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Forti variazioni di tono e messaggio a seconda del momento storico

LA NARRAZIONE DEL 1848 E I SUOI GENERI

2. MEMORIALISTICA E SAGGI SULLE CINQUE GIORNATE: TRA RICORDO DEI MOTI E DENUNCIA DEI COLPEVOLI

2.2 Forti variazioni di tono e messaggio a seconda del momento storico

Il modello di narrazione sviluppato da Cantù e Venosta evita di addentrarsi nel dibattito politico più acceso, attenendosi alla descrizione degli eventi e alla celebrazione della prodezza degli insorti, limitando ad accenni non polemici l’espressione d’idee politiche non riducibili ad un nazionalismo apartitico. Un livello ulteriore di interpretazione in senso politico degli eventi è invece immediatamente evidente da altre narrazioni, in primis da quelle di Carlo Cattaneo.

Presumibilmente il più celebre tra gli autori di saggi o memorie sul 1848, Carlo Cattaneo (Milano 1801- Lugano 1869), politico, storico e filosofo non appare deviare troppo dal profilo precedentemente tracciato, nonostante la statura decisamente superiore sul piano politico e intellettuale. Rimasto estraneo alla lotta politica attiva nel periodo precedente al 1848, Cattaneo ha espresso le proprie posizioni attraverso una serie d’iniziative culturali e pubblicazioni tra cui spicca la direzione del celebre Politecnico, rivista tra le più rilevanti dell’Europa del tempo. Pur essendo fino al momento dello scoppio insurrezionale contrario alla rottura violenta con l’Austria, puntando invece su radicali riforme da ottenersi tramite l’opposizione legale, di fronte al precipitare degli eventi e all’entusiasmo popolare, sposa la causa degli insorti: in qualità di membro del Consiglio di guerra (e poi del Comitato di guerra che ne derivò) è uno degli artefici principali dell’organizzazione militare delle Cinque giornate e dei massimi responsabili del loro successo, per poi fare un passo indietro e lasciare il campo libero ai moderati filo-piemontesi. L’insurrezione milanese resterà il suo unico successo concreto nella politica attiva, per altro momentaneo: sarà in seguito costretto a un esilio decennale in Svizzera; privi di esiti significativi saranno sia il suo soggiorno a Napoli, come consigliere di Garibaldi, nel 1860, sia la sua elezioni nel parlamento

nazionale, sempre nel ’60 e poi di nuovo nel 1867, vanificate dal rifiuto di sottoporsi al giuramento di fedeltà alla monarchia131.

Generalmente riconosciuto come il massimo esponente della corrente federalista del nazionalismo italiano, Cattaneo è un pensatore influente ma politicamente isolato: anche i suoi rapporti con Garibaldi e soprattutto con Mazzini divengono nel tempo sempre più conflittuali. Considerato l’iniziatore del positivismo italiano, Cattaneo lega indissolubilmente il progresso alla libertà dei popoli, garantita dall’autogoverno locale, e dunque alla preservazione di forti autonomie regionali all’interno della formazione di una compagine statale italiana: la struttura federale doveva fungere da correttivo alle politiche di potenza e alla traduzione del processo di unificazione in un assoggettamento politico al Piemonte delle altre provincie, in diversi casi giudicate più avanzate in ambito sociale e legislativo132.

L’ostilità nei confronti del Regno di Sardegna, la rivendicazione del proprio operato coscienzioso e in buona fede, le rimostranze e il rammarico per la conclusione negativa del lungo 1848 convergono nei testi che Cattaneo pubblica negli anni successivi dal suo esilio in Svizzera, cominciando a lavorarvi sin dalla fine del 1848, con l’obiettivo dichiarato di difendere l’encomiabile e valorosissimo popolo milanese dalle calunnie lanciategli da nemici ed ex alleati, correggendo l’immagine internazionale dell’intera popolazione italiana, e al contempo di smascherare le gravi colpe dei Savoia e dei loro collaboratori inclusi i moderati filo-piemontesi lombardi133.

A un primo libello pubblicato in francese già nell’ottobre del 1848, L’insurrection

de Milan en 1848 (steso durante una breve missione a Parigi alla ricerca di un

intervento militare francese), segue rapidamente la versione in italiano riveduta e drasticamente ampliata: Dell’insurrezione di Milano e della successiva guerra. La narrazione è più estesa, rispetto alle opere precedentemente descritte: le Cinque giornate sono esposte dopo una sommaria ricapitolazione del trentennio di dominazione austriaca, ma soprattutto la seconda metà dell’opera è occupata dalla descrizione del conflitto austro-piemontese sino alla disfatta di Villafranca e alla                                                                                                                

131 Sulla vita e il profilo di Cattaneo, qui tratteggiati in maniera evidentemente sbrigativa e incompleta la letteratura è molto ampia. Si vedano tra le altre opere Armani, Cattaneo: una

biografia; Franco Della Peruta, Carlo Cattaneo politico.

