LA NARRAZIONE DEL 1848 E I SUOI GENERI
2. MEMORIALISTICA E SAGGI SULLE CINQUE GIORNATE: TRA RICORDO DEI MOTI E DENUNCIA DEI COLPEVOLI
2.7 Visto da fuori: le narrazioni straniere
Riassumendo quanto finora detto, la produzione saggistica e memorialistica italiana sulle Cinque giornate e su altri eventi del biennio 1848-9, che ho rintracciato, rimane per decenni fondata su un’impalcatura narrativa inseparabile dall’ideologia nazionalista, per cui il conflitto appare naturale e inevitabile, il ruolo di protagonisti positivi (che siano eroi vittoriosi, martiri o vittime) spetta sempre agli italiani, mentre i tedeschi sono relegati al ruolo di carnefici e oppressori, insieme a quei pochi italiani che si alleano con lo straniero o lo servono fedelmente, inevitabilmente qualificati come traditori. Questo discorso evidentemente non vale per le opere di autori stranieri, siano essi austriaci che si siano trovati sul fronte opposto, spettatori neutrali provenienti da qualche altro paese, stupiti dal precipitare degli eventi, o volontari accorsi a sostenere la causa italiana. Anche in quest’ultimo caso non è affatto detto che essi, in virtù di convinzioni politiche e preconcetti sociali non necessariamente assimilabili a quelli locali, abbiano assorbito in toto le chiavi di lettura applicate dai patrioti italiani.
Tutto ciò fa sì che questi testi rappresentino un oggetto d’analisi distinto da quello che si sta studiando in questa sede, fermo restando che essi costituiscono una fonte preziosa per la ricostruzione degli eventi e un ottimo termine di confronto rispetto alla produzione italiana. La memorialistica straniera consente, infatti, di verificarne l’attendibilità e d’integrarne la descrizione degli eventi, dando maggior risalto ad aspetti che gli autori italiani preferivano omettere o che lasciavano in secondo piano per incompatibilità con la propria lettura degli eventi, per lo scarso interesse che essi ricoprivano ai loro occhi o anche per pudore (ad esempio gli elementi di più spiccata teatralità, dall’abbigliamento alla gestualità in pubblico emergono solo saltuariamente nei testi italiani173).
Un valido esempio della produzione austriaca riguardante i moti del 1848 è dato dalle memorie del conte Joseph Alexander von Hübner (1811-92), Un anno della
mia vita (reintitolato Milano e il 1848 nella parziale edizione italiana del 1898
curata da Comandini). L’opera costituisce una rielaborazione del diario quotidiano
172 La Farina, Storia d’Italia dal 1815 al 1850, p. 391. 173 Si veda Sorba, Il melodramma della nazione, pp. 201-3.
del 1848 di Hübner, alto dignitario con all’attivo svariate missioni diplomatiche per conto di Vienna (prima e dopo tale data), che era stato inviato a Milano da Metternich, di cui pare considerarsi amico personale, rimanendo bloccato in città in seguito all’insurrezione e trascorrendovi quindi diversi giorni come ostaggio nominale del governo provvisorio. Liberato da questa blanda prigionia, il conte svolgerà un ruolo importante nel prosieguo del biennio rivoluzionario: sarà tra gli artefici della repressione del moto a Vienna, quindi sarà inviato in missione diplomatica in Francia per garantire la neutralità di Napoleone III. Hübner proseguirà la sua carriera politica sino al ’64 per poi ritirarsi a vita privata e dedicarsi a studi storici e letterari174.
Evidentemente Hübner è un uomo della vecchia politica, ostile ad ogni idea democratica e non particolarmente sensibile al principio di nazionalità, rispettoso delle istituzioni e sinceramente preoccupato dell’avvenire della monarchia austriaca. Ciononostante i suoi giudizi non sono scontati e drastici come si potrebbe immaginare: non dimostra rancore verso l’Italia e a tratti riconosce la legittimità delle rivendicazioni nazionalistiche.
La sua interpretazione dell’insorgenza italiana nel 1848 rimane comunque profondamente distante da quella fornita dalle opere sin qui descritte: essa è attribuita a una vasta, estremamente ramificata congiura, penetrata sin nella polizia e nella burocrazia statale, in cui finisce coll’essere attratto gran parte del popolo, che pure Hübner giudica estraneo all’idea di nazionalità. Egli così non contesta l’ampiezza della partecipazione alla lotta, ma rigetta la convinzione che essa si fondi su uno spontaneo e naturale nazionalismo delle masse. Al contrario evidenzia la distanza tra le élite che hanno promosso i moti, per il cui nazionalismo moderato non prova comunque una forte repulsione, e il popolo tradizionalista, che è stato attratto attraverso la strumentalizzazione della figura di Pio IX. Dal popolo però emergono anche agitatori dalle idee politiche radicali, giudicati alla stregua di malviventi, la cui azione sembra spesso sfuggire all’incerto controllo degli ottimati.
