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Le correnti del partito politico

IL PARTITO COME ORGANIZZAZIONE 4.1 Il partito come sistema internamente differenziato

4.5 Le correnti del partito politico

Come osservato, il Congresso è l’assise deputata a rappresentare la generalità degli iscritti e degli aderenti e ad esprimerne la volontà collettiva. La sua funzione principale è discutere e determinare la linea politica, che poi sarà recepita e ne sarà data esecuzione dagli altri organi, a cominciare dall’Assemblea Nazionale e dall’Esecutivo. Ci si può chiedere perché il luogo di determinazione della linea politica sia proprio il Congresso: lo è perché l’assise nella quale gli iscritti, tendenzialmente mediante i propri rappresentanti, manifestano la propria volontà

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È il caso ad esempio del PDL e dell’UDC.

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circa l’indirizzo politico/ideologico che deve assumere il partito politico. È innegabile infatti che, pur nella comune condivisione di una certa ideologia o programma alla base di un partito, i singoli iscritti presentino sensibilità e opinioni diverse circa la linea politica da seguirsi. Ed è possibile, come di fatto accade, che più iscritti che condividano la stessa linea politica si organizzino per far valere il proprio orientamento all’interno del partito, a cominciare dal Congresso. Questa è l’origine di quelle che comunemente sono chiamate correnti politiche: esse sono pertanto delle componenti interne ai partiti politici che esprimono orientamenti politici (e talvolta ideologici) diversi, tali tuttavia da non dar vita a un’ulteriore formazione esterna al partito303. La presenza di correnti è stata una costante dei partiti italiani prima degli anni ’90, ed in particolare questo è valso soprattutto per la DC, le cui articolazioni interne esprimevano posizioni politiche anche assai distanti, e la cui lotta interna poteva segnare, a seconda dell’esito dei Congressi, uno spostamento anche significativo della linea politica del partito. Tali correnti sorgevano intorno ad un leader da cui prendevano il nome, e consistevano in vere e proprie organizzazioni, tali da rendere la DC un “partito nel partito”, sino a configurare quest’ultimo come una sorta di “federazione” di correnti304

. Costituì un’eccezione il PCI, dove l’adozione del centralismo democratico non ha consentito il sorgere di correnti organizzate e stabili305. Attualmente negli statuti

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E. Rossi, I partiti politici, cit., p. 65.

304

E. Rossi, I partiti politici, cit., p. 66.

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L’articolo 19 dello statuto del PCI recitava: “La vita interna del Partito comunista è retta dai principi del centralismo democratico. Questo significa che: a) ogni istanza di partito, nello svolgere la propria attività, deve rispettare la democrazia del partito, cioè favorire l’attività e l’iniziativa di tutti i militanti; mantenere vivo e permanente il legame tra gli organismi dirigenti e la base, fra le istanze superiori e quelle inferiori; b) tutti gli organismi dirigenti devono essere eletti democraticamente e funzionare e decidere in modo collegiale, fermo restando che la direzione collegiale non annulla la responsabilità individuale; c) gli organismi dirigenti sono responsabili verso l’assemblea o istanza che li ha eletti e a queste devono rendere conto periodicamente della loro attività; gli organismi dirigenti sono convocati dalla Segreteria o a richiesta di un terzo dei loro membri; d) i singoli componenti degli organismi dirigenti di sezione, di federazione, e centrali sono revocabili per decisione dell’assemblea comune dell’organo dirigente di cui fanno parte e del corrispondente organo di controllo; e) la minoranza deve accettare ed applicare le decisioni della maggioranza; f) le decisioni degli organismo superiori sono obbligatorie per gli organismi inferiori; g) non sono ammesse azioni che violano la linea politica e le norme dello Statuto, non è tollerata l’attività frazionistica né alcuna azione che possa rompere o minacciare l’unità e la disciplina del partito.” Il principio del centralismo democratico è chiaramente incompatibile col “metodo democratico” costituzionalmente previsto, se si intende che si allude alla democrazia liberale. Tuttavia, l’incompatibilità viene meno se si ritiene che l’espressione allude a qualsiasi modo di concepire la democrazia, inclusa quindi la democrazia socialista, che si fonda sul principio del centralismo democratico.