132 Sul pensiero di Cattaneo rimane fondamentale N. Bobbio, Una filosofia militante: studi su

Carlo Cattaneo.

dedizione di Milano. La principale differenza è data però dall’interpretazione complessiva delle vicende e dagli intenti perseguiti da Cattaneo: l’obiettivo polemico, ben più degli stessi austriaci, è costituito dal re Carlo Alberto ritratto come infame traditore, che dissimula sentimenti patriottici per conseguire nuove conquiste, preoccupato innanzitutto di prevenire la nascita di istituzioni democratiche. Gli sono accomunati nella condanna l’aristocrazia lombarda filo-piemontese, di cui è emanazione il governo provvisorio, e i vari esponenti del partito moderato che mettendosi al servizio dei Savoia finiscono con il condannare l’Italia a una inevitabile sconfitta, con una sconsiderata politica, attendista sul piano militare, imprevidente su quello economico e persecutoria nei confronti dei liberali (termine con cui l’autore indica le forze politiche più radicali) i quali, sia pur non esenti da colpe ed errori, erano sinceramente dediti alla lotta altruistica per la liberazione nazionale. Essi tendono anche ad essere presentati come un tutt’uno con il popolo stesso, vero artefice della vittoria in un’insurrezione che pure era stata promossa principalmente dai moderati e dagli stessi vili austriaci che aspiravano a reprimerla agevolmente nel sangue.

A quest’opera segue l’Archivio triennale delle cose d’Italia, progetto di una ricostruzione monumentale in 36 volumi che avrebbe dovuto coprire il periodo

Dall’avvento di Pio IX all’abbandono di Venezia ma di cui furono pubblicati solo

tre volumi, usciti tra il 1850 e il ’55, arrestando la trattazione ai primi scontri della guerra austro-piemontese. Si tratta, come si è già accennato, di un’opera molto peculiare in cui la narrazione si sviluppa attraverso una successione di documenti ufficiali e contributi scritti appositamente per tale pubblicazione da protagonisti o testimoni degli eventi, revisionati e commentati da Cattaneo. Questi testi sono inquadrati nella lettura politica delle vicende del 1848 propria dell’autore, anche attraverso un’accorta strategia di omissioni e aggiustamenti degli scritti che potevano contrastare maggiormente con le idee di Cattaneo, il che inevitabilmente provoca le rimostranze di coloro che, come Correnti, giustamente lamentavano la strumentalizzazione e il travisamento dei propri interventi134.

La spiccata vena polemica delle opere di Cattaneo rispetto a Cantù o Venosta non è giustificata semplicemente dalle sensibilità e neppure dal radicalismo del padre del federalismo: un fondamentale fattore è dato innanzitutto dalla cronologia delle                                                                                                                

134 Si veda al riguardo La insurrezione di Milano. Memorie di Cesare Correnti, Pietro Maestri,

Anselmo Guerrieri Gonzaga, Carlo Clerici, Agostino Bertani, Antonio Fossati, a cura di Luigi

opere che imprime una prospettiva profondamente diversa ai vari testi. Se a prima vista ciò può sembrare paradossale, se si considera che le pubblicazioni di Cattaneo si collocano in posizione intermedia rispetto agli altri due autori e a breve distanza da quelle di Cantù, non è in realtà difficile immaginare come la distanza nell’approccio tra questi ultimi due scrittori possa essere fatta risalire alle sconfitte piemontesi nel conflitto con l’Austria e alla drammatica conclusione della fase riformista e moderata del 1848 italiano, fatti che ebbero un’impatto considerevole sul modo in cui gli eventi erano percepiti. I lavori concepiti nei mesi che intercorrono tra l’insurrezione di Milano e la sconfitta di Villafranca, di cui Cantù offre ottimi esempi, non hanno motivi per non vedere nelle Cinque giornate la riscossa compiuta della nazione italiana e la celebrano come impresa epocale, che supera da subito i confini della cronaca per farsi storia o addirittura epica. La fiducia nella vittoria finale è pressoché assoluta, al punto che il conflitto in corso appare come una formalità, trascurabile nella narrazione.

