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Le costanti della narrazione: valorosi cittadini e nemici brutali

LA NARRAZIONE DEL 1848 E I SUOI GENERI

2. MEMORIALISTICA E SAGGI SULLE CINQUE GIORNATE: TRA RICORDO DEI MOTI E DENUNCIA DEI COLPEVOLI

2.4 Le costanti della narrazione: valorosi cittadini e nemici brutali

Nonostante le profonde diversità di vedute quanto all’apporto piemontese o alle motivazioni e alle responsabilità della sconfitta, che emergono ampiamente nella descrizione del conflitto successivo alla ritirata iniziale degli austriaci, la narrazione si sviluppa a partire da idee condivise che impongono i limiti in cui si colloca la stessa polemica politica. Tali idee emergono più chiaramente nella trattazione del momento insurrezionale (e dei mesi che hanno condotto ad esso) la quale segue sempre una struttura interpretativa semplice e lineare e, si potrebbe dire, perfettamente concorde con la sensibilità romantica e melodrammatica dell’epoca. Le Cinque giornate sono, nella lettura di tutti gli autori italiani non reazionari, un moto popolare scaturito dall’esasperazione degli abitanti per il malgoverno e i soprusi degli invasori austriaci, un apparente scontro tra Davide e Golia in cui l’innegabile sproporzione di forze militari e numeriche è ribaltata dall’ardore guerriero e dall’abilità superiore degli italiani, cui è consentito d’esprimersi nel momento in cui l’universalità del popolo contribuisce alla lotta

senza titubanze o secondi fini. Concordia e combattività sono individuate come cause uniche del successo degli insorti (l’astuzia e l’ingegno sono riconosciute senza difficoltà ma ricadono comunque nel campo del valore guerriero), oltre al sostegno divino alla causa degli italiani e alle loro naturali rivendicazioni per troppo tempo negate dagli Asburgo. Tale lettura non è difforme da quella presentata in altri generi letterari, dalle poesie ai romanzi, ma nei saggi ha spesso modo di essere sviluppata più distesamente.

Le due forze contrapposte, gli austriaci e il popolo milanese, costituiscono il duplice fulcro della narrazione in molteplici casi e, ogni volta che esse compaiono sulla scena, sono sempre descritte secondo lo stesso profilo: anche se tutti i tratti particolari di tale descrizione potrebbero non essere esplicitati, il quadro complessivo che ne emerge è uniforme e pressoché privo di contraddizioni. I soldati austriaci sono presentati come combattenti brutali, dai tratti spesso quasi animaleschi, al tempo stesso, però, sono pronti ad inganni sleali e restii a sottoporsi a gravi pericoli142: ciò li pone spesso in difficoltà di fronte a nemici più valorosi di loro nel combattimento e poco inclini a cadere nelle loro trappole. Di fatto è loro negato qualunque attributo positivo, salvo a tratti la disciplina militare, comunque poco sottolineata dai testi, e una certa perizia strategica nei comandi militari, ma su quest’ultimo punto il parere è tutt’altro che unanime. Colpa primaria rimane in ogni caso la lunghissima sequela di crimini che gran parte delle opere attribuisce loro, compiuti sempre contro soggetti deboli e indifesi: donne, anziani, giovani e bambini in fasce, nemici disarmati o anche civili sono tutti malmenati, derubati, uccisi tra immani torture e derisi, costretti ad assistere alla morte dei cari143. Ostaggi e prigionieri non subiscono un trattamento diverso con l’aggiunta di torture psicologiche e insulti144. In tutto ciò i tedeschi paleserebbero la propria naturale perfidia, che li porta a dilettarsi delle sofferenze altrui, oltre alla propria sete di distruzione. I poliziotti e ogni altro traditore della causa nazionale fedelmente al servizio dell’Austria sono accomunati a questo spietato ritratto quanto ai tratti fondamentali.

                                                                                                               

142 Sulla viltà austriaca si veda I. Cantù, Gli ultimi cinque giorni degli austriaci a Milano, pp. 30-1, 44, 47-50.

143 Gli episodi descritti sono innumerevoli; si veda Venosta, Le cinque giornate di Milano, pp. 82, 86-91,95-7, 103-112, 121-30; Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano del 1848, pp. 45, 48-9, 68-71; Ignazio Cantù, Gli ultimi cinque giorni degli austriaci a Milano, pp. 35, 67-9.