La raffigurazione delle truppe austriache è prevedibilmente positiva, con attestati di stima distribuiti a tutte le autorità civili e militari a cominciare da Fiquelmont e Radetzky. Hübner non fornisce un ritratto idilliaco e privo di difetti dello stato e della società dell’Impero ma il suo giudizio resta chiaramente elogiativo.
Decisamente più complesso e sfaccettato è il ritratto degli italiani: Hübner li descrive come agitatori e sovversivi che hanno pesanti responsabilità, con le loro provocazioni, negli scontri precedenti al marzo 1848, cui hanno partecipato armati, non certo come vittime indifese. Sono accusati di slealtà per la loro condotta nei combattimenti durante le Cinque giornate; quelli che in testi italiani sarebbero atti d’astuzia e abilità militare sono qui ritratti come gesti vili e codardi: i patrioti ad esempio sparano dalle case ai soldati tedeschi, esasperati dalla condotta di questo nemico invisibile175. Hübner inoltre descrive con tratti umoristici il portamento solenne e peculiare dei patrioti e lo strano contrasto tra i personaggi chiaramente denotati da vestiario e armamentario come contadini o popolani e i signori dall’abbigliamento ricercato ma antiquato, che, tentando di emulare l’immagine del cavaliere dei secoli passati o dell’eroe romantico, li fa assomigliare a «comparse della Scala»176.
Il testo però è anche ricco di riconoscimenti dei pregi italiani: il ritratto complessivo che ne esce è quello di un popolo di per sé quieto, dotato di un «innato spirito d’ordine»177, galante e clemente verso donne, feriti e ostaggi, capace di dimostrare risolutezza e perseveranza. Hübner ritrae con un misto di sdegno e preoccupazione assembramenti e disordini nelle strade della Milano liberata, come anche la condotta della plebaglia bresciana, ma riconosce che l’ordine pubblico è comunemente rispettato. Inoltre non mancano all’occasione accenti drammatici e ammirati nella raffigurazione dei combattenti di parte avversa come nella scena di un ragazzo che lascia l’amata disperata per recarsi alle barricate178.
Incidentalmente Hübner fornisce conferme di alcuni punti fermi delle opere italiane, quali il clima di fremente attesa precedente all’insurrezione, la quale doveva effettivamente parere imminente, e l’ampiezza della partecipazione popolare allo scontro: sottolinea la presenza di minoranze favorevoli al governo austriaco, ma riconosce il contributo di donne e giovani alla lotta. Molto interessanti, per quanto non uniche nel loro genere, sono le osservazioni critiche nei confronti della ricorrente circolazione di false notizie su vittorie italiane o su
175 Hübner, Milano e il 1848, pp. 64-66.
176 Ivi, p. 122; per dettagliate descrizioni d’indumenti e armi dei patrioti si vedano ivi, pp. 68, 92. 177 Ivi, p. 110.
crudeltà commesse da Radetzky, immediatamente credute dai milanesi pur mancando di qualunque prova.
Se gli autori austriaci, anche quando più aperti a riconoscere le ragioni del nemico, rimangono del tutto estranei all’impianto interpretativo impostato dalle opere italiane, scrittori di diversa origine hanno con esso un rapporto più intenso e complesso. In Francia, Inghilterra e Stati Uniti, porzioni importanti dell’opinione pubblica simpatizzavano per la causa italiana e appare più che comprensibile che testi usciti da tale ambiente dialoghino con il nazionalismo italiano e ne condividano almeno parzialmente i principi e la lettura delle vicende storiche, elementi che per altro si erano evoluti in un contesto fondamentalmente internazionale. L’atteggiamento verso l’Italia era però spesso ambivalente, con un misto di ammirazione per le glorie passate e senso di superiorità, fascinazione per il pittoresco e razzismo. La lettura degli eventi poteva essere modificata da diversi preconcetti socio-culturali e presentare una diversa lettura di fondo179.
Un caso esemplificativo di tale condizione, pur nella straordinarietà della figura dell’autrice, è data dalla ricostruzione degli eventi romani dall’autunno del 1847 alla caduta della Repubblica che Margaret Fuller offre, tramite una serie di lettere inviate al New York Tribune, giornale per cui è all’epoca corrispondente dall’Europa, trovandosi quasi casualmente ad assistere e a partecipare al conflitto180.
