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Diversi profili di patriota

TEMI, FIGURE E CLICHE' DELLA LETTERATURA SUL 1848

2. I PATRIOTI: EROI POPOLARI, ROMANZESCHI E DALLE MOLTE VIRTU’

2.1 Diversi profili di patriota

Il patriota costituisce la figura centrale di gran parte delle narrazioni sul 1848, e sui vari moti cittadini in particolare, sia nell’ambito della saggistica e memorialistica che in quello della narrativa di finzione: egli è il naturale protagonista dei romanzi così come l’inevitabile artefice dei successi militari del biennio rivoluzionario descritti da altre tipologie di opere. Si tratta di un modello di personaggio abbastanza semplice e lineare nella sua definizione: il patriota è fondamentalmente un personaggio positivo animato da buone intenzioni e da giusti valori, tra cui spicca ovviamente il patriottismo, capace,nel suo impegno a favore dell’ideale nazionale, di clamorosi atti d’eroismo e animato da intense passioni che lo avvicinano all’eroe romantico.

Al contempo il patriota è una delle figure con più varianti e declinazioni distinte per effetto dell’identificazione del popolo intero con tale figura: se, di fatto, quasi tutti gli italiani sono patrioti (le eccezioni sono date dai traditori e dagli esecrabili ignavi, indifferenti alla lotta nazionale), allora si potrà essere patrioti in svariati modi, contribuire alla causa nazionale e alla lotta allo straniero con differenti tipi                                                                                                                

d’impegno, poiché non si potrà pensare che, ad esempio, donne, anziani e fanciulli siano in grado di fornire alla patria un apporto in termini di forza fisica paragonabile a quello degli uomini nel fiore degli anni; per le stesse ragioni vi saranno modi diversi di vivere le passioni patriottiche a seconda dello status sociale, della classe d’età d’appartenenza, del genere, ecc.

Nell’immaginario nazionalista il patriota classico sembra comunque essere identificato con un giovane uomo, con un’età che può oscillare da quella che oggi definiremo adolescenza sino almeno alla trentina d’anni (gli estremi in cui si trovano i protagonisti de Il paladino dell’umanità all’inizio e alla fine dell’opera), che non solo interviene prontamente alla difesa della città in cui vive allo scoppio del moto o all’avvio di un assedio, ma che quasi sempre è pronto a partire volontario per il fronte nel momento in cui il conflitto sembra allontanarsi dalla propria residenza. Giovani uomini sono i protagonisti consueti dei romanzi ma sono anche indicati dai saggi e dalla memorialistica tra i principali artefici dei moti; dopotutto in tale categoria si possono effettivamente includere ampia parte dei capi militari e civili delle insurrezioni, dei comandi delle truppe volontarie, ecc. Questa immagine del patriota, cui si farà d’ora innanzi riferimento, salvo ulteriori precisazioni, quando si userà tale termine, rimane comunque abbastanza vaga; non solo i limiti d’età sono ampi e non ben precisati, ma non è possibile neppure definirne con maggior puntualità l’estrazione sociale perché chiunque può, e dovrebbe, essere un patriota. Tra i patrioti dei romanzi la categoria più rappresentata rimane comunque quella dei lavoratori urbani (operai, artigiani, piccoli professionisti) ma non manca la presenza di patrioti provenienti dalle fila della borghesia benestante, della nobiltà, del contado, del clero anche negli autori più legati all’idea di una partecipazione dal basso (Ottolini) o critici nei confronti dell’atteggiamento della popolazione rurale (Fantoni).

A fianco dei giovani non è raro trovare figure di patrioti più avanti negli anni, non meno convinti degli ideali patriottici, ma solitamente portatori di un atteggiamento più disincantato e scettico sul futuro a breve termine della nazione e sugli esiti del 1848, in virtù della maggiore esperienza. Un personaggio rappresentativo di questa tipologia può essere individuato nel padre della protagonista in Maria da Brescia, reduce delle guerre napoleoniche ed ex carbonaro, scottato dai lunghi anni di dominio asburgico. Solitamente gli acciacchi e l’età avanzata impongono a questi personaggi di restare fuori dai

momenti salienti dello scontro militare, nonostante la non minor dedizione alla causa nazionale.

