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La conversione con modificazioni e la mancata conversione parziale

Nella prassi è non si hanno casi in cui la legge di conversione esplicitamente dichiari il decreto-legge convertito solo in parte; tuttavia è frequente che il testo del decreto sia emendato in sede di conversione25.

L’autorevole opinione secondo cui la conversione in legge «sembra designare un fenomeno di

sostituzione e non di sovrapposizione d’un atto ad un altro, che mantenga fermi i rispettivi ambiti

23 Come infatti parte della dottrina ha mosso; sul punto si rinvia a quanto si esporrà nel paragrafo 1 del quinto capitolo. 24 V. il paragrafo 2.3. del primo capitolo; sul punto si tornerà ancora nel quinto capitolo.

temporali di efficacia»26 non sembra accolta dalle norme che regolano l’efficacia delle modifiche apportate ai decreti-legge nel procedimento parlamentare.

La l. 23 agosto 1988, n. 400 ha infatti stabilito, all’art. 15, comma 5, che le variazioni approvate in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della relativa legge, salvo che sia esplicitamente previsto un effetto retroattivo; per questo motivo si può verificare una sorta di “micro-successione” fra le norme previste dal decreto-legge e quelle previste a seguito delle modifiche apportate in sede parlamentare27.

Si può così ipotizzare il caso di una disposizione prevista dal decreto-legge la quale disponga l’abrogazione espressa di altre disposizioni previgenti.

Se tale disposizione non è oggetto di modifiche in sede di conversione in legge, non vi sono que-stioni particolari: la disposizione ottiene stabilità e l’effetto abrogativo da essa disposto si consolida nell’ordinamento.

Più problematici i casi in cui la disposizione abrogatrice del decreto-legge sia modificata dalla legge di conversione.

La questione non sembra porre aspetti critici se la modifica amplia l’oggetto dell’abrogazione, includendovi disposizioni o atti legislativi prima non contemplati: oltre alle disposizioni abrogate dal decreto-legge, in forza delle modifiche introdotte dalla legge di conversione si considereranno abro-gate anche ulteriori disposizioni.

Diverso è il caso in cui il “raggio” dell’abrogazione sia ristretto rispetto all’originaria formulazione del decreto, eliminando dal testo della disposizione abrogatrice il riferimento solo ad alcune delle disposizioni o degli atti da abrogare. Ragioni elementari di certezza del diritto, oltre che di buona tecnica di redazione dei testi normativi, imporrebbero che il Parlamento, qualora in sede di conver-sione ritenga di dover mantenere vigenti alcune delle disposizioni di cui il decreto-legge ha disposto l’abrogazione, espliciti tale volontà in modo chiaro e inequivoco: pertanto non sarebbe opportuna una modifica al testo del decreto-legge che meramente espunga la dichiarazione di abrogazione, ma piut-tosto il Parlamento dovrebbe inserire una disposizione che preveda retroattivamente il mantenimento in vigore delle disposizioni da salvare, eliminando così l’abrogazione ab origine e senza lasciare alcun dubbio sul punto.

Se invece il legislatore dovesse meramente espungere da una disposizione del decreto una clausola di abrogazione, o dovesse modificarla togliendo alcuni riferimenti normativi, ma senza specificare la

26 Così L.PALADIN, Art. 77, cit., p. 84.

27 Cfr. G.PITRUZZELLA, La legge di conversione del decreto legge, cit., p. 292, secondo cui «l’art. 77 cost. dà luogo al concorso di due fonti primarie» e pertanto la legge di conversione «inciderà sulle norme del decreto legge secondo le regole proprie della successione delle leggi nel tempo».

retroattività di tali emendamenti, si potrebbe ritenere che l’interprete si trova di fronte a due disposi-zioni abrogative in successione, di cui la seconda espunge parte del contenuto demolitivo della prima.

Il caso sembrerebbe dunque assimilabile a quello di due norme poste sullo stesso piano gerarchico e andrebbe dunque risolto sulla base dei criteri validi in generale per la reviviscenza.

Se, ad esempio, una disposizione del decreto legge stabiliva fra le altre cose che “è abrogato l’art.

x della legge y” e in sede di conversione tale proposizione è eliminata, si verserebbe in un caso di

doppia mera abrogazione, ipotesi quasi unanimemente riconosciuta di reviviscenza. Non sarebbe ar-duo ricostruire la volontà ripristinatoria del Parlamento, anche in considerazione dello stretto legame fra decreto e legge di conversione.

