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Visto dall’altra parte: il caso dei romanzi di Bresciani

LA NARRAZIONE DEL 1848 E I SUOI GENERI

3. I ROMANZI: UN INTRECCIO AL SERVIZIO DELLA STORIOGRAFIA

3.4 Visto dall’altra parte: il caso dei romanzi di Bresciani

La forza del discorso nazionale si manifesta anche nella relativa carenza di opere che esprimano posizioni politiche e ideologiche avverse al progetto di costruzione di una qualche forma di unità politica nazionale in Italia e alla riforma dei regimi politici preesistenti. Per quanto sia difficile immaginare che non siano stati scritti anche diversi saggi, memorie e poesie sul 1848 che portassero avanti il punto di vista dei reazionari, dei cattolici intransigenti italiani o dei difensori delle indipendenze regionali, essi sono di fatto sommersi dalle produzioni di parte democratica e liberal-moderata, entrambe fiere sostenitrici dell’ideale nazionale, ben più consistenti in termini di opere realizzate ed evidentemente anche dell’impatto complessivo da esse riscosso.

In questo senso merita grande attenzione una trilogia di romanzi a puntate scritti dal gesuita Antonio Bresciani, vero romanziere dell’anti-Risorgimento, e pubblicati per la prima volta sulle pagine de La Civiltà Cattolica, il giornale della Compagnia di Gesù voluto da Pio IX, in seguito agli eventi del 1848, per esprimere gli orientamenti ufficiali della Chiesa rapidamente spostatisi, dopo il biennio 1846-47, su posizioni reazionarie.

Nato ad Ala in Trentino, Antonio Bresciani (1798-1862) si presenta nel 1850 come un’intellettuale e letterato cattolico reazionario e intransigente, ostile ad ogni elemento innovativo in ambito politico, sociale e conseguentemente anche culturale: avversa il Romanticismo perché lo ritiene intrinsecamente connesso al liberalismo, ma conosce bene la letteratura moderna e non esita a confrontarsi con i suoi temi, le sue tecniche e i suoi cliché. Entrato nella Compagnia contro il volere paterno, Bresciani trascorre la sua vita a cavallo tra Roma, Firenze, Modena, Torino, Genova, con frequenti trasferimenti legati inizialmente agli studi, in seguito ai vari impegni come insegnante in scuole cattoliche o come scrittore e collaboratore di riviste nelle varie località. Allo scoppio del 1848 si trova a Roma e vi rimane per tutta l’esperienza della repubblica romana,

rifugiandosi prima in un istituto religioso poi in un’abitazione privata per sfuggire alle intemperanze contro gli ecclesiastici e i gesuiti in particolare205.

All’indomani del 1848 Bresciani è chiamato a lavorare a La Civiltà Cattolica con l’incarico di scrivere feuilleton con cui attrarre il pubblico e al tempo stesso ammaestrarlo a quelle stesse idee espresse in forme più complesse nei vari articoli. Come ammette egli stesso, l’idea di scrivere dei recenti eventi romani gli è data dai superiori206: il lungo 1848 fornirà l’ambientazione per L’ebreo di

Verona (1850-51), La Repubblica Romana (1851-2) e Lionello o delle società segrete (1852), i primi tre romanzi che Bresciani realizza per la rivista. La

collaborazione proseguirà fino alla morte dell’autore che pubblicherà sulle pagine de La Civiltà Cattolica altri sette romanzi d’appendice, in gran parte dominati da evidenti intenti polemici e propagandistici.

Benché si tratti delle prime opere di finzione del Bresciani, la trilogia si pone in continuità con la sua precedente produzione letteraria. Egli ha alle spalle una lunga serie d’interventi saggistici su questioni letterarie e linguistiche, politiche e pedagogiche, oltre ad alcuni testi d’argomento etnografici in cui emerge la sua passione per le lunghe descrizioni e per i particolari curiosi. Ampia parte di questa produzione è giocata sulla difesa dei valori del tradizionalismo cattolico, dell’assolutismo politico, ma anche del classicismo in ambito artistico, contro liberalismo, democrazia, romanticismo e in generale ogni elemento innovativo; al tempo stesso Bresciani si confronta con le strategie comunicative dei propri “nemici” e, in un’abile alternanza di stili e generi letterari, sperimenta con intenti satirici le strutture narrative e gli stilemi propri della letteratura contemporanea di ampio consumo207.