Impedimenti analoghi nei risultati benché derivanti dai compiti e doveri connessi con il proprio status riguardano i preti, che certo non possono abbandonare la propria residenza per partire volontari e che neppure possono essere mostrati uccidere il nemico in battaglia. Ciò, tuttavia, non esclude che almeno alcuni fra essi possano essere inclusi tra i patrioti: è interessante notare come anche autori che paiono abbastanza sospettosi nei confronti della Chiesa e del clero includono un buon prete, sinceramente patriota tra i personaggi principali dei propri romanzi (don Vincenzo in Sacchi, don Luigi in Ottolini). Questi bravi sacerdoti trovano il modo di mettersi al servizio della patria: sostengono logisticamente ed economicamente i volontari e le loro famiglie, guidano le masse rurali verso Milano in occasione delle Cinque giornate, partecipano ai combattimenti curando i feriti, consolando i morenti, incitando il popolo alla lotta261.

Queste forme alternative di partecipazione al conflitto avvicinano i membri del clero alle donne, il cui rapporto con l’impegno militare è complesso e sarà approfondito più avanti. Qui è comunque inevitabile sottolineare come le donne prendano parte indubbiamente alla lotta e non di rado imbraccino effettivamente le armi, anche se il loro contributo s’indirizza prevalentemente in pratiche ausiliarie dalla cura dei feriti alla preparazione della fortificazione al getto di proiettili di fortuna dalle case. Anche le donne dunque possono considerarsi a pieno titolo patriote, al punto da poter essere occasionalmente assunte a protagoniste della narrazione e modelli di nazionalismo262.

Un’ultima categoria di patrioti di cui è bene fare menzione è rappresentata dai giovani fanciulli che presero parte alle Cinque giornate e, si può immaginare, a diversi altri scontri svoltisi in centri urbani. La loro presenza è riportata da molti saggi e memorie con l’intento di evidenziare l’ampiezza della partecipazione mostrando le prove di valore compiute anche dai più giovani tra gli italiani, ma è confermata anche da uno stupito Hübner263. Solitamente questi ragazzi bazzicano l’area degli scontri con coraggio e svolgendo importanti compiti264, ma non è                                                                                                                

261 Si veda come esempio il lungo excursus sul prete-patriota Mauri in Mascheroni, Gli Ostaggi, pp. 153-70.

262 L’esempio massimo è evidentemente dato da Ferrari, Maria da Brescia. 263 Hübner, Milano e il 1848 nelle memorie del diplomatico austriaco, pp. 66-7.

264 Cattaneo ricorda che ad essi è affidato un servizio di comunicazioni tra gli insorti organizzato da Cernuschi in Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano, p. 49.

strano che anch’essi abbiano occasione di sparare al nemico, facendosi onore e dimostrando abilità265.

La presunta coincidenza tra popolo e insieme di patrioti implica anche che i combattenti in difesa della nazione siano sempre descritti come membri di una comunità. Il patriota cioè non è un uomo che spicca rispetto alle folle, che compie gesti straordinari in virtù di qualità morali o di intelligenza e abilità militari fuori dalla norma; semmai si cerca di attribuire incredibili doti di coraggio e dedizione alla causa in tutta la popolazione che insieme compie l’impresa straordinaria. Ciò poi non esclude ovviamente che ai combattenti siano attribuiti eclatanti prove di valore o d’abilità, diversi testi anzi ne abbondano, ma esse sono spesso attribuite a individui per il resto anonimi che sembrano esserne stati i responsabili semplicemente in quanto ne hanno avuto l’occasione, posto che le qualità per compierle sembrano condivise da innumerevoli altri loro compagni. Gli stessi protagonisti dei romanzi sono figure cui è attribuito un ruolo secondario nei vari conflitti in cui si trovano coinvolti: individui non eccezionali, volontari o popolani in mezzo a moltissimi altri, eppure essi sono solitamente raffigurati come esempi inappuntabili di dedizione alla causa nazionale e di valore militare, non di rado capaci di condotte eroiche in battaglia. CI si trova di fronte al profilo di un patriota combattente che appartiene al popolo e dal popolo non si distanzia se non, e anche questo avviene raramente nel caso delle Cinque giornate, per le specifiche abilità militari e di leadership266.

