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Una forma più sottile di violenza

TEMI, FIGURE E CLICHE' DELLA LETTERATURA SUL 1848

4. IL TRADITORE: UN NEMICO DA MELODRAMMA

4.3 Una forma più sottile di violenza

Ricapitolando quanto già emerso nei paragrafi precedenti, il traditore è un antagonista interamente malvagio, senza alcuna qualità redimente e anzi                                                                                                                

403 Ivi, pp. 22-3.

accusabile sostanzialmente di qualunque difetto possa venire in mente. In questo non è molto diverso dall’austriaco; le differenziazioni tra le due figure consisteranno quindi più che altro nell’insistenza maggiore o minore su questo o quell’altro vizio o colpa, anche se sembra presupposto che entrambe le figure restino inqualificabili sotto ogni aspetto e prive di qualunque virtù morale.

E’ estremamente difficile, se non del tutto impossibile, stabilire quale dei due soggetti sia più inviso e ritenuto più ignobile dagli autori, anche se si può rilevare come il traditore, nel momento in cui entra in scena, tenda ad oscurare il ruolo degli austriaci: nei romanzi, e a volte anche nella memorialistica, egli si erge ad avversario principale dei protagonisti, l’unico antagonista che viene a definirsi come personaggio a tutto tondo. Le variazioni nella caratterizzazione dei due nemici dei patrioti ne fanno comunque due esempi diversi di malvagità, senza dare alcun indizio su quale dei due sia maggiormente esecrabile.

Gli austriaci, che vengono sempre presentati in modo impersonale, appaiono spinti da istinti animaleschi a compiere atrocità e infliggere sofferenze alle nazioni sottomesse, un intero popolo vocato per natura ad esercitare una furia devastatrice. Al contrario il traditore, che per contro si presenta spesso come un singolo individuo, non è meno malvagio ma i suoi crimini sono compiuti con un preciso e concreto obiettivo, spesso perseguendo l’utile personale, solitamente corrispondendo a un disegno consapevole e a un’astuta programmazione delle proprie azioni, ben lontana dalla cieca furia dei tedeschi. Avendo a che fare con soggetti mossi da motivazioni prettamente egoistiche, non stupisce che gli autori indulgano spesso nel palesare la spudorata vigliaccheria di questi personaggi. Emblematica la figura del conte Botta in Fantoni che evita ripetutamente di partecipare agli scontri armati simulando una serie di malesseri e infortuni. Per il tono di disprezzo con cui l’episodio è raccontato si può ricordare, come ulteriore esempio, anche una pagina de I cacciatori delle alpi in cui il carceriere dei due protagonisti tenta con un misto di servilismo e terrore di accattivarsi le simpatie della folla patriottica che ha invaso la prigione:

Il pover'uomo, che in quel di non era in sè per la paura e per non aver bevuto, faticava a trovar parole che nol compromettessero presso quegli infiammabili vincitori; parole in somma adatte, come si dice, al nuovo ordine di cose.405

                                                                                                                405 Ottolini, I cacciatori delle alpi, p. 88.

Le motivazioni dei misfatti commessi dai traditori sono però non di rado rintracciate anche nella volontà di vendicarsi senza pietà, magari per un’inezia di pochissimo conto, di qualche nemico personale. Ecco dunque che il carattere astioso e rancoroso, nonché facile all’ira, diviene un altro tratto distintivo di questa figura vile sotto ogni riguardo. Come esempio potrebbe bastare la figura del De Betta, il commissario di polizia cui sono affidati Gli ostaggi nell’opera di Mascheroni, la cui presenza domina gran parte del testo: lungo tutta la narrazione egli è mostrato schiumare di rabbia in ogni occasione in cui i suoi progetti di tormentare i prigionieri sono ostacolati o falliscono e progettare nuovi modi per rivalersi su di essi ogni qualvolta essi ricevono un qualche conforto o ristoro406; inoltre De Betta gioisce di poter tormentare alcuni ostaggi, che egli stesso ha contribuito a selezionare, nei cui confronti intende rifarsi di smacchi o delusioni subiti in passato:

Manzoli, facendosi innanzi, disse al De Betta:

- Valgo io a sostituire il signor Bellotti? Io sono giovane e posso affrontare i disagi d'un cammino faticoso.