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dei partiti non si trova alcuna menzione espressa delle correnti, ed anzi la diffusione del modello del partito personale, proprio per la sua accentuata connotazione leaderistica, ha ostacolato la diffusione delle correnti, pur sussistendo una differenziazione significativa tra le varie componenti306. In realtà, anche nei partiti personali, intesi come partiti - macchina elettorale a bassa ispirazione ideologica, e nel PCI, a detta di parte della dottrina, era ed è possibile riscontrare l’esistenza di correnti. Si è rilevato che “ciò che cambia da partito a partito, è il modo di essere e di manifestarsi della “corrente”, la sua struttura, il suo tipo di organizzazione, il suo potere di decisione, la sua incidenza sull’equilibrio del partito, il suo peso sull’equilibrio generale del sistema politico, la sua forza nel porsi come filtro selettivo di una parte almeno delle élites e come passaggio obbligato per chiunque voglia partecipare attivamente, da gregario o da dirigente locale e nazionale o da leader, alla lotta politica nel partito e tra i partiti”307

. Strutturalmente, per sua stessa natura, il partito politico è un “partito di correnti”. Il punto è pertanto stabilire che cosa sia una corrente, e se l’esistenza delle correnti sia possibile (o resa necessaria) dal principio del “metodo democratico”. In realtà il termine “corrente” è generico, potendosi alludere a due differenti fenomeni, come rilevato in dottrina308: correnti di convenienza, frutto di un calcolo opportunistico o di opportunità, e che si formano allo scopo di massimizzare le remunerazioni politiche dei loro membri, e correnti di principio, che riflettono credenze profonde, ideali o ideologiche che siano. Personalmente, per distinguerle ritengo opportuno si possano usare rispettivamente i termini di

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La prassi dimostra però che con l’indebolirsi della leadership carismatica, anche in queste formazioni politiche si vengono a creare vere e proprie correnti, sebbene “leggere”, cioè non strettamente organizzate, e anch’esse personali, ovvero incentrate su uno specifico dirigente, che spesso e volentieri si pone in contrasto con il leader carismatico. Si pensi alla corrente avente a capo l’on. Fini, nata nel 2010, e alla corrente avente a capo l’on. Alfano, nata nel 2013, ed entrambe scissesi in breve tempo dal partito, in quanto aventi orientamenti incompatibili col pensiero del leader del partito. O ancora si pensi alle correnti dei “barbari sognanti”, con a capo l’on. Maroni, ed il c.d. “cerchio magico” con a capo l’on. Bossi, che ha interessato l’ultima fase della storia della Lega Nord, dopo che il suo leader e la relativa famiglia sono stati travolti da scandali attinenti alla gestione dei fondi. Interessante notare come nei partiti carismatici la formazione delle correnti (e talvolta addirittura la mera manifestazione del dissenso) sono resi estremamente difficoltosi anche per il fatto che tendenzialmente sono sanzionati con l’espulsione dal partito o comunque la sostanziale emarginazione seguita dalla successiva non candidatura.

307

L. D’Amato, Partiti di correnti e frazionismo, in G. Sartori (a cura di), Correnti, frazionismo e

fazioni nei partiti politici italiani, Il Mulino, 1973, p. 109.

