TEMI, FIGURE E CLICHE' DELLA LETTERATURA SUL 1848
1. IL POPOLO, UNA FORZA GIUSTA E PATRIOTTICA
1.1 Il popolo: definizione, confini e centralità nel discorso sul 1848
Non può certo sorprendere che il popolo costituisca una presenza sostanzialmente fissa nelle narrazioni sul 1848, ergendosi in molti passi, e tutt’altro che di rado anche in intere opere, a vero e proprio protagonista degli eventi esposti. Non ci si potrebbe aspettare altro dal momento che quelli che si vuole descrivere sono moti, manifestazioni, resistenze e insurrezioni comunemente definiti appunto come popolari. Ma a ciò si aggiungono le esigenze della struttura narrativa che gli autori italiani applicano alle vicende storiche che trattano: se davvero la lotta in svolgimento è quella di una nazione che si riscuote da secoli di decadenza e cerca di sottrarsi all’illegittima dominazione straniera, è evidentemente indispensabile che sia il popolo stesso a scendere in campo, manifestando inequivocabilmente il proprio riconoscimento nella causa nazionale e dimostrando il proprio valore. Si pongono così imprescindibili presupposti per sostenere l’esistenza effettiva della nazione italiana e la nobiltà di spirito dei suoi appartenenti, legittimando le speranze in un futuro favorevole al paese.
Enfatizzare il contributo popolare e farne risaltare i valori sarà quindi una preoccupazione comune tra gli autori che condividono le convinzioni nazionaliste, anche in testi poetici che data la brevità devono selezionare con cura gli elementi cui dare risalto: per fornire solo un paio d’esempi si può citare l’incipit della
Relazione storica del dominio dei tedeschi in Italia di Bertolotti che recita «Canto
il valor del popol Milanese che in cinque di il Tedesco giogo scosse»239, a testimoniare l’attenzione che il tema riceve nel testo, o le sconcertate osservazioni sull’imprevisto valore dei milanesi e sul loro orgoglio patriottico che Tasca mette in bocca ad un soldato croato240. I saggi sulle Cinque giornate non mostrano un interesse minore per la questione, che può anzi essere trattata più estesamente,
239 Bertolotti, Relazione storica del dominio dei tedeschi in Italia, p. 5. 240 Tasca, Poesia trovata nella bolgia di un croato.
evidenziando ancor più il nesso che si delinea tra partecipazione del popolo e carattere impervio dell’impresa compiuta con la liberazione della città:
Noi popolo dabbene, socievole, cordiale, elegante, improvvisammo un esercito di eroi; vidi una gioventù affatto nuova alle armi, combattere colla tattica d'un veterano: vidi vecchi, donne, fanciulli dallo spavento della legge marziale volar d' improvviso come lioni alla vittoria sui loro oppressori.
Quei miracoli, di cui fino alla scorsa settimana, vantavasi debitamente capace il solo Parigino, noi li abbiamo mostrati pur anzi, segnando quest'epoca la più gloriosa di quante ricordino le storie del nostro paese.241
Il popolo si presenta come un’entità spontaneamente patriottica che all’occasione sorge e combatte valorosamente per cacciare lo straniero dal paese. Esso pare dotato di una certa compattezza interna tale da consentire di parlarne in alcune circostanze come un soggetto unico che, a seconda della situazione, s’indigna, si arrabbia, gioisce e si dispera: Cantù parla di un «popolo intero che aveva un cuor solo, un sol desiderio»242. Non è raro che si alluda a un’indole comune o comunque a tratti morali, caratteriali e spirituali, oltre che culturali, condivisi (il passo precedente ne fornisce uno dei molteplici esempi che si potrebbero estrarre dai testi). Tra gli autori che più efficacemente presentano tale concezione organicista della popolazione vi è certamente Cattaneo, il quale evidenzia spesso l’immagine del popolo che agisce come un sol uomo per effetto di una concordia del tutto spontanea:
Quando giunse la novella della vittoria dei Palermitani, una folla, quale non erasi mai veduta, empì il Duomo e le vie circostanti, a renderne grazie solenni a Dio, al cospetto del viceré che stava a consiglio con Radetzki nell'attiguo palazzo. Si sarebbe detto che il popolo fosse arrolato tutto in una vasta congiura; e il popolo nulla ne sapeva: eppure ad ogni più nuova proposta improvisamente si moveva tutto come una sola persona; strana guerra fra un paese intero e un governo, a farlo ignaro d'ogni cosa di Stato e ciecamente ossequioso.243
In virtù di tutto questo, appare legittimo domandarsi quali siano i confini del popolo di cui parlano gli autori ottocenteschi, in altre parole chi vi sia incluso e chi no, e in ultima istanza quale sia la definizione stessa del termine. Tuttavia, da questo punto di vista, l’accezione di popolo appare fondamentalmente