Era una generosa profferta, che avrebbe meritato una risposta generosa.

Ma la generosità non istà certo di casa nell'animo di uno sgherro di despota; ché anzi la generosità ch'esso riscontra in altrui e che sente di non poter imitare, lo inasprisce di più e lo spinge a indegne rappresaglie.

De Betta accettò la sostituzione. […]

Ma al degno commissario non pareva vero di accettare un'offerta, che rimediava ad un inconcepibile e imperdonabile obblio dell'animo suo vendicativo, non avendo compreso nella lista de' prigionieri il suo vecchio nemico della sedia chiusa e delle armi sottratte [il riferimento è qui a un battibecco avuto a teatro e conclusosi con un breve arresto del Manzoli e a una successiva perquisizione della dimora di questi alla ricerca di armi rivoluzionarie che erano state però provvidenzialmente spostate]407.

Il traditore si adira e minaccia vendetta anche quando non subisce alcun torto ma semplicemente viene bloccato nei suoi nefasti propositi o le sue trame esecrande sono svelate: così Antonio in Maria da Brescia, incurante del dolore che ha già provocato alla coppia di protagonisti, scoperto e cacciato dalla casa della ragazza di cui si è invaghito, si infuria e tenta subito di rifarsi esigendo la soddisfazione del debito contratto dal padre:

                                                                                                                406 Mascheroni, Gli ostaggi. 407 Ivi, pp. 177-8.

Ma non capisci ancora, o scellerato, che tutte le tue trame sono scoperte; che l'inganno da te teso ad Ernesto per mezzo d' una prostituta è conosciuto, che la Enrichetta mi ha tutto svelato; e che per colpa tua, pei tuoi abominevoli raggiri, una giovane che era felice ora in quella stanza si abbandona alla disperazione; che per causa tua ella è soffrente: che un bravo giovane è rovinato per tua colpa nel mezzo della sua più lieta carriera; che lo squallore è in questa casa; e che è tutto per tua colpa?

Le parole di Giulio erano abbastanza chiare: ed Antonio, il quale come tutti i colpevoli era vile, pensò miglior cosa essere l'andarsene; ma nol volle fare prima di gridare ad alta voce:

— Dite al signor Edoardo ch'io mi vendicherò aspramente di questo suo ingrato procedere. Giulio lo guardò sdegnosamente partire mortificato e rodentesi della rabbia;408

Per riprendere quanto detto negli scorsi paragrafi, la viltà dei traditori trova espressione in primo luogo nella loro abilità negli inganni e nella dissimulazione, nella furbizia applicata però in tranelli e trucchi sleali. Mentre la violenza perpetrata dai tedeschi è sostanzialmente esercitata direttamente contro le vittime, presentandosi come furia devastatrice e omicida, quasi irrazionale nelle motivazioni, la violenza dei traditori assume connotati più sottili e subdoli. Essi agiscono sulle proprie vittime colpendole frequentemente per via indiretta come nei casi delle cospirazioni tessute da Antonio e dal conte Botta contro i protagonisti dei rispettivi romanzi, Maria da Brescia e L’assalto di Vicenza; in entrambi i casi non è neppure necessario l’incontro personale tra vittima e colpevole perché il piano si compia.

Le trame oscure, i raggiri, il fingere di essere patrioti esemplari sono, lo si è visto, le armi principali del traditore quando agisce isolato all’interno di città e società più o meno compattamente patriottiche, ma questa inclinazione all’inganno è rintracciabile anche in traditori che hanno dalla loro la forza bruta, quali ad esempio i poliziotti, e caratterizza fortemente anche il modo in cui tutti costoro tentano di far soffrire i propri nemici. L’atteggiamento intrinsecamente infido e doppio dei traditori si traduce, infatti, anche in torture psicologiche piuttosto che fisiche ai danni dei prigionieri, in sofferenze morali inflitte ai patrioti oppure nella loro ingiusta diffamazione piuttosto che in ferite corporali, morti, decessi dei parenti. In altre parole questa indole, che potremmo appunto definire traditrice, si esprime non solo come strumento con cui prevalere sui propri nemici ma anche come arma per farli soffrire una volta che essi si trovano in potere del traditore. Il bersaglio cui tali offese mirano non è tanto il fisico dell’avversario quanto il suo                                                                                                                

morale: l’obiettivo è umiliare il patriota, provocarne l’infelicità profonda ed eventualmente abbatterne il morale facendogli perdere le residue speranze.

