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Il partito sul territorio

IL PARTITO COME ORGANIZZAZIONE 4.1 Il partito come sistema internamente differenziato

4.2 Il partito sul territorio

Il tema dell’articolazione del partito politico sul territorio nasce con l’avvento del partito di massa (in particolare, dei partiti socialisti): all’epoca della democrazia liberale e del partito dei notabili la questione non si poneva, non essendo necessaria alcuna organizzazione complessa e sofisticata del partito a livello territoriale, salvo la (minimale) strutturazione rappresentata dal c.d. comitato elettorale, imperniato sulla figura del notabile/candidato, e che si attivava solamente in occasione delle elezioni. Il partito non aveva iscritti da coinvolgere, in quanto i compiti di coordinamento e di raccolta del voto erano svolti nel

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ristretto ambito dei collegi controllati dalle relazioni personali. Il partito di massa storicamente nasce invece all’esterno del Parlamento, e come già detto la sua risorsa principale era costituita dall’alto numero di iscritti (e dalle quote da essi pagate per il mantenimento della tessera). Il reclutamento e l’inquadramento di questo elevato numero di iscritti richiedeva però un’organizzazione diffusa e stabile sull’intero territorio nazionale, il cui elemento di base era rappresentato dalla sezione o cellula (cc.dd.. rispettivamente nella DC256 e nel PCI257), ed a partire dal quale si sviluppava una struttura organizzativa di tipo piramidale: le sezioni di un certo territorio facevano capo ad una struttura più ampia (la federazione), e tutte le federazioni afferivano ad una struttura centrale di direzione politica ed amministrativa, avente sopra di sé un organo esecutivo più ristretto, la segreteria o ufficio politico. In un partito politico il quale deve conformarsi al “metodo democratico” circa la sua organizzazione interna, e che pertanto deve garantire la piena partecipazione degli iscritti alla vita del partito e alla formazione delle decisioni politiche, la sezione territoriale costituisce l’articolazione del partito che più di ogni altra assume rilevanza per via della sua vicinanza agli iscritti e militanti. Infatti è la sezione il luogo per eccellenza dove si raccolgono le iscrizioni al partito; è nella sezione che gli iscritti possono direttamente partecipare alla discussione ed elaborazione delle linee politiche attraverso lo svolgimento dell’Assemblea; è nella sezione che tutti gli incarichi devono essere assegnate dagli iscritti secondo procedure di tipo democratico. In altri termini, l’unità organizzativa di base del partito, affinché un partito sia conforme al “metodo democratico”, è opportuno che sia organizzata in modo da configurarsi come strumento di democrazia (diretta o indiretta) perlomeno a favore di tutta la militanza e degli iscritti. L’esistenza di sezioni, come si avrà modo di vedere, non esclude l’esistenza di altre articolazioni infraterritoriali tra l’apparato centrale e le strutture periferiche (ad esempio a livello provinciale e regionale), ed il collegamento tra i vari livelli territoriali deve ugualmente essere improntato al

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Nello Statuto della DC la sezione era definita come “l’organo di base del Partito” mediante la quale i soci partecipavano alla vita interna dello stesso. Le sezioni potevano essere o territoriali (costituite in territori corrispondenti a circoscrizioni amministrative o comprendenti uno o più seggi elettorali) ovvero d’ambiente (le quali riunivano soci appartenenti ad un ambiente di lavoro, ad uno stesso centro di attività culturale, sociale o di associazionismo).

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Nello Statuto del PCI la cellula era definita “l’organizzazione di base del partito”, ed ugualmente alle sezioni della DC poteva essere territoriale o d’ambiente.

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“metodo democratico”, sia per quanto riguarda le modalità di formazione degli organi interni, sia per quanto riguarda i diritti, doveri e poteri quanto meno degli iscritti. Ci si può chiedere se la legge possa (e debba) fornire indicazioni vincolanti i partiti circa la loro organizzazione territoriale e le competenze e procedure da seguirsi a ciascun livello territoriale. La necessità di tale approccio legislativo è stata sentita ad esempio dall’ordinamento tedesco: dopo aver indicato al n. 6 del secondo comma dell’articolo 6 l’obbligo per gli statuti dei partiti di contenere norme “sull’articolazione complessiva del partito”, la PartG all’articolo 7 prevede una notevole disciplina relativa a tale articolazione territoriale, imponendola ai partiti politici, sebbene sia lasciata all’autonomia statutaria discrezionalità circa la grandezza ed il perimetro delle organizzazioni territoriali. Si enuncia il principio per cui “l’articolazione territoriale deve essere strutturata in modo tale da rendere possibile un’adeguata collaborazione dei singoli iscritti alla formazione della volontà politica del partito”, principio la cui attuazione è implicitamente rimessa all’autonomia statutaria. La legge spagnola sui partiti politici invece non contiene alcuna specifica disposizione relativa alla organizzazione sul territorio del partito e sulla necessità che essa sia conforme all’esigenza di garantire la democrazia interna258