Diametralmente opposto è lo spirito con cui la materia è affrontata già nello scorcio finale del 1848 e negli anni successivi: che si scriva prima o dopo le rese di Roma e Venezia o l’illusoria riapertura del conflitto con il Piemonte, è evidente che il risveglio nazionale deve essere ancora rimandato e che difficilmente può essere pensato come imminente. Le Cinque giornate divengono quindi una bruciante occasione persa, la guerra all’Austria un insuccesso che stride con i canoni della narrazione patriottica e che necessita d’una giustificazione: perché se l’Italia è una grande nazione e gli italiani un popolo di valorosi, essi sono stati sconfitti in uno scontro armato frontale, il terreno su cui si sarebbe dovuto riscattare l’onore della patria? La ricerca di una spiegazione porta a frequenti accuse reciproche tra le diverse fazioni politiche e, anche quando le opere non si traducono in un attacco alla parte avversa, è inevitabile evidenziare le mancanze che hanno reso incompiuta l’espressione della riscossa italiana, così da lasciare aperta la possibilità di un suo trionfo quando inevitabilmente si realizzerà in forma compiuta.

Ne è un buon esempio L’Italia e la rivoluzione italiana del 1848, pubblicato nel 1849 da Cristina Trivulzio di Belgioioso, opera a metà tra la memoria e il saggio che si propone di narrare la verità storica poggiandosi sull’esperienza diretta dell’autrice135. Essa accenna appena alla lotta per la liberazione di Milano per poi                                                                                                                

dilungarsi sui molteplici errori e manchevolezze del governo Provvisorio e in generale dell’amministrazione lombarda, priva di un valido ceto dirigente, che sia emerso per meriti, e minata dalla presenza di traditori filo-austriaci. La ricerca dei colpevoli non risparmia i comandi militari piemontesi e Carlo Alberto stesso, anche se sulle sue intenzioni sembra stendersi, nella prospettiva della Belgioioso, un velo di ambiguità: ben lontano dall’essere esente da colpe ed errori tattici, il sovrano sembra essere assolto dall’accusa di tradimento. In tutto ciò si riflette la posizione politica non chiaramente definita della Belgioioso, intermedia tra moderati e radicali, favorevole alla fusione tra Lombardia e Piemonte, ma propensa a concepire il conflitto come una guerra di popolo in cui i volontari avrebbero dovuto giocare un ruolo da protagonisti. La narrazione si conclude soffermandosi sulla dedizione di Milano e sulla scandalizzata reazione del popolo, ancora una volta presentato come un soggetto fortemente positivo, nella sua volontà risoluta di lottare sino all’ultimo.

Uno sguardo nuovamente positivo si trova però in opere più tarde che tornano ad avvicinarsi, quanto al tono, a quelle della prima parte del 1848: oltre all’opera di Venosta datata al 1864 si può citare ancora Gli Ostaggi di Mascheroni del ’67. Nulla, effettivamente, evita che nel selezionare gli eventi salienti della storia nazionale siano inclusi episodi di sconfitte onorevoli, in cui, tra l’altro, il valore italiano poteva spiccare ancor più collegandosi all’idea del martirio (si pensi alla figura di Ferrucci e alla sua morte a Gavinana). Una volta superata la cocente delusione dei primi anni, ravvivatesi le speranze di una prossima riapertura della lotta e divenuto meno attuale l’acceso dibattito politico sugli eventi del 1846-49, era naturale giungere ad una più serena visione dei moti e della Prima Guerra d’Indipendenza che li inquadrasse come nuovi episodi della vicenda nazionale di umiliazione per effetto del dominio straniero e reazione ad esso, come testimonianze del valore del popolo e presagio della sua futura indipendenza. Non sembra esservi un’attenta riflessione sulla posizione e il significato che tali eventi potevano assumere all’interno di tale più ampia narrazione, né è trovata una valida risposta alla sempre problematica questione del fallimento del 1848, la quale spesso è semplicemente ignorata136. In ogni caso ciò sembra ora interessare poco: tra i sentimenti espressi in queste opere, rammarico e lamento per la propria condizione lasciano spazio all’orgoglio per l’impresa compiuta e la condotta                                                                                                                

136 Venosta, Le Cinque giornate di Milano per esempio narra solo il moto senza accennare agli esiti finali del conflitto.

ottimale da parte dei propri compatrioti, allo sdegno o anche alla rabbia violenta verso il feroce nemico.

Va comunque detto che tra il secondo e il terzo momento dell’interpretazione del 1848 non vi è una cesura netta e facilmente collocabile cronologicamente. Maggiore è la distanza cronologica dagli eventi, più probabile sarà l’adozione di una prospettiva ottimista che diviene pressoché certa dopo il conseguimento dell’Unità. Non mancano comunque casi particolari: un’opera dedicata da Cesare Correnti alle Dieci giornate di Brescia, evento più facilmente leggibile come sconfitta inevitabile e onorevole, palesa un intento che è già celebrativo e commemorativo pur risalendo al 1849137. All’opposto, l’opera di Celestino Bianchi sulla difesa di Venezia, ancora nel 1863, è segnata da un forte rammarico per la prosecuzione della dominazione austriaca sulla città lagunare, pur preoccupandosi innanzitutto di evidenziare il valore dimostrato dagli assediati138.

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