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Crudeltà contro gli indifesi e propensione all’inganno

TEMI, FIGURE E CLICHE' DELLA LETTERATURA SUL 1848

3. L’AUSTRIACO: CRUDELTA’ E BESTIALITA’

3.2 Crudeltà contro gli indifesi e propensione all’inganno

Fatta salva l’eccezione dell’opera di Mascheroni, gli austriaci su cui i testi si dilungano sono quasi sempre i soldati, sul cui ritratto si è già avuto modo di soffermarsi più volte: si tratterebbe, stando alle descrizioni italiane, di rozzi e brutali assassini, inclini all’uso della forza, prepotenti e boriosi, quindi spesso scioccamente fiduciosi della propria forza al momento dell’esplosione dei moti, portati ai sotterfugi ma non troppo intelligenti: non di rado si mostrano vili di fronte al pericolo e non meno vilmente palesano tutta la loro sadica propensione alla violenza contro deboli e indifesi.

Generalmente manca nelle opere qualunque ulteriore approfondimento sulle motivazioni dei tedeschi, sulla loro psiche, sulle loro convinzioni, sui loro costumi al di fuori della pratica militare e della vessazione del popolo sottomesso o sulle emozioni che essi provano nel momento dello scontro militare, al di là di qualche accenno limitato alla loro paura, sorpresa e rabbia di fronte all’inatteso ardore degli italiani.

Se può ovviamente sorprendere poco che non sia mai adottato il punto di vista dei tedeschi, se non appunto per brevissime constatazioni che spesso servono più che altro a enfatizzare il valore dei loro oppositori, certamente meno scontato appare il fatto, pure riscontrabile, che manca qualunque tentativo di “umanizzare” gli austriaci, d’identificare cioè singoli individui all’interno della truppa asburgica, mettendone in luce indole e inclinazioni: anche quando qualche austriaco compie da solo un’azione, che naturalmente il più delle volte è un efferato crimine, egli non viene mai qualificato con attributi che lo separino dai commilitoni, per gli scrittori rimane un «soldato» o un «tedesco»; anche nei rari casi in cui è fornito un nome (si deve trattare in tal caso di un ufficiale di basso rango), di fatto egli non è descritto in termini che possano distaccarlo dalla massa. Si mette così in atto una spersonalizzazione del nemico, il quale perde qualunque tratto di umanità e con esso qualunque possibilità che si provi anche solo a comprendere le sue

motivazioni. Inoltre, ed è probabilmente l’effetto più importante di questa scelta espressiva, se i responsabili dei vari delitti, slealtà, violenze e soprusi descritti dai testi non sono identificati in quanto soggetti specifici, la condanna ricade facilmente sull’intero popolo o quantomeno sull’intero corpo d’occupazione. Questo meccanismo diviene palese soprattutto ne I cacciatori delle alpi, dove la famiglia di Marco è trucidata da anonimi tedeschi: l’uomo lo scopre rinvenendo il cadavere d’un croato che aveva reciso la mano della moglie per sottrarle la fede nuziale, ma non ci è dato di saper se questi fosse il vero e l’unico assassino: la cosa evidentemente ha poca importanza nella prospettiva assunta dall’autore e dai suoi personaggi343. L’episodio provoca, infatti, non solo la disperazione totale di Marco, che diviene, di fatto, un «pezzente», ma anche la sua furiosa volontà di vendetta, non tanto verso i responsabili materiali, ma verso gli austriaci tutti, che avrà modo di sfogare, a costo della morte, nei moti del 1853344.

Il ritratto degli austriaci è dunque affidato a una serie di constatazioni abbastanza generiche e canoniche sulla loro crudeltà, ferocia indiscriminata e viltà, senza troppe riflessioni o puntualizzazioni aggiuntive. Tale descrizione è semmai arricchita dalla narrazione di tutta una serie di episodi e casi particolari di immotivate repressioni contro il popolo pacifico, violenze e assassini ingiustificabili, torture di prigionieri e massacri di famiglie indifese, devastazioni d’immobili e ruberie commesse durante scontri quali quelli delle Cinque giornate milanesi o dell’assalto a Brescia. Questa inclusione, di cui si è già dato conto, non riguarda solo una molteplicità di saggi ma anche diversi romanzi. I crimini commessi dai soldati asburgici servono a provare e confermare le accuse infamanti riferite agli austriaci nel loro complesso, secondo il meccanismo che si è appena descritto.