Di segno diametralmente opposto la raffigurazione dei milanesi, cui sono attribuite svariate virtù, pressoché nessuna ombra e colpa, nonché un numero imprecisato d’imprese al limite del prodigioso145. Il popolo è sicuro della propria forza e speranzoso nonostante l’indubbia posizione di debolezza strategica-militare in cui si trova all’inizio dei combattimenti; risoluto nei combattimenti e coraggioso spesso oltre il limite della giusta prudenza, smania per poter imbracciare armi, le strappa al tedesco appena può, se ne procura di fortuna o irrompe in gallerie d’armi procacciandosene di antiquate; a corto di polvere da sparo, fa prodigi di tiro ed evita scrupolosamente di sprecarla146. Ben presto dimostra tale confidenza da schernire i tedeschi e palesare una certa allegria147. Ciononostante assoluto è il rispetto per i diritti dei prigionieri e di chi si arrende148, che va di pari passo con quello per la proprietà privata, mai lesa: ciò che preme agli autori è escludere tassativamente qualunque implicazione sovversiva del momento insurrezionale, dimostrando che il popolo era orientato spontaneamente al rispetto dell’ordine sociale. La stessa momentanea mescolanza tra ricchi e poveri, tra nobili e plebei nei combattimenti, per quanto spesso esaltata e rimpianta, indica una parificazione sul piano morale e la condivisione dell’obiettivo per cui si lotta, non certo la dissoluzione della gerarchia sociale. Non tutto il popolo lotta armi in mano contro il tedesco, ma nessuno evita di dare il proprio contributo, incluse categorie quali le donne e gli anziani che tipicamente contribuiscono all’erezione delle barricate, elette a emblema della lotta popolare, e alla fortificazione delle case; inoltre bersagliano con sassi, tegole e altri proiettili occasionali il nemico dai tetti o dalle finestre. Non mancano i contributi dei fanciulli, spesso usati come messaggeri ma non di rado coinvolti direttamente nelle sparatorie, o del clero che incita alla lotta, affianca le donne nella cura dei feriti, conforta i morenti. Sono ricorrenti anche le trovate ingegnose dei leader degli insorti ma anche di semplici popolani, che, di volta in volta, organizzano servizi di staffette, inventano le utilissime barricate mobili, preparano munizioni e

                                                                                                               

145 Per alcuni degli innumerevoli esempi si vedano Venosta, Le cinque giornate di Milano, pp. 82-6, 113-82-6, 119-21; Ignazio Cantù, Gli ultimi cinque giorni degli austriaci a Milano, pp. 31-2, 54-7. 146 Ignazio Cantù, Gli ultimi cinque giorni degli austriaci a Milano, pp. 31-2; Cattaneo,

Dell’insurrezione di Milano del 1848, pp. 47-8;

147 Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano del 1848, pp. 48.

148 Questa constatazione è ripetuta, spesso diverse volte, in tutte le opere che si è qui citato; per un esempio significativo si può rimandare a Ignazio Cantù, Gli ultimi cinque giorni degli austriaci a

polvere da sparo o addirittura costruiscono un cannone149, trovano il modo di inviare messaggi tramite palloni aerostatici alla popolazione delle campagne150, la quale risponde accorrendo al capoluogo e dimostrando il proprio valore nelle fasi conclusive del moto.

Lunghe pagine sono occupate da episodi particolari, quasi privati, in cui sono coinvolti singoli combattenti italiani, squadre di tedeschi o famiglie di civili, fatti che giocano un ruolo minimo se non del tutto nullo nella risoluzione della battaglia ma sono presentati per evidenziare, a seconda dei casi, la crudeltà austriaca o le virtù dei milanesi. Ma, anche al di là di questo espediente, la narrazione presenta tendenzialmente una struttura episodica: anche nei casi in cui essa è più organica e consequenziale nelle sue parti, le Cinque giornate sono descritte come una serie di combattimenti ed eventi non direttamente connessi tra loro. La cattura del vicegovernatore O’Donnel, l’assalto austriaco al palazzo del Broletto (il municipio), l’assedio e la caduta delle varie roccaforti della polizia e dell’esercito all’interno delle mura, i combattimenti per sfondare la linea austriaca presso porta Tosa e svariati altri episodi conducono tutti all’esito finale della liberazione della città, ma si presentano ciascuno come un proprio fatto d’armi quasi autoconclusivo, pur all’interno di una lotta più ampia, al punto che alcuni di essi divengono oggetto esclusivo d’indagine nelle opere più brevi151.

In ogni caso gli autori sono poco interessati a sviluppare una precisa analisi dell’evoluzione strategica dello scontro militare e utilizzano i vari momenti della lotta come ulteriori esempi di crimini e prodezze, slealtà e astuti stratagemmi. Lo scopo è fornire immagini vivide di vari momenti della battaglia e, spesso, trasmettere un senso di urgenza e concitazione, così da favorire l’immedesimazione dei lettori nel combattimento ed esprimere con più forza emozioni quali orgoglio ed entusiasmo nazionalista, odio per il nemico e riprovazione per i suoi atti. Ne consegue un grado di coinvolgimento emotivo da parte del narratore e di passionalità nella descrizione, che a un lettore moderno può apparire fuoriposto in un saggio o una monografia, ma che è indubbiamente in linea con l’immaginario risorgimentale.