241 Ignazio Cantù, Gli ultimi cinque giorni degli austriaci in Milano, p. 5.
242 Ignazio Cantù, Storia ragionata e documentata della Rivoluzione Lombarda, pp. 44-5. 243 Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano, pp. 201-1.
assimilabile a quella odierna. Il termine a seconda del contesto o delle preferenze lessicali dell’autore può essere usato con due significati leggermente diversi ma sempre compatibili con il modo con cui esso potrebbe essere inteso oggi: da un lato esso indica l’insieme di tutti gli abitanti di una città o regione, di fatto sinonimo all’odierno «popolazione», parlando di volta in volta di «popolo» milanese, lombardo, italiano; dall’altro esso può alludere agli strati più bassi e umili della popolazione escludendo nobili, ricchi, èlite politiche o culturali. Su questa accezione insistono in particolare i democratici come Cattaneo, sempre pronto a sottolineare la distanza di vedute e d’interessi tra la nobiltà, nazionalista solo per interesse, e le masse urbane sinceramente patriottiche244. Emblematico di questo atteggiamento il modo in cui il federalista presenta l’elenco dei morti: La maggior turba degli uccisi doveva ben essere tra gli operai: le barricate e gli operai vanno insieme come il cavallo e il cavaliere. Il sacro mestiere delli stampatori ebbe cinque morti, e troviamo fra essi anche un legatore. Vi sono tre macchinisti, un incisore , un cesellatore e un orefice. Dei lavoratori di ferro e di bronzo morirono non meno di quindici; onde pare che questa forte razza fosse tutta sulle barricate. Ed è pur glorioso all’arte de’calzolai il numero di tredici uccisi. Dei sarti caddero quattro; tre cappellai; e ventitré verniciatori, doratori, sellai, tessitori, filatori, guantai, e anche un parrucchiere. V’ha una decina di muratori, scarpellini e lavoranti d’altre arti edilizie […] Abbiamo infine parecchi facchini e giornalieri, e altri ignoti di mestieri e di nome, sine nomine vulgus […] Noi, raccogliendo solo il significato sommario di questi aridi ruoli, ripetiamo che il sangue dei cinque giorni fu veramente versato dal popolo, e al popolo se ne deve gratitudine e gloria245.
La prevalenza di questa accezione del termine comunque non implica, quantomeno non necessariamente, l’esclusione degli ottimati dal novero dei protagonisti dei moti: essi sono spesso mostrati combattere alla testa del popolino a sostegno di un’idea di partecipazione universale, senza eccezioni, alla lotta nazionale:
Noi avevamo campo di ammirare il valore non solo della plebe, che ora è tutto, ma di quegli stessi che a capo del governo sono modello di gloria e di fatti. Il conte Vitaliano Borromeo […] era al conflitto cogli altri, armato di fucile, esposto al pericolo come chi non avesse nessun legame colla società, colla famiglia, e so che dovette molto al caso l'esser salvo in quella giornata.246
