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La reviviscenza come espressione della crisi della certezza del diritto

Diversa è invece la valutazione da darsi in relazione alla certezza del diritto circa la reviviscenza a seguito di abrogazione di norma abrogatrice.

Quando l’interprete si trova di fronte all’annullamento della norma abrogatrice (magari deciso proprio in ragione della stessa abrogazione), egli si trova, come si è appena illustrato, di fronte a una strada sostanzialmente obbligata che porta al ripristino della norma illegittimamente abrogata; sugli interpreti, e in particolar modo sui giudici, ricade il compito di dare piena assicurazione al primato della Costituzione, che in questi ipotesi consiste nel considerare l’abrogazione illegittima tamquam

non fuisset.

È invece molto più problematico il caso in cui l’interprete deve valutare gli effetti di una serie di disposizioni abrogatrici connesse fra loro. In ipotesi di questo tipo, infatti, non sussiste un principio superiore, quale quello della supremazia della Costituzione, che può giustificare o dare un diverso significato al principio di certezza del diritto, come invece nel caso di reviviscenza per illegittimità.

Come ampiamente esposto in precedenza31, gli unici criteri che si possono richiamare a sostegno della reviviscenza per abrogazione di norma abrogatrice sono quelli della logicità, che certo assiste il diritto in quanto attribuzione di senso ad enunciati linguistici, e quello della volontà oggettiva del soggetto che pone le norme, la quale, per l’appunto, si desume con criteri logici; per la verità gli altri criteri interpretativi previsti dall’ordinamento sembrano forse deporre in senso opposto alla revivi-scenza, richiamandosi al criterio dell’analogia (in relazione a norme vigenti) e ai principi generali dell’ordinamento.

Nei confronti di queste ipotesi di reviviscenza si possono formulare due obiezioni, strettamente legate tra loro, che riguardano i seguenti aspetti:

a) i problemi di certezza relativi alla stessa vigenza delle norme dell’ordinamento;

b) la problematicità di riconoscere un’effettiva volontà del legislatore di far tornare vigente una

norma.

3.1. La mancanza di una nuova pubblicazione della disposizione ripristinata

La reviviscenza a seguito di mera abrogazione di una norma abrogatrice avviene, come già evi-denziato, senza una dichiarazione soggetta ad un regime legale di pubblicità, il che significa per esempio che le disposizioni legislative ripristinate non sono oggetto né di una nuova promulgazione,

né di una nuova pubblicazione: è questo il motivo per cui concepire in modo estensivo la possibilità di reviviscenza sembra porsi in contrasto con l’esigenza della certezza del diritto.

Tale profilo, in realtà, è speculare a quello dell’assenza di una volontà esplicita del legislatore: se infatti la reviviscenza indica convenzionalmente un’operazione dell’interprete a fronte della man-canza di un’espressa intenzione ripristinatoria nella disposizione abrogatrice di altra disposizione abrogatrice, è altresì evidente che la disposizione che torna vigente non può essere oggetto di nuova pubblicazione o comunque di menzione nella legge a cui l’interprete riconosce implicitamente una volontà ripristinatoria.

Anche con riferimento alle limitate ipotesi in cui si può considerare ammessa la reviviscenza, non si può trascurare che tali modalità di produzione (o, meglio, di ri-produzione) di norme si prestano a forti critiche sotto il profilo della certezza del diritto: sembra infatti di assistere a un legislatore «sciatto e sciagurato», che pone le norme tramite «indovinelli»32.

La pubblicazione, infatti, assicura una garanzia ai cittadini, garantendo la conoscibilità delle leggi, assicurando in tal modo la certezza dei rapporti giuridici; si tratta, come noto, di una conoscibilità in senso potenziale e non dell’effettiva conoscenza da parte dei consociati e, tuttavia, tale funzione ha un ruolo fondamentale negli ordinamenti democratici33.

Questo fondamentale passaggio è escluso dalla dinamica della reviviscenza, perché la disposizione della legge che “rivive” fu pubblicata soltanto al tempo della sua prima entrata in vigore, mentre il suo ripristino nell’ordinamento dipende soltanto dalla norma abrogatrice della norma che a sua volta la aveva abrogata. La questione investe, pertanto, non soltanto la chiarezza, ma anche la legittimità di un intervento normativo impostato in modo da evitare che disposizioni che devono essere nuova-mente considerate vigenti siano effettivanuova-mente pubblicate nelle forme previste dalla Costituzione.