. Quanto all’ordinamento italiano, neppure nel testo unificato adottato dalla I Commissione della Camera dei deputati il 9 maggio 2012 sulla disciplina dei partiti politici si trova alcuna menzione alle articolazioni territoriali del partito, per quanto attiene alla loro organizzazione. Essa pertanto è interamente rimessa all’autonomia statutaria, in conformità con quanto disposto per le associazioni non riconosciute dall’articolo 36 del codice civile. Occorre perciò osservare, in una prospettiva di tipo comparatistico, gli statuti dei singoli partiti, al fine di ricavare dalle loro disposizioni possibili principi generali comuni sul tema dell’organizzazione del partito sul territorio, e verificare se essi siano compatibili con la previsione del “metodo democratico”. Preliminarmente occorre rilevare come la disciplina statutariamente prevista relativa al riconoscimento di un’autonomia agli apparati decentrati sul territorio di un partito politico sia tra quelle maggiormente disattesa

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Si può al più considerare rilevante quanto sancito dall’articolo 6, il quale sancisce che “l’organizzazione (…) dei partiti politici dev(e) essere conform(e) ai principi democratici e alle disposizioni della Costituzione e delle leggi”.

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nella prassi, dove si verifica che in realtà le formazioni partitiche sono piuttosto accentrate quanto a modalità di gestione ed esercizio di poteri e prerogative. Talvolta è lo stesso statuto ad essere contraddittorio al suo interno, enunciando prima l’accoglimento di un principio federalista o autonomista nell’organizzazione interna sul territorio, per poi smentirlo con le successive norme di dettaglio259. Le previsioni statutarie tuttavia mantengono la loro rilevanza, sia perché rappresentano comunque il quadro giuridico di riferimento, sia perché solitamente regolamentano la strutturazione del partito sul territorio in conformità all’ideologia che connota il partito. Da quest’ultimo punto di vista emergono dall’analisi comparata degli statuti, come è stato osservato260, tre differenti approcci. Il primo approccio è quello proprio dei partiti territoriali o

comunque dei movimenti a base territoriale261, che si pongono come strutturalmente e geneticamente diversi dai partiti classicamente individuati in quanto il loro ambito di raccolta di consenso, di rappresentanza di interessi e talvolta anche di azione è limitato ad una parte del territorio nazionale262. Le finalità di rappresentanza delle autonomie locali proprie di questi partiti incidono profondamente sulla dimensione della territorialità, per cui tendenzialmente il ruolo di soggetto principale della struttura del partito non è dato all’apparato centrale, ma ad un livello di governo territoriale263. Il secondo approccio riguarda i partiti che, seppure in vario modo, si definiscono partiti nazionali a struttura

federale264: l’obiettivo è quello di assicurare una vera e propria autonomia

statutaria alle strutture regionali, attribuendo loro ampie competenze. È vero che questi partiti non presentano nella propria dimensione valoriale il dato della territorialità inteso come fine ideologico, ma l’importanza che essi danno

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È il caso ad esempio dello statuto dell’IDV.

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M. Melillo, cit., pp. 65-67.

261

Ne sono un esempio la Lega Nord, l’MPA, la Südtiroler Volkspartei e l’Union Valdôtaine.

262

E. Rossi, I partiti politici, cit., p. 121.

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Il centro di gravità intorno al quale ruota la dimensione territoriale non è lo stesso per l’MPA e per la Lega Nord. Il soggetto principale della struttura territoriale della Lega sono le c.d. Nazioni, la cui ulteriore suddivisione in sub-livelli di governo sembra più che altro dettata da ragioni pratiche. L’MPA presenta invece una struttura a spirale, dal livello Regionale, per poi procedere per il Provinciale ed infine il Comunale, senza che sia individuato uno specifico livello posto come perno di tale struttura.

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Ad esempio, il PD e l’IDV, sebbene in quest’ultimo partito le affermazioni di principio non corrispondano alle norme effettivamente previste. Scelta civica e SEL non si definiscono espressamente a struttura federale, ma riconoscono l’autonomia organizzativa, gestionale, finanziaria e patrimoniale alle strutture locali.

