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La propensione al martirio

TEMI, FIGURE E CLICHE' DELLA LETTERATURA SUL 1848

2. I PATRIOTI: EROI POPOLARI, ROMANZESCHI E DALLE MOLTE VIRTU’

2.4 La propensione al martirio

Non può certo stupire che i testi abbondino di situazioni in cui i patrioti vengano feriti o uccisi nel corso degli scontri armati in cui essi si impegnano. Finché a                                                                                                                

309 Ottolini, I cacciatori delle alpi. 310 Sacchi, Il paladino dell’umanità, p. 49. 311 Ivi, pp. 160-62.

essere colpito, più o meno gravemente, è qualcuno che è a tutti gli effetti un combattente la situazione descritta rimane ben diversamente connotata rispetto all’atrocità commesse dai tedeschi ai danni di vittime indifese, che pure affollano molte opere: il patriota non è mai oggetto passivo e impotente della violenza, ma è un guerriero che va incontro al suo destino, adempiendo al proprio dovere etico e dimostrando tutto il proprio valore. Ciò non può certo estromettere dal discorso una certa dose di tristezza e rammarico per il sangue italiano versato sul campo ma introduce ulteriori sentimenti nella narrazione a cominciare dall’orgoglio per la condotta dei propri connazionali.

I patrioti stessi sono ritratti in tali estreme situazioni come perfettamente consapevoli del valore morale e testimoniale di ciò che fanno; essi accettano le sofferenze, spesso accogliendole con un misto di stoicismo, ironia, baldanza guerriera e desiderio di proseguire la lotta, dedizione totale alla causa e appunto orgoglio. Sorprendono in particolare l’atteggiamento quasi festoso con cui il popolo accorre alla lotta e l’inclusione frequente nella narrazione di motti di spirito che alla sensibilità moderna potrebbero forse sembrare fuori luogo in un momento carico di epicità. Questi elementi sono evidenti nel seguente passo relativo al bombardamento di Brescia:

Le bombe quasi subito seguite da razzi che entravano a metter fuoco dove il peso e l'impeto del primo proiettile avea aperto una rovina, presto ebbero desti molti incendii: e il popolo motteggiando diceva: Veh la tal casa, e la tal altra che hanno acceso il sigaro! e senza punto badare a quella pioggia infernale , attendeva a spegnere il fuoco , a soccorrere i feriti , e portar armi in sulle mura. Quivi poi era una bella gara di coraggio, anzi pur di fiera lietezza. […] Né i feriti degnavansi o turbare coi lamenti quella festa di guerra: ed uno a cui una scaglia portò via il braccio sinistro, si resse un istante in piedi, scaricò il fucile col braccio destro, e cadde gridando:

Viva! Mi resta un braccio pella spada: mi faranno capitano! Poco dopo era sepolto. Quasi nel

tempo stesso lo scoppio d'una bomba levò di mano il martello ad un artiere, che stava in sul torrione intento a non so quali lavori, e il valent'uomo, senza mutarsi in viso, afferra un frammento della bomba, e s'ingegna a pur rimpicchiare con quell'informe arnese, dicendo: Mi han tolto il

martello di bottega, e mi hanno dato quello da guerra. Un altro, a cui una palla da fucile avea

forato la coscia , sorridendo guardavasi la ferita, e diceva: Ih! che bel buco! ma io non voglio

lasciar il ballo per questa miseria: e bisognò portarlo di forza all'ospitale. Ciò che non si potè fare

con un giovane a cui era entrata nelle carni una palla morta, il quale, confortato ad aversi cura e a ritirarsi , sclamava argutamente: Come? ora che io son maschio mezza volta più di voi? E fattasi levare la palla rimase al suo posto.312

                                                                                                               

In altri punti si trovano toni anche più solenni enfatizzando il sacrificio quasi volontario dei combattenti che si espongono al pericolo in maniera quasi autolesionistica pur di palesare il proprio ardore guerriero. Diviene così evidente la loro forza morale, che è evidentemente posta in relazione con la santità della causa per cui si battono.