Questo scenario non è privo di una certa contraddittorietà: viene descritto un popolo intero che compie imprese straordinarie e fuori da ogni norma, la figura dell’eroe romantico nella sua eccezionalità è attribuita a una folla di individui, che inevitabilmente restano in amplissima maggioranza anonimi.

La questione è resa ancor più paradossale dalla presenza di una categoria ancor più ammirevole costituita dai leader dei moti, sia quelli politici che dirigono le insurrezioni sia quelli militari che si trovano a guidare la lotta sulle barricate dando l’esempio, nonché dai capi e dagli ufficiali dei corpi volontari o delle guardie civiche. Tutte queste figure sono solitamente raffigurate come dei primus

inter pares che comandano per una sorta d’investitura formale da parte del popolo

o dei sottoposti, i quali ne riconoscono le eccezionali doti di comando, le capacità                                                                                                                

265Cfr ad esempio Mascheroni, Gli Ostaggi, pp. 45-7.

266 Su questo modello di patriota-combattente, caro in particolare alla tradizione democratica, si veda Riall, Garibaldi, pp. 57-66.

strategiche, l’esemplare impegno di lunga data nella lotta per l’indipendenza nazionale o semplicemente il grande ardore negli scontri. Si configurano quindi come personaggi che spiccano per le loro intense passioni e per le prodezze militari che sono in grado di compiere, ma le cui eccezionali virtù sarebbero in parte coincidenti con quelle che sono già attribuite in grado massimo alle masse. Ad alcuni tra i leader democratici e tra i comandanti delle truppe volontarie sono dedicati ritratti molto vividi, nonostante la consueta brevità, ricchi di particolari caratteriali o relativi all’aspetto fisico che sono solitamente omessi nelle più schematiche descrizioni degli altri combattenti. Ciò vale in particolar modo per i nomi più celebri a cominciare da Mazzini e Garibaldi, ma anche, a seconda del soggetto dell’opera, per Manin, Cattaneo, Cernuschi, Manara e svariati altri personaggi storici. E’ bene precisare che non sempre, in un quadro caratterizzato anche da accuse tra le varie fazioni del nazionalismo, queste personalità sono descritte in termini positivi, ma quando ciò avviene l’autore ne fornisce ritratti che enfatizzano le doti eccezionali del personaggio in questione, contribuendo al tempo stesso a individualizzarlo in misura maggiore rispetto a quanto avviene con gli anonimi popolani e soldati che partecipano ai vari moti e battaglie, ma anche agli stessi patrioti che sono protagonisti dei romanzi. Così di Mazzini si sottolinea la naturale leadership morale che gli deriva dall’aura di spiritualità, rettitudine, ascetismo e dedizione totale alla causa che lo circonda:

Mazzini è uomo di talento e pensatore eminente, ma ciò che nella sua figura ci deve immancabilmente colpire nel modo più vivido ed immediato sono il misticismo del suo animo e la sua “virtù”, nel senso moderno e in quello antico del termine.

Se la chiara consapevolezza di essere nel giusto, la forza e la perseveranza instancabile saranno sufficienti a governare la nave in questo momento pericoloso, allora tutto si risolverà per il meglio. Egli ha detto «Vinceremo»; non sono sicura che Roma ci riesca questa volta, tuttavia gli uomini come Mazzini sono sempre vincitori, vincitori anche nella sconfitta.267

Grazie al suo carisma Mazzini può richiamare con efficacia il popolo all’ordine: L’avvilimento, impossessatosi del popolo, incominciava a diffondersi nei soldati. Allora la voce di Mazzini tonò energica in quegli animi sfiduciati: fece conoscere che l’onore della Repubblica non permetteva di cedere le armi; che bisognava battersi fino all’ultimo sangue; che era meglio restare

                                                                                                                267 Fuller, Un’americana a Roma, p. 256.

sotto le rovine della città piuttosto di aprire le porte al gallico nemico. Il coraggio rinacque alle parole del grande patriota, e tutti si disposero a nuova lotta. 268

Manin è ritratto, in maniera più compassata, come coraggioso difensore della causa italiana, che mettendo a rischio la propria incolumità si guadagna un indiscusso consenso popolare e con la sua intelligenza politica è tra gli artefici massimi della liberazione momentanea di Venezia e della sua onorevole resistenza269. Gualtieri nell’opera teatrale che dedica alla figura del grande statista aggiunge a tale ritratto l’immagine di Manin anziano in esilio in Francia, sorta di martire laico, giunto in fin di vita esausto e deluso ma non pentito né sfiduciato, dopo aver sacrificato ogni bene alla patria270.