Donna dall’ottima istruzione, poliglotta, letterata e giornalista affermata, ammiratrice della cultura italiana e sostenitrice dei diritti femminili, filosoficamente vicina alle posizioni del Trascendentalismo americano di cui frequenta i massimi esponenti come Ralph Waldo Emerson, l’autrice ha un background politico, filosofico e culturale profondamente distante da quello della società italiana ed europea. Nello scenario italiano si riconosce sul piano politico con le posizioni radicali dei mazziniani ed è pronta a far proprie rivendicazioni e aspirazioni democratiche e nazionaliste al punto da mettersi al servizio della Repubblica Romana. Nonostante l’identificazione nella causa italiana, la Fuller mantiene un atteggiamento da osservatore, estremamente affascinato ma sempre esterno, nei confronti della cultura italiana; i suoi pregiudizi nei confronti del
179 Sulla percezione del Risorgimento italiano e sull’evoluzione di lungo periodo dell’atteggiamento storiografico in ambito britannico si veda ad esempio Lucy Riall,
Rappresentazioni del Quarantotto italiano nella storiografia inglese in Renato Camurri, Memoria, rappresentazioni e protagonisti del 1848 italiano.
cattolicesimo e del suo clero, difficilmente immaginabili in un autore italiano, emergono ripetutamente nella narrazione, così come le sue posizioni all’avanguardia in fatto di emancipazione femminile, ma anche di eguaglianza sociale181: nutre una certa devozione per la più longeva e raffinata tradizione culturale europea, ma palesa anche l’insofferenza per tratti sociali che le paiono arretrati e superati se confrontati con il contesto americano che rimane un termine di confronto imprescindibile nei testi, comunque pensati per lettori statunitensi. Considerato tutto ciò, non sorprende affatto che nelle lettere della Fuller i patrioti italiani occupino il ruolo dei protagonisti positivi della narrazione: la causa per cui lottano è giusta e condivisibile; gli oppositori, esterni o interni allo stato romano, sono all’opposto tratteggiati come oscurantisti e reazionari, i naturali cattivi della situazione. Diversa da quella delle opere di autori italiani è però l’interpretazione della lotta in atto nel suo significato ultimo: per la Fuller il nazionalismo è in secondo piano rispetto alle aspirazioni democratiche, il 1848 è visto come l’avvio di uno scontro di portata mondiale tra il vecchio e tirannico regime socio-politico e le nuove istanze egalitarie destinate a prevalere, una «lotta equa e incondizionata tra il principio dio democrazia e i vecchi poteri, non più legittimi. Può essere che questa lotta duri un cinquantennio e che questa terra venga bagnata dalle lacrime di più di una generazione ma l’esito è sicuro»182.
Al di là di queste idee, la descrizione del fronte italiano è fondamentalmente simile a quella incontrata per le opere sin qui esposte. La notevole enfasi sull’aspetto pittoresco di molti dei combattenti e dei comandanti è attribuibile alla fascinazione della Fuller per la cultura europea; essa si combina con toni epici nel raffigurare i protagonisti della difesa di Roma alla stregua d’eroi romantici, in un gioco consapevole ma serio183. Sotto altri aspetti la descrizione degli italiani appare omologabile a quella già incontrata: vi si ritrovano anche temi ricorrenti come il desiderio del martirio che si accompagna alla volontà di lottare sino allo sfinimento delle forze, il rispetto dell’ordine civile o la necessità di correggere la cattiva fama, del tutto immeritata, degli italiani all’estero. La distinzione tra i combattenti e il popolo è più netta che altrove, ma la cosa appare dovuta alle
181 Sulla figura della Fuller la letteratura è vasta; si vedano in particolare Joseph Jay Deiss, The
Roman Years of Margaret Fuller; Paula Blanchard, Margaret Fuller, from Trascendentalism to Revolution; Margaret Vanderhaar Allen, The Achievement of Margaret Fuller. Per un ritratto più
breve e connesso con le questioni qui affrontate si veda l’introduzione di Rossella Mamoli Zorzi in Margaret Fuller, Un’americana a Roma 1847-1849, pp. VII-XXXIV.
182 Fuller , Un’americana a Roma, p. 284.
effettive circostanze createsi a Roma, ove era più facile distinguere i volontari accorsi dal resto della penisola dai cittadini; il sostegno di quest’ultimi non è comunque mai in discussione cosicché non si crea nessuna cesura tra popolo e patrioti.
Neppure la raffigurazione dei soldati nemici, benché francesi e non asburgici, appare particolarmente originale rispetto alle opere italiane; per quanto molto meno sviluppata che altrove, la descrizione di ritorsioni, violenze e atti sleali non presenta elementi anomali184. Unica peculiarità, in accordo con l’interpretazione dello scontro fornita dalla Fuller, è l’insistenza, piuttosto che sulla brutalità, sull’ottusità delle truppe, che «non hanno aspetto più intellettuale della marmaglia austriaca, né maggiore capacità d’avere delle opinioni», il che si sposa meglio con la narrazione di uno scontro tra democrazia e tirannide, con quest’ultima che sfrutta l’ignoranza del popolo per manipolarlo.