Riempiendo lunghe pagine in gran parte delle opere prese in considerazione, alternandosi alle prodezze compiute invece dagli italiani, questi episodi formano un repertorio vastissimo con centinaia di crimini e delitti di svariato genere ricordati e spesso rintracciabili in più volumi non solo dello stesso autore. Tra gli scrittori che maggiormente insistono nella descrizione di tali crimini sicuramente si può porre Ignazio Cantù; il suo stile decisamente crudo e non avaro di particolari sanguinolenti o raccapriccianti non è affatto anomalo, per quanto oggi                                                                                                                

343 Ottolini, I cacciatori delle alpi, pp. 110-3. 344 Ivi, pp. 403-6.

si possa trovare a tratti straniante il suo accostamento con i frequenti lamenti sull’orrore e la fatica di ricordare simili enormità:

Ma ecco le prove, ecco il valore dei soldati di Radetsky. Furono trovati molti bambini o infranti alle muraglie, o calpesti sul suolo; un gruppo di otto era trattato a quel modo; due altri inchiodati ad una cassa, due bruciati coll'acqua ragia, un altro per la bajonetta fitto a una pianta e lasciato là in un'ora di contorsioni sotto gli occhi materni, un altro gettato sul cadavere della madre lattante perché continuasse a poppare, uno squarciato in due parti, e rilegato insieme coi proprii intestini, a cinque altri tagliate le teste e cacciate sotto gli occhi dei genitori morenti; un feto strappato dalle viscere della madre e infilzato sulla spada corse per quelle destre scellerate; e donne scemate degli occhi, della lingua, delle mani, dei piedi poi uccise a colpi di bajonetta dopo abusate in ogni più turpe maniera. Che più, sul cadavere d'un fratello fucilato fu obbligato l'altro fratello a inginocchiarsi e là trafitto; alcuni arsi vivi nella calce, altri cacciati vivi nelle fogne, nei pozzi; altri coperti di pece lo stomaco e così abbrustoliti; senza citar i fucilati nel letto, nelle camere, nei nascondigli. Fin otto cadaveri si trovarono arsi in una osteria a porta Tosa, altrettanti in un'altra a porta Vercellina, fin dieci in uno stanzotto a porta Ticinese mutilati e schiacciati, vi si vedea ancora lo sforzo che una donna avea fatto per salvarsi su pel cammino, un padre e un figlio appiccati insieme agli alberi dei baluardi; a Giovanna Piatti in porta Ticinese uccisi un figlio, un fratello; abbruciato un figliuolo a Mania Belloni. Ma non resiste più l'animo a questa ricordanza.345

Più contenute le memorie al riguardo di Cattaneo, che è comunque pronto a rilevare l’accanimento contro i più deboli, le donne in primis, e a vedere in questi episodi una macchia d’infamia che ricade sull’intero popolo tedesco, costruendo peraltro un parallelismo con l’opposta condotta italiana:

I soldati facevano cose atroci; nelle case dei Fortis trucidarono undici persone inermi, rubando quanto v’era di stoffe e di denari; al cadavere d’un soldato si trovò in tasca una mano feminile adorna d’anelli; brani di corpi feminili si trovarono mal sepolti in castello; più d’una famiglia fu arsa viva; infilzati sulle baionette i bambini; nel ruolo dei morti si contarono più di cinquanta donne; essendo però vero che alcune di esse erano fra i combattenti, anzi combattevano audacemente. Si udivano officiali ben nati aizzare a crudeltà il soldato, dandogli a credere bugiardamente che i cittadini facessero scempio dei prigionieri. Tanto la condotta dei nostri nemici disonora la civiltà germanica quanto quella del nostro popolo onora la infelice Italia.346

Altrove ci si dilunga su uno specifico episodio; un buon esempio è dato dalla produzione di Venosta, altro autore che si sofferma a lungo sui crimini austriaci durante le Cinque giornate. Questo approccio consente spesso di approfondire                                                                                                                

345 Cantù, Gli ultimi cinque giorni degli austriaci in Milano, p. 67-8. 346 Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano nel 1848, p. 49.

maggiormente la figura delle vittime così da indurre compatimento e sdegno nel lettore; inoltre fornire dati precisi sul delitto, indipendentemente della loro effettiva attendibilità, sembra rendere più circostanziate e dunque efficaci le accuse contro gli austriaci:

Carlo De-Ceppi d'anni 31, ragioniere alla Contabilità, veniva in quella mattina barbaramente trucidato.