Quello che Bresciani mette in atto, nel momento in cui intraprende la pubblicazione dei romanzi, è un tentativo, dotato di sorprendente consapevolezza, di far propria la formula della narrativa di successo, nello specifico del romanzo storico italiano, ma anche del feuilleton francese (L’ebreo di Verona è tra i primissimi casi di romanzo d’appendice pubblicato in Italia), con l’intento di propagandare idee socio-politiche fortemente reazionarie, opposte a quelle liberali o democratiche tipicamente veicolate da questi generi. La strategia di Bresciani                                                                                                                

205 Per la vita del Bresciani si rimanda in particolare a Emiliano Picchiorri, La lingua dei romanzi

di Antonio Bresciani, pp. 7-52.

206 Bresciani, L’ebreo di Verona, pp. 11-2.  

include anche il rovesciamento ironico delle immagini e dei meccanismi discorsivi proposti dalla letteratura romantica e nazionalista, in un gioco di rimandi, impliciti o espliciti, alla stampa democratica e alle pubblicazioni di autori patriottici208.

L’operazione può considerarsi riuscita se si considera che la popolarità de L’ebreo

di Verona è uno dei principali fattori del successo di pubblico, a sua volta

notevole, de La Civiltà Cattolica. Il romanzo, come anche i seguiti, che riscuotono un interesse inferiore ma comunque non trascurabile, ottiene un gran numero di edizioni in volumi, diverse delle quali illegittime, nella seconda metà dell’Ottocento, le prime comparse quando ancora esso non è concluso, imponendo Bresciani all’attenzione dei contemporanei. Ripetutamente stroncato da grossi nomi della cultura nazionale quali De Sanctis, Croce e Gramsci, generalmente ritenuto scrittore prolisso, vuotamente retorico e fazioso, dalle idee politiche impresentabili, interessante al più dal punto di vista linguistico, Bresciani subirà nel Novecento un oblio editoriale209 in realtà non troppo diverso da quello dei letterati del fronte opposto. Semmai la sua ostilità radicale nei confronti dei protagonisti del Risorgimento e dell’ideale nazionale gli consentiranno di riemergere talvolta nell’ambito della ricerca sulla letteratura e sulla politica ottocentesca.

I tre romanzi di Bresciani sono strettamente intrecciati tra loro in quanto alla trama: di fatto non vi è una cesura netta nella narrazione, che, infatti, proseguì regolarmente, un capitolo per volta, sulle pagine della rivista. La repubblica

romana e il Lionello potrebbero essere considerati delle appendici del più ampio e

intricato L’ebreo di Verona. Esso segue la vita di Bartolo Capigli, un romano benestante fedele al papa e alla Chiesa ma affascinato dalle aspirazioni di riforme democratiche al punto da essere a lungo ingannato dai settari che progettano il rovesciamento dello stato, e della figlia Alisa, giovane pura, pia e buona, sullo sfondo dell’Italia al momento dell’avvio delle agitazioni del lungo 1848. Terzo protagonista della storia è Aser, l’ebreo del titolo, giovane affiliato alle malvagie società segrete che preparano le esecrande rivoluzioni contro i sovrani legittimi: innamorato di Alisa, Aser è in realtà un uomo di buoni sentimenti e dal comportamento cavalleresco che durante i suoi viaggi realizza progressivamente i suoi errori e giunge a lasciare le società e a convertirsi al cattolicesimo, venendo                                                                                                                

208 Idem.

però ucciso dai suoi ex compagni prima di poter ricongiungersi con l’amata in Svizzera, dove entrambi si erano rifugiati.

La Repubblica Romana inscena un dialogo tra i restanti personaggi sui fatti di

Roma, dove si sta realizzando l’esperienza repubblicana, di cui sono informati dalle lettere da un amico. Lionello rappresenta una sorta di parentesi interna al secondo romanzo, costruita sulla lettura delle memorie di un giovane che si è appena suicidato per i sensi di colpa, in cui egli narra la propria parabola di perdizione: affiliatosi alle più disparate società segrete, Lionello era caduto in una spirale di crimini sempre più gravi ed efferati, una parabola culminata con il ritorno in Italia al seguito di Garibaldi dopo un periodo trascorso come baleniere, pirata e avventuriero in Sud America.