Il personaggio che maggiormente affascina gli scrittori, tutt’altro che inaspettatamente, è Garibaldi, il quale più di ogni altro appare depositario di eccezionali virtù, soprattutto in termini di coraggio e ardore guerriero. Leader naturale degli italiani sul piano militare, capace di guidare i suoi uomini con il carisma e con l’esempio («Garibaldi la spada sguainata, cantando un inno popolare, si spinse avanti per primo: il suo esempio fu seguito dai coraggiosi soldati»271), Garibaldi è la personificazione dell’eroe romantico con alle spalle una vita di peripezie e imprese clamorose in cui ha sfoggiato tutte le proprie doti di ingegno, audacia, astuzia ed altruismo272, animato da forti passioni e alti ideali e dall’aspetto esotico e suggestivo sin dalle vesti i cui colori sgargianti paiono autolesionistici in battaglia273. La Fuller in particolare offre un ritratto in cui l’aspetto fisico del nizzardo e dei suoi uomini confluisce nell’immagine di un eroe romanzesco carico di fascino e di epicità:

i lancieri di Garibaldi passarono al galoppo. Fosse stato vivo sir Walter Scott per vederli! Erano tutte figure snelle, atletiche, risolute, molti con le forme della bellezza meridionale latina più splendida, tutti illuminati dallo spirito, e resi nobili dal coraggio deciso ad osare, agire, morire. […] Mai vidi spettacolo tanto splendido, tanto romantico, tanto triste. […] Indossavano tutti gli splendidi abiti della legione garibaldina, la tunica rosso fiamma, il berretto greco oppure cappelli rotondi con la piuma come i Puritani. I lunghi capelli al vento, i volti decisi. […] Lui stesso si                                                                                                                

268 Sacchi, Il paladino dell’umanità, p. 104. 269 Si veda Bianchi, Venezia e i suoi difensori.

270 Gualtieri, Daniele Manin o Venezia nel 1848, pp. 42-58. 271 Sacchi, Il paladino dell’umanità, p. 104.

272 Si veda il ritratto sulla sua vita in precedente al ritorno in Italia in Ottolini, I cacciatori delle

Alpi, pp. 122-30.

distingueva per la tunica bianca; sembrava in tutto e per tutto un eroe medievale – il volto ancora giovane, perché la sua vita tanto avventurosa è sempre stata carica di giovinezza, e non vi è segno di fatica sulla sua fronte o sulle sue guance.274

Non è però un caso che tale passo sia estratto da un’opera scritta da un’autrice straniera: gli scrittori italiani appaiono abbastanza riluttanti ai variopinti e spesso bizzarri caratteri del vestiario e dell’armamentario dei patrioti. Se ne trovano alcune interessanti indicazioni in Ottolini, autore che costituisce una parziale eccezione con la sua attenzione alle divise dei vari corpi volontari275. L’imbarazzo per la grande attenzione riservata a questi aspetti che, conclusesi le esperienze quarantottesche, dovevano sembrare frivoli e vani, non deve essere sfuggito a Bresciani che include ne L’ebreo di Verona un’ironica allusione alle discussioni sulla scelta della divisa della Guardia Nazionale276. Più ampie informazioni ci fornisce Hübner, divertito dall’aspetto dei combattenti italiani:

Preti molti, col cappello a larga lisa, fregiato di una coccarda tricolore, ed una sciabola in mano; signori in giustacuore di velluto copiato da un Velasquez o da un Paolo Veronese, alcuni ravvolti nella “capa”, che oggi si vede soltanto ai balli con maschera, e conosciuta sotto il nome di mantello alla veneziana, tutti con la fronte ombreggiata dal “sombrero”, sormontato da un enorme pennacchio o da una grossa piuma di struzzo; borghesi portanti il cappello alla calabrese, in onore di Verdi, o all’Ernani, ma senz’altro travestimento 277

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