LA NARRAZIONE DEL 1848 E I SUOI GENERI
1. TESTIMONIANZE IN PRESA DIRETTA
1.2 Prose e pamphlet: una traccia del dibattito politico
La letteratura sul lungo 1848 comincia a svilupparsi quando gli eventi in questione sono ancora in pieno svolgimento. I componimenti poetici ne sono
l’esempio primario ma essi sono subito affiancati dai primi saggi storici, che compaiono con una sorprendente rapidità, da opere teatrali e soprattutto da una massiccia produzione di brevi testi in prosa d’argomento politico.
Queste prose non rappresentano un’unica tipologia testuale: vi si possono includere, infatti, articoli di giornali e riviste, trascrizioni di discorsi pronunciati in pubblico (per celebrare qualche ricorrenza, per onorare qualche defunto, per commemorare qualche evento), brevi saggi argomentativi dalle evidenti intenzioni propagandistiche. Insomma si tratta di una categoria di testi estremamente difforme ed eterogenea; un’affermazione questa che può valere per gran parte dei generi della letteratura sul 1848, ma che in questo caso deriva dall’accostamento di tipologie testuali diverse, seppur spesso non ben definite, accomunate semplicemente dall’uso della prosa e dalla lunghezza contenuta.
Non ho qui intenzione di soffermarmi su questa produzione: essa non mi sembra pienamente inerente al discorso che si sta portando avanti in questa sede, che predilige opere che costituiscano una forma d’espressione letteraria compiuta e coerente, e che propongano una narrazione organica degli eventi quarantotteschi, piuttosto che far riferimento ad essi senza però descriverli. Inoltre uno studio approfondito di questi lavori, che si può immaginare solo in parte giunti sino a noi in forma scritta, richiederebbe un’analisi dei circuiti di pubblicazione e circolazione dei testi e incursioni nella storia del giornalismo che si allontanerebbero dalle intenzioni della ricerca che ci si è proposti in questa sede. Ciò detto, ritengo comunque opportuno fornire un paio d’esempi dei pamphlets politici scritti e pubblicati nel 1848, espressione di un acceso dibattito politico che nelle tumultuose vicende del momento, con il venir meno dei limiti imposti dalla censura, si apriva ad affrontare di petto temi spinosi, quale ad esempio la scelta del regime politico più idoneo, e lasciava spazio a voci insolite. I testi cui si fa qui riferimento mi paiono, infatti, interessanti, non solo perché esemplificativi dei caratteri fondamentali di questa tipologia testuale, ma anche perché scritti da donne: Caterina Franceschi Ferrucci e la principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso. Entrambe le autrici costituiscono evidentemente casi eccezionali: sono delle celebrità riconosciute, il cui status appare irraggiungibile per la quasi totalità delle altre donne; i loro stessi scritti ammettono esplicitamente l’inferiorità fisica femminile e accettano la subordinazione all’uomo, contribuendo a eliminare
qualunque possibile implicazione critica verso il tradizionale ordine sociale120. Ciononostante il semplice fatto che più di una donna fosse in grado di esprimere pubblicamente la propria opinione in materie spinose, quali quelle dell’alta politica, è difficilmente trascurabile e va a confermare l’idea di un’importante mobilitazione femminile nelle vicende del lungo 1848, seppur contrastata e stretta entro limiti ben precisi quanto alle aspirazioni specifiche121.
Caterina Franceschi Ferrucci (1803-87), già incontrata trattando la sua poesia nel paragrafo precedente, rappresenta uno dei casi, abbastanza comuni tra gli autori delle opere analizzate, di personalità letterarie ben note ai loro contemporanei ma oggi pressoché sconosciute: scrittrice, poetessa, latinista e teorica dell’educazione, godette all’epoca di una fama legata ai suoi scritti sufficiente a meritarle la nomina, prima donna a ricoprire tale ruolo, a corrispondente dell’accademia della Crusca. Sul piano politico, influenzata da Gioberti, fu vivamente coinvolta negli eventi del 1848: figlio e marito furono tra i volontari toscani nella guerra all’Austria, mentre Caterina scrisse diversi testi patriottici122.
Tra questi troviamo appunto Della repubblica in Italia. Il brevissimo volume, scritto nell’aprile 1848 costituisce un saggio argomentativo a favore della scelta della monarchia costituzionale quanto all’ordinamento istituzionale che il paese dovrebbe adottare. Indicativo del clima politico dell’epoca è il costante richiamo alla necessità della coesione del popolo per vincere il confronto ancora aperto con l’Austria: «nella concordia degli animi e nella unità nazionale è il principio ed il fondamento della rigenerazione italiana»123. L’appello a sacrificarsi per la patria e a dimenticare le divisioni politiche sembra stridere con il vigore con cui subito è attaccata la posizione avversa, ma offre una chiara immagine della mentalità totalizzante del discorso nazionale per cui le divisioni partitiche, che pure erano all’ordine del giorno nella pratica, non erano ritenute tollerabili nella teoria. Le argomentazioni a favore della monarchia sono date da un lato dalla decadenza morale della società italiana, che sarebbe stata prodotta dalla dominazione straniera e renderebbe il popolo impreparato a reggersi in una repubblica,
120 Si veda Francia, 1848, pp. 285-7; Fugazza, Dal “Crociato” alla “Revue des Deux Mondes: gli
scritti sul 1848 milanese in «La prima donna d’Italia». Cristina Trivulzio di Belgioioso tra politica e giornalismo, a cura di Fugazza, Rorig, Milano, 201°, pp. 141-165.