Quando gli austriaci possono infierire su qualche prigioniero solitamente essi finiscono con l’ucciderlo tipicamente con qualche orrenda tortura, frequentemente bruciandolo o lasciandolo in agonia per ore (per gli esempi si rimanda ai paragrafi dedicati agli austriaci), in latri casi si limitano a infliggergli qualche menomazione o ferita; dello stesso Radetzky si dice che si compiace di veder sgozzati i prigionieri. Certamente non si può generalizzare troppo questo esercizio puramente fisico e brutale: non manca qualche eccezione e gli stessi tedeschi spesso deridono gli italiani sconfitti o presi in ostaggio, sia pure in forme che sono descritte come più rozze e meno efficaci rispetto ai traditori.

Questi ultimi, infatti, adottano strategie molto più elaborate e meno feroci, ma non per questo meno crudeli, per tormentare i prigionieri così come le comunità assoggettate. Tale azione si colloca in un contesto più legale e istituzionalizzato di quello della razzia e della devastazione nell’ambito dei combattimenti cittadini in cui si dispiegavano le atrocità dei soldati tedeschi, un contesto legale che è però continuamente e subdolamente manipolato e violato dal carceriere-traditore per somministrare alle sue vittime nuove pene. L’esempio indubbiamente migliore di tale condotta è costituito ancora dal De Betta de Gli Ostaggi di Mascheroni, che per infliggere sofferenze ai milanesi caduti nelle sue mani sfodera, lungo l’intera opera, un intero campionario di maliziosità angherie e derisioni409. Sottopone innanzitutto i prigionieri a una lunga serie di fatiche e privazioni per fiaccarne il morale: li reclude in stanzoni squallidi, freddi, bui e scomodi e li tiene ripetutamente e a lungo a digiuno prima di portargli pasti indecenti410; allontana le guardie non appena si accorge che esse si comportano umanamente nei loro confronti; li sottopone a marce spossanti e li costringe a convivere con ogni impedimento o fastidio che può immaginare, a cominciare dalle manette che li costringe spesso senza buone ragioni a portare411. Tenta inoltre di acuire le sofferenze dei prigionieri lascandoli nel dubbio e nell’incertezza su quanto avviene ai propri cari e a Milano (e anzi paventa in più occasioni la disfatta dei rivoluzionari e la totale devastazione della città) o non consegnando loro le lettere

                                                                                                                409 Mascheroni, Gli ostaggi.

410 Si veda ad esempio ivi, pp. 321-22. 411 Si veda ad esempio ivi, pp. 269-71.

dei famigliari se non dopo averle a lungo tenute nascoste e averne dato un avviso anticipato per accrescere la trepidazione dei destinatari:

Gli era proprio un ritirare il bicchier d'acqua all'assetato, dopo averglielo appressato al labbro. In tal modo quel valente torturatore sapeva cavar partito perfino da quelle poche gioieche era pur costretto a darci.412

Si tratta di un atteggiamento persecutorio che non trascura alcun particolare: dalla scelta del tragitto per raggiungere il carcere in Alto Adige, in modo che gli ostaggi siano esposti il più a lungo possibile alle ingiurie della popolazione filo-tedesca413, al sequestro dei pochi denari che essi avevano con sé e all’addebitamento di spese assurde al momento della liberazione414. Tutte queste vessazioni si alternano a scatti d’ira per ogni più piccolo inconveniente, a sagaci ma insolenti motti di scherno, a reiterate minacce di morte. Proprio nel simulare una fucilazione dei prigionieri trova più piena espressione l’indole subdola e sadica del De Betta che gioisce del terrore e delle apprensioni suscitate nei nemici dai suoi biechi inganni:

Voi altri rimarrete per essere fucilati, aggiunse il caporale verso di noi, a mo' di postilla.