Trovavasi egli rinchiuso colla propria moglie, Francesca Rattoni, e una sua bambinella di anni 3 circa, in una camera da studio della propria abitazione in via della Cavalchina, ora Manin, N. 1417, allorchè una mano di soldati del reggimento Reisinger, che forzata la porta della casa, ne aveva invaso ogni piano, ogni stanza, irruiva furibonda nello studiolo del De-Ceppi. Il misero giovane viene preso di mira: un colpo di fucile gli fa balzare le cervella. La derelitta moglie, inginocchiata innanzi a que' cannibali, stringendo al seno la stridente bambina, va chiedendo pietà non per lei, ma per l'innocente frutto delle sue viscere. Se non che uno di que mostri le dice:

Guarda per picciolina come mi fa! E le scarica un colpo di fucile, che la Dio mercè, non le

distacca che per metà un orecchia.347  

La profusione di particolari utili a certificare la vicenda, propria di questo passo, è molto meno esasperata altrove. Venosta riporta un gran numero di episodi ora enfatizzando gli elementi patetici delle morti, ora ponendo l’accento sui tratti più truculenti e disumani della barbarie austriaca, ora semplicemente lasciando risultare i numeri e l’inutilità della carneficina:

Abbruciarono vive tre donne; e fecero prigionieri due giovini. Trascinati questi sui vicini bastioni, attaccati insieme, li appesero ad una pianta, facendoli per lunga ora servire di bersaglio ai loro colpi. Quindi, semivivi, li lasciarono in una crudele agonia sino alla vegnente mattina, tempo in cui furono trovati dai nostri. Sciolti tosto dai legami, poterono terminare il loro martirio, confortati colle soavi cure dei fratelli.348

 

Dopo di aver saccheggiate le abitazioni degli inquilini, che avevano cercato uno scampo colla fuga, que' truci irruivano nel piano superiore, dove sgraziatamente, si trovavano Giovanni Roncari, accendi lampada, uomo onestissimo, colla moglie Giuseppina Zamparini, una figlia ed un loro conoscente, per nome Paolo Murari, lavoratore in seta, ancor nubile. Essi si raccolsero fra il letto ed il muro; ma sorpresi ivi dai soldati, il Roncari e il Murari vennero trucidati, e le due donne percosse ferocemente. Svaligiata la camera di quel tanto che aveva quella famiglia potuto col sudore della fronte risparmiare, i soldati uscirono dalla stanza. Se non che mentre la derelitta moglie, prona sulle agonizzanti spoglie del consorte, ogni cura si dava onde gli ultimi momenti                                                                                                                

347 Venosta, Le cinque giornate di Milano, p. 86. 348 Ivi, p. 87-8.

della vita del misero riuscissero meno tormentosi, alcuni di que' soldati ritornarono indietro, e, veduta la donna affannarsi attorno al marito, di nuovo si posero a martoriare il semivivo Roncari. Orribile a raccontare! Afferrata con inaudita barbarie la mano della moglie, la costrinsero a strappare le cervella al marito, che per le ferite gli uscivano dal cranio.349

sotto alle botti stavano nascoste più di venti persone: uomini, donne, fanciulli. Scortele, gli irruenti, in loro barbara favella, comandavano uscissero e tosto. Le donne, fra i più sconci epiteti, venivano co' bimbi lasciate illese partire; gli uomini erano condotti nel cortile, e quindi, a colpi di fucile, ammazzati. Sette, fra cui due ragazzi dai dieci a dodici anni, furono vittime di quel truci.350  

Né simili violenze sarebbero una specificità della reazione all’insurrezione milanese. Il racconto sulle Dieci giornate di Brescia di Correnti offre vivide immagini dell’enormità commesse dai tedeschi, anche in quest’occasione insistendo sul carattere inaudito di tali gesti:

A stravolger le menti ed agghiacciar nelle vene il sangue s'aggiungeva la vista delle orribili enormezze, a cui o ebbri o comandati o per natura stolidamente feroci gl'imperiali trascorsero: cose che escono dai confini non pur del credibile, ma dell'immaginabile. Perché non solo inferocirono contro gl'inermi, le donne, i fanciulli e gli infermi, ma raffinarono per modo gli strazii, che ben si parve come le umane belve anche in ferocia passino ogni animale. Le membra dilacerate delle vittime scagliavano giù dalle finestre e contro le barricate, come si getta ai cani l'avanzo d'un pasto. Teste di teneri fanciulli divelte dal busto e braccia di donne e carni umane abbrustolate cadevano in mezzo alle schiere bresciane, a cui allora parvero misericordiose le bombe. E soprattutto piacevansi i cannibali imperiali nelle convulsioni atrocissime dei morti per arsura; onde, immolati i prigioni con acqua ragia, li incendiavano; e spesso obbligavano le donne de' martoriati ad assistere a siffatta festa: ovvero, per pigliarsi gioco del nobile sangue bresciano sì ribollente alle magnanime ire, legati strettamente gli uomini, davanti agli occhi loro vituperavano e scannavano le mogli ed i figliuoli. E alcuna volta (Dio ci perdoni se serbiamo memoria dell’orribil fatto) si sforzarono di far inghiottire ai malvivi le sbranate viscere dei loro diletti. Di che molti morirono d'angoscia, e più assai impazzirono.351