Si può però notare come spesso gli atti normativi oggetto di pubblicazione non siano costituiti da discipline compiute, bensì siano composti da disposizioni che modificano, sopprimono o sostitui-scono disposizioni previgenti: in altre parole, è frequente che gli atti normativi, se presi singolar-mente, siano incomprensibili e necessitino di essere coordinati con le disposizioni previgenti. Per-tanto, nonostante il ripristino di norme abrogate mediante mera abrogazione delle disposizioni abro-gatrici costituisca una modalità inutilmente contorta e sconsigliabile di normazione, non sembra che per questo motivo si possa ritenere una modalità in contrasto con le esigenze di certezza e conoscibi-lità dell’ordinamento.

32 Così G.U.RESCIGNO, Reviviscenza di disposizioni giuridiche e referendum abrogativo, in Dir. pubbl., 3, 2011, p. 731.

33 Cfr., per tutti, da ultimo P.BONETTI, Art. 73, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla

Come già approfondito in precedenza, l’esigenza di garantire una migliore intellegibilità del diritto può spiegare l’attenzione con cui, nei paesi di common law, il legislatore ha voluto disciplinare la questione. In tali ordinamenti, infatti, vige il principio di origine giurisprudenziale per cui, con rife-rimento agli atti legislativi adottati dal Parlamento, la mera ed espressa abrogazione di una norma a sua volta meramente abrogatrice comporta il ritorno in vigore delle disposizioni legislative origina-riamente abrogate; proprio per contrastare tale evenienza, il legislatore ha spesso adottato norme in base alle quali l’intenzione ripristinatoria non può essere desunta in modo autonomo dall’interprete, ma deve risultare espressamente dalla lettera della disposizione abrogatrice, che ovviamente sarà og-getto di pubblicazione nelle forme costituzionalmente previste.

Proprio l’assenza di una presunzione interpretativa in tal senso può spiegare come, in ordinamenti di civil law, quali quelli italiano e francese, il legislatore si sia invece disinteressato della questione, anche se non mancano paesi di tale tradizione, come la Spagna, che hanno invece disciplinato la reviviscenza per abrogazione di abrogazione34.

Il dato comune di tutte le norme legislative che, negli ordinamenti stranieri, sono previste sul punto consiste nella negazione della reviviscenza e nell’obbligo di indicare in modo inequivoco ed esplicito la volontà di far tornare in vigore norme legislative abrogate: si tratta di discipline che sembrano dettate al fine di sottrarre all’interprete la possibilità di considerare nuovamente vigente una norma legislativa abrogata in assenza di una chiara volontà espressa dal Parlamento e che, al contempo, sembrano idonee a perseguire la certezza del diritto, sottraendo al dibattito giurisprudenziale la que-stione della rinnovata vigenza di una norma abrogata in assenza di indici univoci.

In particolare, si può notare come l’esigenza di certezza del diritto e quella speculare del rispetto dell’intenzione del Parlamento si traduca nell’obbligo di esplicitare in un atto normativo la volontà di ripristinare una norma abrogata, la quale sarà perfettamente conoscibile dai cittadini una volta pubblicata. Con ancora maggior rigore, in alcuni Stati federati degli Stati Uniti è previsto l’obbligo che il testo dell’atto da ripristinare sia riportato integralmente nel nuovo atto normativo35, o anche che sia nuovamente pubblicato36. In questo modo è garantita nella sua misura massima l’esigenza di assicurare la piena conoscibilità delle disposizioni vigenti.

34 Per l’analisi della disciplina sulla reviviscenza a seguito di abrogazione si rinvia al paragrafo 5 del secondo capitolo. 35 Cfr., ad es., la Costituzione del New Jersey, sezione VII, art. 5.

3.2. La problematicità della ricostruzione di una volontà non esplicita del legislatore

La reviviscenza a seguito di abrogazione di norma abrogatrice può muovere da due esigenze. Da un lato, l’interprete deve cercare di attribuire un senso a un atto normativo che, altrimenti, resterebbe senza alcun esito; dall’altro, egli può percepire l’esigenza o l’opportunità che una certa materia non resti sprovvista di una espressa disciplina positiva37.

Nella prima ipotesi, la ricerca di senso può essere valutata positivamente, se in base a indici og-gettivi l’interprete è in grado di ricostruire una effettiva volontà che, pur non espressa a chiare lettere, è comunque desumibile in termini univoci; nella seconda ipotesi, al contrario, l’horror vacui può portare a operazioni di ripristino di norme prive di fondamento sul piano testuale e che si avvicinano in modo critico a un giudizio di conformità costituzionale sul venir meno di una espressa disciplina – giudizio che, nell’ordinamento italiano, spetta soltanto alla Corte costituzionale e che non sembra potersi devolvere totalmente ai giudici ordinari.

