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Organi di garanzia e giustizia interna

IL PARTITO COME ORGANIZZAZIONE 4.1 Il partito come sistema internamente differenziato

4.7 Organi di garanzia e giustizia interna

Si è osservato che l’organizzazione centrale del partito si connota, oltre che per la presenza di un organo assembleare, di un organo di “governo” e di un organo di vertice, altresì per la presenza di un organo di controllo. Tale organo presenta una duplice natura: è organo di garanzia ed organo di giustizia interna. L’esistenza di organi di controllo è una diretta conseguenza della scelta di politica legislativa fatta dai costituenti di astensione e non ingerenza dello Stato da qualsiasi intervento nella vita interna ai partiti politici, configurati come associazioni non riconosciute. Valendo per i partiti l’affermazione per cui “l’ordinamento interno e l’amministrazione sono regolati dagli accordi degli associati” di cui all’articolo 36 del codice civile, è chiaro che lo Stato non dovrebbe esercitare alcuna forma di controllo, anche minimale, sul partito, dal momento che la sua attività è regolata da strutture ed accordi interni. Dall’angolo visuale dello Stato-giudice, cioè della

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Ad esempio l’articolo 15 della PartG tedesca, specificamente dedicato a questa tematica, impone l’obbligo per gli organi di partito di adottare le proprie risoluzioni a maggioranza semplice dei voti, salvo che lo statuto o la legge non prescrivano una maggioranza qualificata. Si sancisce che la votazione debba avvenire a scrutinio palese, salvo che non venga “a richiesta sollevata obiezione alcuna”, e fermo restando l’obbligo di scrutinio segreto per l’elezione dei membri della Presidenza e dei delegati alle assemblee dei delegati e agli organi delle associazioni territoriali di livello superiore. Significativo è l’obbligo sancito nel primo periodo del terzo paragrafo dell’articolo 15: “il diritto di presentare proposte deve essere configurato in modo tale che resti garantito un processo democratico di formazione della volontà, e in particolare anche le minoranze possano mettere sufficientemente in risalto proprie proposte. Contenuti sostanzialmente analoghi presenta la legislazione spagnola in materia, all’articolo 7, commi 3 e 4: è prescritto che gli organi direttivi dei partiti siano stabiliti negli statuti e l’assegnazione delle cariche avvenga mediante suffragio libero e segreto. Gli statuti o i regolamenti interni di attuazione devono prevedere un termine per la convocazione degli organi collegiali sufficiente alla preparazione degli argomenti da discutere, il numero di membri necessario per inserire argomenti all’ordine del giorno, alcune regole relative alla deliberazione che consentano il confronto di opinioni, nonché la maggioranza necessaria per la adozione di decisioni, fissata come regola generale nella maggioranza semplice dei presenti o rappresentati.

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magistratura, ciò dovrebbe tradursi nella sua assenza di giurisdizione nel dirimere i conflitti interni al partito, spettando essa ad appositi organi di giustizia interna. In linea con la concezione liberale dello Stato, l’esistenza di una giurisdizione prospettata (in special modo dai partiti) come esclusiva troverebbe il proprio fondamento nella teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici di Santi Romano, in forza della quale tra Stato ed associazioni non riconosciute (quali sono i partiti politici) dovrebbe sussistere un rapporto di non interferenza. I partiti politici sarebbero veri e propri “ordinamenti sovrani” che non tollererebbero alcun tipo di intervento esterno, in particolar modo con riguardo ad eventuali clausole compromissorie con le quali le parti stesse decidano di devolvere la risoluzione della controversia insorta ad un collegio probivirale. Si vedrà come questa impostazione sia stata timidamente superata, seppure solo in parte, dalla giurisprudenza. Per il momento, è opportuno osservare che gli organi di controllo interni al partito svolgono due funzioni precipue: in quanto organi di garanzia, vigilano sul rispetto dello statuto e dei regolamenti da parte degli organi di partito; in quanto organi di giustizia interna, dirimono le controversie tra iscritti e organi di partito, soprattutto per quanto concerne l’iscrizione al partito e l’espulsione dal medesimo, atteggiandosi come organi disciplinari a tutti gli effetti. L’esistenza degli organi di controllo è quindi dettata dall’esigenza di assicurare una terzietà nello svolgere queste funzioni, che sarebbero chiaramente disattese se fossero attribuite ad altri organi di partito, in quanto le figure dei controllati e dei controllori finirebbero col coincidere. Risulta inevitabile osservare la disciplina prevista negli statuti dei vari partiti, riscontrando notevoli differenze, a partire dall’organizzazione del sistema degli organi di controllo. Vi sono partiti nei quali tale organizzazione è estremamente semplificata, esistendo un unico organo di garanzia e giustizia interna a livello centrale (IDV, MPA, FLI, Scelta civica328), ed altri in cui tale organizzazione è massimamente complessa, come nell’UDC, che prevede due ripartizioni tra Commissione regionale per le garanzie statutarie e Commissione centrale con identiche funzioni, nonché due Collegi di probiviri, a livello regionale (in prima istanza) e a livello nazionale (in seconda istanza), e due Commissioni per il controllo del tesseramento (competenti per le relative