308

G. Sartori, Proporzionalismo, frazionismo e crisi dei partiti, in Correnti, frazionismo e fazioni, cit., p. 20.

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frazioni e fazioni. Ci si chiede se il metodo democratico, che sicuramente presuppone nel partito la libertà d’opinione ed il diritto di dissentire, giustifica o addirittura tutela l’esistenza sia delle frazioni che delle fazioni. Chi giustifica l’esistenza delle correnti generalmente intese, usa due tesi: a) la loro esistenza risulta da cause profonde e incomprimibili; b) l’esistenza delle correnti è indice di vitalità e flessibilità democratica. Il primo argomento è che le correnti riflettono cause profonde che le rendono inevitabili; principi, ideologie e ideali che le rendono legittime. Ma ciò vale per le correnti di principio, non per le correnti di convenienza. Il problema è che non esistono criteri certi per distinguere le une dalle altre309; nella prassi le correnti presentano entrambe le nature. Quel che è certo (ed in tal senso è accettabile la seconda tesi), è che solo le correnti di tendenza possono trovare una copertura giuridica nel “metodo democratico”, perché espressione del diritto dei singoli, anche associandosi in via di fatto tra loro, di far valere la propria linea politica all’interno del partito, attraverso le procedure democratiche predisposte statutariamente, ed in particolare nella massima sede di determinazione della linea politica, il Congresso nazionale. Nell’accezione di fazioni, le correnti sono pertanto un presupposto imprescindibile di vitalità democratica interna: se non se ne riscontra la presenza, quasi certamente ciò è dovuto non ad un reale unanimismo di convinzioni politiche (giacché le correnti di principio sono intrinseche ad un partito), ma all’esistenza di procedure formali e di fatto che, reprimendo indirettamente o direttamente il consenso, impediscono loro di manifestarsi, o in caso di manifestazione determinano il loro “estirpamento”, non di rado con l’espulsione dei maggiori esponenti della corrente. Fermo restando che nella prassi è estremamente difficoltoso distinguere tra frazioni e fazioni di partito, l’unica soluzione ipotizzabile per contrastare le correnti di convenienza senza reprimere il frazionismo tout court, è predisporre check and balances che, intervenendo sulle cause del correntismo, ne disincentivino la nascita (o il mutamento “genetico” a partire da correnti di principio). Sulle cause del correntismo, e sui relativi

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C’è chi ritiene che il carattere prevalentemente opportunistico delle frazioni sia da rintracciarsi nella “volubilità” ideologica dei leaders e nella friabilità delle correnti. Cfr. G. Sartori,

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disincentivi non c’è unanimismo in dottrina310

: tuttavia i disincentivi più efficaci sembrano attenere ai seguenti presupposti del correntismo: a) mancato controllo da parte della maggioranza centrale delle strutture di reclutamento, di socializzazione, di integrazione, di organizzazione del voto e delle fonti di finanziamento; b) sistema elettorale interno del partito proporzionalistico; c) l’eccesso di posti di potere contendibili nel partito. Quanto al primo aspetto, l’accesso ed il controllo delle risorse, in termini di voti e di finanziamenti, risulta essere imprescindibile per l’esistenza di una qualsiasi formazione politica generalmente intesa. Come è stato osservato311, in un partito che si autofinanzia, o che comunque non consente a gruppi interni di accedere in maniera autonoma alle fonti di finanziamento, disponibili solo per il partito in toto, priva i gruppi che intendono costituirsi in correnti di una risorsa essenziale. Allo stesso modo, un partito che si serve di strutture proprie e/o subalterne e/o perfettamente controllate per organizzare il voto, mantiene sui suoi iscritti un grande potere di ricatto; eventuali scissioni si risolverebbero soltanto in un’inutile fuga di quadri. Al contrario, un partito che usi strutture esterne e/o strutture che non può controllare perfettamente, è ricattabile dai gestori delle strutture stesse e da chiunque riesca ad instaurare con esse rapporti preferenziali. Quanto al secondo aspetto, è stato osservato312 che un sistema elettorale proporzionale moltiplica le correnti; in presenza di tale sistema, infatti, “conviene essere generali di una mini-frazione piuttosto che luogotenenti di una maxi-frazione”. In altri termini, i comportamenti disaggreganti non sono più penalizzati, ma sempre premiati, anche perché le correnti (guidate da politici di professione) adeguano i loro comportamenti al sistema elettorale perseguendo la tattica più remunerativa, e questo perché per un politico di professione il sistema elettorale è un vero e proprio sistema di carriera, dispensatore di benefici e danni. Se pertanto si adottassero misure quali l’introduzione di un quorum per la presentazione delle liste associato ad un premio di maggioranza per l’elezione dei delegati al Congresso, o addirittura si

310

Per un’analisi critica delle varie cause del correntismo individuate in dottrina, cfr. G. Zincone,

Accesso autonomo alle risorse: le determinanti del frazionismo, in G. Sartori (a cura di), Correnti, frazionismo e fazioni nei partiti politici italiani, cit., 1973, pp. 51 ss.