L’autore non manca di far seguire a questo passo ulteriori episodi specifici in cui si illustra la violenza soldatesca:

i Moravi dalla scala di S. Urbano discesero dopo un fiero contrasto nel vicolo della Carità, e mandarono le case che erano lì intorno a fuoco ed a ruba: fra le quali era la casa, ove il signor Guidi teneva assai onorevolmente un collegio d'educazione per fanciulli. Vi entrarono a furore i soldati, non v'essendo che la madre del Guidi, assai innanzi negli anni, la moglie di lui, e dodici                                                                                                                

349 Ivi, p. 90-1. 350 Ivi, p. 128.

alunni sotto la guardia d'un servo. I saccheggiatori cominciarono a rompere, strepitare, minacciare, pregando loro d'innanzi le donne e i fanciulli. Poi, cresciuto il furore, presero fra gli alunni il più tenerello d'età, e lo sgozzarono. Il servo che l'indegno strazio di quell'innocente non seppe sopportare senza far prove di difenderlo, fu morto: e dopo lui, le due donne e alla rinfusa quanti altri diedero nelle mani di quelle furie: e appena alcuni di que' fanciulli furono salvati da un gendarme italiano.352

I testi non mancano di riportare anche dati ed eventi che possano render conto della vigliaccheria tedesca:

E marchio poi della loro viltà è il non essersi trovato nessuno tra i nostri colpito di arma bianca; fino a questo tiro non osarono mai gli avversari lasciarsi avvicinare dai nostri, vogliosissimi di misurarsi a tal paragone.353

Con prontezza anche maggiore sono sottolineati i fatti con cui sostenere la propensione all’inganno e la mancanza di lealtà degli austriaci:

Che i cadetti del collegio di san Luca fossero a parte degli orrori austriaci lo facea credere il vederli far fuoco sulla popolazione dalle finestre del loro collegio. Ne fremea la popolazione […] Ma nulla resisteva all'assalto del popolo libero; i cannoni dovettero ritirarsi, e allora subito fu intavolato cogli Austriaci di cavarne gli Italiani tra quegli alunni e riconsegnarli alle loro famiglie. Chiuso l'accordo e mandato per l'esecuzione di esso un ostaggio austriaco con bandiera bianca inalzata, il marchese Giorgio Trivulzio v'andò con esso. Ma che valse la bandiera bianca? sul Trivulzio fu fatto fuoco, ferito, non senza gravezza, in una gamba; […] Allora si appurarono le cose; i cadetti italiani tutt'altro che far fuoco sui loro fratelli, fremeano di uscire con essi; onde fu duopo chiuderli sotto chiave intanto che, per ingannare la popolazione, i cacciatori tirolesi, sparando dal balcone col berretto collegiale sulla testa, si faceano credere per quei generosi giovinetti.354

Alcune opere riportano anche prove del blasfemo odio degli austriaci nei confronti di Pio IX, un tema che frequentemente ricorre anche nella produzione in versi:

L'odio con che gli Austriaci rispondevano all'acclamato nome del pontefice rendevasi palese da replicate prove. Una palla di cannone venuta nella via del Baggio portava inciso il motto: Per

                                                                                                                352 Ivi, p. 69.

353 Cantù, Gli ultimi cinque giorni degli austriaci in Milano, p. 35.

conto di Pio IX; una bomba scoppiando sparpagliò d'ogni parte medaglie del venerato Pontefice;

più volte il carnefice austriaco ferendo donne e bambini gridava: Ti guarirà Pio IX 355

Se la truppa rimane un’entità in un certo senso anonima e senza volto, all’interno della quale non è mai individuato qualche individuo meritevole di un’attenzione distinta, gli alti ufficiali e, in minor misura, le massime cariche civili se ne distanziano, agli occhi degli autori italiani, quel tanto che basta perché sia fornita qualche indicazione sulla loro personalità, senza però mai calcare troppo sulla loro individualità o far riferimento ad eventuali divergenze rispetto alle disposizioni dispotiche di Vienna.