Gli Italiani lietamente combattevano, e morivano lietamente. Un Raboldi all'aprirsi del fuoco colto da una palla austriaca nel petto, spirava dicendo: Me fortunato! ho l'onore di morire pel primo sul

campo di battaglia! e raccomandava al capitano che non dimenticasse di scrivere primo il suo

nome. E il mio secondo! gridava un altro cadendo, squarciato il ventre dalla mitraglia; e i compagni che gli si affaccendavano intorno l'udirono mormorare fino all'ultimo sospiro: Viva

l'Italia! Viva la guerra! Un terzo, pericolosamente ferito, rifiutava con tenero disdegno i soccorsi

dei commilitoni, e li ricacciava al fuoco dicendo: Ben è assai che manchi io; ma non comporterò

mai che quattro sani per cagion mia lascino il posto. Questi magnanimi esempi, e la persuasione

che in tutti era saldissima di combattere col favore del cielo e per la giustizia, infiammarono i nostri per modo, che più volte lo Speri fu costretto ad esortare e comandare che più cautamente procedessero. Mostrando loro come i bersaglieri nemici s'acquattassero dietro gli alberi e le siepi, li pregava ad avanzarsi cauti e coperti e a studiare il terreno. Ma con quella audacia, che rare volte si può biasimare perché rare volte s'incontra, rispondevano unanimi i soldati della libertà che essi non degnavansi imitare i soldati della tirannide; e cacciandosi avanti all'aperto, e talora salendo in sulle barricate tranquillamente, e come se fossero dietro sicurissima trinciera, puntavano e sparavano sui nascosti nemici.313

La fierezza con cui i patrioti commentano l’essere stati colpiti e gioiscono di dare la vita per la patria non è affatto anomala. L’intera produzione scritta sul 1848 sembra concepire il sacrificio del popolo intero per la causa nazionale come un orizzonte possibile nel momento in cui la lotta contro l’Austria volgesse a sfavore delle forze italiane. In uno scontro concepito come risolutivo e senza un domani, il patriota intende prevalere o morire lottando sino allo stremo:

«pietra a pietra demolite le nostre case le getteremo sul'austriaco: dei nostri corpi faremo un monte.... ma non li lasceremo passare.»314

Molti testi palesano effettivamente la volontà dei combattenti di non sopravvivere alla libertà della Patria: è preferibile cadere in battaglia che ritrovarsi nuovamente                                                                                                                

313 Ivi, p. 25.

schiavi dello straniero. Per portare qui solo un esempio tra i molti disponibili Fantoni ricorda l’episodio di un «vecchio ottuagenario»

che interrogato da un uffiziale di ordinanza dove andasse a quell'ora, con quel pericolo, alzò veneranda la testa, guatollo con la espressione d'animo deliberato, rispose: — A morir libero alla barricata!315

La nuova storiografia sul Risorgimento ha da tempo riconosciuto come il discorso nazionalistico introduca il concetto di un martirio patriottico, ricalcandone il significato e la struttura propri del più tradizionale martirio cristiano316. Perché la morte del patriota assuma appieno tale connotazione è indispensabile che venga sottolineata non solo la scelta consapevole con cui il soggetto si espone al rischio di morte, ma anche che si evidenzi il valore di testimonianza di tale atto: il sacrificio dei combattenti serve a redimere l’onore e a lavare le colpe dell’intera nazione, elevandola dallo stato di decadenza in cui era precipitata. Effettivamente si tratta d’idee che i testi non sempre esplicitano, quando descrivono le lotte di popolo, ma che sembrano profondamente connaturate alla struttura discorsiva complessiva delle opere: diversi autori (ad esempio Cattaneo e la Belgioioso) insistono, soprattutto in apertura e chiusura dell’opera, sull’onore che le recenti insurrezioni hanno riversato sulla nazione, redimendo il buon nome del popolo italiano; mi sembra qui inevitabile fare riferimento al già citato passo posto in apertura de I dieci giorni dell’insurrezione di Brescia nel 1849 in cui Correnti afferma che l’eroica condotta della popolazione della città ne ha reso «gloriosa la sua caduta come una vittoria e la sua disperazione profetica come un religioso sagrificio»317.