L’orientamento prevalente della dottrina, fatto proprio anche dalla Corte costituzionale nella sen-tenza n. 13 del 2012, ritiene ammissibile la reviviscenza nel caso di doppia abrogazione espressa.

Si è già approfondito come, con tale espressione, si tenda a indicare l’ipotesi – sostanzialmente di scuola – di mera e puntuale abrogazione di norma a sua volta meramente abrogatrice, ovvero una successione di disposizioni normative a cui non è possibile dare un senso se non ritendendo che la norma originariamente abrogata torni a essere vigente38; riprendendo le considerazioni già svolte, non sembra scorretto equiparare a tale ipotesi quella di mera abrogazione puntuale di una disposizione che ha modificato altra disposizione previgente, nel senso di ripristinare il testo originario della di-sposizione modificata e, dunque, di ripristinare la norma espressa dalla stessa.

L’argomento più forte a sostegno di tale tesi è per l’appunto quello logico: l’interprete ricostruisce la mera abrogazione di una norma abrogatrice quale un intervento normativo che, per avere un senso, implica una volontà ripristinatoria.

Si potrebbe obiettare che se il legislatore avesse voluto ripristinare una norma abrogata lo avrebbe potuto fare chiaramente, adottando una disciplina identica oppure stabilendo espressamente il ritorno in vigore o l’applicabilità di disposizioni o atti previgenti. Come si è illustrato, si tratta di una tecnica normativa che esiste e che è utilizzata soprattutto dal legislatore regionale, ma che non è sconosciuta a quello statale. Sembra così poco sensato, dal punto di vista della tecnica normativa, che pur avendo a disposizione questa possibilità il legislatore la scarti e opti invece per un intervento di indiretta “riesumazione”.

37 Sulla questione delle lacune si rinvia a quanto approfondito nel paragrafo 3.3 del capitolo 1.

38 È la tesi tradizionalmente riferita in dottrina a S.PUGLIATTI,Abrogazione (Teoria generale e abrogazione degli atti normativi), in Enc. dir., I, Milano, 1959, p. 153.

Gli stessi uffici che all’interno degli organi costituzionali redigono i testi normativi, come si è già illustrato39, nelle circolari e nelle guide di cui si sono dotati escludono esplicitamente che il ripristino di norme abrogate possa avvenire per relationem; anche se tali documenti non sono vincolanti né per il legislatore, né per l’interprete, è comunque significativo che le istruzioni generali ufficiali concer-nenti le tecniche di elaborazione dei testi normativi neghino la possibilità di procedere in tal senso. Se il legislatore orienta la propria attività al fine che il diritto che egli stesso pone sia dotato di effettività, una delle condizioni necessarie è infatti quella di assicurarsi che le disposizioni normative che intende approvare siano chiare e conoscibili40; ovviamente una modalità di produzione ellittica, che non è nemmeno riconosciuta come valida all’unanimità41, non si presta efficacemente allo scopo. L’argomento sconta pertanto una certa ambiguità, perché sembra fondere una concezione a un tempo soggettivistica e oggettivistica della volontà del legislatore: per quanto, come si è approfondito nel secondo capitolo, la volontà ripristinatoria sia ricostruita dalla dottrina in chiave obiettiva, essa sembra rinviare comunque a una intenzionalità effettiva, ancorché implicita, di ripristinare una norma abrogata.

Sembra tuttavia lecito propendere per la reviviscenza nelle ipotesi in cui una disposizione mera-mente abrogatrice ha per oggetto puntuale una disposizione a sua volta meramera-mente abrogatrice (o che si limitava a novellare un testo normativo previgente) senza al contempo altro disporre42: a prescin-dere da come si voglia ricostruire la natura della volontà implicita nell’abrogazione della norma abro-gatrice, cioè privilegiando l’intento storico degli estensori della disposizione o l’oggettività di una tale tecnica di redazione dei testi normativi, l’unico modo per conferire senso all’ultima abrogazione sembra essere quello di implicare la revoca pro futuro dell’abrogazione precedente43. In casi di questo tipo, pertanto, si può muovere una critica alla scelta della tecnica legislativa, che sembra inutilmente complicata, ma non al significato dell’intervento normativo, che appare suscettibile della sola inter-pretazione in chiave di ripristino normativo.

