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Diritti e doveri degli iscritt

CITTADINO, PARTITO E DEMOCRAZIA INTERNA 2.1 Il cittadino davanti al partito: come elettore e come iscritto

2.3 Diritti e doveri degli iscritt

Come osservato, una modalità di concorso dei cittadini alla determinazione della politica nazionale mediante lo strumento partito è data dalla loro ammissione all’associazione medesima, o in qualità di iscritti, o, dove previsto, in qualità di simpatizzanti. Ma questa adesione di per sé non è sufficiente per garantire il concorso di cui si sta parlando: è altresì necessario che le facoltà dell’individuo all’interno dell’organizzazione partitica siano chiaramente delineate, che cioè lo statuto determini “i diritti e i doveri degli iscritti e i relativi organi di garanzia; le

modalità di partecipazione” come non a caso è richiesto dall’articolo 3 del testo

unificato adottato dalla I Commissione della Camera dei deputati il 9 maggio 2012 sulla disciplina dei partiti politici154. Ed in effetti tutti gli statuti individuano i diritti ed i doveri degli iscritti e dei (dove previsti) simpatizzanti; in particolare, grande attenzione vi dedicavano gli statuti dei partiti della c.d. prima Repubblica, come quelli di DC e PCI, che contenevano, tra le prime disposizioni statutarie,

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In particolare, i tre statuti rimandano per la disciplina di dettaglio ai regolamenti. Interessante è il caso storico della DC, che presentava invece al riguardo una disciplina completa a livello di Statuto.

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Similmente, la PartG tedesca dispone all’articolo 6, paragrafo 2, n. 3 l’obbligo per gli statuti di contenere norme “sui diritti e i doveri degli iscritti”.

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specifici articoli che delineavano diritti e doveri degli associati155. Ancora una volta, nel silenzio della legge, si deve guardare a come attualmente l’autonomia statutaria disciplina facoltà ed obblighi degli associati, al fine di ricavare le tendenze generali di fondo, che una futura legge sui partiti potrebbe codificare, e rilevare eventuali criticità. Emergono due tendenze di fondo: risulta frequente la differenziazione dei diritti e dei doveri spettanti agli individui in base al rapporto che li lega al partito, a seconda che siano iscritti o simpatizzanti, e tendenzialmente le disposizioni dedicate ai diritti e doveri sono molto stringate, talvolta constano di alcuni periodi all’interno di un articolo che tratta di un tema più generale (ad esempio le adesioni al partito). E’ opportuno in primo luogo osservare i diritti ed i doveri che sono generalmente previsti per gli iscritti. La pressoché totalità degli statuti attribuisce il diritto156 di partecipare attivamente all’attività del partito, contribuendo alla determinazione della linea politica, e riconoscendo il diritto all’elettorato attivo e passivo per la formazione degli organi statutari. È la sintesi del “contenuto minimo di diritti” dell’associato157; senza il

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Le previsioni erano estremamente dettagliate, molto di più di quanto non accada negli statuti dei partiti attuali, e spesso e volentieri esorbitavano, specie nell’ambito dei doveri, da indicazioni strettamente connesse all’attività dell’individuo all’interno del partito, interessando in generale il modo di esprimersi della socialità dell’individuo. Ad esempio, lo Statuto della DC richiedeva ai soci di “svolgere una costante azione di presenza politica negli ambienti nei quali opera e vive”, e lo Statuto del PCI arrivava addirittura a prescrivere in una disposizione a parte un “costume di partito”: “Ogni membro del Partito comunista deve comprendere che a lui guardano i compagni di

lavoro e di studio, i vicini di casa, i conoscenti e i parenti, come ad un combattente per un mondo migliore, per una società più giusta e più sana. Egli perciò deve preoccuparsi costantemente di essere di esempio con la sua vita privata, con la condotta verso la propria famiglia, i vicini, i compagni di lavoro, con il comportamento morale, l’onestà, lo spirito di solidarietà umana e sociale di cui dà prova. Ciò è tanto più necessario quanto più il compagno è conosciuto per l’attività che svolge e per le cariche che ricopre nel partito e nella vita sociale e politica.”

Chiaramente queste previsioni sono sintomatiche del modo di essere di questi partiti, profondamente permeati dalla loro ideologia, e che si presentavano ed operavano nella società come partiti-chiesa.

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Gli statuti di Lega Nord ed MPA qualificano questa situazione giuridica soggettiva non solo come diritto, ma anche come dovere.