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all’organizzazione territoriale è indicativa del carattere strumentale che la territorialità assume rispetto agli altri valori di cui il partito si fa portatore. Infine, il terzo approccio è quello proprio dei partiti a struttura sostanzialmente

accentrata265, che, in linea con l’impostazione ideologica dei principali partiti della c.d. prima Repubblica, non fanno alcuna affermazione di principio nei primi articoli dello statuto circa la generale strutturazione territoriale del partito; fondamentalmente non sembra esserci alcuna connessione tra ideologia e territorialità. Se si osserva l’organizzazione territoriale dei partiti politici, si scopre come essa si connota per l’esistenza di più livelli periferici, corrispondenti tendenzialmente ai livelli di governo del territorio in cui si articola la Repubblica, per come sono stati individuati a seguito dalla riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001. Così come la Repubblica si articola in Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, si osserva che l’organizzazione territoriale di un partito presenta, variamente denominati, un livello di governo locale (comunale e subcomunale), provinciale, talvolta di città metropolitana266, regionale e nazionale (quest’ultimo costituito dall’apparato centrale del partito). Poiché ai sensi dell’articolo 49 della Costituzione il partito è lo strumento mediante il quale i cittadini concorrono con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale, e dall’angolo visuale della democrazia interna con tale formulazione ci si riferisce al coinvolgimento degli iscritti nella vita interna del partito, senza ombra di dubbio l’analisi degli statuti circa l’organizzazione sul territorio del partito deve partire dall’“organo di base” del partito, quello più vicino agli iscritti, la sezione o circolo. A dire il vero, non tutti gli statuti inquadrano chiaramente ed esplicitamente le sezioni come organi integranti la struttura organizzativa di base267, anche se non vi è dubbio che de

facto anche la sola loro previsione statutaria implica il loro coinvolgimento

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Ad esempio PDL, UDC e FLI.

266 È il caso dello Statuto del PDL, che prevede il livello territoriale denominato “Grande Città”. 267

Ad esempio, così risulta nello statuto del PD e nell’IDV; in quest’ultimo partito addirittura si prevede che “i circoli non possono in alcun modo rappresentare il partito sul territorio”. Più precisamente si parla delle sezioni o circoli come: “unità organizzative di base attraverso cui gli iscritti partecipano alla vita del partito” (PD); “libere associazioni di cittadini desiderosi di organizzarsi in proprio per contribuire allo sviluppo politico del partito e alla penetrazione nel tessuto sociale del paese” (IDV); espressione dell’“impegno del Movimento nella comunità e (…) sede di elaborazione politica” (MPA); “organo di base del partito” (UDC); “luogo primario intorno al quale le/gli iscritti/e partecipano alla vita di SEL” (SEL); “unità costitutiva del partito” (FLI).

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nell’organizzazione sul territorio del partito. Chiarito ciò, occorre rilevare come, alla luce degli statuti dei partiti, si possano individuare perlomeno tre tipologie di sezioni o circoli: territoriali, tematici o telematici. Le sezioni o circoli territoriali sono le classiche strutture di base del partito organizzate a livello locale, ai fini di garantire un radicamento capillare del partito sul territorio. Esaminando gli statuti dei partiti, si ricava che la loro estensione territoriale può essere varia, ma sempre inferiore al territorio di una Provincia (per la quale tendenzialmente è prevista una differente struttura organizzativa partitica gerarchicamente superiore): e così si può riscontrare l’esistenza di sezioni circoscrizionali (Scelta civica, Lega Nord, MPA, PDL, FLI, UDC), comunali (Scelta civica, Lega Nord, PDL, FLI, UDC), zonali (Scelta civica). Interessante notare come negli statuti di PD, SEL e IDV si parli generalmente di circoli territoriali, ma solo lo statuto del primo partito sancisce la competenza degli statuti delle Unioni regionali a fissare i criteri per la loro articolazione. Le sezioni o circoli tematici268 fondano la loro aggregazione su specifici ambiti sociali, professionali, culturali o economici, e costituiscono strutture organizzate su base non territoriale bensì professionale. La ratio di tali strutture è chiaramente quella di creare strutture specializzate che da un lato permettano il radicamento del partito presso uno specifico settore della popolazione avente un certo interesse o professione comune, e dall’altro possano essere luogo di sintesi delle istanze provenienti da quello specifico ambito sociale, professionale, culturale, che saranno così recepite dal partito. Le sezioni o circoli