Nella struttura della narrazione e nei meccanismi dell’intreccio questi romanzi sono evidentemente assimilabili al resto della narrativa di finzione sui moti, pur nelle loro inevitabili specificità e nelle peculiarità derivate dalla differente posizione ideologica. Al centro della trama vi è ancora una storia d’amore tormentata e impossibile, sia pure vissuta in maniera meno totalizzante che altrove e fortemente caratterizzata in senso platonico, con i due amanti che a malapena interagiscono: il fatto che essa sia ostacolata dalle vicende politiche e dai viaggi che esse impongono ai personaggi è un altro elemento ricorrente che si ritrova anche in Bresciani.

La vicenda narrata è ancora una volta corale, con diversi protagonisti le cui vicende si separano e s’intersecano, ma soprattutto con una miriade di personaggi secondari le cui parabole possono occupare un singolo capitolo oppure essere strutturate in un racconto più complesso che riemerge in più punti dell’opera; questi sviluppi tenderebbero sempre a mantenere i caratteri di inciso nella narrazione principale ma possono espandersi sino a connotarsi come romanzo autonomo, così nel caso del Lionello. Ne consegue una narrazione dalla struttura episodica, organizzata in una serie di vicende particolari che l’autore in molteplici casi svolge come parabole esemplari di caduta nel peccato, pentimento e redenzione, giusta punizione del reo irredimibile, dimostrazione di virtù, ecc. Ad accentuare ancor più questo carattere frammentario vi è l’inclusione nel racconto della descrizione di battaglie, rivolte, e soprattutto dell’evoluzione dello scenario politico, romano e non solo, andando ben oltre la narrazione del coinvolgimento dei personaggi in questi vari eventi. Per introdurre tali esposizioni

Bresciani usa all’occasione svariati espedienti: fa narrare i fatti a qualche personaggio che vi avrebbe assistito (l’assedio di Vicenza ad esempio è descritto dal cugino d’Alisa che vi ha preso parte210), costruisce dialoghi tra popolani che commentano le svolte politiche del momento, introduce nuovi personaggi proprio per farli coinvolgere in questi fatti (così si apre una lunga parentesi sugli sviluppi politici nel napoletano211), spesso si limita a narrare le vicende storiche come fatti d’interesse generale cui è bene dedicare un lungo inciso o come il logico scenario in cui si svolge l’intera vicenda (la descrizione dell’assassinio del ministro Rossi, dei successivi tumulti e della fuga del papa, evidentemente un episodio caro all’autore, non necessita di ulteriore giustificazione212).

Queste inclusioni non rappresentano certo un tratto anomalo dei romanzi del Bresciani, ma la loro frequenza rende ancor più pronunciata, rispetto ad altre opere, la sensazione che la trama sia un puro pretesto per concentrarsi sugli eventi politici. In lunghe sezioni dell’opera le vicende dei personaggi principali rimangono fondamentalmente statiche: nulla succede di fatto loro, al di là di qualche spostamento da una località ad un’altra, mentre si apre tutta una serie di parentesi su episodi esemplari accorsi ad altre figure e sul contesto politico e militare.

I personaggi che emergono da questa narrazione, come avviene frequentemente nell’intera produzione di romanzi sul 1848, appaiono piatti e modellati in modo da ricadere in una serie di modelli standard (il malvagio settario, il buon prete, la vergine innocente, il popolano bendisposto ma credulone, ecc). Al contempo le varie figure sono spesso prive di spessore caratteriale, al di là dei tratti più superficiali d’adesione a determinate posizioni politico-ideologiche. Si prenda come esempio i nipoti di Bartolo i quali, corrotti dal servizio nella Guardia Nazionale, partono volontari per la guerra, salvo poi pentirsene rapidamente e schierarsi contro il nazionalismo: data la scarsità di accenni anche minimi al loro carattere o mentalità, essi potrebbero sembrare al lettore personaggi completamente distinti prima e dopo tale svolta politica se non fosse per i nomi, di fatto l’unico elemento rimane a caratterizzarli.

Maggiori differenze rispetto alle opere d’orientamento patriottico emergono inevitabilmente nei ritratti dei personaggi. Le figure maggiormente positive nella                                                                                                                

210 Bresciani, L’ebreo di Verona, vol. 2, pp. 179-95. 211 Ivi, vol. 2, pp. 3-37.

narrazione del Bresciani sono sempre i membri del clero, preti e monaci, suore e cardinali, tutti senza eccezioni raffigurati come saggi e benevoli, animati da intenti caritatevoli e pronti a cogliere e smascherare nelle discussioni le trame dei settari; il papa, santissimo padre, rappresenta l’apice di questo modello di santità e bontà. Non mancano figure del tutto positive anche nel popolo, personaggi come Alisa, fedeli alla Chiesa e ai valori tradizionali, puri di cuore e innocenti, spontaneamente in guardia contro le onnipresenti insidie delle sette. Altri popolani, ben rappresentati da Bartolo, nel loro atteggiamento naïf, cadono invece vittime dei raggiri delle società segrete e, benché fondamentalmente buoni, finiscono col rendersi complici, più o meno inconsapevoli, dei loro piani di devastazione e sovvertimento del giusto ordine sociale.

I veri malvagi della situazione sono però i membri effettivi delle società segrete, spietati assassini pronti a qualunque efferatezza, che sembrano tramare per la distruzione dello Stato quasi per un perverso gusto a far soffrire i buoni, precipitati in una spirale di peccati che li conduce a praticare riti satanici. Come ci aspetteremmo i cattivi sono in Bresciani coloro che in ogni altra opera analizzata sarebbero i protagonisti positivi: i patrioti, descritti però qui come una minoranza subdola e ben organizzata, capace di irretire l’inconsapevole maggioranza, e non come un popolo concorde nelle sue sacrosante rivendicazioni. Il male ritratto dal gesuita ha un carattere demoniaco e brutale non diversamente da altri autori, ma non si esclude la possibilità di pentimenti e redenzioni. La conversione di Aser, figura in ogni caso peculiare per il suo comportamento impeccabile e le sue salde inibizioni morali che stridono con l’adesione alle sette, non è un episodio isolato: già L’ebreo di Verona presenta due casi di donne che si ravvedono prima di morire, potendo gioire del perdono divino213.

Nonostante l’apertura al perdono, le assunzioni ideologiche di Bresciani sono drastiche e tutt’altro che concilianti, la polemica con le varie anime del nazionalismo, che egli inquadra comunque come un unico tentacolare nemico, assume facilmente toni violenti e domina l’intera produzione al punto da poter essere considerata, senza esitazioni, il tema centrale dei romanzi. La visione del mondo che tale polemica sottende sembra paradossalmente avere diversi tratti in comune con quella degli avversari: in entrambi i casi si riscontra una concezione manichea della realtà, senza sfumature o possibilità di riconoscere valori                                                                                                                

213 Si veda in particolare l’episodio della morte serena dopo il pentimento di Polissena in Bresciani, L’ebreo di Verona, vol. 1, pp. 259-71.

condivisibili nella fazione politica avversa; difficilmente vengono riconosciuti errori in buona fede, più spesso si chiamano in causa malvagità e tradimenti. Condivisa è anche la concezione della verità come auto-evidente: quali fazioni politiche siano nel giusto e nel torto è palese ancor prima di aver considerato i fatti, e in ogni caso tali fatti parlerebbero da soli eliminando qualunque dubbio su colpe e responsabilità; ciò si connette con l’insistenza sulla verità degli eventi descritti a dispetto della loro incredibilità, un tema che si ripete in saggi e romanzi d’ogni orientamento politico ma che in Bresciani appare ribadito con grande insistenza214.

Quest’ultimo tratto della prosa del Bresciani sembra trovare spiegazione nella consapevolezza di fronteggiare un ampio fronte avverso alle posizioni conservatrici, sia in ambito di regime politico che di rapporto stato-chiesa, di cui egli si faceva difensore, un fronte che proprio sul terreno della letteratura si esprimeva con maggior forza, sommergendo con una miriade di opere i testi di matrice reazionaria. Saggi, romanzi e poesie d’orientamento nazionalista denunciano la ferocia austriaca e criticano aspramente il regime asburgico e quello dei vari stati assolutisti della Penisola, ma non si confrontano, salvo sparuti accenni, con una visione degli eventi diametralmente contraria all’ideale patriottico: si preoccupano di restaurare il buon nome degli italiani reagendo alle voci infamanti circolanti all’estero215, polemizzano su colpe e responsabilità nella sconfitta, dibattono sul migliore regime politico da adottare nell’Italia liberata e sulla condotta militare che sarebbe stata più proficua, ma non sentono il bisogno di ribadire a più riprese che la propria narrazione è quella autentica e veritiera, al di fuori dei temi oggetto di dispute tra radicali e moderati. Bresciani per contro è impegnato lungo tutta l’opera a sostenere la polemica anti-nazionalista sfruttando una pluralità di strategie: affianca la falsificazione storica vera e propria con la riproduzione di brani della stampa democratica corredati da commenti che ne rendano obbligata una lettura negativa, alterna l’ironia amara e il dileggio alla riflessione critica sugli errori commessi dai suoi nemici. Emblematico è il trattamento riservato ai grandi protagonisti dell’esperienza della Repubblica romana come Mazzini, cui è fatto riferimento ora con cenni biografici che paiono

                                                                                                               

214 Emiliano Pilchiorri, La lingua nei romanzi di Antonio Bresciani, pp. 33-7. 215 Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano e della successiva guerra, pp. III-VIII.

quasi venati di compassione per l’uomo dalle grandi potenzialità ma caduto nel peccato216, ora con stilettate maliziose e diffamatorie217.

Altro elemento della sua strategia è la volontaria confusione tra tutte le correnti politiche e culturali, distanti dall’assolutismo reazionario e dal conservatorismo ecclesiastico: illuminismo, romanticismo, comunismo e socialismo, Carboneria e massoneria, ateismo, liberalismo e mazzinianesimo sono tutti esplicitamente considerati come rami diversi, ma in ultima istanza concordi e derivanti l’uno dall’altro, di un unico movimento mirante alla sovversione sociale, al rovesciamento di ogni regime politico e alla rovina della religione218. Si costruisce quindi un “calderone” in cui, con un volontario pressapochismo, si fanno ricadere tutti i potenziali nemici della Chiesa e degli assolutismi, dagli ebrei ai satanisti a romanzieri come Hugo, Dumas e Balzac, sfumando le differenze tra democratici e liberal-moderati: se il conservatorismo è buono e la rivoluzione è malvagia, nessun compromesso può aver senso e le posizioni moderate sono colpevoli di palese ipocrisia219.

Bresciani muove evidentemente da premesse ideologiche radicalmente differenti da quelle degli autori su cui ci si è soffermati in precedenza: la vera libertà, ribadisce più volte220, è data dalla sottomissione a Dio e conseguentemente alla Chiesa e all'autorità politica, che della volontà divina sono espressione. Ciononostante è significativo notare come la sua narrazione segua una serie di patterns comuni a quelli della letteratura patriottica, non soltanto a livello di struttura dell’opera ma anche di strategie di comunicazione delle proprie idee socio-politiche. A ciò che si è detto lungo questo paragrafo, si può aggiungere che le argomentazioni di Bresciani insistono sulle barbarie e i crimini che sarebbero stati commessi dal nemico, con l’obiettivo di dimostrarne l’intrinseca malvagità, senza soffermarsi nel dettaglio a discutere le ragioni della propria parte e di quella avversa, in maniera non dissimile dalle altre opere sin qui descritte che al più insistevano maggiormente sull’eroismo dei combattenti e dei civili della propria parte.

                                                                                                               

216 Bresciani, L’ebreo di Verona, vol. 2, pp. 92-100.

217 Si veda ad esempio il ritratto di Mazzini a capo della Repubblica Romana che si atteggia a re vanesio e tirannico in ivi, vol. 2, pp. 366-70.

218 Si veda ivi, vol. 1, pp. 109-111. 219 Ivi, vol. 1, pp. 303-7.

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