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La legislazione estera in materia di partiti tende a fissare e garantire questi diritti con apposita previsione legislativa. Ad esempio, l’articolo 10, paragrafo 2, della PartG tedesca, dispone che “i membri del partito e i delegati negli organi del partito di voto può essere fatto dipendere – ai sensi delle ulteriori norme contenute nello statuto – dal fatto che l’iscritti abbia adempiuto al suo obbligo di contribuzione. […]”. Sulla stessa ratio si pone l’articolo 8, comma 2 della legge organica spagnola sui partiti politici, in base al quale “gli statuti contengono un elenco dettagliato dei diritti dei membri, che include, in ogni caso, i seguenti diritti: a) a partecipare alle attività del partito e agli organi di governo e rappresentanza, a esercitare il diritto di voto così come a prendere parte all’assemblea generale, in conformità agli statuti; b) ad essere elettori ed eleggibili alle cariche del partito; c) ad essere informati riguardo alla composizione degli organi direttivi e amministrativi nonché riguardo alle decisioni adottate dagli organi direttivi, alle attività poste in essere e alla

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loro riconoscimento, l’associazione non avrebbe neppure potenzialmente una struttura democratica. Tuttavia il loro semplice riconoscimento formale non ne garantisce l’effettività; in tal senso, il riconoscimento di altri due diritti risulta essere strumentale, ed è interessante notare come già qui gli statuti presentino una minore completezza. Il primo di questi diritti strumentali è quello di avere accesso alle informazioni su tutti gli aspetti della vita del partito, sulla base del presupposto che solo un individuo informato può esercitare un voto consapevole; nonostante ciò, esso è espressamente previsto solo da taluni statuti (PD, MPA, SEL). Il secondo di questi diritti strumentali è il diritto di ricorrere agli organismi di garanzia e riceverne tempestiva risposta qualora si ritengano violate le norme statutarie sui diritti e doveri degli iscritti; è chiaro che lo statuto può riconoscere ogni tipologia di diritto, ma che se non è previsto un adeguato ed efficace sistema di controllo che ne garantisce l’effettività, quel diritto de facto non esiste. Gli statuti devono garantire l’azionabilità dei diritti sostanziali, ai fini della loro tutela, di fronte ad appositi organi di garanzia, di cui si deve garantire l’imparzialità. Solamente lo Statuto del PD menziona espressamente tale diritto, mentre tutti gli altri statuti si limitano a prevedere organi di garanzia, attribuendo una generica competenza sulle controversie tra gli organi del partito e tra gli iscritti, e né predispongono (salvo l’UDC e il PD, che rimanda ad un regolamento) una specifica disciplina procedurale che consenta all’iscritto leso di ricorrere a tutela del suo diritto, che vada oltre la mera menzione del diritto a ricorrere all’organo di garanzia158. Altro diritto cui sicuramente va dato riconoscimento agli associati è il diritto di parola, o più genericamente la libertà d’espressione: sembrerebbe essere un’ovvietà, non a caso la maggior parte degli statuti non lo menziona (vi fanno invece riferimento gli statuti della Lega Nord e di FLI), ma in realtà il riconoscimento di questo diritto non è così scontato, dipendendo molto o dalla disciplina effettiva sullo svolgimento dell’attività interna al partito (ad esempio, non garantendo tempi adeguati per lo svolgimento della discussione, o il diritto di

situazione economica; d) a impugnare le decisioni degli organi del partito che siano ritenute contrarie alla legge o agli statuti.”

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Significativo lo Statuto della Lega Nord, dove è prevista una specifica procedura paragiurisdizionale ed uno specifico organo (Direttivo provinciale o Consiglio nazionale, a seconda dei casi) al fine di deliberare sul rispetto dei doveri da parte degli iscritti, ma nessuna previsione garantisce un’analoga procedura al fine di garantire i diritti degli iscritti.

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parola a chiunque la richieda159) o in taluni casi, dalla stessa disciplina formale statutariamente prevista160. In secondo luogo si deve procedere ad esaminare i doveri generalmente prescritti dagli statuti agli associati161. Un dovere onnipresente è la previsione di un contributo finanziario162 da parte degli aderenti nonché il rispetto, anche successivamente all’adesione, delle finalità e dei valori del partito, e dove previsto, del Codice etico. Si tratta di doveri intrinseci alla stessa qualità di socio di un’associazione partitica: essendo il partito un’associazione avente una specifica connotazione ideologica, o comunque riconoscentesi in uno specifico programma, è ovvio che gli associati debbono far propria quella tavola di valori e di idee, configurandosi un “dovere di fedeltà ideologica”, il cui mancato ottemperamento può essere legittimamente sanzionato