                                                                                                               

149 L’episodio è riportato da Mascheroni in Gli Ostaggi, pp. 208-10. 150 Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano del 1848, pp. 49-53;

151 Si veda Fossati, Il Broletto e il Castello di Milano in La insurrezione di Milano a cura di Ambrosoli.

La preparazione dei moti e le ragioni della loro esplosione sono evidentemente un punto cruciale della narrazione, benché non sempre vi siano incluse, in quanto determinano la natura stessa del moto. Al riguardo vi è comunque un solido consenso tra gli scrittori italiani: l’insurrezione nasce quando il popolo non può più sopportare il malgoverno asburgico e prorompe nella sua sacrosanta rabbia. Poco importa quindi l’occasione favorevole fornita dall’insurrezione viennese: il suo esito più importante sarebbero la promessa di riforme che gli abitanti di Milano percepirebbero, nella limitatezza e vaghezza delle concessioni, per di più rinviate di qualche mese, come l’ultimo affronto, un rimedio tardivo e insufficiente di fronte all’animosità popolare ormai irrefrenabile. Questa lettura non impedisce il riconoscimento dell’esistenza di piani preesistenti per l’insurrezione, addirittura di un comitato organizzatore che ne indirizzerà l’evoluzione, su cui in particolare si diffondono i testi di matrice democratica152. Tale organo non è ritratto come promotore di una congiura, per quanto estesa e ramificata, bensì come interprete della volontà e delle aspirazioni universali: non è un caso che il popolo ne anticipi le intenzioni, avviando le manifestazioni qualche ora prima di quanto previsto dal programma e dando vita ad un corteo descritto con l’enfasi sulla commozione generale per il riemergere di simboli italiani153. La volontà delle masse non è meno radicale e ferma di quella degli stessi organi che dirigono il moto: è il popolo ad avviare spontaneamente gli scontri reagendo agli spari tedeschi, sempre il popolo è il primo oppositore a qualunque proposito di tregua.

Nonostante il malgoverno austriaco sia identificato come la causa principale dei moti non sono presentate spiegazioni dettagliate del perché l’amministrazione asburgica vada giudicata in modo drasticamente negativo. Si tratta di un dato che è, di fatto, dato per scontato, presentato non di rado con accuse di malvagità e indifferenza alle sofferenze dei popoli rivolte ai vertici dell’Impero, ma senza inoltrarsi distesamente nei suoi particolari economici e legislativi. Vi sono diversi accenni allo sfruttamento economico cui Vienna avrebbe sottoposto le sue ricche provincie italiane, in particolare tramite una tassazione eccessiva, ma i meccanismi di tale sfruttamento non sono ulteriormente esposti. Sono reiterate le lamentele per l’assenza di autonomie locali e di valide forme d’espressione del                                                                                                                

152 Si veda in particolare Maestri, Origini dell’insurrezione lombarda del 1848 in La insurrezione

di Milano a cura di L. Ambrosoli.

volere della popolazione delle varie regioni italiane, ma sempre senza troppo approfondire la materia e i correttivi plausibili. E’ abbastanza chiaro l’assunto implicito che il governo austriaco dell’Italia settentrionale sia illegittimo per il fatto stesso di essere dominazione di un popolo su di un altro; nessuna riforma che l’Austria potrebbe introdurre sarebbe quindi davvero soddisfacente, anche se ciò non è chiaramente esplicitato per non sottrarre responsabilità al nemico.

Sono invece evidenziate tutte quelle pratiche ritenute repressive, a cominciare dalla censura e dai divieti di mostrare simboli nazionali. La necessità di tutelare l’ordine pubblico nei mesi di fermento nazionalista precedenti al marzo 1848 non è riconosciuta, è anzi la dominazione austriaca a essere vista come violazione del giusto ordine sociale. A risentire di questa visione è innanzitutto il modo in cui sono descritti i mesi precedenti alle Cinque giornate, in cui monta il malcontento popolare e si succedono agitazioni e repressioni poliziesche culminanti negli scontri successivi alla celebrazione per l’ingresso in città del nuovo vescovo nel settembre 1847 e in quelli innescati dallo sciopero del fumo del gennaio successivo. In tutti i vari episodi sarebbero sempre polizia ed esercito a cercare lo scontro, individuando pretesti per attaccare la folla indifesa così da terrorizzare la popolazione e zittirne le rimostranze, un esito ultimo cui non hanno modo di avvicinarsi data la fermezza della popolazione154.

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