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Uno sguardo di sintesi sugli orientamenti più recenti della Corte costituzionale

4. Gli orientamenti della Corte costituzionale

4.1. Uno sguardo di sintesi sugli orientamenti più recenti della Corte costituzionale

A partire dalla sentenza del 2012, la Corte ha avuto più volte modo di ribadire la propria giuri-sprudenza sul punto, che in questo momento è possibile riassumere come segue.

85 In dottrina è stata criticata l’apoditticità di tale passaggio, in effetti laconico (sotto tale aspetto, tuttavia, vi è una certa continuità con la precedente giurisprudenza costituzionale): cft. G.SERGES, Usi e abusi della reviviscenza nella

giurisprudenza costituzionale, p. 13. La giurisprudenza successiva ha accolto la tesi della reviviscenza: cfr. ad es. Cons.

Stato, sez. VI, 19 marzo 2015, n. 1412.

86 Su cui v. M.SCOLETTA, La sentenza n. 5/2014 della corte costituzionale: una nuova importante restrizione delle

“zone franche” dal sindacato di legittimità̀ nella materia penale, in Dir. pen. cont., 2, 2014, p. 242 ss.

87 Più precisamente, abrogava il d.lgs. 14 febbraio 1948, n. 43 (“Divieto delle associazioni di carattere militare”). 88 Sulla quale v. A.CELOTTO,Uso e abuso della conversione in legge, in www.federalismi.it, 11 luglio 2014.

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La reviviscenza di norme illegittimamente abrogate, nelle pronunce più recenti, è derivata da vizi di natura formale delle disposizioni abrogatrici: in presenza di un vizio di tale natura, la conseguenza sembra inevitabilmente quella della reviviscenza.

La Corte costituzionale tende a esplicitare in modo inequivoco l’effetto ripristinatorio, quando lo ritiene sussistente; tuttavia, la valutazione di tale effetto è sempre circoscritta alle motivazioni della sentenza e non è mai parte del dispositivo di accoglimento, che si limita a dichiarare l’illegittimità della norma abrogatrice.

La Corte ribadisce inoltre che ogni questione relativa alle norme applicabili ai casi concreti a se-guito della declaratoria di illegittimità è rimessa ai giudici comuni; tale circostanza è stata sottolineata con particolare attenzione nei casi in cui la reviviscenza riguardi norme penali, in forza dei delicati problemi di diritto intertemporale che il ripristino di norme abrogate può comportare in relazione a norme di questo tipo.

Come noto, la successione di leggi penali nel tempo non può comportare uno svantaggio per l’im-putato; al contrario, la reviviscenza di norme incriminatrici o di norme sfavorevoli per illegittimità della norma abrogatrice la dichiarazione di incostituzionalità può comportare un effetto pregiudizie-vole. In questi casi, infatti, i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della norma illegittima tor-nano a essere punibili secondo l’originaria e più severa disciplina, mentre gli effetti delle norme in-costituzionali più favorevoli sono fatti salvi soltanto per i reati commessi durante il periodo di vigenza delle stesse; ciò non in base al principio della retroattività della lex mitior, bensì in conseguenza del principio dell’irretroattività della legge penale di cui all’art. 25 comma 2 Cost.89

Pertanto, la Corte costituzionale sottolinea intenzionalmente che gli effetti delle pronunce di ille-gittimità di norme abrogatrici di norme penali sfavorevoli devono sempre essere valutati dal giudice, poiché soltanto nel caso concreto è possibile stabilire se la norma ripristinata sarà applicabile o meno, a seconda del momento in cui il reato contestato è stato commesso.

Più in generale, anche al di fuori delle ipotesi che riguardano norme penali, non va trascurato come nell’ordinamento italiano manchi qualunque disposizione di rango costituzionale o legislativo (quale quella prevista, ad esempio, dall’art. 140, comma 7 della vigente Costituzione austriaca) che attribui-sca alla Corte costituzionale il potere di dichiarare con effetti vincolanti se, contestualmente all’an-nullamento di norme abrogatrici, riprendano vigore le norme illegittimamente abrogate.

89 Cfr. Corte cost. 26 novembre 2006, n. 394; Cass., sez. un., 26 febbraio 2015, n. 33040, Jazouli. In dottrina v. V. ONIDA, Retroattività e controllo di costituzionalità della legge penale sopravvenuta più favorevole, in R.BIN,G.B RU-NELLI,A.PUGIOTTO,P.VERONESI (a cura di), Ai confini del “favor rei”. Il falso in bilancio davanti alle corti costituzionale

e di giustizia, Torino, 2005, p. 285 ss.; A.CERRI, Corso di giustizia costituzionale plurale, cit., p. 249; G.ZAGREBELSKY,

Il controllo da parte della Corte costituzionale degli effetti temporali delle pronunce di incostituzionalità: possibilità e limiti, in AA.VV., Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento alle esperienze stra-niere: atti del Seminario di studi tenuto al Palazzo della Consulta il 23 e il 24 novembre 1988, Milano, 1989, p. 215.

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Di conseguenza, sembra che il ripristino delle norme abrogate da norma incostituzionale non possa essere imposto dalla Corte costituzionale, che infatti non ne fa mai menzione nel dispositivo in linea di principio la reviviscenza dovrebbe essere riconosciuta dagli interpreti. Tuttavia, è facile notare come nella giurisprudenza costituzionale più recente vi sia la costante tendenza della Corte a dichia-rare o quantomeno a indicare con chiarezza l’effetto ripristinatorio.

Statuizioni di tale tenore non dovrebbero probabilmente essere intese, in linea di principio, quale un vincolo formale gravante sui giudici. La stessa Corte costituzionale da tempo ha riconosciuto che la determinazione in concreto dell’efficacia delle sentenze di accoglimento è riservata ai giudici co-muni90; tuttavia tale spazio riservato ai giudici, di regola, riguarda la conseguenza pratica sul caso concreto, non invece la configurazione dell’assetto normativo dell’ordinamento.

In realtà sembra difficile che un giudice possa discostarsi dall’indicazione autorevolmente fornita dalla Corte costituzionale; ciò soprattutto in ragione della circostanza che – quantomeno con riferi-mento ai più recenti casi di reviviscenza a seguito di illegittimità di norma abrogatrice – il senso stesso della relativa pronuncia della Corte costituzionale si spiega soltanto se correlato al fine di ri-pristinare la situazione normativa antecedente alla norma censurata.

Un giudice che, pertanto, nella valutazione del quadro normativo vigente si discostasse dall’indi-cazione della Corte costituzionale relativa alla reviviscenza non si limiterebbe a valutare in modo autonomo gli effetti della pronuncia di accoglimento sul caso concreto (cosa che certamente può fare, ad esempio escludendo l’applicabilità della norma “rivissuta”), ma la disattenderebbe: il giudice, in-fatti, ricostruendo autonomamente l’assetto delle norme vigenti in modo difforme da come supposto dalla Corte costituzionale continuerebbe a riconoscere la persistenza nell’ordinamento dell’effetto abrogativo disposto dalla norma dichiarata incostituzionale, ovvero proprio l’effetto colpito diretta-mente dalla pronuncia di accoglimento.

90 La competenza della magistratura in ordine alla delimitazione degli effetti delle pronunce di illegittimità è oggi un dato sostanzialmente pacifico, ma non fu così fin dal principio. In un primo momento, infatti, la Corte costituzionale aveva sostenuto che alla competenza degli organi giurisdizionali era devoluta solo «l’applicazione in concreto» dei prin-cipi che essa stessa traeva dalla disciplina costituzionale e legislativa circa gli effetti delle sentenze di accoglimento (C. cost., sent. n. 127 del 1966). Solo pochi anni dopo questo orientamento veniva fortemente moderato, prendendo atto che i problemi sulla delimitazione degli effetti retroattivi delle pronunce di incostituzionalità «sono, evidentemente, problemi di interpretazione, e devono pertanto essere risolti dai giudici comuni, nell'ambito delle rispettive competenze istituzio-nali» (così C. cost., sent. n. 49 del 1970). Con la sentenza del 1970, in altre parole, la Corte abbandonava il tentativo di imporre la propria interpretazione, lasciando alla giurisprudenza comune e di legittimità il compito di delineare precisa-mente i contorni e i limiti dell’efficacia retroattiva delle sentenze di accoglimento. Entrambe le sentenze ora menzionate si inserivano nella nota vicenda giurisprudenziale che ha visto contrapposte la Corte costituzionale e la Cassazione penale circa gli effetti delle sentenze che dichiaravano l’illegittimità di norme penali processuali, ma i principi espressi hanno portata generale. Cfr. L.ELIA,La Corte ha chiuso un occhio (e forse tutti e due), in Giur. cost., 1970, p. 497; E.L AMAR-QUE,Il seguito giudiziario alle decisioni della Corte costituzionale, in E.MALFATTI,R.ROMBOLI,E.ROSSI (a cura di), Il

giudizio sulle leggi e la sua diffusione, Torino, 2002, p. 204; G.PITRUZZELLA,Ancora sugli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale di norme processuali penali: un difficile compromesso tra gli indirizzi giurisprudenziali della Corte costituzionale e della Cassazione, in Cass. pen., 1984, p. 1646; V.ONIDA, Problemi e falsi problemi in tema di

efficacia temporale della pronuncia di incostituzionalità delle leggi, in Giur. cost., 1988, p. 2414 ss.; R.PINARDI, La

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In quest’ottica, la circostanza che dalla pronuncia della Corte costituzionale emerga una chiara indicazione circa le norme oggetto di reviviscenza deve essere valutata positivamente, quale fattore che garantisce in concreto la certezza del diritto, sollevando i giudici dall’onere di dover valutare se la norma abrogata dalla norma illegittima debba o no considerarsi nuovamente in vigore.

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