia sino a farne un deserto, gettandone nella miseria la popolazione383.

Certamente traditrice è la polizia del Lombardo-Veneto e i corpi analoghi anche in altre regioni rette da governi conservatori; indubbiamente tali sono anche gli alti collaboratori dei sovrani reazionari e tutti i loro fedeli servitori: nella categoria ricade quindi l’esercito meridionale, in massima parte ligio all’obbedienza verso Ferdinando II. Al contrario sono solitamente scusati i soldati italiani arruolati nell’esercito imperiale: solitamente sono mostrati come sinceramente patriottici e pronti a disertare per unirsi ai fratelli italiani da cui sono separati per un semplice caso fortuito, anche se spesso le minacce e contromisure tedesche prevengono un simile sviluppo; non sono comunque taciuti rari casi di viltà da parte di truppe italiane che lottano fedelmente per l’Austria. Tale convinzione diffusa può stupire, specie se si effettua il confronto con l’odiata polizia, solo a prima vista però, giacché si deve tener conto che la leva militare, vissuta come un’ingiustizia e un peso dagli stessi testi, interessava trasversalmente l’intera popolazione e che gran parte delle famiglie si trovavano ad avere parenti arruolati forzatamente nell’esercito, mentre l’adesione alla polizia doveva essere percepita come una scelta volontaria.

Indubbiamente traditori sono anche gli impiegati e funzionari all’interno dell’amministrazione asburgica e in quelle degli altri stati assolutistici, perlomeno quando si dimostrano servili nei confronti dell’autorità e non interessati al bene comune del popolo; in questo caso possono anche mantenersi fedeli a Vienna e                                                                                                                

381 L’esempio migliore e più approfondito di tale ritratto è fornito da La Farina, Storia d’Italia dal

1815 al 1850, vol. III.

382 Idem.

fungere da spie e sabotatori nella Lombardia momentaneamente liberata, come denuncia la Belgioioso384. Su una simile categoria non si possono però tracciare giudizi troppo drastici e precisi: di fatto ampia parte degli italiani coinvolti nelle istituzioni locali sono scusati perché si mostrano pronti a insorgere quando se ne offre la possibilità o anche lodati per le loro intenzioni di promuovere riforme ponendosi in prima fila nell’opposizione alla politica governativa: così avviene ad esempio per la municipalità milanese.

Diversi altri soggetti possono essere indicati come traditori senza però che su tale identificazione vi sia consenso, anzi tale accusa è spesso figlia della conflittualità tra democratici radicali e liberali moderati. Nelle opere di Cattaneo sono accusati di fare il doppio gioco per far fallire la rivoluzione i comandi dell’esercito sabaudo, gli esponenti moderati (quindi la quasi totalità) del governo provvisorio e ampia parte dell’aristocrazia lombarda. In tutti questi casi il conservatorismo è identificato con una mancanza di passioni patriottiche che però sarebbero state simulate dai vari soggetti – e qui sta appunto il tradimento – per mantenere il controllo della situazione ed eventualmente sconfiggere i moti dall’interno, in accordo con la dinastia sabauda385. Accuse analoghe, anche se forse meno aspre e al tempo stesso meno generalizzate, sono lanciate da altri autori, non necessariamente di posizioni radicali quanto quelle di Cattaneo, contro sezioni dell’aristocrazia ritenute retrograde e anti-liberali, contro alcuni generali dell’esercito piemontese, contro i funzionari dell’amministrazione lombarda386. Sul fronte opposto non troppo diversamente si comporta ad esempio Antonio Casati, che lancia attacchi contro i democratici estremisti; essi sono inquadrati come un manipolo di agitatori e sovversivi tra cui si possono individuare diversi farabutti e vere e proprie spie: si avanzano sospetti di contatti fraudolenti con l’Austria anche nei confronti dello stesso Cattaneo387.

Una più ampia concordia, che coinvolge trasversalmente diverse posizioni politiche, vi è nell’identificare nel clero una forza conservatrice ostile al cambiamento politico e dunque in preti, frati, monaci e vescovi potenziali traditori. I gesuiti in particolare sono oggetto di accuse e attacchi frequenti come si evince incidentalmente anche dalla lettura di Bresciani, che da tali attacchi                                                                                                                

384 Belgioioso, L’Italia e la Rivoluzione nel 1848.

385 Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra, Cattaneo, Archivio

Triennale.

386 Si veda ad esempio, Ferrari, Maria da Brescia; Belgioioso, L’Italia e la Rivoluzione nel 1848. 387 Casati, Milano e i Principi di Savoia.

cerca di difenderli vivacemente388. Anche in questo caso comunque si è molto lontani dal poter parlare di una concordanza universale tra gli scrittori patriottici e la questione tende solitamente a mantenere una certa ambiguità, visto come anche negli autori più diffidenti la raffigurazione del clero non è monolitica e non si stenta a presentarne membri che siano anche ferventi nazionalisti389 (si veda per un approfondimento i paragrafi 8.1, 8.2).

I romanzi infine offrono ulteriori ritratti di traditori, figure in questo caso che appaiono del tutto secondarie rispetto al corso della grande storia politica e militare: dal prete di campagna vigliacco e fedifrago di Ottolini, alla spia che passa informazioni ai tedeschi e semina zizzania nella comunità di Ferrari, agli sciacalli che seguono l’esercito asburgico per razziare e ai volontari millantatori che rubano in casa degli ospiti ed evitano i combattimenti di Fantoni390.

Mi pare qui essenziale una precisazione: nonostante l’ampia schiera dei possibili traditori, tali figure sono solitamente rappresentate come un’esigua minoranza se non come individui isolati, per quanto magari con importanti poteri politici o prestigio sociale, in ossequio alla necessità di mostrare un popolo concorde nella lotta nazionale.

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