Dunque in certe occasioni l’intera comunità può offrirsi volontariamente al martirio:

I Lombardi si erano trovati nell'alternativa o di rinnegare la fede nazionale o di soffrire il martirio; scelsero il martirio; e gli andarono incontro sereni, tranquilli.318

Il tema però è più spesso approfondito attraverso una figura singola che ha consacrato tutta la sua vita e il suo operato alla missione della liberazione della                                                                                                                

315 Fantoni, L’assalto di Vicenza, vol. 2, p. 225.

316 Banti, La nazione del Risorgimento, pp. 123-8, 133-9, 170. 317 Correnti, I dieci giorni dell’insurrezione di Brescia, pp. 6.   318 Venosta, Le cinque giornate di Milano, pp. 8-9.

Patria. Individui simili sono naturalmente i volontari che prendono parte ai vari conflitti e i loro comandanti, ma anche leader delle varie insurrezioni e resistenze urbane e in generale nomi di spicco dell’ideologia nazionalista. A tutti costoro è solitamente riconosciuta una dedizione totale e permeante alla causa nazionale: ciò consente di parlare di martirio anche in riferimento a personaggi morti nel proprio letto ma dopo anni di lotta, combattuta sul piano civile o militare, e di pesanti sacrifici personali con l’obiettivo di conseguire Unità e indipendenza del paese. Ritroviamo questo modello, come ha notato Banti, nelle celebrazioni in onore di alcuni tra i massimi padri della patria quali Mazzini, Garibaldi e Vittorio Emanuele II319. Per tornare agli scritti sul 1848 nello specifico, la stessa modalità di descrizione è applicata da Gualtieri nel ritrarre un altro celeberrimo patriota quale Manin320, nei momenti conclusivi della sua vita: esausto e allo stremo delle forze, malinconico per i gravi lutti affrontati e le delusioni politiche vissute, ma pur sempre orgoglioso e fiero del proprio operato:

Io non vedo nel fine della mia vita alcunché di triste o di funereo, ma sibbene un sacrificio alla libertà della mia terra, perché è per l'amore di essa che ho esaurite le mie forze, che ho logora l'esistenza: ma la mia vita non cessa con me, sopravvive ne' miei amici, ne' miei figli....321

L’anziano Manin di Gualtieri ha acquisito connotati quasi ieratici per cui la stanchezza delle membra e lo scoramento per le terribili sconfitte vissute322 sono occasionalmente interrotti da momenti d’esaltazione profetica:

Voi avete giurato di essere tutti uniti e concordi.... Dio salverà l'Italia.... Dio le darà un capo forte fra i forti. (Camminando con energia) E cento città, cento provincie divise d'interesse, di pensiero e di linguaggio acclameranno questo sol capo che gettando la spada della vittoria (qui acquista una

forza convulsiva) nell'infame bilancia ove si pesano i nostri destini, ci riscatterà dalla schiavitù. I

vecchi troni che si dicono fonti per la grazia di Dio.... per la grazia di Dio.... crolleranno.... e l'uomo riconoscerà la divina legge della sovranità dei popoli.... e l'Italia sarà una.323

La figura del patriota che si dedica sul lungo periodo e senza interruzioni alla causa nazionale non è comunque riservata unicamente ai protagonisti del                                                                                                                

319 Si veda Banti, The Remenbrance of Heroes in Patriarca, Riall (a cura di) The Risorgimento

Revisited, pp. 171-90.

320 Sulla popolarità di Manin, in particolare in Francia, si veda Frucci, Fuori l’Italia: Manin e

l’esilio.

321 Gualtieri, Daniele Manin, p. 51. 322 Ivi, pp. 53-4.

Risorgimento: tale impegno può essere riconosciuto anche ad anonimi partecipanti alle varie lotte e insurrezioni del periodo. Gli stessi protagonisti dei romanzi sono spesso inquadrati in tale categoria. In diversi casi, adeguandosi ai topoi della narrativa di consumo, il patriota compie la scelta di dedicarsi anima e corpo alla sacra causa risorgimentale per effetto della propria infelicità privata, tipicamente di tormenti d’amore senza speranza; egli cerca quindi una morte onorevole che lo liberi dalle sofferenze terrene ma sia al tempo stesso gloriosa e utile alla comunità. Questa soluzione narrativa non vuole certo sminuire le ragioni ideali della scelta semmai renderle più evidenti tramite il meccanismo, già incontrato, della costruzione di un parallelismo con altri sentimenti profondi. Tancredi, rinchiuso nella sua stanza, faceva egli pure in quel punto un solenne giuramento che decise del suo avvenire. La disgrazia sublima gli spiriti. Ferito nel più profondo dell’animo, veduto sparire ogni speranza di felicità dall’orizzonte della sua vita, invece di troncare ignobilmente il filo dei suoi giorni, da generoso si votava alla difesa del sacro diritto di nazionalità, e giurava di cercare la morte combattendo per l’Indipendenza umanitaria.324