telematici rappresentano invece il risultato dell’incontro tra l’istituzione partito e

il World Wide Web, ed il tentativo dei partiti di trovare un nuovo e differente modo di coinvolgimento degli elettori e dei simpatizzanti. Tali sezioni o circoli sono specifiche comunità di partito che si costituiscono tramite rete internet permettendo l’associazione senza vincoli territoriali, rappresentando l’apertura dei partiti alla democrazia deliberativa nello spazio virtuale, nell’ottica del “mito della

e-democracy”269. Tali sezioni telematiche sono previste oggi da PD, FLI, Scelta civica270, SEL271. Tuttavia rispetto alle sezioni territoriali o tematiche, le sezioni

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Sono previsti dagli statuti di MPA, PD, IDV, FLI, Scelta civica, SEL.

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A. Floridia, Modelli di partito e modelli di democrazia: analisi critica dello Statuto del PD, 2009, http://www.astrid-online.it/, p. 18.

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Nello statuto di Scelta civica si enuncia generalmente che “SC promuove forme di partecipazione associativa tramite la rete ed altre tecnologie telematiche,

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telematiche hanno ancora oggi una scarsa diffusione effettiva ed una ancora minore incidenza nella vita interna del partito, e non a caso il loro status tendenzialmente non è lo stesso delle altre tipologie di sezioni. I rapporti tra struttura territoriale e struttura telematica, quanto a ruoli ed importanza, si ribaltano radicalmente, come si avrà modo di vedere, nel M5S, trattando dei gruppi Meetup. Se le sezioni o circoli sono l’unità organizzativa di base mediante la quale gli iscritti partecipano alla vita del partito, è chiaramente necessario che tali strutture territoriali di base dispongano di autonomia effettiva, al fine di evitare che le libere determinazioni assunte democraticamente dagli iscritti a livello locale, in ambiti decisionali che intrinsecamente dovrebbero essere di competenza di questo livello di governo, siano vanificate dall’imposizione di decisione assunte dal livello di governo partitico territorialmente superiore. Nel mancato rispetto di questo principio di fondo, si può fortemente dubitare che sia osservato il “metodo democratico”. Perché questa autonomia sia presente, è necessario in primis enunciarla statutariamente, ma come si vedrà questa è una condizione necessaria ma non sufficiente per garantire un’effettiva autonomia delle sezioni. Guardando agli statuti dei partiti italiani, si scopre come il riconoscimento espresso dell’autonomia organizzativa, gestionale, finanziaria e patrimoniale delle unità organizzative di base del partito è tipica dei partiti nazionali a struttura federale, come PD e IDV; anche Scelta civica e SEL enunciano questa autonomia. I partiti sostanzialmente accentrati (PDL, UDC) non enunciano nemmeno tale autonomia, e neppure la garantiscono effettivamente, quindi già solo da questo angolo visuale il modello del partito accentrato suscita perplessità circa la sua compatibilità con il parametro del “metodo democratico”. Quanto ai movimenti territoriali, è curioso notare come i maggiori di essi, Lega Nord ed MPA, paradossalmente non attribuiscano statutariamente alcuna autonomia alle sezioni o circoli, o rimandando la definizione della loro disciplina

che saranno disciplinate da apposito regolamento.”

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Nello statuto di SEL non si parla espressamente di circoli telematici, ma si dice che “oltre alle forme di partecipazione diretta delle iscritte e degli iscritti e dei circoli, (SEL) si avvarrà

del sistema informazione web (Siw), anche per la sperimentazione di nuove forme di democrazia digitale.”