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Ad esempio, il 20 giugno 2008, l’Assemblea costituente del PD si è riunita per modificare lo Statuto, ma l’80% dei delegati risultava assente. L’Assemblea dunque doveva risultare nulla per difetto del numero legale, ma la riunione fu comunque aperta dal presidente. L’on. Parisi, che aveva domandato per primo la parola allo scopo di denunziare l’illegittimità di ogni successiva decisione, non l’ha mai ottenuta. Ancora, il 30 settembre 2013, si è tenuta una riunione tra i parlamentari del PDL, al fine di raggiungere una posizione univoca circa la garanzia del sostegno al Governo Letta, poiché nei giorni precedenti il Presidente Berlusconi aveva assunto unilateralmente la decisione di togliere l’appoggio al Governo, chiedendo ai ministri espressione del PDL di rilasciare le dimissioni. La riunione dei parlamentari si è risolta fondamentalmente in un monologo del Presidente, il quale accordandosi con i capigruppo, aveva concordato l’esclusione di ogni dibattito. L’on. Cicchitto, che già nei giorni precedenti aveva lamentato l’assunzione della decisione di togliere la fiducia al Governo assunta non dagli organi competenti e senza alcun dibattito interno, in spregio dello Statuto, chiese come mai non ci fosse il dibattito, giacché intendeva prendere la parola. Zittito dai capigruppo, si vide rispondere dal Presidente che si era accordato con i capigruppo nel senso di lasciar parlare solo lui.

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Si pensi al principio del centralismo democratico che caratterizzava la struttura interna del PCI; ed infatti lo Statuto del PCI prevedeva “ogni compagno ha il diritto di sostenere presso gli

organismi del partito le proprie opinioni, anche se divergenti da quelle contenute nelle direttive di orientamento e di lavoro. Deve però, intanto, realizzare le direttive regolarmente adottate secondo il principio di subordinazione della minoranza alla maggioranza, del singolo all’organizzazione, dell’organizzazione inferiore, alla superiore, principio che assicura l’assoluta unità d’azione”.

Con riferimento all’attualità, si rimanda al contenuto del Codice di comportamento degli eletti del MoVimento 5 Stelle in Parlamento circa la comunicazione, e come opera nella prassi, di cui si parlerà nel Capitolo V.

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In taluni ordinamenti si è ritenuto opportuno fissare nella legge non solo i diritti, ma altresì i doveri principali degli iscritti al partito: ad esempio l’articolo 8, comma 4 della legge organica spagnola sui partiti politici dispone che “i membri di un partito politico devono adempiere agli obblighi risultanti dalle disposizioni statutarie e, in ogni caso, ai seguenti obblighi: a) condividere le finalità del partito e collaborare per il conseguimento delle stesse, b) rispettare le disposizioni degli statuti e delle leggi; c) rispettare ed eseguire le decisioni validamente adottate dagli organi direttivi del partito; d) versare le quote e altre forme di contribuzione che, in base agli statuti, siano dovute da ciascuno.”

162 Salvo che ai sensi del Non Statuto del M5S, ma in senso contrario depone il suo Statuto,

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finanche con l’espulsione163

. La stessa ratio fonda il dovere di osservanza del Codice etico, che fissa una serie di previsioni sanzionanti la slealtà politica, il venir meno di specifici connotati morali (intesa come condivisione dei “valori” enunciati dalle proprie Carte fondative), persino la mera violazione del codice penale, e ciò a tutela dell’affidabilità dell’elemento personale. Da ultimo, il dovere di contribuzione finanziaria si riconnette strettamente alla necessità per i partiti politici di finanziare la propria organizzazione e la propria attività, ed è un chiaro residuo dell’impostazione tipica dei tradizionali partiti di massa, che fondavano una quota considerevole delle proprie risorse economiche sulle somme corrisposte dagli iscritti per la tessera. In particolare, l’ammontare della quota può anche variare proporzionalmente al ruolo ricoperto, come ad esempio è previsto dallo Statuto dell’IDV in relazione ad eletti che si riconoscono nel partito, amministratori, e destinatari d’incarichi pubblici, o anche nello Statuto del PDL. Ulteriore tipico (ovvio) dovere, enunciato in tutti gli statuti, è l’obbligo di osservare le disposizioni dello statuto, dei regolamenti, e delle deliberazioni assunte dagli organi collegiali. Senza il rispetto di tale dovere, il partito de facto sarebbe ingestibile, non esisterebbe come corpo unitario, capace di esprimere una propria volontà univoca. Ci si può chiedere se questi diritti e doveri, previsti per gli iscritti, valgano anche per i simpatizzanti: guardando agli statuti dei partiti che ammettono la figura del simpatizzante (variamente denominato), si scopre come ciascun partito ha risposto a questa problematica in termini differenti. Ad esempio, nello Statuto del PD164 i diritti ed i doveri riconosciuti ad iscritti ed elettori (i simpatizzanti) sono tali per cui non è possibile segnare con chiarezza il confine tra le due posizioni. L’unica reale differenza di rilievo, è che gli iscritti (ma non gli elettori) sono soggetti all’obbligo di contribuzione finanziaria. Atteggiamento opposto è quello della Lega Nord: i Soci Sostenitori (i simpatizzanti), a differenza dei Soci Ordinari-Militanti (gli iscritti), sono delineati esclusivamente al negativo, in base ai diritti e doveri che non hanno. Essi non hanno alcun diritto di voto attivo o passivo, né hanno il dovere di partecipare alla

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La “politicità” e “genericità” di questo dovere tendenzialmente finisce col costituire una copertura formale ad operazione di “eliminazione politica” delle minoranze interne, specie in assenza di organi di garanzia realmente imparziali.