244 Cattaneo, Dell’insurrezione di Milano del 1848.
245 Cattaneo, Archivio Triennale, pp. 1154-1166, citato in Della Peruta, Milano del Risorgimento, pp. 200-1.
Non si deve dimenticare che il 1848 si colloca, come ha mostrato Silvia Rosa247, al termine di un processo di evoluzione del concetto di popolo che si era venuto arricchendo di valori e di forza evocativa, divenendo elemento centrale della riflessione politica e in particolare al pensiero democratico, muovendo a partire dalla presunta auto-evidenza della sua esistenza. Alla conclusione di questo sviluppo, che aveva avuto inizio dal Triennio giacobino, l’utilizzo del termine non appare più una prerogativa delle forze democratiche in senso stretto, esso è anzi ampiamente diffuso nei testi di matrice liberal-moderata (sia pur senza necessariamente accogliere appieno il ruolo della volontà popolare come elemento di legittimazione per ogni politica sana, che era invece riconosciuto dai radicali). Esso si può ritrovare persino in autori dall’atteggiamento smaccatamente reazionario (come Bresciani) dove pure mantiene un’accezione tendenzialmente positiva.
Il popolo che ci è presentato dalle narrazioni del 1848 è dunque una comunità che raccoglie di fatto tutti gli abitanti della città o della provincia di cui si sta discutendo, al di là della possibile eccezione dell’aristocrazia e dei leader politici, che nella maggioranza dei casi si traduce in una semplice precisazione lessicale, senza che vi corrisponda l’individuazione di una frattura interna. Non vi è invece nessuna esclusione di determinati soggetti in virtù di differenze d’età, sesso o ceto sociale che ne suggerirebbero l’inadeguatezza politica. Il popolo s’identifica quindi con la comunità etnica nazionale, includente anche donne, anziani e giovani, nullatenenti e preti, le cui uniche barriere sono quelle di ordine razziale che la separano dal nemico straniero. Tutti gli italiani insomma rientrano nel «popolo», con un’unica macroscopica eccezione: ne sono esclusi tutti coloro che si pongono fedelmente al servizio dell’Austria senza rammaricarsene e arrivando anzi a combattere quelli che sarebbero i propri fratelli di sangue; tutti costoro sono identificati come traditori, appellativo che, come vedremo, finisce con l’essere strettamente legato in particolare alla figura del poliziotto.
Data l’importanza attribuita alla concordia civile e all’universalità della partecipazione nel determinare l’esito del conflitto, è logico che le produzione sul 1848 sia ricchissima di passi che ricordano il contributo fornito allo scontro dalle varie componenti della società:
247 Rosa, Un’immagine che prende corpo: il «popolo» democratico nel Risorgimento in Annali
Fin ragazzi, fin donnette Contro noi star arrabbiate, E per far gran barricate Non mangiare, non dormir. Preti e frati in mezzo a balle Sempre star con croce in mano; Pregar cielo per Taliano, E Todesco maledir.248
Vedevi madri sorridere ai perigli de' figliuoli, e, baciandoli in fronte, dire loro come le antiche romane: «Compite il debito vostro e viva l'Italia!» […] E vecchi, che nulla ormai potevano operare col braccio, udivi rammentare le atrocità dei Croati, l'avarizia del loro capi, le lascivie usate dai barbari dopo le civiche sconfitte […] . Un sacerdote, fra gli altri, levatosi a favellare, con infiammativo discorso ricordava alla moltitudine lo strazio patito dal prete Attilio Pulusella e da Luigi Usanza.249
Il ritratto del popolo che ne esce può certamente sembrare difficilmente accettabile a un lettore contemporaneo: esso è presentato come un’unità organica e concorde, capace di azioni spontanee eppure coordinate e di esprimere precisi pareri e opinioni. Tale raffigurazione può apparire insostenibile soprattutto nel momento in cui s’includono in questo soggetto le più disparate classi sociali e categorie d’individui, tuttavia essa doveva apparire logica nell’ottica degli autori dell’epoca, pervasi dall’ideale nazionale e dalla concezione comunitaria della società che esso portava con sé. Del resto il riconoscimento dell’esistenza di una volontà popolare univoca e spesso ferma era uno dei punti salienti del concetto di popolo così come esso era maturato nell’ultimo mezzo secolo abbondante250.