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a regolamenti adottati dai Consigli nazionali (Lega Nord)272 o negandola espressamente a livello statutario (MPA)273. In tal senso anch’essi non si presentano come conformi al “metodo democratico”. In realtà, osservando più dettagliatamente le discipline statutarie, si scopre come anche alcuni partiti nazionali a struttura federale finiscano col negare effettivamente l’autonomia che pure riconoscono in via di principio alle proprie articolazioni territoriali, a cominciare dalle sezioni o circoli. L’esempio più evidente è rappresentato dall’IDV: prima si definiscono i circoli “libere associazioni di cittadini”, in seguito si afferma esplicitamente che i circoli non possono in alcun modo rappresentare il partito sul territorio; la loro costituzione è condizionata dal riconoscimento necessario da parte della struttura competente di coordinamento regionale, ed è previsto un Registro nazionale dei Circoli, strumentale ad una dichiarata volontà di controllo e verifica da parte degli organi nazionali delle loro attività. Se questo è il contesto, il riconoscimento dell’autonomia civile ed amministrativa, e l’affermazione che “deve essere assicurata l’attiva partecipazione alla vita politica del partito e va favorita la presenza di loro rappresentanti negli organismi elettivi territoriali del partito” sembrano svuotati di contenuti effettivi. Con questo non si vuole affermare che risulta essere incompatibile col “metodo democratico” qualsiasi attività di controllo sulla costituzione e l’attività di sezioni e circoli da parte di organi di partito territorialmente “superiori” (tant’è che in pressoché tutti i partiti la costituzione di una sezione o circolo è subordinata ad alcuni requisiti formali, ed in particolare ad un’autorizzazione o riconoscimento), anche perché controlli sono opportuni al fine di evitare abusi e disfunzioni274; ma che sono non democratici quei controlli

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“Si può (…) affermare che la Lega sia un partito federalista, ma non certo improntato alla tutela delle singole autonomie locali: il federalismo tanto proclamato risulta tutto esaurirsi nella tutela delle Nazioni”. Cfr. M. Melillo, cit., p. 75.

273

Nello Statuto dell’MPA si dice espressamente che “i Circoli non hanno rappresentanza politica del M.P.A. nel territorio e sono tenuti, nelle posizioni pubbliche, al rispetto dei deliberati degli organi del Movimento.” È vero che poi lo statuto presenta una precisa regolamentazione indicativa di una reale volontà di tutela della realtà locale, ma bisogna verificare se effettivamente essa trova attuazione pratica (in particolare se effettivamente sono costituiti i numerosi organi statutariamente previsti).

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Ad esempio eccessivo frazionamento degli iscritti in uno stesso Comune in un numero eccessivo e sproporzionato di circoli, o costituzione di circoli ad hoc da parte della minoranza interna, con presenza nello stesso territorio di circoli in contrasto tra loro venutisi a creare col solo fine di aggirare le problematiche del dibattito interno.

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che finiscono per erodere qualsiasi margine di autonomia sostanziale della sezione o circolo, rendendola una mera “appendice” di decentramento dell’apparato centrale, e privando così gli iscritti di qualsiasi reale ed effettivo potere di partecipazione partitica a livello decentrato. Tra l’altro, un presupposto basilare per considerare le sezioni o circoli come autonomi è che dispongano di propri organi, eletti o designati o dagli iscritti o comunque nel livello territoriale di base, di cui uno costituito dai medesimi iscritti, ciascuno con proprie competenze. Ciò è evidente anche guardando all’esperienza estera: ad esempio l’articolo 8 della PartG tedesca dispone quali organi necessari delle associazioni territoriali del partito (nonché dell’apparato centrale) l’assemblea degli iscritti e la presidenza, prevedendo che un’assemblea dei rappresentanti possa per previsione statutaria essere prevista al posto dell’assemblea degli iscritti solo per le associazioni sovraterritoriali (quindi non al livello di sezione o circolo). Quanto alla legge organica spagnola sui partiti politici, benché non vi sia alcuna previsione strettamente dedicata all’organizzazione interna periferica, si può ritenere in forza del principio democratico enunciato all’articolo 6 che anche a vari livelli di governo territoriali i partiti debbano rispettare la disciplina sull’organizzazione ed il funzionamento di cui all’articolo 7, che prevede, tra l’altro, la necessità di un’assemblea generale dell’insieme dei propri membri, direttamente costituita da questi o da loro delegati. Un’eventuale legge italiana sui partiti politici, al fine di attuare il presupposto del “metodo democratico”, non potrebbe prescindere dal predisporre norme che fissino identici principi, che quindi, possiamo ritenere essere costituzionalmente impliciti alla previsione dell’articolo 49. E’ opportuno chiedersi se gli statuti dei partiti italiani accolgano questi principi. Alla luce di un esame comparatistico, è possibile riscontrare che solo in taluni statuti si delineano direttamente o indirettamente gli organi interni delle sezioni o circoli, mentre altri rimandano o a regolamenti adottati da organi di governo territorialmente superiori275, o comunque, in un’ottica federalista, agli statuti che fissano la disciplina regolativa di base di questi livelli periferici276. In quasi277 tutti i partiti è comunque possibile riscontrare l’esistenza di almeno due

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Ad esempio, gli statuti di Lega Nord e PDL.

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Ad esempio, lo Statuto del PD.

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