La presenza del giuramento, come si può immaginare, non è affatto un unicum; si tratta di un elemento ricorrente perché conferisce solennità alla risoluzione, rendendola di fatto immutabile senza infrangere la rispettabilità morale del patriota. La sua funzione primaria sembra però quella di identificare l’appartenenza al fronte nazionale, andando a consolidare il senso di comunità patriottica e rinsaldando i legami tra i suoi appartenenti; per questi motivi il giuramento si presenta più spesso in forme collettive e semi-pubbliche. Così ad esempio giurano insieme i protagonisti di Maria da Brescia:

giuro su questo sangue inumanamente versato, giuro di vendicarti, di satollare nel sangue dei tuoi e miei nemici l'ira per tanti anni repressa. Qui stretti in famiglia giuriamo guerra eterna di sterminio a quelle belve vestite di umane forme, ai crudeli che questa terra dilaniano, che gli infelici opprimono, che, non sazii dei nostri tesori, il sangue stesso ci succhiano. Vendetta! Vendetta!

Lo giuriamo! Gridarono strette le mani i due amanti.325

L’autore che più indulge sulle eroiche morti di singoli patrioti è Ottolini: I

cacciatori delle alpi è ricco di scene che raffigurano le morti di comandanti e

                                                                                                                324 Sacchi, Il paladino dell’umanità, p. 29.   325 Ferrari, Maria da Brescia, vol. 1, pp. 83-4.

ufficiali dei corpi volontari, che vanno spesso a comporre quadri che assumono una coloritura di volta in volta differente a seconda delle circostanze. La morte del capitano Decristoforis, in seguito a uno scontro della Seconda Guerra d’Indipendenza, è ritratta con toni insolitamente crudi nello scenario desolato del terreno dove si è appena combattuta una furibonda battaglia, in cui pure egli s’è fatto molto onore: «Fredda... gelida... stecchita è la mano che doveva ricevere la ricompensa. Carlo Decristoforis è morto»326. Più canonica la rappresentazione del trapasso di Manara durante l’assedio di Roma:

Intorno d'un lettuccio in una camera della villa Spada, vedevasi un gruppo di ufficiali, col volto atteggiato al più cocente dolore, cogli sguardi lagrimosi e fissi in quelli di Manara, su cui errava già la morte.

[…] a quelli che lo persuadevano a lasciarsi trasportare a qualche vicino ospedale: Amo meglio, diceva, morir qui... qui dove abbiam combattuto... […]

Due ore dopo, torturato dagli spasimi, egli spirò fra le braccia di Dandolo. Prima di quell'ora suprema egli volgendo lo sguardo agli amici, loro diceva: Consolate la mia povera moglie e recatele il mio ultimo addio; che ella educhi i nostri figli all'amore per l' infelice nostra Italia... io lascio loro la mia spada... perché l'impugnino per la redenzione della nostra patria...

Cosi moriva il colonnello Luciano Manara, nell'età di venticinque anni.327

Pathos ancora maggiore è riservata alla morte del protagonista del romanzo Giuliano: nobilitata dalla presenza di Garibaldi, che in Ottolini è una figura ammantata d’eroismo ed epicità, questa scena si carica di una maggior serenità per la congiuntura militare più felice in cui si colloca e può così evidenziare il valore del sacrificio del giovane e la gloria di cui s’è coperto:

Al primo albeggiare Giuliano agonizzava. Federico e Giulia gli reggevano la testa, bagnandola di lagrime. Il dottore stavasi ritto ai piedi del letto, mestamente contemplando il trapasso del giovane; oramai l'arte sua era inutile. D'un tratto s'ode uno scalpiccio nel vicino corritojo; tosto un nome viene pronunciato... passa di bocca in bocca. Quasi tutti i feriti si sollevano a sedere sui loro letti.... È Garibaldi […]

Giunto dinanzi al letto di Giuliano, fermossi guardandolo: È uno dei miei bravi di Roma!» esclamò accostandosi al ferito.