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Competenze in materia di espulsione sono attribuite all’Assemblea degli associati, su proposta della Presidenza.

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controversie), a livello provinciale (in prima istanza) e a livello nazionale (in seconda istanza). Inoltre competenze in materia di sospensione ed espulsione del singolo dal partito sono assegnate alle Direzioni nazionale e provinciali del partito. Tra queste due posizioni statutarie “estreme”, la posizione intermedia contempla l’attribuzione delle funzioni di garanzia e giustizia interna alla stessa tipologia di organo, il quale però è articolato a livello territoriale e centrale (PD, Lega Nord329, SEL330, PDL). Taluni statuti, oltre ad istituire organi di controllo finalizzati a garantire il rispetto dello statuto stesso, introducono altri organi più specificamente rivolti alla fase iniziale dell’adesione del singolo al partito: oltre alla già citata UDC, è il caso del PDL, che prevede una commissione di garanzia col compito di decidere in ultima istanza sulle controversie relative alla assunzione della qualifica di aderente o di associato; è il caso, seppure impropriamente, di FLI, la cui Commissione nazionale di garanzia e dei probiviri si articola in due sessioni distinte, una relativa all’adesione al partito, e l’altra riguardante le sanzioni disciplinari. Tra i vari modelli organizzativi, forse il migliore è quello “intermedio”, in quanto riesce a conciliare le contrapposte esigenze di garantire un decentramento di poteri interni al partito anche dal punto di vista dei controlli, assicurare un doppio grado di “giurisdizione” ed evitare un eccesso di organismi interni, che potrebbe determinare confusione e conflitti di competenze, nonché incentivare pratiche correntizie di lottizzazione331. Occorre

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Nella Lega peraltro competenze in materia di sospensione ed espulsione sono assegnate anche ai Consigli nazionali, federali e provinciali, avverso le cui decisioni è possibile proporre ricorso al Collegio federale.

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Circa l’esercizio della funzione di garanzia, lo statuto di SEL presenta una particolarità: è infatti prevista a livello centrale una Commissione nazionale di garanzia, cui sono attribuite espressamente le funzioni di garanzia relative alla corretta applicazione dello Statuto e dei regolamenti; è tuttavia prevista anche l’esistenza di un Collegio sindacale, cui espressamente si afferma debbano applicarsi in quanto compatibili gli art. 2403-2403 bis c.c. Ai sensi dell’articolo 2043 c.c. “il collegio sindacale vigila sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.” Sembrerebbe pertanto che le sue funzioni si sovrappongano in parte con quelle della Commissione nazionale di garanzia. Tuttavia, una soluzione a tale sovrapposizione di competenze può essere riscontrata guardando alla composizione del Collegio sindacale, fissata in due componenti nominati dalla Presidenza nazionale scelti fra soggetti iscritti all’albo dei revisori contabili. Probabilmente quindi le funzioni del Collegio sindacale sono da ridursi al controllo sull’adeguatezza dell’assetto contabile.