Tuttavia, questi ragionamenti sembrano superflui, poiché ormai la giurisprudenza ammette la con-versione parziale del decreto-legge: da tempo, infatti, la Cassazione distingue gli effetti in base al tipo di emendamento. Secondo tale giurisprudenza gli emendamenti integralmente sostitutivi e gli emen-damenti integralmente soppressivi che determinano la decadenza delle disposizioni originarie del de-creto-legge con efficacia ex tunc; gli emendamenti meramente modificativi invece consentono la con-versione della disposizione modificata, non incidendo in modo sostanziale sull’oggetto e sul senso dell’originaria disposizione28.

Tale orientamento è stato sostanzialmente avallato dalla Corte costituzionale, per quanto sia con-siderato in termini controversi in dottrina29.

Al pari della mancata conversione “totale”, agli emendamenti esclusivamente soppressivi di al-cune disposizioni del decreto-legge è così riconosciuta efficacia ex tunc, essendo interpretati come una mancata conversione in legge, seppur parziale; di conseguenza, si reputa che le disposizioni abro-gatrici del decreto-legge non confermate in sede di conversione in legge perdano di efficacia sin dal principio e, dunque, che le norme già “provvisoriamente” abrogate dalle disposizioni del decreto-legge non convertite debbano considerarsi come norme che sono sempre state vigenti.

A conclusioni analoghe si giungere anche nell’ipotesi di emendamenti sostitutivi del decreto-legge, in cui vi sia una parziale riscrittura di una disposizione contenente, fra l’altro, clausole gative, allorché all’esito della modifica alcune disposizioni originariamente menzionate come abro-gate nel testo del decreto-legge non siano più indicate nel testo del decreto convertito in legge. Poiché

28 Per prima Cass. pen., sez. I, 19 gennaio 1983, poi confermata da Cass. pen., sez. II, 13 novembre 1984; Cass. pen., sez. III, 20 settembre 1993, n. 10573; Cass. pen., sez. I, 21 maggio 1998, n. 7451.

29 Cfr. ad es. Corte cost., sent. 22 febbraio 1985, n. 51; più di recente, Corte cost., sent. 22 dicembre 2010, n. 367, su cui criticamente cfr. V.PETRI,L’efficacia degli emendamenti modificativi del decreto-legge e la certezza del diritto. A margine alla sentenza 367 del 2010, in www.forumcostituzionale.it. Sulle criticità rispetto alla figura della mancata

con-versione parziale cfr., per tutti, G.PITRUZZELLA, La legge di conversione del decreto legge, cit., p. 287 ss.; G.GUZZETTA,

Decreto-legge, cit., p. 1749; V.DI CIOLO, Questioni in tema di decreti-legge, Milano, 1970, p. 373, secondo cui «la mancata conversione parziale non esiste nel diritto positivo italiano». Favorevoli all’ipotesi di mancata conversione, fra gli altri, G.ZAGREBELSKY, Manuale di diritto costituzionale, vol. I, Il sistema delle fonti del diritto, cit., p. 182; A. PACE,

anche agli emendamenti sostitutivi, pur in assenza di un espresso effetto retroattivo, è riconosciuta l’idoneità a determinare la mancata conversione parziale, essi possono così determinare la perdita di efficacia ex nunc delle abrogazioni disposte dal testo del decreto-legge nella sua formulazione ini-ziale.

Tuttavia, non deve nascondersi la difficoltà di ammettere la mancata conversione parziale in base alla natura dell’emendamento.

La determinazione della mancata conversione parziale, come visto, non è necessariamente stabilità in base alla legge di conversione, la quale, al contrario, usualmente nel suo unico articolo stabilirà che il decreto-legge è convertito – il che sembrerebbe deporre per la totale conversione del decreto e per la decorrenza ex nunc degli effetti di tutti gli emendamenti approvati in sede di conversione.

La valutazione in concreto della mancata conversione parziale grava pertanto sull’interprete, chia-mato a determinare la natura di ogni singolo emendamento, conferendo ad esso a seconda del caso efficacia retroattiva o solo pro futuro.

È evidente che una tale prassi giurisprudenziale comporta il rischio di realizzare «una traslazione del potere decisionale dagli organi costituzionali ai giudici con probabile pregiudizio per la certezza del diritto»30: la stessa questione della vigenza o meno di norme giuridiche di rango primario è ri-messa alla discrezionalità ricostruttiva dei singoli interpreti.

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