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vita attiva del partito. Sembrano delle “mere comparse sulla scena del partito”165

. Tra i due atteggiamenti “estremi” di PD e Lega Nord circa la configurazione dei diritti e dei doveri dei simpatizzanti, è possibile collocare la posizione “intermedia” del PDL166

, che distingue tra associati (gli iscritti) e aderenti (i simpatizzanti). Mentre gli associati hanno fondamentalmente accesso ai diritti e sono subordinati ai doveri enucleati in precedenza, gli aderenti hanno diritti e doveri meno incisivi, comprensibilmente alla luce della minore intensità del legame che li collega al partito: e quindi devono condividere i principi e i programmi del partito e dello Statuto (non essendo tenuti al rispetto delle norme statutarie e regolamentari); hanno il diritto di partecipare alle consultazioni e alle iniziative di democrazia diretta previste dallo Statuto (non disponendo di un vero e proprio elettorato attivo e passivo); hanno il diritto di ricorrere preventivamente al Collegio dei Probiviri in caso di controversie sulle attività del PDL, interpretazione dello Statuto e rapporti con le Associazioni (ma non hanno il diritto di promuovere il provvedimento disciplinare, che spetta ai soli associati). Entrambe le categorie sono obbligate al pagamento di una quota associativa. Dei tre approcci, sicuramente il più adeguato è quello del PDL: quello del PD finisce col disincentivare le iscrizioni, perché non convenienti, potendosi sostanzialmente godere degli stessi diritti anche senza iscriversi; quello della Lega Nord finisce col rendere superflua la categoria dei simpatizzanti, non essendovi (salvo la loro registrazione presso il Libro dei Soci) sostanziale differenza col regime giuridico di fatto spettante ai simpatizzanti negli statuti che non contemplano tale qualifica167. Il fatto che vi siano partiti (PDL, Lega Nord, FLI, per aspetti formali e di scarso rilievo il PD) che operano distinzioni circa il riconoscimento di diritti e doveri agli individui a seconda che essi siano iscritti o simpatizzanti, pone la questione se i partiti siano titolari di un potere di “disparità di trattamento” tra i loro aderenti. La giurisprudenza ha avuto modo di esprimersi al riguardo: con la sentenza del 7 dicembre 1987 il tribunale di Verona, con riferimento al caso che

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S. Clinca, cit., p. 49.

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Per i dettagli, si rimanda al Capitolo V.

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Gli statuti di Scelta civica, SEL, MPA, UDC non contemplano lo status di simpatizzanti, e lo stesso dicasi per lo Statuto dell’IDV, sebbene quest’ultimo partito contempli sul proprio sito internet l’adesione ad una community online per i simpatizzanti, riconoscendo loro il diritto di espressione per via telematica e di consultazione mediante questionari.

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ha riguardato il movimento Liga Veneta, ha stabilito che non vi è un obbligo in capo alle associazioni non riconosciute di darsi un ordinamento interno democratico e di ammettere indiscriminatamente nuovi associati, e che è legittima la disposizione statutaria che preveda due categorie di membri riconoscendo solo ad una la facoltà di partecipare ai Congressi e alle attività a livello centrale (nel caso di specie non è stato consentito agli associati, ma non membri a tutti gli effetti della Liga Veneta, il potere di chiedere la nullità dei congressi del partito cui non potevano partecipare). La libertà d’autoregolamentazione si fonda sull’articolo 36 c.c., che al primo comma sancisce che “l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati”. Alla luce di questa sentenza, si può affermare che i partiti siano titolari di un potere di differenziazione di diritti e doveri tra gli aderenti al partito, mediante lo strumento dello statuto, ma non di

disparità di trattamento, a prescindere da qualsiasi previsione statutaria, tra

aderenti cui sono riconosciuti statutariamente eguali diritti ed eguali doveri. Non è un caso che taluni statuti enuncino un divieto di disparità di trattamento tra gli associati riguardo ai diritti e doveri nei confronti dell’associazione (Scelta civica) o di eguaglianza dei diritti e doveri tra gli iscritti (FLI)168. Questo non esclude che vi possano essere clausole statutarie che legittimamente consentono una disparità di trattamento all’interno del partito, poiché il cittadino è perfettamente libero di aderire o meno ad associazioni che prevedano questa differenziazione, e non è quindi legittimato ad eccepirne l’illegittimità, non esistendo norme che comprimano a tal punto l’autonomia privata169.

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