Prevedibilmente l’ancor oggi celebre Radetzky è, tra queste, la figura più presente nelle opere e maggiormente approfondita, mantenendo spesso un ruolo centrale nell’esposizione delle Cinque giornate. Il ritratto fornito sul comandante dell’esercito asburgico è decisamente variabile in materia di abilità strategico-militare: i testi prodotti durante il 1848 tendono spesso ad accentuarne gli errori di valutazione e l’eccessiva fiducia nelle forze a propria disposizione; le poesie in particolare, ma anche diversi saggi si divertono a rinfacciargli la palese sottovalutazione dell’ardore milanese di cui si sarebbe macchiato e la sicurezza ostentata:

Qua Radetzky gran guerriero Marescial de nostra armata Far revista e far parata Sopra piazza de Castel. E con voce grossa grossa Come quella de can corso Gran bellissimo discorso Fare a nostro battaglion. Dir che tutti star Taliani Porci e vili per natura; Milanesi gran paura De fucili e de cannon.

Che lui sol con sua gran spada, Che aver quasi settant'ani, Ammazzar di quelli cani Una immensa quantità.

                                                                                                                355 Ivi, p. 121.  

Dir che tutti Milanesi Non star bon che far risotto, Tremar tutti e far fagotto Se castello tirerà.

Dir che ucel de Imperatore Aver becco ancora duro; Che trionfo star sicuro Contro ludri de Talian.356

Radetzky nel proclama d'onde comincia l'epoca dei suoi trionfi attuali, aveva detto che gli sforzi della sua spada per 65 anni gloriosamente brandita ci avrebbero infranti come fragile vetro. Egli ricordava gli splendidi trofei riportati già dalla sua soldatesca nelle giornate del settembre e del gennaio antecedenti, quando le lame delle spade affilate calarono sull'indifese teste d'una popolazione sorpresa, tradita!

Or gli domanderemo se abbia modificata opinione, ora che la sua spada corse in segno di ludibrio per le mani del popolo, e la divisa del suo petto valoroso, fu inalberata tra i fischi sulla piazza Borromeo; gli domanderemo se l'insulto d'averci chiamati femine, sia pronto a ripeterlo in faccia dei Milanesi! II fragile vetro che doveva infrangersi dalla dura roccia, ha cambiato di natura; la roccia formidabile (è bello proseguire nello stile animato dell'eroico maresciallo), questa roccia formidabile, è tutta franta, e con quali strumenti?357

La produzione realizzata una volta conclusosi il biennio rivoluzionario tende invece a riconoscere le capacità di comando di Radetzky, che diviene così un formidabile, ma non certo prode, avversario. Non mancano però opere che continuano a ribadire la sua impreparazione e dunque l’intempestiva reazione a un’insurrezione che pure aveva contribuito a provocare con la sua feroce intransigenza; spesso anzi Radetzky è accusato di aver cercato lo scontro per poter scatenare una brutale repressione. Di questo avviso è ad esempio Cattaneo, che attribuisce l’esito conclusivo dello scontro quasi esclusivamente alla condotta sconsiderata e traditrice del re di Sardegna.358

Sotto ogni altro aspetto il ritratto del generale è decisamente più omogeneo: Radetzky riassume in sé gran parte dei caratteri propri dei tedeschi: è borioso e vanaglorioso, sleale (cerca l’armistizio con i milanesi solo per potersi riorganizzare e contrattaccare359), arrogante e soprattutto crudele. E’ quest’ultimo                                                                                                                

356 Tasca, Poesia trovata nella bolgia d’un croato, pp. 6-7.

357 Ignazio Cantù, Gli ultimi cinque giorni degli austriaci in Milano, pp. 8-9. 358 Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano.

tratto del suo carattere quello su cui maggiormente insistono i testi mostrandolo ad esempio mentre tormenta i prigionieri:

il Radetsky che faceva?

Passeggiava nel castello attraverso alle sue truppe colla freddezza del boja, tenendosi allato due consiglieri, un tal De Betta e il famigerato Giambattista Menini; giubilante dell'agonia in cui teneva gli ostaggi da lui strappati al Broletto. Non v'era ludibrio che questi tre risparmiassero a quell'innocente famiglia.

Il maresciallo, ad ogni trista notizia che gli venia della guerra, voleva lo sfogo d' una vittima , e i due consiglieri accennavano la più opportuna. Forse undici volte godette queste compiacenze.

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