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Non a caso questo modello è imposto ai partiti tedeschi dall’articolo 14 della PartG, che al primo paragrafo dispone che “per l’esame e la risoluzione dei conflitti del partito (…) e dei conflitti concernenti l’applicazione e l’interpretazione dello statuto debbono essere costituiti

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stabilire a chi spetti eleggere i membri degli organi di controllo, e quale sia la durata del loro incarico. Generalmente gli organi di garanzia e giustizia interna si formano mediante elezione, da parte del corrispondente livello territoriale, solitamente il Congresso o l’Assemblea nazionale se si tratta di commissioni di garanzia nazionali, oppure assemblee regionali o provinciali se gli organi di garanzia sono individuati a tali livelli. Gli organi di controllo dovrebbero essere temporanei332: tendenzialmente tutti gli statuti prevedono una durata in carica variabile fino ai cinque anni con possibilità, in taluni casi, di rinnovo al termine del mandato. Trattandosi di organi i quali si trovano a dover svolgere funzioni paragiurisdizionali all’interno del partito, sarebbe opportuno che ne sia garantita l’imparzialità e la terzietà rispetto agli altri organi dell’associazione e soprattutto rispetto alle parti in causa nell’eventuale controversia. Un difetto di terzietà o imparzialità rende la comminatoria di sanzioni, anche quando statutariamente previste, incerte, subordinate “a calcoli di opportunità e a un gioco di omertà reciproche”, e quindi i comandi o i divieti posti dagli statuti dei partiti possono essere tranquillamente disattesi333. Non a caso l’articolo 14 della PartG tedesca fissa al secondo paragrafo specifici requisiti a tutela dell’imparzialità, quali il divieto di “essere membri della presidenza del partito o di un’associazione territoriale, ovvero percepire periodicamente da essi compensi.” Si enuncia inoltre la loro indipendenza e l’assenza di alcun mandato vincolante. In assenza di un’analoga disciplina nel nostro ordinamento, si osserva come da questo angolo visuale gli statuti dei partiti si presentano lacunosi: oltre al requisito dell’iscrizione al partito, taluni partiti subordinano l’eleggibilità a membro dell’organo di controllo al possesso di “riconosciuta competenza ed indipendenza” (PD) o “idonea competenza” (MPA). Altri partiti focalizzano l’attenzione sulle cause di incompatibilità, richiedendosi che gli eligendi agli organi di garanzia non rivestano ruoli in organi di partito, siano essi direttivi, organizzativi o amministrativi, a livello locale, o solo a livello centrale, o a qualsiasi livello; non siano parlamentari, consiglieri regionali o provinciali,

collegi di probiviri almeno presso la sede centrale del partito e le associazioni territoriali del corrispondente massimo livello.”

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Ad esempio la PartG tedesca impone che i membri del collegio dei probiviri possano essere eletti per al massimo quattro anni.

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sindaci o presidenti di Provincia334. Negli statuti che contemplano specifici organi di controllo per ciascun livello territoriale, si pone il problema della ripartizione delle relative competenze paragiurisdizionali. Due sono i modelli ipotizzabili: il primo, quello fatto proprio dalla maggior parte dei partiti in esame (PDL, UDC, Lega Nord, MPA, SEL) è quello che presuppone una ripartizione dei gradi di giudizio, potendosi affermare, in via generalissima, che il primo grado spetta all’articolazione territoriale dell’organo di garanzia, con conseguente possibilità di proporre ricorso all’organo centrale. Il secondo modello è quello adottato dal PD, in cui vi è una chiara ripartizione di competenze, per cui la Commissione nazionale di garanzia giudica sulle questioni attinenti al corretto funzionamento degli organi nazionali, mentre quelle regionali sulle questioni locali. Restano da esaminare due questioni fondamentali: il procedimento interno ai vari organi di garanzia e l’esecutività delle decisioni emesse dagli stessi. Con riferimento agli aspetti procedurali, la necessità di garantire una tutela del singolo imporrebbe che fosse la legge a fissare per lo meno i principi caratterizzanti la procedura335, e non a caso in sua assenza gli statuti dei partiti presentano regole disomogenee e non facilmente comparabili. In taluni statuti vi è un silenzio totale sul procedimento (IDV, MPA336), in altri (Lega Nord, PD, FLI, SEL) si rimanda ad un apposito regolamento che stabilisca procedure e termini. I tre statuti che forniscono norme sul procedimento sono quelli di PDL, Scelta civica e, in modo estremamente dettagliato, l’UDC. Il procedimento delineato nei tre statuti, pur nelle diversità di formulazioni e disciplina, riconosce le garanzie del contraddittorio, del diritto di

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A seconda del partito sono accolti solo talune di queste cause di incompatibilità: fanno eccezione gli statuti dell’IDV e di SEL che non contemplano né incompatibilità né requisiti per i componenti dell’organo di controllo.

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Così è ad esempio nella PartG tedesca impone che per l’attività del collegio dei probiviri sia emanato un regolamento che garantisca agli interessati il diritto ad essere ascoltati, una procedura equa e la ricusazione di un membro del collegio dei probiviri per parzialità. Anche nella legge spagnola sui partiti politici, con specifico riferimento all’esercizio di funzioni disciplinari, si impone che “l’espulsione e le altre misure sanzionatorie che comportino la privazione di diritti per gli affiliati potranno essere comminate esclusivamente mediante procedimenti in contraddittorio, nei quali sia garantito agli interessati il diritto ad essere informati dei fatti contestati, il diritto ad essere uditi previamente all’adozione delle predette misure, il diritto alla motivazione della decisione con cui si impone una sanzione e il diritto a presentare, eventualmente, ricorso interno.”

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Nello Statuto dell’MPA qualche previsione sparsa di interesse ad un’analisi più attenta si ritrova, come ad esempio il fatto che il Comitato dei garanti giudichi come “amichevole compositore”, o ancora regole in materia di convocazione delle riunioni o di elezione del Presidente.

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difesa337, specifici termini di durata di ciascuna fase del procedimento, il quorum deliberativo (e in Scelta civica anche il quorum costitutivo), nonché i termini per l’impugnazione delle sue decisioni. Interessantissimo è lo Statuto di Scelta civica, per il contenuto dell’articolo 30, che al primo comma recita: “Ogni controversia relativa all’applicazione od interpretazione delle norme statutarie o regolamentari, o comunque connessa al rapporto associativo, che insorga tra singoli tesserati, tra tesserati e Strutture territoriali, provinciali o regionali, ovvero tra Strutture provinciali tra di loro, è rimessa, su ricorso di uno dei soggetti interessati, al

Collegio nazionale dei Probiviri, che deciderà, mediante lodo, come Organo di giustizia arbitrale rituale”. Si tratta dell’unico partito che qualifica il proprio

organo di garanzia come arbitro rituale, subordinando così il Collegio all’osservanza della disciplina sull’arbitrato di cui agli artt. 806-840 c.p.c. Quanto al problema dell’esecutività delle decisioni degli organi di garanzia, esso tendenzialmente risulta essere oggetto di scarsa attenzione da parte degli statuti. Sul punto la maggior parte di essi non si esprime (IDV, FLI, PD, SEL, PDL), qualche statuto (Lega Nord, MPA) si limita a disporre solamente l’immediata esecutività di tali decisioni, non sospesa neppure in caso di proposizione di ricorso avverso la decisione all’organo di garanzia. L’unico statuto che presenta norma articolate in materia di esecuzione è quello dell’UDC338. Interessante risulta essere la soluzione accolta nello statuto di Scelta civica, dove la natura di arbitro rituale del Collegio dei probiviri fa sì che la disciplina relativa all’esecuzione della decisione dell’organo di garanzia sia quella dell’articolo 825 c.p.c. Esaminati i principi connotanti la disciplina degli organi di controllo e garanzia per come ricavabili degli statuti dei partiti italiani, ci si chiede quale sia la natura giuridica di tali organi. Una parte della dottrina e della giurisprudenza continua a ritenerli degli “arbitrati irrituali” sostenendo che i membri delle varie commissioni non decidono esclusivamente nella prospettiva di definire la controversia fra le parti, ma anche in funzione sostitutiva alla volontà dei contendenti e di contemperamento dei loro interessi con quelli di politica interna del partito. Altra parte della dottrina ha ribattuto che tali organi non sarebbero imparziali e che ad

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Talvolta rimandando ad uno specifico regolamento attuativo, come nello Statuto del PDL.

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Per un riassunto della disciplina in materia, si rimanda a A.M. Piotto, Organi di garanzia e

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essi spetta la funzione di integrazione della fattispecie in cui si sostanzia l’illecito e di individuazione della sanzione disciplinare ritenuta adeguata339. A seconda della tesi accolta, l’applicazione dell’articolo 700 c.p.c. in materia di provvedimento cautelare d’urgenza è ritenuto ammissibile o meno: non a caso in una prima fase la giurisprudenza ammetteva l’applicazione di tale norma, ma in seguito essa ha mutato orientamento in senso opposto, proprio perché ha accolto la tesi che qualifica gli organi interni come arbitrati irrituali, e pertanto il ricorso di cui all’art. 700 c.p.c. sarebbe relativo a controversie compromesse in arbitrati irrituali da apposite disposizioni statutarie dei partiti. Sorge a questo punto una questione cruciale: ci si chiede che rapporto ci sia tra le decisioni degli organi di giustizia interna e la magistratura ordinaria, e ci si chiede se l’esistenza dei primi effettivamente è in grado di escludere la giurisdizione della seconda, sulla base delle motivazioni accennate all’inizio del paragrafo. In effetti, soprattutto a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, la necessità di assicurare una tutela ai diritti del singolo nei confronti delle associazioni cui partecipano ha progressivamente spinto dottrina e giurisprudenza a ritenere applicabili, almeno entro certi limiti, gli articoli 23, 1° comma c.c. e 24, 3° comma c.c., dettati per le associazioni riconosciute. La prima di tali norme consente all’autorità giudiziaria di annullare le delibere assembleari (rectius degli organi di garanzia interni) per violazione della legge, dell’atto costitutivo o dello statuto dell’associazione; la seconda consente, come già osservato nel Capitolo II, di ottenere dal giudice l’annullamento della delibera di espulsione dal partito, in quanto contrastante con i “gravi motivi” richiesti dall’articolo stesso. La giurisprudenza perciò ha accolto un orientamento per cui “l’autorità giudiziaria ha il potere di sindacare i rapporti che nascono dal patto associativo, qualora venga adita da uno o più associati che intendono far valere diritti loro nascenti dagli accordi”340 e “il socio di un’associazione non riconosciuta ha sempre diritto di adire il giudice contro i provvedimenti disciplinari adottati nei suoi confronti in violazione dello statuto”341

. Questa evoluzione giurisprudenziale trova fondamento nell’articolo 2

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C. Pinelli, Possibilità e limiti di intervento dei giudici nelle controversie interne ai partiti nella

recente esperienza italiana, in Giurisprudenza costituzionale, 1991, pp. 2994 ss.

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Corte d’Appello di Firenze, 19 febbraio 1957.

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della Costituzione, dove si menzionano le “formazioni sociali” non distinguendo tra associazioni riconosciute o meno e, di conseguenza, si pone come una norma suscettibile di una generale applicazione ai “gruppi sociali”. Poiché tale norma presenta un forte significato garantistico nei confronti del singolo342, essa fonda legittimamente un intervento giudiziale negli affari interni dei partiti. L’evoluzione giurisdizionale è arrivata al punto di ricostruire il vincolo associativo in termini contrattuali, cosa che permette di equiparare la dizione dell’art. 24, 3° comma c.c. sui “gravi motivi” a quella, dettata in materia di risoluzione contrattuale, prevista dall’art. 1455 c.c., laddove si afferma che l’inadempimento non deve essere “di scarsa importanza”. Stando così le cose il sindacato giurisdizionale deve essere sempre ammesso, quantomeno con riguardo alla legittimità del provvedimento deliberativo interno343. L’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale tuttavia non è andata oltre, e ciò a causa dell’essenza stessa del controllo giurisdizionale, incapace di andare al di là degli aspetti meramente patrimoniali della vita associativa344, e di un controllo della validità delle decisioni di carattere meramente formale. Fermo restando che quindi un intervento della magistratura nella risoluzione delle controversie interne al partito è possibile, il rapporto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione interna al partito è stato così definito dalla giurisprudenza: gli interventi arbitrali sono mezzi di risoluzione amichevole dei conflitti che possono sorgere all’interno del gruppo ed essendo stati accettati da coloro che si sono iscritti al partito, costituiscono un vero e proprio compromesso per arbitrato irrituale e libero, non di scelta alternativa tra il ricorso al giudice ordinario e quello alle commissioni arbitrali, ma di facoltà di ricorrere esclusivamente a tali commissioni, con esclusione tassativa, quindi, di

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Essa infatti afferma che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (…) nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (…)”. Se la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici era perfettamente coerente con l’impostazione liberale del periodo in cui veniva elaborata, l’attuale conformazione dello Stato come Stato sociale richiede un generale ripensamento, dal momento che l’entrata un vigore della Costituzione repubblicana ha comportato una diversa interpretazione del rapporto tra Stato e gruppi, arrivando a giustificare un intervento del primo sui secondi per scopi legati alla tutela dei diritti della persona, e da questo si deve desumere il dovere dello Stato sociale di intervenire a garanzia dei diritti della persona anche all’interno di ordinamenti giuridici diversi dal proprio. Cfr. E. Rossi, Le formazioni sociali nella

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