121 Si veda Francia, 1848, pp. 283-95; Soldani, Donne e nazione nella rivoluzione italiana del
1848, in «Passato e presente», 1999, n. 46, p. 75-102.
122 Sulla vita e le opere di Franceschi Ferrucci si veda B. G. Chiari Allegretti, L’educazione
femminile nella vita e negli scritti di Caterina Franceschi Ferrucci.
123 Caterina Franceschi Ferrucci, Della repubblica in Italia, Considerazioni di Caterina
dall’altro dal buon funzionamento del regime costituzionale, garantito dagli esempi esteri e dall’ottima condotta recente dei vari sovrani, nonché dalla sua possibilità di eventuali evoluzioni in senso democratico in un secondo momento. E’ interessante notare come il testo si apra e si chiuda con un appello al popolo perché partecipi alla lotta per la liberazione. Esso ricorda per molti versi il genere della chiamata alle armi ampiamente proposto dalla poesia e in cui la stessa Franceschi si era cimentata con Le donne italiane agli italiani agli italiani redenti. Pur senza replicare il pathos e le emozioni ricercate dai componimenti in versi, il testo ne recupera la prospettiva dello scontro inevitabile con un nemico barbarico macchiatosi di crimini efferati. Tematiche nuove sono proposte nella conclusione, nel momento in cui emerge maggiormente la prospettiva di una donna che deve restare a casa lasciando però partire i familiari: pur escluse dal conflitto diretto per rispetto del loro ruolo sociale, le donne, si sottolinea, non sono meno coinvolte nel sentimento nazionalista e sono quindi pronte a compiere la propria parte di sacrificio per il bene comune, offrendo appunto la partecipazione dei propri cari, con uno sforzo non meno impegnativo se proporzionato alle rispettive forze: Ah non siate meno generosi e magnanimi di noi donne! Sagrificate alla patria le vostre opinioni, come noi sagrifìchiamo ad essa molto più della vita. Oh! Se gli uomini potessero amare come e quanto noi amiamo, vedrebbero che non è sacrificio al mondo che uguagli il nostro124.
Cristina Trivulzio di Belgioioso (o Belgiojoso) (1808-71), ancor più della Franceschi, è una figura di spicco del 1848125. Proveniente da una famiglia nobile milanese, aveva vissuto gran parte della vita tra la Svizzera e Parigi, cosa che non le impedì di avere problemi con le autorità austriache a causa delle sue evidenti posizioni nazionaliste. Nella capitale francese non solo fu punto di riferimento per gli esuli italiani ma anche protagonista della vita culturale della città, fondando un salotto letterario che attrasse svariate figure di spicco dell’arte, della politica e della letteratura. Personaggio ormai celebre, affascinante nella sua immagine di donna giovane, bella e colta, la Belgioioso riscosse grande interesse nel suo viaggio in Italia nel 1848: prese più volte parte a incontri pubblici a Firenze, Roma, Napoli. Dalla città campana, venuta a conoscenza del successo delle
124 Ivi, pp. 19.
125 Sulla vita della Belgioioso si veda Malvezzi, La principessa di Belgiojoso; Archer Brombert,
Cristina Belgioioso, Dall’Oglio, Milano, 1981; Gattey, Cristina di Belgioioso; Severgnini, La principessa di Belgiojoso. Vita e opere.
Cinque giornate, raggiunse Milano, portando con sé quasi duecento volontari partenopei: in Lombardia, nonostante la freddezza del Governo Provvisorio, fu ancora una volta accolta trionfalmente a conferma del suo acquisito status di celebrità126.
Politicamente vicina ai democratici (negli anni Trenta aveva contribuito a finanziare i tentativi insurrezionali mazziniani) ma non ostile pregiudizialmente alla monarchia costituzionale, la Belgioioso nel 1848 si schiera a favore della fusione con il Piemonte, ritenendola l’opzione migliore per raggiungere l’obiettivo primario e imprescindibile dell’unità italiana; sostiene la propria posizione attraverso due giornali che fonda nei brevi mesi che trascorre in Lombardia. La disfatta piemontese nel conflitto provocherà nella Belgioioso, costretta a lasciare Milano, una condanna drastica, anche se non definitiva, di Carlo Alberto e un nuovo avvicinamento alle posizioni repubblicane. Nel 1849 è a Roma, dove la Repubblica le affida la gestione degli ospedali militari; negli anni successivi il suo impegno politico attivo cessa.
E’ nel contesto della discussione relativa al plebiscito sulla fusione della Lombardia al Regno di Sardegna che la Belgioioso scrive un pamphlet Ai suoi
concittadini. Il testo ripropone tutte le argomentazioni che abbiamo già visto
proposte da Franceschi Ferrucci ed è analogamente dominato dalla necessità di raggiungere l’unità nazionale ad ogni costo. Ciò renderebbe preferibile l’opzione monarchica che offre nella figura del re un elemento di aggregazione e accentramento; al contrario la repubblica è una forma di governo che favorirebbe le fratture municipaliste ed è dunque auspicabile solo per stati di ridotte dimensioni. Anche ipotizzando un’Italia già compatta e saldamente unita, la repubblica è presentata come corrispondente a un modello ideale di governo ottimale che nella pratica è però inattuabile per l’impreparazione civile del popolo, il mancato emergere di una classe dirigente all’altezza, la preferenza monarchica di gran parte delle regioni italiane (qui l’autrice si sta rivolgendo alla popolazione milanese con più evidenti propositi propagandistici).
126 Pietro Brunello, Cristina Trivulzio di Belgioioso. Patrizia, patriota, donna in Fare l’Italia: