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Reviviscenza di norma abrogata per effetto dell’illegittimità per vizi sostanziali di una norma meramente abrogatrice

3. Gli orientamenti della dottrina sugli effetti della dichiarazione di incostituzionalità di una norma legislativa abrogatrice

3.5. Il ripristino della norma illegittimamente abrogata come corollario del sindacato di co- co-stituzionalità

3.5.2. L’ammissibilità della reviviscenza in ragione dell’annullamento dell’effetto abrogativo

3.5.2.1. Reviviscenza di norma abrogata per effetto dell’illegittimità per vizi sostanziali di una norma meramente abrogatrice

La dottrina è tendenzialmente favorevole ad ammettere la reviviscenza nell’ipotesi di illegittimità di norma meramente abrogatrice, cioè di una legge o una disposizione che è limitata ad abrogare norme precedenti senza altro disporre 48.

Alcuni, pur ammettendo l’ipotesi, ritengono che in concreto il caso non potrebbe verificarsi: il presupposto dell’illegittimità per vizi sostanziali di una disposizione esclusivamente abrogatrice do-vrebbe consistere nell’abrogazione di una disciplina costituzionalmente necessaria o costituzional-mente obbligatoria (classi di norme che quella stessa dottrina ritiene “vuote”)49; tuttavia si segnala che casi di questo tipo si sono in realtà effettivamente verificati50.

Nell’ipotesi di illegittimità di norma meramente abrogatrice è possibile giustificare l’ammissibilità della reviviscenza ragionando a contrario: in questa eventualità sarebbero infatti difficilmente giusti-ficabili, sul piano logico-giuridico e anche su quello pratico, le conseguenze che si verificherebbero qualora si ritenesse sussistente una totale preclusione al ripristino della norma abrogata.

Si assisterebbe infatti a una pronuncia totalmente inutile, perché a seguito della stessa persiste-rebbe esattamente la medesima situazione normativa determinata dalla norma incostituzionale51: poi-ché la norma invalida si limitava a circoscrivere nel tempo l’efficacia di una o più norme previgenti, si giungerebbe alla paradossale conclusione per cui «la non applicazione della norma illegittimamente abrogata si traduce necessariamente nella applicazione della norma abrogatrice esplicitamente dichia-rata incostituzionale dalla Corte»52.

48 Espliciti sul punto H.KELSEN, La giustizia costituzionale, cit., p. 193; G.SERRA, Leggi dichiarate incostituzionali

e «reviviscenza» di disposizioni abrogate, in Studi sen., 1969, p. 244 ss.; P.A.CAPOTOSTI,Problemi relativi alla defini-zione dei rapporti tra testi unici di leggi e disposizioni normative preesistenti, cit., p. 1503; A.GIORGIS, Uno spunto in

tema di tutela costituzionale dei diritti sociali e reviviscenza delle norme illegittimamente abrogate, cit., p. 1837. Cfr.

anche A.M.SANDULLI, Natura, funzioni ed effetti delle pronunce della Corte costituzionale sulla legittimità delle leggi, cit., p. 48, il quale non cita tale caso, che però sembra corrispondere perfettamente ai requisiti che l’autore ritiene necessari affinché vi sia reviviscenza, cioè l’incapacità della norma abrogativa di sopravvivere al venir meno di quella incostitu-zionale: in tale ipotesi le due norme coincidono.

49 Cfr. R.GUASTINI, Le fonti del diritto, cit., p. 314-315.

50 Corte cost., sent. 18 marzo 1992, n. 106 ha dichiarato l’illegittimità dall'art. 6 della l. n. 508/88, che aveva disposto la mera abrogazione dell’art. 17 della l, n. 118/1971 (tale disposizione istituiva un assegno di accompagnamento a favore dei minori non deambulanti e non completamente invalidi), ritenendo che la disciplina meramente abrogata fosse costi-tuzionalmente “doverosa”. In tale ipotesi, tuttavia, la Corte non ha pronunciato una sentenza di semplice accoglimento, ma una peculiare sentenza additiva che differiva l’abrogazione fino alla data di entrata in vigore della legge che istituiva una simile prestazione sociale. Sul punto si tornerà infra.

51 Cfr., come visto, H.KELSEN, La giustizia costituzionale, cit., p. 193; G.SERRA, Leggi dichiarate incostituzionali e

«reviviscenza» di disposizioni abrogate, cit., p. 244 ss.; P.A.CAPOTOSTI,Problemi relativi alla definizione dei rapporti tra testi unici di leggi e disposizioni normative preesistenti, cit., p. 1503; M.M.SCOLETTA, Metamorfosi della legalità, cit., p. 303; G.DELITALA, Effetti penali della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi, in Riv. it. dir. pen., 1955, p. 187.

52 Così A.GIORGIS, Uno spunto in tema di tutela costituzionale dei diritti sociali e reviviscenza delle norme

illegitti-mamente abrogate, cit., p. 1837, che così prosegue: «qualsiasi soluzione diversa (…) costituisce infatti una indiretta

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Il senso della pronuncia si ridurrebbe così a una sorta di mera segnalazione dell’illegittimità di tale assetto normativo, senza però potervi incidere in alcun modo; soltanto il legislatore potrebbe sanare la situazione con un proprio intervento normativo, che resterebbe però eventuale e potrebbe anche non verificarsi mai.

Se la reviviscenza fosse vietata in assoluto si potrebbe persino dubitare dell’ammissibilità di una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto una norma meramente abrogatrice.

Infatti, da un’eventuale sentenza di accoglimento non discenderebbe alcun effetto diverso rispetto a quelli derivanti dall’applicazione della norma illegittima: la decisione del caso concreto al vaglio del giudice a quo, dunque, sarebbe la medesima sia nel caso di accoglimento, sia nel caso in cui non avesse sollevato la questione.

Come noto, nel sistema di giustizia costituzionale italiano l’accesso alla Corte costituzionale in via incidentale è subordinato al requisito della rilevanza ai sensi dell’art. 23, comma 2 della l. 11 marzo 1953, n. 87, a norma del quale il giudice a quo solleva la questione di legittimità «qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale».

In dottrina alcuni ritengono che tale requisito consista nella mera applicabilità della norma nel giudizio principale, che costituirebbe così l’occasione per attivare il giudizio della Corte53. La giuri-sprudenza costituzionale e la dottrina maggioritaria sostengono invece che l’auspicata pronuncia di accoglimento debba dispiegare una necessaria influenza sul giudizio a quo; è tuttavia sufficiente che tale influenza si ripercuota sul percorso motivazionale del provvedimento che chiuderà il giudizio principale e non invece sull’esito concreto della decisione54.

Se dunque «la corretta instaurazione del giudizio costituzionale postula l'esistenza di un effettivo

e concreto rapporto di strumentalità fra la risoluzione della questione di legittimità costituzionale e

la definizione del giudizio principale»55, non si vede come tale rapporto possa sussistere qualora l’esito della pronuncia non modifichi in alcun modo l’assetto normativo dell’ordinamento: il giudice

a quo non potrebbe infatti avvalersi di una nuova situazione normativa56.

il proprio effetto (impeditivo all'applicabilità delle norme precedenti), oppure al contrario si ritiene che la sentenza di illegittimità costituzionale non possa comunque minimamente incidere sull'efficacia della norma meramente abrogativa (la quale pertanto dovrà continuare ad essere applicata), tertium non datur».

53 Non ritengono decisivo, ai fini della rilevanza, l’impatto che avrà la pronuncia di accoglimento sul giudizio a quo, ad es., F.MODUGNO,Riflessioni interlocutorie sulla autonomia del giudizio costituzionale, in Rass. dir. pubbl., 1966, p.

297 ss.; A.CERRI, Il profilo fra argomento e termine della questione di costituzionalità, in Giur. cost., 1978, p. 356. 54 In dottrina cfr. G.ZAGREBELSKY,V.MARCENÒ, Giustizia costituzionale, Bologna, 2012, p. 282 ss.; E.MALFATTI, S.PANIZZA,R.ROMBOLI, Giustizia costituzionale, IV ed., Torino, 2013, p. 105; A.RUGGERI,A.SPADARO, Lineamenti di

giustizia costituzionale, cit., p. 220 s.

Nella giurisprudenza costituzionale cfr., ex pluribus, Corte cost., ord. 17 luglio 1998, n. 282; ord. 25 luglio 2001, n. 297; ord. 5 luglio 2002, n. 322.

55 Così Corte cost., ord. 17 luglio 1998, n. 282 (corsivo aggiunto).

56 Secondo G.ZAGREBELSKY,V.MARCENÒ, Giustizia costituzionale, cit., p. 287 «occorre che il giudice che solleva la questione “possa avvalersi della nuova situazione normativa ipotizzata dopo la dichiarazione di incostituzionalità”

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Supponendo l’impossibilità della reviviscenza, nel caso in cui oggetto della questione di legittimità fosse una norma meramente abrogatrice sarebbe difficile ritenere che il giudizio non possa essere definitivo senza l’intervento della Corte costituzionale, poiché se la norma fosse annullata il giudice

a quo non potrebbe comunque applicare norme diverse da quelle che avrebbe applicato senza

solle-vare la questione. Si verrebbe a creare una «una “zona franca” nell’ambito del sindacato di costitu-zionalità in via incidentale in relazione alle norme aventi contenuti abrogativi»57.

Vero è, si potrebbe obiettare, che la giurisprudenza costituzionale da tempo ammette la rilevanza delle questioni di legittimità sulle norme penali di favore, ovvero su casi in cui la pronuncia di acco-glimento è destinata a non dispiegare un effetto sulla decisione del giudice a quo stante il principio di irretroattività della legge penale di cui all’art. 25, comma 2 Cost58. In questa ipotesi, l’ammissibilità è giustificata dalla Corte proprio «allo scopo di escludere l’esistenza di “zone franche” dal controllo di legittimità costituzionale»59; la giurisprudenza costituzionale è costante, inoltre, nel sottolineare come in relazione al giudizio a quo l’accoglimento della questione su una norma penale di favore inciderà quantomeno sullo schema argomentativo della sentenza, nonché sulla formula di prosciogli-mento o sul dispositivo. Tuttavia, in casi di questo tipo l’intervento della Corte, pur non incidendo in concreto sull’esito del giudizio a quo, esplicherà un effetto concreto ed apprezzabile sull’ordinamento espungendo la norma di favore – sia pure con efficacia esclusivamente pro futuro.

Nella diversa ipotesi ora in esame, invece, non soltanto non si avrebbe un effetto concreto nel giudizio principale, ma altresì l’ordinamento resterebbe immutato nel suo tessuto normativo.

(sent. n. 29 del 1985)». Si segnala, però, che la citazione giurisprudenziale, per quanto condivisibile nel contenuto, non risulta in realtà dal testo della sentenza citata, né in altra pronuncia della Corte costituzionale.

57 Così G.P.DOLSO, La Corte costituzionale ripristina la competenza del magistrato di sorveglianza in materia di

conversione della pena pecuniaria in detentiva, cit.

Per “zone franche” dal controllo di costituzionalità si intende «quel complesso di questioni, potenzialmente suscettibili di costituire oggetto di tale controllo, ma sulle quali la delimitazione dei compiti assegnati alla Corte dalla Costituzione (…) non le consentivano di pronunciarsi»: così A.PIZZORUSSO, “Zone d’ombra” e “zone franche” della giustizia

costi-tuzionale italiana, in Studi in onore di Pierfrancesco Grossi, Milano, 2012, p. 1022. Per una visione di insieme dei

pro-blemi legati alle zone franche v. anche R.BALDUZZI,P.COSTANZO (a cura di), Le zone d’ombra della giustizia

costitu-zionale. I giudizi sulle leggi, Torino, 2007.

58 Per lungo tempo la Corte ha ritenuto irrilevanti le questioni di legittimità su norme penali favorevoli; per una critica a tale preclusione cfr. M.DOGGIANI, Irrilevanza "necessaria" della quaestio relativa a norme penali di favore, in Giur.

cost., 1976, p. 585-587. L’orientamento è stato però superato da Corte cost., sent. 3 giugno 1983, n. 148 (su cui v. D.

PULITANÒ,La “non punibilità” di fronte alla Corte costituzionale, in Foro it., 1983, p. 1806 ss.) in cui per la prima volta

la Corte ha ritenuto ammissibile una questione di legittimità su una norma penale di favore; questo indirizzo ha ricevuto numerose conferme (v., da ultimo, Corte cost., sent. 11 novembre 2015, n. 223, su cui v. C.NARDOCCI,Norme penali di favore fra tutela dell'unità della famiglia tradizionale e diritti individuali. All'incrocio tra tempo della norma e tempi del legislatore. A margine di Corte cost. sent. n. 223 del 2015, in Rivista AIC, 15 maggio 2016). Sul sindacato di

costituzio-nalità delle norme penali di favore v., ex multibus, G.TOSCANO,Ai confini del sindacato di costituzionalità sulle norme penali “in bonam partem”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, p. 304 ss.; A.LOLLO,La giurisprudenza costituzionale sul sindacato delle “norme penali più favorevoli” ad una svolta. La Corte adotta un paradigma “sostanziale” ed estende (giustamente) il sindacato di costituzionalità ai casi di violazione della legge di delega, in Osservatorio AIC, giugno

2014; C.PECORELLA, Pronunce in malam partem e riserva di legge in materia penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, p. 343 ss.

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Si potrebbe invero affermare, analogamente all’ipotesi appena ricordata delle norme penali di fa-vore, che la rilevanza sussisterebbe perché l’eventuale accoglimento della questione di legittimità potrà influenzare le motivazioni della sentenza con cui si chiuderà il giudizio principale; ma ciò co-stituirebbe davvero l’unico barlume di effetto della sentenza, che per il resto sarebbe priva di ogni utilità.

Non si vede come, altresì, una sentenza di accoglimento priva di effetti possa essere in grado di sanzionare una scelta legislativa illegittima: se non si riconoscesse la possibilità di reviviscenza delle norme invalidamente abrogate, mancherebbe per tali ipotesi «uno strumento che permetta alla Corte di riaffermare il primato della Costituzione sulla legislazione ordinaria»60.

3.5.2.2. Reviviscenza di norma abrogata per effetto dell'illegittimità per vizi di natura

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