Al nome di Garibaldi, Giuliano trasalì, aprì gli occhi, fissò il generale. Le gote dell'agonizzante fiorirono del color delle rose. Volle parlare, ma non gli usci dalle labbra che una gallozzola d'aria, che si ruppe lasciando scorrere lungo il mento una striscia sanguigna:

                                                                                                                326 Ottolini, I cacciatori delle alpi, p. 463. 327 Ivi, pp. 318-19.

Muori in pace, mio giovane amico... ; porta con te la consolazione che tu muori per la patria e che il tuo nobile sangue non è sparso invanamente. Guardate, o giovani! … così muore un figlio d'Italia!...

Garibaldi così dicendo pose fra le dita di Giuliano la medaglia d'argento del valore militare; poi chinatosi, depose un bacio sulla fronte del morente.

Al tocco di quelle labbra, Giuliano trasali di bel nuovo e strinse nelle mani la medaglia. Con un ultimo sforzo sollevò la testa dai guanciali, indi con voce forte, concitata come nel dì delle battaglie, gridò:

Viva Italia !...» poi ripiombò cadavere.328

Maria da Brescia di Ferrari presenta l’unicum di una donna martire morente in

seguito alle ferite contratte sul campo, dove aveva preso il posto del fidanzato a sua volta impossibilitato a reggere le armi perché colpito ad entrambe le mani. L’agonia della giovane protagonista del romanzo però non presenta tratti particolari, al di là del fatto che la sua descrizione si prolunga per più capitoli alternandosi ai racconti delle fasi finali dell’assalto a Brescia329; collocandosi nel contesto della disfatta degli insorti e dei massacri perpetrati dagli austriaci questo martirio assume inevitabilmente una maggior crudezza nel descrivere i dolori e un tono altamente drammatico, ma non si distanzia dalle tematiche già incontrate esaltando l’eroismo e la santità della moribonda che, dopo aver consolato e consigliato i presenti, muore avvolta nel vessillo italiano:

Avrei io potuto sopravvivere alla rovina della nostra patria?.... io ringrazio la Provvidenza, che m'abbia creduta degna di morire, come un bravo soldato, non di cessare i miei giorni o con un delitto o colla noia.330

Ora guardate in quell'angolo: ivi è la bandiera tricolore che io cominciai a ricamare nei mesi della speranza, e che finii in quelli dell'esilio: in questi giorni di lotta immortale essa ha sventolato dalla finestra di questa casa… oggi solo fu ritratta, quando finiva la speranza... porgetemela.... che io muoia ravvolta in quei tre colori.331

La solennità delle morti dei combattenti per la causa italiana può incidere anche sulla descrizione, spesso patetica, degli stessi luoghi dove essi sono morti e sepolti. Ciò traspare bene anche da un’autrice non italiana come la Fuller che così                                                                                                                

328 Ivi, pp. 508-9.

329 Ferrari, Maria da Brescia, pp. 361- 414. 330 Ivi, p. 406.

descrive le trincee su cui si erano attestati i volontari impegnati nella difesa di Roma:

Una ninfa di marmo, con il braccio spezzato, guardava tristemente in lontananza dalla sua fontana prosciugata dal sole; tra le rovine erano ancora in piena fioritura le rose e gli oleandri rossi. Il sole illuminava con i suoi ultimi raggi le montagne della triste e quieta campagna. 332

Il tono fortemente retorico di queste frasi spicca maggiormente se confrontato con il modo in cui a poche righe di distanza l’autrice raffigura le tombe dei francesi: Dai cumuli di terra di una barricata sporgeva un paio di gambe ischeletriche, più in basso un cane aveva gettato via dal capo di un uomo il sottile strato di terra che lo copriva e lo aveva tutto scoperto.333

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