39 Si rinvia al paragrafo 3 del secondo capitolo.

40 Cfr. M.CORSALE, Certezza del diritto: I. Profili teorici, in Enc. giur., VI, Roma, 1988, p. 1.

41 Si ricordano, fra le altre, le posizioni di chiusura, variamente motivate, di G.GUARINO, Abrogazione e

disapplica-zione delle leggi illegittime, in in Jus, 1951, p. 358; F. MODUGNO, Problemi e pseudo-problemi relativi alla c.d.

revivi-scenza di disposizioni abrogate da legge dichiarata incostituzionale, cit., p. 647 ss.; ID.,Abrogazione, in Enc. giur., XVII,

Roma, 1988, p. 4; M.PATRONO, Legge (vicende della), in Enc. dir., Milano, 1973, p. 923; F.PIERANDREI,Corte costitu-zionale, cit., 1962, p. 975 sub nota 394; A.GIULIANI, Le disposizioni sulla legge in generale. Gli articoli da 1 a 15, in

Trattato di diritto privato, diretto da Pietro Rescigno, I, Premesse e disposizioni preliminari, II ed., Torino, 1999, p. 462;

S.STAMMATI, Considerazioni schematiche sulla possibilità giuridica di far “rivivere” le leggi elettorali (277 e 276) del

1993 e sulle ragioni costituzionali che potrebbero giustificare tale “reviviscenza”, in ASTRID, Rassegna, 52, 2007, p. 5.

42 Cioè, come già ricordato, nell’ipotesi ormai ammessa anche dalla giurisprudenza costituzionale e in quelle ad essa assimilabili. BMETTERE NEL TESTO

43 Si tratta degli argomenti, difficilmente superabili sul piano logico, proposti già da S.PUGLIATTI, Abrogazione

(Teo-ria generale e abrogazione degli atti normativi), in Enc. dir., I, Milano, 1959, p. 153 e fatti propri da Corte cost., sent. 24

Al di fuori di queste ipotesi, invece, non sembra agevole riconoscere la possibilità di reviviscenza per abrogazione. Se infatti si assiste alla mera abrogazione di una disposizione o di un complesso di disposizioni non meramente abrogatrici o puntualmente modificatrici di disposizioni previgenti, il senso dell’ultimo atto normativo si potrebbe considerare come suscettibile di più interpretazioni: esso potrebbe esaurirsi nella mera abrogazione, come invece potrebbe astrattamente essere inteso quale volontà di ripristinare l’assetto normativo previgente.

A ben vedere, però, ricorrere alla reviviscenza in ipotesi di questo tipo tradirebbe un atteggiamento indebitamente creativo, in cui si ipotizza che sia sempre legittimo che l’interprete si sostituisca al legislatore, colmando gli eventuali vuoti che questi ha creato – o che l’interprete ritiene tali; è noto il rischio che, richiamandosi alla ratio della legge come ricostruita dall’interprete, sia «sempre possibile aggiungere qualche premessa implicita al ragionamento giuridico, onde evitare le conclusioni (sgra-dite agli interpreti) a cui infallibilmente condurrebbero le premesse esplicite che si trovano nei testi di legge»44. Mancherebbe infatti un solido fondamento all’operazione di ripristino normativo, che sarebbe fondata più sull’assenza di una disciplina ritenuta necessaria che su una volontà effettiva-mente ricostruibile del legislatore: ciò sembra adombrare il rischio di un’operazione arbitraria, in contrasto col principio democratico per cui è il Parlamento a dettare le norme di rango legislativo.

3.3. Reviviscenza e democrazia

La vicenda della ritenuta reviviscenza delle norme anteriori al testo unico dell’edilizia, che per importanza della materia e delle ricadute pratiche non può certo definirsi residuale, ha forse concre-tizzato i timori di uno sconfinamento di ruoli da parte dei giudici. In quel caso, come già descritto45, la posticipazione dell’entrata in vigore del testo unico, disposta quando esso era già in vigore, fu interpretata dalla giurisprudenza come sua sospensione di efficacia; sulla base di tale sospensione di efficacia, con argomenti in verità non irresistibili nella formulazione, si è ritenuta provvisoriamente ripristinata la disciplina previgente.

Quel caso merita attenzione perché, in verità, segna una forte discontinuità rispetto agli orienta-menti dottrinari in tema di reviviscenza.

44 Così C.LUZZATI,L’interprete e il legislatore. Saggio sulla certezza del diritto, Milano, 1999, p. 651. «Il ricorso

all’elemento teleologico ai fini ermeneutici va dunque presentato, anziché come un modo di determinazione del contenuto della norma, come una sostituzione ai contenuti possibili della dichiarazione, degli scopi (meglio: degli effetti) che ogni possibile norma, ricavata dalla dichiarazione, sortirebbe»: così R. SACCO,Il concetto di interpretazione del diritto, Torino,

2003, p. 55.

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