311

G. Zincone, cit., p. 64.

312

G. Sartori, Proporzionalismo, frazionismo e crisi dei partiti, in Correnti, frazionismo e fazioni, cit., p. 18-19. In particolare per Sartori il proporzionalismo non è “causa unica” del correntismo, ma è causa sufficiente.

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adottasse un sistema elettorale maggioritario (del tipo “i vincenti prendono tutto”), il correntismo sarebbe fortemente penalizzato, perché “converrebbe stare in cordata”. Quanto al terzo aspetto, si è rilevato313

come una causa di proliferazione del correntismo sia la capienza di posti da “colonizzare”, a condizione che la ripartizione dei medesimi avvenga in funzione delle correnti. In Italia questa problematica è accentuata dalla ancora notevole estensione dell’apparato statale e parastatale314, in cui, a vario titolo, i partiti possono distribuire incarichi. Il principio di distribuire incarichi (interni ed esterni al partito) in ragione delle correnti può operare secondo criteri diversi. Un primo criterio distributivo è quello di dividere le spoglie in proporzione alla forza o consistenza di ogni frazione; è il metodo di ripartizione nel linguaggio politico denominato “manuale Cencelli”, dal nome del suo ideatore, funzionario della DC, che nel 1967 inventò questo sistema (o, forse, razionalizzò una prassi esistente). Tale sistema è chiaramente ispirato alla disciplina di distribuzione dei posti nei consigli di amministrazione delle società private, essendosi sostituite alle “azioni” le “tessere degli iscritti” detenute da ciascun capocorrente. Un secondo criterio è quello di distribuire i posti in modo che a ogni corrente spetti comunque un incarico, indipendentemente dalla sua consistenza. È una regola estrema che incentiva massimamente la frammentazione correntizia: basta costituire una corrente per avere la certezza di accedere ad un incarico e disporre di una quota di potere. Chiaramente la soluzione in questi casi è data dalla drastica riduzione delle spoglie e dei posti distribuibili: all’interno del partito questo si dovrebbe tradurre in una semplificazione organizzativa, con la presenza di pochi organi con composizione non pletorica e competenze strettamente individuate. In definitiva, le correnti di principio o frazioni sono compatibili col “metodo democratico”, ed anzi auspicabili, mentre non lo sono le correnti di convenienza o fazioni, la cui formazione è opportuno disincentivare, e i principali mezzi di disincentivazione sono l’adozione di un sistema elettorale interno di tipo maggioritario o comunque proporzionale razionalizzato; la riduzione consistente degli incarichi e posti di

313

G. Sartori, Proporzionalismo, frazionismo e crisi dei partiti, in Correnti, frazionismo e fazioni, cit., p. 20-21.

314

Si pensi alle migliaia di municipalizzate, alle Autorità indipendenti e a numerosi altri enti i cui posti di potere sono ricoperti da soggetti di designazione partitica.

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potere contendibili; il controllo da parte della maggioranza centrale delle strutture di reclutamento, di socializzazione, di integrazione e di organizzazione del voto, nonché delle fonti di finanziamento. Ovviamente tali controlli non potranno essere mai totali né completi (altrimenti bisognerebbe attuare il centralismo democratico315); la politica legislativa più adeguata in questo caso sarebbe attribuire ai partiti la disciplina di contrasto al correntismo all’autonomia statutaria, la sola in grado di predisporre una disciplina che tenga conto delle specificità del partito, disciplina che potrà al più operare sui sintomi del correntismo, fissando alcuni divieti, quali il divieto di pubblicazione di stampa propria, di propaganda elettorale personale etc…. Resta il problema che difficilmente partiti che già risultano presentare fazioni e correnti di convenienza al proprio interno potrebbero adottare una normativa interna di contrasto a tale accezione di correntismo.

4.6 L’Assemblea nazionale, la Direzione nazionale ed il vertice del partito

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