Era la solita canzone, alla quale del resto, dal lungo sentirla ripetere, avevamo finito, se non per crederci punto, almeno per non lasciarcene tanto sbigottire. […]

Ma ben presto la nostra indifferenza ebbe a dar luogo a' primi timori.

Stavolta i tristi non si accontentarono di minacciarci soltanto, ma ci intimarono di seguirli.

Diedi un'occhiata intorno e vidi farsi pallidi i visi de' miei compagni, mentre io pure sentivo che il sangue m'era tutto rifluito al cuore. […]

Fummo ammanettati a due, a due, come briganti, e fatti discendere nel gran cortile.

Codesta bella fattura venne eseguita da' birri della Polizia; chi dirigeva, d'ordine del birro in capo De Betta, era un altro commissario di Polizia […]

Giungemmo imperterriti nel gran cortile. De Betta vi ci aspettava.

I poeti hanno parlato del sorriso della iena. Davvero non so come la iena possa sorridere; è certo però che, qualora si volesse pur darle un sorriso, esso non dovrebb'essere diverso da quello che figurava sul volto del commissario in quella circostanza.

E, lode al vero, il valentuomo n'avea ben motivo. Gli era stata riserbata la parte più ghiotta del pasto: patriziato, possidenza, arti, milizia, burocrazia, insomma i sapori più squisiti e solleticanti. Che diamine! De Betta se l'aveva ammannito lui medesimo.

                                                                                                                412 Ivi, p. 363.  

413 Ivi, pp. 375-89. 414 Ivi, pp. 453-4.

Varcata la porta della Rocchetta, non potemmo trattenerci dal trasalire nello scorgere, a poca distanza, una specie di pozzanghera di sangue in parte rappreso, con entrovi brani di budella. Seppimo dipoi che quivi si erano macellate alcune bestie bovine depredate da' soldati; ma pel momento, non essendoci nota codesta circostanza, comprenderete che cotal vista non poteva ricrearci l'animo, tanto più nello stato di surrecitazione in cui questo si trovava.

Ci fecero girare intorno a quel ributtante stagno, accerchiati da una fitta spalliera di soldati d'ogni colore, accorsi sul nostro passaggio.

Guarda! guarda! Star fresca taliana! Star bianca e rossa taliana! si dicevano i gregari,

additandoci ridendo. […]

De Betta frattanto e' pure sorrideva trionfante. […]

Dal modo con cui l'uffìziale venne a intimare di farci tornare indietro, ben sì comprendeva come tutta quella atroce commedia non fosse stata che un atto arbitrario dell'indegno sgherro, il De Betta, per pigliarsi un po' di spasso della sua preda, innanzi divorarla.

E vi so dire che, ad onta non lo mostrassimo al di fuori, quello spasso ci costò molti batticuori.415

Altre opere toccano la vicenda degli ostaggi: pur accennandola in poche pagine, se non righe, la sua trattazione fondamentalmente concorda con quanto narrato da Mascheroni e la figura del De Betta è di fatto pienamente corrispondente:

La Polizia, sperperata in Milano, aveva piantato le sue tende in Castello. De-Betta era la sua incarnazione. Costui, tratto tratto, andava a visitare i prigionieri, e cercava colle oltraggiose sue parole di accrescere, se fosse stato possibile, i loro tormenti. Con una ironia piena di fiele interrogava quanti conoscesse; e specialmente si volgeva a coloro che erano superiori d'ufficio o d'ingegno o di natali. Al segretario del Municipio, Silva, diceva: «Ah, ah! fra noi il segretario generale dell'autorità che destituiva la Polizia.» […] Ad altri diceva si preparassero a morire; li faceva quindi legare come se alla morte dovessero essere tratti. Dopo lunga crudele agonia ordinava fossero sciolti. Ad accrescere l'ansia di que miseri, veniva l'incertezza intorno a quanto accadeva in Milano. Se avessero dovuto credere a ciò che narra vano i soldati, avevano argomento da smarrire il senno. Uno li assicurava che il cannone aveva quasi spianata la città; che la Piazza del Duomo e la Piazza Fontana erano ormai una sola per la ruina delle frapposte case. 416

4.4 Attentati alle donne e aspetto ripugnante: la melodrammaticità del

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